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Autore: Sarah M Gloomy    03/08/2016    0 recensioni
Secondo libro della serie The Exorcist.
Amabel è stata costretta ad accettare di non essere una normale sedicenne, bensì la reincarnazione dell’esorcista della menzogna, morta sul rogo nel 1400. Ha accettato anche il suo compito, quello di esorcizzare gli spiriti con l’aiuto di Lie. Solo che neppure così la sua vita è normale. Quello che ha fatto nell'ultimo periodo continua a ripresentarsi e Ridley, il ragazzo da lei salvato, sembra convinto di conoscere la sua seconda natura. Ma qualcos'altro sta succedendo, come se Bel non fosse stata l’unica persona riportata dal passato.
Genere: Commedia, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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          Sono ancora lì, immobile, gli occhi sbarrati a fissarlo. È appoggiato al cancello della scuola, di conseguenza sono costretta a buttarmi tra le fauci della tigre. Avevo conosciuto Ridley durante il suo periodo da fantasma. A seguito di uno scontro con un suo collega, si era svegliato senza memoria e come spirito. Si era riappropriato del suo corpo dopo che, per sbaglio, avevo ucciso l’uomo. Ero in parte responsabile, seppur avessi usato il primo esorcismo solo per difendermi e non fossi del tutto responsabile della sua scivolata. Ho il sospetto che in un tribunale non sarebbe, però, considerata un attenuante. Tenendo conto il precedente con Carlos.
Ridley non ricordava nulla, se non che la prima persona che aveva visto al risveglio ero io. E non molto lontano dalla sua stanza, un suo collega era caduto dal terrazzo. I calcoli sono piuttosto facili.
Da quando aveva ripreso servizio, mi stava dietro, sospettando un mio coinvolgimento in non so cosa. Ero quasi certa che la morte dell’uomo fosse stata dichiarata un suicidio. I colleghi sapevano solo che stava indagando su un caso di omicidio in cui era morto un bambino, di cui tra l’altro Lie sta usando il corpo, e che prima di morire aveva fatto il nome di quella sospettata. Tutte le prove che avevano era che una ragazza, di nome Dalila, aveva attaccato un uomo che poi si era rivelato essere un assassino. Fortunatamente si era evitato un confronto, perché ero certa che l’uomo mi avesse visto. Lo avevo legato con catene, usate nel primo esorcismo, le uniche visibili dai vivi, che potevano sigillare anche gli esseri umani, dopo aver violato la sua abitazione. Se mi fossi trovata davanti a quel assassino, sono certa che avrebbe indicato me e puntavo sul fatto che nessuno avrebbe mai creduto che una sedicenne, dalla fedina penale immacolata, facesse uscire dal nulla le catene. Chi mai lo crederebbe? Tanto più che nel frigo del suddetto uomo, si trovava un cadavere a pezzi.
Prendo coraggio e mi avvicino. Tremo appena quando mi fermo davanti a lui. È identico a quando mi girava per casa, borbottando sulla mia scarsa collaborazione nella ricerca del suo assalitore. Non che sia cambiato molto, visto che continua a girarmi intorno convinto nella mia malafede. «Salve, detective Scott.»
   «Avrei delle domande da farle.»
Tralascio il fatto che sono minorenne e che, di certo, dovrebbe esserci un adulto o un legale a salvaguardarmi. Ridley sembra leggermi nel pensiero. «Non si preoccupi. È solo una normale conversazione. Nulla di quello che mi dirà potrà essere usato contro di lei.»
   «Per fortuna. Ho come l’impressione di essermi dimenticata il latte nel fuoco e di aver per sbaglio appiccato un incendio.» Troppo tardi mi rendo conto del pessimo utilizzo della parola. Abbozzo un sorriso, mentre Ridley prende dalla tasca della giacca un taccuino. Certo: nulla di quello che dirò sarà usato contro di me. Di risposta, però, ti porti bene avanti con gli appunti!
   «Dove era lunedì sera?»
   «A casa.»
   «Ne è certa?»
Annuisco sicura. Sono certa di essere stata a casa per il fatto che quel pomeriggio avevo esorcizzato due fantasmi di secondo livello ed ero così stanca che alle nove ero già bella che sotto le coperte e partita per un’interessante incontro con la fase REM.
   «Qualcuno può confermarlo?»
   «Mia madre e mio fratello. Perché me lo chiede?»
Ridley prende appunti, minaccioso, e per la prima volta mi sento completamente innocente. E sincera. Un bel passo avanti per me, visto che ho Lie come vizio e a lui non si farà certo un monumento per le buone azioni. Sospira, infilando il taccuino in tasca. «Lunedì sera è stata vista una persona aggirarsi per il quartiere di George Street. Sembra abbia attaccato qualcuno, anche se non sono state trovate le vittime. Un testimone affidabile ha detto di aver visto delle catene uscire dalle mani dell’aggressore. Ne sa qualcosa?»
In giro per la città quante persone con le catene ci possono essere? La mia espressione sembra lo specchio della preoccupazione. «Vuole ritrattare sulle sue dichiarazioni?»
Scuoto la testa. «No. Io lunedì ero a casa. Può chiederlo alla mia famiglia!»
   «Le dichiarazioni dei familiari non sono molto affidabili.»
   «Era con me.» Julia cammina con passo tronfio e indisponente, fermandosi davanti al detective. Anche in quel momento, con un detective davanti, Julia esprime la sua rabbia con un tono di voce sicuro e deciso. Si infila le mani nelle tasche del giubbino, con fare combattivo. «Ha chiesto a Amabel di lunedì sera, giusto? Ho mangiato a casa sua e ci siamo messe a guardare la televisione.»
Non era vero. E non fa parte di Julia mentire così sfacciatamente. Incrociamo lo sguardo e capisco che devo stare zitta. Julia fissa di nuovo il detective, che la guarda sospettoso. «Qualcuno può confermarlo?»
   «Può chiedere ai familiari di Amabel. Confermeranno che siamo rimaste insieme per tutta la serata.»
   «A che ora è tornata a casa?»
   «Non sono tornata a casa. Ho dormito da lei. Può chiederlo anche ai miei, se non si fida della famiglia Wright: non sono rientrata a casa quella notte.»
Ridley mi fissa e, lo so, non si fida di me. Julia non l’ha mai conosciuta, né da vivo né da fantasma, quindi su di lei non può aver di certo delle brutte sensazioni. Continua a guardarmi con i suoi occhi verde, l’ombra dorata sotto al mento. «Quindi lunedì sera eravate insieme? Perché non l’ha detto?»
   «Non si fida della mia famiglia. Che cosa mi faceva credere che fosse affidabile la testimonianza di una mia amica minorenne?» Come sempre, mentire mi riesce sempre piuttosto bene. «Posso sapere di cosa sono accusata, adesso? Di un aggressione? Di nuovo?»
Ridley sposta la sua attenzione da me a Julia. «Ha mai sentito il nome di Dalila?»
Julia, e vicino a lei lo sento, si irrigidisce. Non è brava a mentire e non le piace. È sincera, è leale e di certo il mentire sfacciatamente per me la mette a disagio. Il suo gesto mi mette in allarme. Il nome di Dalila le dovrebbe essere sconosciuto, la reazione è inaspettata. «No. Chi è?»
Questa volta il detective sembra aver abbandonato il campo, annuendo. Si infila le mani in tasca, alzando un sopracciglio nella mia direzione. «Molto bene. Credo di aver concluso con le domande. Credo sarò costretto a chiedere conferma alle vostre famiglie.»
   «Faccia pure.» Il mio tono di voce è calmo, ma dentro di me penso che devo dire a mamma che Julia lunedì era con me. Dovevo convincerla di quello. Posso dirle che l’ho fatta entrare dalla finestra. Mentre lo penso, sono certa che la convincerò che ha dormito nella mia stanza.
Julia fa un piccolo cenno del capo e Ridley decide di crederci. Certo, mi lancia prima uno sguardo carico di sospetto, ma sono fiduciosa che un giorno crederà che non sono così malvagia.
Sospiro, lasciando defluire la tensione. Ridley, ormai, è fuori portata d’orecchio. Che sia fantasma o vivo, quel ragazzo ti sta attaccato alla scarpa come una cicca. «Julia, grazie.»
   «Non mi ringraziare. Di certo non l’ho fatto per te.»
Sbuffo. «Sono sempre felice di parlarti. È da un mese che non mi rivolgi la parola e poi te ne esci senza motivo, con tutto l’intento di aiutarmi. Sappiamo entrambe che lunedì sera non eri con me.»
Julia mi si avvicina al viso, così tanto da sentire il sordo ringhiare prima del bisbiglio. «L’ho fatto per quello che c’è stato, non per quello che sei. Ricordati: non mi fido di te.»
Julia se ne va, altezzosa, lasciandomi guardare la sua camminata, dubbiosa su cosa avevo fatto. Tutto quel casino perché le avevo dato buca al concerto degli Amantine? Neppure fossero chissà quali cantanti!
   
 
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