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Autore: Gagiord    02/08/2016    1 recensioni
Aoko Nakamori, la prescelta. La ragazza, ormai diciassettenne, aspettava, seppure inconsciamente, l'arrivo di qualcosa. Qualcosa che le avrebbe cambiato la vita.
Ginzo Nakamori, il padre della giovane, sapeva tutto. Tuttavia, finché il potere in lei non si fosse svegliato, non poteva dirglielo. E, comunque, non ne avrebbe avuto l'occasione: stava giorno e notte fuori, ormai, alla caccia di Kaito Kid. Ebbene, il ladro era ancora costretto a rubare, determinato a trovare Pandora, quella gemma tanto importante per l'Organizzazione che si era promesso di distruggere. Eppure, non si era mai accorto che quel tanto ambito gioiello l'aveva sempre avuto sotto i propri occhi...
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Aoko Nakamori, Gin, Ginzo Nakamori, Kaito Kuroba/Kaito Kid
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Non sapeva perché, ma si ritrovavano insieme, di nuovo - e come sempre -, in quella strada. Nessuno dei due aveva fiatato, se non per un flebile "ciao" davanti alla porta di casa di lui. Lei aveva il capo chino a guardarsi i piedi, come fossero la cosa più interessante al mondo. 
Egli, al contrario, teneva il mento alto, mentre con la mano destra - appoggiata alla spalla - sorreggeva la sua cartella. Tuttavia, il suo solito sorriso, che faceva sempre impazzire le ragazze, che le ammaliava, che le faceva cadere ai suoi piedi era assente. I suoi occhi color mare, che tante persone avevano fatto annegare, naufragare in una piacevole isola di fascino erano spenti, privati della loro luce.
Proprio come due giorni prima, il prestigiatore aveva bevuto tutto d'un sorso l'aspro, ma allo stesso tempo dolce, succo allo yuzu; i toast farciti con marmellata alle ciliegie e burro li aveva scaraventati nello zaino senza alcun ritegno. Ma, del resto, non aveva nemmeno fame.
Poi, gli venne in mente la domanda che si poneva testardo dal giorno prima; decise, quindi, di formularla e di darle voce.
"Aoko?" sussurrò quasi. 
La sua testa saettò nella sua direzione, mentre deglutiva, nervosa. Fissò i suoi occhi in quelli del ragazzo a poco meno di un metro da lei, provocando al cuore del mago un balzo. 
Lui riuscì, comunque, a mantenere il suo viso imperturbabile, protetto da un fittizio ghigno. "Posso sapere cosa volevi dire a Keiko?"
La viaggiatrice sbarrò gli occhi, colta in contropiede. Certo, doveva aspettarselo: non avrebbe mai creduto alla scusa della camicia. Ma suo padre le aveva raccomandato, mentre i Guardiani le avevano proprio ordinato, di non parlare con nessuno delle inopinabili e surreali vicende che le avevano riempito le due giornate precedenti. Ma ora cosa poteva dirgli? Se avesse inventato un'altra scusa, si sarebbe insospettito ancora di più: perché raccontare la storia della camicia, e, tra l'altro, assecondarla? No, non era certamente la via migliore.
"La camicia di mio padre, ricordi? Ieri ne parlavo al telefono insieme a lei, e mi pareva di capire che c'eri anche tu..." Optò per la strada più semplice: perseverare.
Kaito assottigliò lo sguardo, insicuro. Cercò di vagare in quei suoi occhi che, lo sapeva, non erano capaci di mentire: non vi scorse, tuttavia, nulla.
Esalò un sospiro, rassegnato. Alzò il capo vero il cielo, osservandolo: proprio come il giorno prima, era grigio, scevro del colore che solitamente lo contraddistingue. Sembrava quasi che - ironia della sorte - l'etere si stesse incupendo, rispecchiando quelle giornate che non ne volevano sapere di prendere il verso giusto.
Rivolse nuovamente gli occhi a lei, scorgendola nel momento in cui scrutava ancora il suo viso perfetto, mancante d'imperfezioni.
Il volto della giovane si sfumò di rosso, mentre, impacciata, distoglieva lo sguardo, virandolo a terra, trovando - ancora una volta - una certa attrattiva nei suoi piedi.
Lui le rivolse un sorriso sincero; non era uno di quei ghigni che gli increspavano le labbra, nelle vesti del suo alter ego, solo per stizzire e per affascinare; né, tantomeno, era uno dei risi falsi che creava per murare e nascondere le sue emozioni. Era il sorriso di Kaito: non sembrava felice, ma era sincero.
"E che mi dici di Faccia da schia... Katashi Hirawata?" Il suo sorriso, che era appena accennato, scomparve del tutto alla pronuncia di quel nome. Ancora non riusciva a digerire quella questione, ma, in particolar modo, non riusciva a sopportare lui.
La viaggiatrice rialzò il capo, guardandolo con aria interrogativa: chi poteva essere? Però, quel nome non le sembrava del tutto sconosciuto. "N-non lo so?"
Il giovane strabuzzò gli occhi, per poi assottigliarli: quel ragazzo, dunque, come poteva affermare di sapere il suo nome e di avere rapporti "fuori dalla norma"? No, lo doveva conoscere necessariamente. "È il nuovo studente. Ha detto di conoscerti."
Spalancò gli occhi, proprio come aveva fatto l'amico qualche secondo fa. "Ti giuro che non lo conosco" ribatté, veritiera, lei. Ma allora perché quel cognome le risultava così poco estraneo? Cercò di vagare nei meandri della sua memoria, auspicando che anche solo un insignificante avvenimento potesse correlarsi a quel nome, a quel ragazzo.
Nonostante stesse dicendo la pura verità, lui si stava esasperando. Alzò un sopracciglio, e un ghigno sarcastico si stese sul suo volto teso. "Ah, sì?" fece, sardonico. "Perché sa il tuo nome? Perché avete 'rapporti fuori dalla norma'?" lo scimmiottò, spazientendosi. Stava provando... gelosia? No, non era gelosia. Era fastidio. Ma, d'altronde, chi non s'irriterebbe sentendo che la propria migliore amica ha rapporti misteriosi con un tizio che lo chiama coso? Non tutti, magari, ma lui certamente sì. 
Improvvisamente, il cervello di Aoko s'illuminò, accendendo una lampadina: aveva finalmente capito di chi si trattasse. Poi, però, contrasse le labbra in una smorfia stranita ed aggrottò la fronte: come poteva sapere il suo nome? Che gliel'avesse detto qualche suo compagno?
"Ah! Ora ricordo: è il figlio di un collega di mio padre" buttò lì; stava diventando piuttosto brava a mentire, anche se non sapeva se compiacersene o meno. "Forse avrà sentito il mio nome da qualche parte, chi lo sa?" Rise istericamente, ma fece di tutto per non darlo a vedere.
Intanto, stavano per raggiungere l'edificio del liceo Ekoda; mancavano solo pochi metri dal cancello, che si apriva su un gran cortile, già straripante di studenti.
"Io non li chiamerei fuori dalla norma, 'sti rapporti..." bofonchiò lui, indispettito. Non credeva ad una sola parola della sua amica d'infanzia. Ma, alla fine, non poteva replicare; sapeva che lei gli avrebbe chiesto la stessa sua domanda: "Cosa mi nascondi?"
La viaggiatrice reclinò nuovamente il capo, incapace di guardarlo negli occhi: non sarebbe riuscita a mentirgli, non più. Era una sua debolezza, sebbene potesse essere definita un pregio: non sapeva dire menzogne. Non era nel suo carattere, nel suo essere.
Avanzarono - ancora una volta - senza pronunciarsi. Il silenzio era assordante; non era capace di romperlo nemmeno il suono dei loro passi, né il brusio di voci - sempre più vicino e tonante - proveniente dalla corte della scuola.
Raggiunsero in poco meno di un minuto l'entrata: lì, la ragazza incontrò Keiko, separandosi dal ladro, che, subito dopo, si unì ad un gruppetto di studenti.
Quando Aoko riferì all'amica l'identità del loro nuovo compagno, lei boccheggiò, incredula.
"Scherzi?" sbraitò, attirando alcuni sguardi curiosi ed interdetti.
"Scherzerei mai su una cosa simile?"
La campanella suonò, interrompendo il chiacchierio delle due giovani, che, però, pettegolarono fino alla soglia di entrata della propria aula.
Là, uno sguardo profondo penetrò il fisico e l'anima della viaggiatrice: quello di Katashi.
 

Non poteva far altro che pensare a quelle occhiate profonde - quasi invadenti - che il suo 'compagno' le aveva scoccato in continuazione, caparbio. Si era sentita terribilmente a disagio: non si erano mai parlati, ma quelle occhiate sembravano volerle esprimere tutto il suo disprezzo, il suo scherno, ma, allo stesso tempo, il suo interesse e curiosità.
"Aoko?"
Camminava, costante, senza fermarsi, assorta nei propri pensieri. Chissà, si chiedeva, se anche Kaito si era accorto di quelle sbirciate furtive?
"Aoko... ?"
Scosse impercettibilmente la testa: doveva imporsi un certo autocontrollo, non poteva pensare sempre a quel mago stacanovista! Anche Keiko gliel'aveva raccomandato: non poteva distrarsi; almeno, non ora, quando, sulle spalle, aveva una responsabilità pesante quanto un macigno a tartassarla e a non darle un attimo di quiete.
"Aoko!"
Una scrollata di spalle la ridestò dai suoi pensieri: stava avanzando, senza aver controllo delle sue facoltà, non sapendo cosa avesse davanti, quando un'Ayame piuttosto interdetta le aveva afferrato le spalle e le aveva scosse per bene.
La viaggiatrice si girò, alzò lo sguardo, imbarazzata, sulla giovane donna dinanzi a lei. Le sue elucubrazioni erano state bruscamente interrotte - per fortuna, si disse lei - da quella ragazza, con solo qualche anno in più rispetto alla moretta, che, ora, la fissava attenta, ed una smorfia irritata a corrugarle le labbra e ad arricciarle il piccolo naso alla francese.
Abbozzò un sorriso timido, scusandosi con voce fievole.
"Dai, andiamo" la incoraggiò Ayame, dopo aver imitato la più piccola, sorridendole e dandole un buffetto sul braccio. "Kohaku deve prenderti le misure, ieri ti sei incantata a guardare i vestiti." Ridacchiò un po', riprendendo a camminare, seguita da Aoko.
Stavano procedendo in un lungo corridoio, simile a quello che portava alla Sala Magna: dopotutto, questo era un andito che si collegava a quello più ampio - come un immissario confluisce nel fiume principale. Era, tuttavia, molto più polveroso, come se ci si passasse solo di rado.
La mora si unì alle risa. "Be', come potevo non farlo?"
"Effettivamente..." Le lanciò un'occhiata effimera, in cui, però, la ragazza scorse una nota di malizia. "A cosa pensavi prima? A qualche ragazzo?" le ammiccò lei, facendola sogghignare leggermente.
"Mmh... Sì, più o meno." Al nascente sorriso che si stava spianando sul bel viso della sua nuova amica, si fermò di scatto, alzando le mani e agitandole, cromandosi di una leggera sfumatura vermiglia. "Non come lo pensi tu!"
Ma il riso malizioso che abitava la biondina non decise di abbandonarla, mentre riprendeva il passo. "E allora come?" chiese, ironica.
"Uhm... In un modo più strano." Alla vista della fronte aggrottata della ragazza, scelse di domandarle il quesito che l'aveva oppressa da quella mattina: "C-conosci Katashi Hirawata?"
Ayame fece una smorfia contrariata, quasi le avessero detto la cosa più brutta al mondo. "Sì. È l'altro prescelto, il tuo coetaneo. È il ragazzo più prepotente, arrogante e scocciante che abbia mai conosciuto." 
Poi, parve illuminarsi, strabuzzando gli occhi, e si voltò verso la più piccola, afferrandola per le spalle. Quella la fissò con un sopracciglio alzato, come se fosse pazza.
"Non mi dire che stavi pensando a lui! Ti piace?" Il suo tono era incredulo, forse anche troppo stridulo, per i gusti della viaggiatrice.
"Nemmeno morta!" Be', stava dicendo la verità: non le piaceva per niente, al contrario, le suscitava un certo disagio e stizza. "Però sì, stavo pensando a lui" ammise.
Ripresero ad avanzare, ma la bionda non faceva che indirizzarle occhiate di sbieco, così decise di spiegarsi meglio: "Si è trasferito ieri nella mia classe, e oggi mi guardava in continuazione". Sbuffò, irritata a quel solo pensiero. "È strano."
"È soltanto un idiota" la corresse l'amica, con una voce che tradiva tutto il suo biasimo per il ragazzo.
"Non lo conosco, quindi non so..."
"Fidati di me, è un imbecille patentato."
Alla sprezzante definizione della donna, Aoko scoppiò a ridere di gusto. Sarebbero diventate sicuramente buone amiche, quelle due; era indubbio.
Si avvicinarono ad una porta - che la mora riconobbe come quella della sartoria - e si bloccarono. Abbozzarono entrambe un sorriso.
"Tesoro, ti devo lasciare." Poi le ammiccò, facendole l'occhiolino e accentuando il suo riso. "Ci vediamo tra una mezz'oretta, ché devi" simulò due virgolette con le dita, scimmiottando Hiro, "'spropriare'."
L'altra sogghignò, divertita. "Certo. A dopo, Ayame." Alzò una mano, agitandola un po'.
La biondina si volse, facendo due passi, per poi girare il capo verso la viaggiatrice. "Ah, se vuoi una consulenza amorosa, io sono qui" ridacchiò, strizzandole nuovamente l'occhio.
Le gote della moretta si sfumarono di un lieve rosso, mentre lei annuiva, leggermente imbarazzata.
'Peccato' intervenne Johanne, facendo quasi trasalire la sua ospite. 'Mi sarebbe piaciuto continuare a sfotterti su Kaito.' Ridacchiò, facendo innervosire appena la ragazza, che, però, non la degnò di una risposta.
Si voltò anche lei, afferrando la maniglia della porta ed abbassandola, per poi entrare in quel meraviglioso Paradiso.

 

Le aveva preso le misure dei piedi, caviglie, cosce, fianchi, vita, seno e spalle. Insomma, chi più ne ha, più ne metta.
Kohaku era una donna - più grande di Aoko di circa dieci anni - piuttosto riservata e composta, ma era decisamente molto simpatica. Aveva fatto una marea di complimenti sul fisico e l'aspetto della sua indossatrice.
L'appellata, invece, era rimasta - come le volte precedenti - ammaliata dalle sue singolari e strabilianti iridi. Sebbene fosse abbastanza bassa, osservò la viaggiatrice, era davvero carina. E poi, si era soffermata per almeno dieci minuti a fissare e a volteggiare in quell'enorme salone, stracolmo di vestiti di tutti i generi: abiti occidentali del Rococò, kimono risalenti a secoli fa - che, però, dovette constatare tristemente la mora, non potevano essere indossati -, vestiti del Novecento, il centennio in cui il Giappone venne fortemente influenzato dalle mode del Sol Ponente. Era rimasta rapita da tutti quegli ammassi di pizzi, raso, seta, cotone e stoffe varie.
Successivamente, Ayame era venuta di nuovo ad accompagnarla, dirigendosi alla Sala Magna, dove avrebbe dovuto viaggiare con il meridian.
Suo padre era stato vago nella descrizione di quell'aggeggio: era, sì, un cubo, ma aveva un lato più bombato degli altri; era, inoltre, tempestato da gemme - Aoko ne aveva contate otto -, gremito di sportellini e rotelle. Lei aveva avuto tutte le possibilità di scrutarlo e fissarlo; tralasciando il commento poco simpatico di Iwao Kataki, il cuoco.
"Secondo me, questa ragazzina non dovrebbe nemmeno vederlo, il meridian" aveva brontolato, attirando uno sguardo truce da parte del vicecapo - così lo denominavano - e della giovane Sakura.
C'era da aspettarsi che la povera ragazza avesse chiesto il perché, al quale il signor Hirawata le aveva gentilmente risposto che c'era stata una "complicazione" con Yume e un altro meridian.
"Conosco già la storia." La sua voce era gelida - come ogni qualvolta si parlasse di sua madre.
Nel frattempo, Ayame aveva taciuto, estraendo la piccola macchina del tempo da un'altrettanto piccola cassaforte.
"Certo, raccontata da quel vigliacco di tuo padre. Bah! Tra qualche mese sparirà anche questo, tutto per colpa di questa qui" si era lamentato - ancora una volta - il cuoco, indicando, sprezzante, Aoko, la quale, intanto, aveva assunto una smorfia contrariata.
Come si permetteva di chiamare suo padre "vigliacco"?
"Ora basta, Iwao!" lo aveva ammonito Hiro, irritato. "È solo una ragazzina!"
La mora stava passando lo sguardo da un uomo all'altro, come se fosse una partita di tennis. Alla fine di quell'insopportabile discorso, lei aveva sbuffato, stizzita, mentre la bionda, vicino a lei, le aveva scoccato un'occhiata compassionevole, quasi volesse scusarsi per l'indisponente atteggiamento dei colleghi.
"Il meridian è pronto" aveva annunciato lei. "Quando vuoi, Aoko." Le rivolse un gentile sorriso, che riscaldò il cuore dell'amica: già l'adorava.
La piccola viaggiatrice aveva preso il suo zaino - le avevano detto che poteva studiare per passare ed occupare il tempo, il che le era sembrato piuttosto ironico -, la torcia, delle candele e dei fiammiferi - nel caso fosse dovuta arrivare ai tempi in cui l'elettricità non c'era ancora. Le avevano riferito che la Sala Magna veniva usata solo da una decina di anni, quindi non avrebbe trovato mai nessuno. Aveva porto il dito medio ad Ayame, che le aveva bucato la pelle con il piccolo ago dell'oggetto.
Ora, quindi, si ritrovava su uno scomodo divano, con davanti un tavolino di vetro - su cui aveva posizionato le candele accese -, con la torcia in funzione pendente dal suo collo, una penna in mano e il quaderno e il libro di inglese sulle gambe. Non poteva definirsi una posa confortevole, quella.
Certo, però, che non era totalmente capace di lamentarsi: stava studiando Oscar Wilde, uno degli scrittori - e uomini - che più ammirava. Le era stato assegnato di scegliere dieci suoi aforismi, commentarli - in inglese, naturalmente - ed impararli a memoria. Ne adorava uno in particolare, più di tutti:
"Anybody can sympathise with the sufferings of a friend, but it requires a very fine nature to sympathise with a friend's success."*
Era diventato una specie di motto, per lei. Cercava sempre di gioire per le vincite di un suo amico - in particolare, ci riusciva con Kaito e Keiko -, e con sua soddisfazione, spesso ne era capace; chissà, magari, come diceva Wilde, aveva un animo gentile anche lei. Secondo la sua opinione, quella frase rappresentava l'amicizia, quella vera. Quel sentimento tanto puro, che è addirittura difficile da descrivere, ma che fa sentire complice, empatico verso il proprio amico.
Anche se, ironizzò la giovane, in questo momento le sembrava molto più adatta alla sua situazione un'altra citazione:
"I can believe anything, provided that it is quite incredible."*
Arrivata a quel punto, poteva davvero credere di tutto; d'altronde, era la prima ad essere incredibile: essere l'ultima di una serie di viaggiatori nel tempo che portano con sé una sorta di energia; avere dentro alla propria testa una vocina che parla costantemente; dover rubare una gemma che, insieme ad altre undici, cela un ignoto segreto. No, se avesse raccontato la sua storia a qualcuno, probabilmente sarebbe scoppiato a riderle in faccia.
Esalò un sospiro rassegnato.
'Guarda il lato positivo: sei unica!' provò a consolarla Johanne, con tono estremamente dolce.
Lei sorrise lievemente, sebbene parve rattristarsi. "Forse è proprio questo il problema."
'Ma che vai dicendo?' La sua voce era mutata: adesso sembrava più un rimprovero materno. 'Vorresti essere come tutti gli altri?'
Sospirò di nuovo, finendo di scrivere il commento per l'ultimo aforisma di Wilde. "Non dico questo" obiettò, mentre chiudeva il libro e il quaderno, rimettendo il tappo alla penna. "Vorrei essere più normale."
'Non esiste la normalità.'
"Ah, no?" Sogghignò, sarcastica. "Quindi non esiste nemmeno l'anormalità, eh?"
Controllò l'orologio del cellulare: stava lì da due ore e mezza, ma mancava ancora un'ora al suo ritorno; dato il suo potere così intenso, i Guardiani avevano pensato bene di farla spropriare per almeno tre ore, così da non farla saltare incontrollatamente.
'No' rispose, categorica, la ladra, con tono severo.
Sbuffò dal naso, risentita. Si alzò dal divano con flemma, come fosse la cosa più faticosa del mondo; così, cominciò a sistemare i libri di letteratura inglese, giapponese e filosofia nella propria cartella.
"Allora, dimmi, cosa sarei io?"
'Una ragazza abbastanza irascibile che può viaggiare nel tempo' la ovviò lei.
Sbuffò di nuovo, alzando gli occhi al cielo. "Ma va?" replicò l'altra, esasperata, mettendo il volume di Freud nella borsa scolastica. "Quindi non posso definirmi normale!"
'Secondo quale principio esiste la normalità? Nessuno!' Stava alzando così tanto la voce, che Aoko si sentiva pulsare le meningi.
"Senti, Johanne, è vero che ho appena studiato filosofia, ma tu non sei né Kant né Adler!"
Si stava infastidendo di secondo in secondo: doveva restare ancora lì per un'altra ora, in una stanza - probabilmente - gremita di topi, con dei fili di luce e su un divano blu che stava cadendo a pezzi; come se non bastasse, la cara vocina che albergava la sua mente aveva deciso di darle preziose lezioni di vita.
'Ho vissuto venti volte più di te, permetti che io abbia più esperienza?' Non le diede il tempo di ribattere, ma proseguì: 'La normalità non è oggettiva, non esiste' ripeté. 'Per me potrebbe essere normale buttarsi dal nono piano, ma per Caio no.'
"Ci credo" borbottò, stizzita, la giovane. Tuttavia, la lasciò continuare, abbandonando la propria mole sul divano.
'Capisci, bambina mia? La normalità è solo una vana illusione, una nostra invenzione per convincerci che siamo come gli altri. È tutto relativo, facciamo tutti parte di un grande enigma che non verrà mai risolto. Non dimenticarlo mai, Aoko.'
Aoko s'era incupita d'un tratto: aveva preso seriamente le parole della donna. Aveva ragione, si disse.
Chi sono io per definirmi normale?
Chi sono gli altri per dirmi che non lo sono?
Si poneva queste due domande da ormai un paio di giorni, senza, tuttavia, aver il coraggio di articolarle. Cosa le avrebbero dovuto rispondere, dopotutto?
Ora, però, Johanne lo aveva fatto. Quella voce che non aveva fatto altro che assillarla ed innervosirla negli ultimi due giorni era arrivata a farle un discorso così importante, saggio, che ne era rimasta sensibilmente sconcertata.
"Aspetta, fammi capire... Le hai inventate tutte tu queste frasi?" domandò, incrociando le gambe - seppur indugiando - sulla polverosa imbottitura.
'Nemmeno una' declamò, fiera.
Alla mora quasi cadde la mascella. "Eh?"
'Sai com'è, quando tre delle tue ospiti sono amanti della filosofia, non puoi che imparare a memoria tutte le frasi dei libri.'
Ecco, le sembrava troppo strano: insomma, Johanne che si mette a dare lezioni di etica? Avrebbe riso per l'eternità.
'Però le penso davvero! Non te le direi, se no.'
Aoko tirò un sospiro di sollievo. Certo, magari non era la persona più seria a cui poteva rivolgersi, ma le voleva già bene. Ripensò, poi, a ciò che aveva detto prima: chi erano le altre due ospiti, oltre a lei?
"C'era anche mia madre tra queste tre ospiti?"
Se l'avesse saputo, avrebbe scoperto qualcosa in più su sua madre. Quante cose conosceva di lei? Era bionda, con gli occhi verdi, e - a detta di suo padre - era audace e decisa.
'E me lo chiedi? Tua madre ha letto i libri di tutti i filosofi del Novecento! Ha riletto almeno tre volte Umano, troppo umano di Nietzsche.'
"Davvero?" domandò, contenta. Le brillavano gli occhi: era lieta di poter venire a conoscenza di qualcosa in più su Yume. Inoltre, si sentiva ancora più allegra di apprendere che aveva una cosa in comune con lei.
'Davvero, piccola.' La viaggiatrice immaginò la ladra con un grande sorriso dipinto in faccia.
Non riusciva a capire bene perché, ma Aoko si sentiva finalmente felice.
 

Ritornò alle 19:30, e stava letteralmente morendo di fame.
Vide, attorno a sé, diverse figure: Ayame, il vicecapo della loggia, Takashi Sugimoto, il cuoco - con la sua solita espressione imbronciata -, suo padre, ma soprattutto... Katashi Hirawata. Probabilmente, avrebbe avuto un sacco di incubi sulle sue occhiate penetranti.
Suo padre si avvicinò a lei, prendendole il viso tra le mani, e posò un baciò sulla sua fronte.
"Com'è andata?" le chiese, con un tono di voce un leggermente insicuro.
Un sorriso increspò le sue labbra, raggiante. "Bene."
Lui si allontanò un po', mandando occhiate infuocate al signor Hirawata. "T-tesoro..."
Lei lo guardò con un'espressione interrogativa, quasi stesse dicendo follie.
"Domani avrai il tuo primo furto" concluse, per lui, Hiro, rivolgendole un sorriso benevolo.
Lei prese a tremare insabilmente. Come domani? Non poteva farcela! Non era pronta, non sapeva fare nulla!
'Aoko, ti prego, calmati' cercò di sedarla la vera ladra. 'Ti aiuterò io.'
Lei parve quietarsi davvero, benché continuasse a tremare. "I-io... non ce la faccio..."
Takashi e la Sakura le mandavano occhiate piene di comprensione, suo padre di paura; l'espressione del vice, invece, era indecifrabile; il signor Kataki continuava a mugugnare qualcosa d'incomprensibile; Katashi, viceversa, alla dichiarazione della compagna, scoppiò a ridere, beffardo, guadagnando da tutti - compresa Aoko - sguardi sinistri, ma non se ne curò minimamente.
"Dovrai andare da Kohaku" intervenne, con voce dolce, colui che la viaggiatrice aveva identificato come "coetaneo di suo padre". "Là ci sono tre cambi del tuo costume." Le sorrise, bonario.
Provò anch'ella ad abbozzare un sorriso, ma l'ansia l'attanagliava come una patella ad uno scoglio, rifiutando di lasciarla andare.
"C-certo... Mmh... C'è anche un ladro maschio?" I suoi occhi cristallini guizzarono sull'altro viaggiatore.
"Sì" rispose, orgoglioso. "Mugen."
Lei si torturò le mani dietro la schiena, conficcando le unghie nella carne dei palmi. "Oh. Anche voi avete... uhm... una seconda personalità?"
"No." Stavolta, a parlare fu il cuoco, con tono fermo. "Solo la linea femminile la possiede." Sorrise, derisorio, come se le donne fossero esseri inferiori.
Ad Aoko, invece, luccicarono gli occhi per la speranza. "C'è un altro viaggiatore?" Ma, alla vista di tutte quelle persone che la stavano fissando quasi fosse folle, aggiunse, a bassa voce: "A parte lui".
Il volto di Hiro s'imbrunò all'improvviso.
"No, tesoro" le confessò Ayame, con un sorriso triste. "È venuto a mancare venti anni fa."
La moretta portò le due mani alla bocca, spalancando gli occhi, e sussurrò un "Mi dispiace".
Calò un imbarazzante silenzio, che si mantenne per circa un minuto, quando Ginzo comunicò agli altri che dovevano andare e che sarebbero passati dall'atelier per ritirare i costumi; la mora si meravigliò talmente tanto, che quasi si strozzò con la sua stessa saliva: una tuta in ecopelle verde petrolio, piuttosto aderente, le sarebbe andata a fasciare in modo perfetto tutte le forme; una maschera - tipica di quelle da Carnevale - nera, con piume svolazzanti dello stesso colore, le avrebbe coperto la metà superiore del viso.
Certo, anche l'ispettore era riluttante a far vestire - se così si può definire - la propria bambina in quel modo, ma non poteva obiettare.
'Kaito sarebbe contento di vederti così' aveva, invece, commentato Johanne, ironica, facendo divenire Aoko paonazza.
Be', questo era indubbio; in ogni caso, molto presto avrebbe avuto modo di vederla, così come tutti gli abitanti di Tokyo, e perché no, dell'intero Giappone.

 

*"Tutti possono accettare le sofferenze di un amico, ma bisogna avere un carattere molto buono per accettare i suoi successi."
*"Posso credere a qualunque cosa, basta che sia abbastanza incredibile."



Saalve! Qua c'è un altro capitolo!
Cominciamo con i due piccioncini che camminano ed un Kaito sospettoso. E chi ci deve essere, poi? Quell'idiota bravo ragazzo di Katashi!
E Ayame, quel bocconcino tenerino ** Non si è capito che l'adoro, eh? Cioè, è dolcissima! Ora finalmente sapete dov'è andata a finire Aoko nel suo viaggio alla loggia ;) Vi è piaciuta la mia lezione di filosofia? ...Okay, finisco di fare la stupida. Ah, vi informo che "Mugen" si legge "Mughen". E infine... IL VESTITO! Per Kaito sarebbe un bello spettacolo, eh? x"D
E niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Ringrazio sempre Shinichi e Ran amore che recensisce e mi ha messo negli autori preferiti; dico mille grazie ad _Ayaka_ che ha messo la storia tra le seguite, e ringrazio anche i lettori silenziosi! xD
Al prossimo chap! :D

Baci
Shizuha

 

  
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