{Ottima scelta.}
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Il calore del corpo del padre lo rincuorò di tutti i propri dubbi e le proprie
paure, lo fece sentire a casa e al sicuro. Sentì una sua mano accarezzargli i
capelli, incredibilmente grande e gentile, e non poté fare a meno di spingere
leggermente il capo versa di essa, reclamando più attenzioni.
«Ho bisogno che tu mi faccia un favore, figliolo.»
La voce del re spezzò il silenzio qualche minuto dopo, facendogli sollevare il
viso fanciullesco con chiari interrogativi stampati in faccia. Non parlò,
tuttavia, preceduto dalla voce stessa dell’uomo che gli diede le risposte che
cercava.
«Dovrai essere il mio messaggero.»
La gravità nel suo tono fece desistere il piccolo principe a scuotere la testa
per rifiutarsi. Annuì, invece, il bambino, più fiero e deciso che mai,
nonostante un’insolita paura gli attanagliasse il cuore.
«Prima che la lama nera distrugga.»
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Il sole doveva essere in procinto di salutare la sua terra quando sentì
qualcuno armeggiare con il chiavistello della propria cella, facendolo scattare
in malo modo.
Strano, pensò il prigioniero, concedendosi di socchiudere per un singolo
istante gli occhi, prima che i suoi aguzzini entrassero nuovamente. Non era
orario di visite, quello.
Le sue palpebre si serrarono immediatamente non appena un minuscolo raggio di
luce apparve nella stanza, ferendo gli occhi ormai abituati all’oscurità. Sentì
che ci fu una breve lotta, qualcuno che pregava di non essere rinchiuso, qualcun
altro che rideva e gli mollava un calcio o uno schiaffo.
Poi il rumore della frusta. Lo conosceva fin troppo bene, ormai, e non poté
fare a meno di provare un misto di pena e curiosità nei confronti di chi era
stato sbattuto lì dentro.
«Hai ospiti, signorina!» - Era la solita voce rauca e fastidiosa dell’uomo che
si dilettava a frustarlo giorno per giorno. Fu quasi difficile distinguerla,
però, mischiata ai gemiti della misteriosa vittima che venne colpita un’altra dozzina
di volte prima che la stanza ripiombasse nel silenzio.
Avrebbe domandato con chi aveva il piacere di esser compare, ma parlare non era
il suo forte, né tantomeno nel suo stile. Non ci fu bisogno di delucidazioni,
tuttavia, perché i lamenti sofferenti e disperati dell’uomo bastarono a
rivelargli tutto ciò che serviva.
«Sono il consigliere, vi prego! Vi prego, abbiate pietà! Non respiro…»
Oh, che lagna – Pensò fra sé e sé, roteando gli occhi sotto alle palpebre
chiuse. Era dentro quella stanza da nemmeno due minuti e già si faceva prendere
dal panico? Lui era lì ormai da anni, probabilmente, e non si era mai lamentato
con nessuno.
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Aveva pazientemente atteso il ritorno di Honchkrow e la conseguente fine dell’incontro
del padre per afferrare sotto braccio il suo nuovo servitore e fendere i
corridoi del castello, diretto verso la sala del trono.
Sperava di trovare lì suo padre, e di avanzare la richiesta quanto più in
fretta possibile per scongiurare gli ipotetici rischi.
Il sole stava tramontando, ormai, e il cielo tinto di rosa era una promessa
dell’arancione che di lì a poco lo avrebbe infiammato. Aveva avvertito, in
lontananza nel castello, un gran trambusto e delle grida. Alle volte succedeva,
quando un servo commetteva un grave errore o un affronto e veniva punito. L’unica
pupilla bianca di Aegislash, però, si era assottigliata in maniera pericolosa,
diventando decisamente grave. Fare domande gli era tuttavia parso inopportuno,
di fronte al ragazzo appena raccattato.
«Aspettami qui.» - Sentenziò una volta davanti alla sala del re, rivolto al
ragazzo dai capelli scuri. Era difficoltoso, guardarlo negli occhi. Sia a causa
degli occhiali enormi che aveva in faccia, sia per la sua statura decisamente…esigua.
- «Pyroar rimarrà qui con te. Aegislash invece mi accompagnerà.»
Lo vide confuso, probabilmente perché la spada non era al momento visibile, ma
non fece domande, e lui non diede risposte.
Non bussò, avendo perlomeno quel privilegio – o essendoselo preso, come diceva
il proprio Pokémon di tipo spettro. Gli venne il voltastomaco quando, chiusa la
porta, mise a fuoco le gambe pallide della madre malamente agganciate dietro ai
fianchi del re, il corpo appena reclinato sul tavolo dorato dei consigli.
«Ma che schifo.»
Se Aegislash aveva una qualità, quella era la schiettezza. Non poté fare a
meno di pensare lo stesso, per una volta concorde, mentre distoglieva lo
sguardo e tossicchiava, cercando con tutto se stesso di ignorare il grugnito
poco regale lasciato dalla bocca del padre.
«È proprio incazzato. Secondo me siamo
arrivati sul più bello.»
Non aveva bisogno delle descrizioni dello spettro per sapersi addosso gli occhi
di fuoco di suo padre. Tuttavia si sforzò di non mostrare alcuna emozione,
mentre lo osservava con la coda dell’occhio trafficare con le vesti per
sistemarsi.
«Elisio. Quale tormento ti riporta
qui oltre il tempo?»
«È un modo elegante per chiederti perché diamine
stai disturbando la sua sessione serale d’amore?»
Gli riuscì difficoltoso nascondere la smorfia causata da quelle parole e per
non mostrarla al padre tenne lo sguardo basso, fingendo riverenza.
«Una questione importante, padre. Dopo anni accetto finalmente la vostra
proposta: Desidero un servitore personale. Ho già con me una persona ben
disposta ad accettare un contratto vincolante, con il vostro dovuto appog…»
«Sì, va bene.»
La fretta con cui confermò la sua scelta non si addiceva ad un sovrano. Il
silenzio nella propria testa confermò che anche Aegislash era spiazzato da tale
velocità di giudizio.
Di norma, i contratti vincolanti venivano soppesati dal re e dovevano ottenere
la sua benedizione. Ciò non era vero per la bassa nobiltà, ma in un caso come
il suo, cioè in presenza del principe, era bene che il sovrano s’attivasse per
indagare nel passato del candidato, per dissipare ogni dubbio sulle possibili
cattive intenzioni, cattive origini e altri aspetti simili.
«…Non volete prima incontrarlo, vostra maestà?»
«No, mi fido.»
«No, ha fretta.» - corresse
mentalmente Aegislash, ritrovando l’uso della parola.
«Nemmeno una parola su di lui? Il suo nome?»
«Solo quello, se ti sembra tanto opportuno.»
Era chiaramente spazientito, e non si faticava a capirne il motivo.
Ciononostante, ad Elisio sembrava un comportamento assolutamente poco virtuoso.
Il re, per come lo concepiva lui, doveva anteporre la corte e il popolo a se
stesso.
«Augustine, padre. Si chiama Augustine.»
«Ah, sì, il figlio di Malachia. Uno dei tanti. Sei congedato col mio appoggio.»
Quella frase terminò chiaramente il discorso. La figura del padre che si girò,
dandogli la schiena, per tornare con l’attenzione alla moglie fu un’altra
ribadita alla sua scelta.
Non indugiò oltre, il giovane principe, e con un rapido inchino si defilò dalla
stanza in fretta e furia.
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«Qual è il nome di tuo padre?»
La voce decisamente maschile del principe gli giunse di sorpresa, facendolo
sobbalzare appena. Pyroar, accoccolato vicino alle sue gambe, balzò il piedi
festoso, correndo a leccare una mano del suo padrone, che gli accarezzò di
rimando la criniera.
«Malachia, signore. Allora, il colloquio con il re?»
Gli era sembrato un po’ troppo rapido, ad esser sincero, ma forse era la sua
inesperienza che lo portava a credere in un tempo di discussione decisamente
più lungo.
Alzò un sopracciglio con fare interrogativo alla faccia che assunse il
principe, il viso che parve sbiancare per un istante prima che si passasse
frettolosamente sopra una mano.
«Ah, bene. Sei il mio servo.»
«…Tutto qui? Voglio dire…»
«Lo so, lo so. La tua vita è appena stata decisa con un rapido e conciso “Sì”.»
Il principe Elisio, pensava, sarebbe dovuto essere felice per la velocità con
cui la questione era stata trattata. Il suo segreto era riposto al sicuro e non
avevano corso il rischio di veder la loro proposta respinta. Talvolta capitava,
infondo, che il re non approvasse e che il servitore venisse allontanato.
Eppure nei suoi occhi azzurri Augustine scorgeva una luce triste, quasi
sprezzante. Non era difficile leggervi dentro rabbia e fastidio.
«Nobile, non è vero? È più arrabbiato per
la leggerezza con cui hanno trattato la tua esistenza che sollevato per il tuo
assicurato silenzio.»
La voce di Aegislash accarezzò solo le sue orecchie e il suo tono fu
stranamente … affettuoso. Si sorprese e gli venne da sorridere nell’avvertire
quanto in realtà il Pokémon volesse bene al rosso, nonostante i battibecchi a
cui aveva assistito una manciata di tempo prima.
«Io sono fiero di poterlo servire.»
Rispose allo spettro, ma anche ad Elisio. Fu come dirgli che non gli importava
di essere stato trattato come un insetto insignificante. Non era l’approvazione
del re ciò che gli interessava. Era il poter servire il principe in cui
riponeva tante speranze.
Lo sguardo color ghiaccio dell’uomo si abbassò nel proprio, e non si vergognò
di sorridergli con innocenza, sistemandosi rapidamente gli occhiali sul naso.
Fu incredibilmente piacevole e realizzante vedere quel sorriso ricambiato,
seppur in maniera molto più lieve, dal suo viso ancora giovane e imberbe.
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«Per oggi rimarrai nella tua dimora come hai sempre fatto e avrai il tempo di
preparare i bagagli. Domattina arriverà il mio Mienshao ad aiutarti nel
trasporto. Potrai ovviamente far ritorno nella tua casa, ma i tuoi alloggi
verranno trasferiti qui.» - Fece una piccola pausa, Elisio, massaggiandosi per
un istante la nuca prima di tornare a rivolgersi al ragazzo seduto davanti a
sé, che a stento nascondeva il proprio gongolare. - «Florges ti mostrerà le
stanze direttamente vicine alla mia, nei miei appartamenti, e ti sarà dato di
sceglierne una. La maggior parte sono vuote, non amo lo sfarzo, quindi non
badare a grandezza e scegli pure quella che preferisci.»
Al proprio fianco, una sinuosa Florges blu si inchinò appena, un melodioso
verso che lasciò le sue labbra chiuse. Aegislash, nascosto da qualche parte,
non provò nemmeno a dissimulare il fischio che gli si propagò nella testa. Quel
pokémon sapeva essere imbarazzante.
«Se già non lo hai sarai libero di sceglierti un Pokémon. A corte ne abbiamo un
discreto allevamento, dei tipi più disparati. Potrai prenderne anche più di
uno, anche se solitamente sarebbe meglio cominciare da un singolo.»
«Mi piacerebbe poterne avere uno bello come lei.» - Mormorò con candore il
moro, allungando con una delicatezza quasi sconvolgente la propria mano a
prenderne una del Pokémon Giardino, regalandole un piccolissimo bacio sul
dorso. Quella ridacchiò appena, evidentemente lusingata dalla purezza delle sue
parole, portandosi le dita libere alle labbra in perfetto stile aristocratico.
Dovette portarsi una mano davanti alla bocca per non scoppiare a ridere di
fronte all’espressione di Aegislash, ora palesato dietro al ragazzo: sconvolto
e indignato, lo fissava esterrefatto con il suo unico occhio spalancato.
«Brutto mascalzone, non sei mica scemo,
eh?»
Lo sentì parlare con il ragazzo, ma era quasi certo che potesse sentirlo
soltanto lui. Soffocò appena una risatina, prima di cercare di tornar serio e
di ignorare le altre lamentele dello spettro.
«Credo che questo sia tutto. Ah, un’altra cosa…» - Congedò con un inchino la
giovane Florges, con sommo disappunto della propria spada, che parve volerla
trattenere. - «Tuo padre è Malachia il consigliere?»
Per un attimo gli parve di notare un’ombra attraversargli il viso, ma fu
questione di un singolo istante. Lo vide annuire quasi immediatamente con
tranquillità, le mani strette placidamente in grembo.
«Sì, o perlomeno credo. In molti dicono che né io né i miei fratelli siamo suoi
figli, ma a me non importa. Lui mi ha cresciuto, e tanto basta.»
Annuì vagamente, apparentemente colpito dalle sue parole. A prima vista gli era
parso un sempliciotto infantile e fifone, ma si stava rivelando essere più
maturo e delicato di quanto in realtà pensasse. Quasi che fosse stato cresciuto
come un principe, in una corte.
«Capisco. Sono felice di saperlo, allora. Le nostre famiglie sono più vicine di
quanto potessimo immaginare.»
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Un rantolo, poi un altro, poi una richiesta di aiuto. Il suo compare era
decisamente più rumoroso di quanto si aspettasse!
«Vi prego, aiuto, ho dei bambini a casa…»
Lo avrebbero liberato presto. Non lo avevano incatenato, e già era un buon
inizio. Probabilmente lo avevano piazzato lì per qualche sprazzo di
strafottenza, giusto per fargli imparare a non giocare coi reali. Poi lo
avrebbero tirato fuori, lo avrebbero ripulito ed eccolo, pronto a fare la bella
statuina silenziosa e accondiscendente. La gerarchia reale gli dava la nausea
ogni giorno di più.
«Tu, prigioniero. Tu, mi senti, so che sei qui! Ti supplico, aiutami!»
Alzò appena il viso, pur senza aprire gli occhi, l’espressione chiaramente
interrogativa in mezzo l’oscurità. Oh, perfetto, ora si ricordava anche di lui?
Pregava che non incominciasse ad attaccar bottone, perché non era davvero dell’umore
per stare a sentire i suoi piagnistei.
«Tu sei il mostro, lo so, il re parla spesso di te ultimamente! Puoi aiutarmi
ad uscire di qui? Te ne prego?»
«Dunque è così che mi chiamano ora? Mostro?»
La propria voce suonò incredibilmente profonda perfino alle proprie orecchie.
Il prigioniero si ammutolì di colpo, da qualche parte nell’ombra, come se un
terrore gelido lo avesse attanagliato. O una sorpresa immensa, a seconda.
«…Sei davvero qui.» - Che genio, pensò il mostro, emettendo un lieve sospiro
atono. Pensava che la sua esistenza fosse una leggenda da quattro soldi? -
«Dicono che hai immensi poteri. Perché non fuggi, allora?»
«Perché nemmeno tu ti fai gli affari tuoi.»
Fu più cattivo di quel che voleva suonare, la voce che parve ringhiare
lievemente, a causa dei mesi trascorsi nel quasi completo silenzio. Una parte
di sé avvertì il prigioniero tremare, nelle tenebre, e un piccolo ghigno
crudele si fece strada sulla sua bocca. Da tanto tempo non provava quella
situazione.
«…Mio figlio Augustine mi aspetta assieme a mia moglie. E i bambini più piccoli…loro
cosa mangeranno, se sto rinchiuso qui?»
Aveva sentito bene? La sua attenzione si fece immediatamente più attenta, e gli
occhi si spalancarono nel buio, mettendo rapidamente a fuoco il pavimento senza
la minima difficoltà. Li avvertì scattare per scandagliare la stanza, le forme
che si plasmarono nella sua mente come se bagnate dal sole. Lontano, contro al
muro, un uomo raggomitolato come un verme si dondolava appena avanti e
indietro, ad occhi serrati.
«Augustine, dici? Che nome interessante, chi lo ha scelto?» - Forse le tendenze
del volgo erano cambiate. Forse non andavano più di moda nomi sfarzosi come
Elizabeth o Michel, forse adesso era proprio Augustine a dominare la piazza dei
marmocchi maschi.
«Mia moglie. Credo.»
Il tono del prigioniero gli parve distante, come se non volesse più sforzarsi
di chiedersi perché stava conversando con lui ma volesse semplicemente trarre
piacere dalla loro chiacchierata.
Nel buio, il mostro sorrise.
Ottima scelta.
{Post Scriptum:
Da molto tempo non mi dedicavo ad aggiornare questa storia e me ne rammarico.
Un capitolo in cui viene aggiunto qualche piccolo mistero, in cui forse si
inizia a delineare una vaga idea sui personaggi e il loro ruolo.
Spero che vi giunga gradito, altrimenti Aegislash finisce per arrabbiarsi!
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