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Autore: mamma Kellina    25/04/2009    6 recensioni
Dedicato a chi ama le storie un po' retrò, è un romanzo d'amore ambientato tra la Napoli e l'Inghilterra di fine ottocento. Chi vorrà leggerlo, farà un tuffo in un passato che ho cercato di ricostruire con accuratezza, ma nelle tormentate vicende di lord Christopher Riddell e della giovane Maria de Oliveira, benché condizionate dalla mentalità e dalle consuetudini dell'epoca, troverà sviscerati temi sempre attuali quali la difficoltà di esprimere i propri sentimenti o, più semplicemente, la paura d'amare. Non mancheranno i colpi di scena ed i momenti di intensa commozione in un racconto che spero potrà avvincere ed interessare i lettori.
Poiché sono una esordiente su questo sito, aspetterò con ansia e gratitudine i vostri pareri.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Per la prima volta dopo quasi due mesi, Maria si sentiva più serena forse perché nella limpida mattinata di marzo si avvertiva già odore di primavera o più facilmente perché doveva trascorrere tutto il sabato in negozio. Anche se la Riviera di Chiaia era piuttosto lontana, invece di spendere soldi per il tram, decise di fare una passeggiata  a piedi fino al lavoro un po’ perché era ancora presto e un po’ perché voleva prolungare il più a lungo possibile la piacevole  sensazione.

Quando se n’era andata in fretta e furia da quella che non aveva mai smesso di considerare la sua casa portando con sé  solo l’indispensabile, non aveva avuto troppe possibilità di scegliersi un’occupazione adeguata. Era stato solo grazie alla loro ex cuoca, ancora molto affezionata a lei, che era riuscita a trovare un impiego come ricamatrice.

Con il denaro regalatole da George Festing aveva affittato una modesta stanzetta nei vicoli intorno a Porta Medina ed aveva cominciato una nuova vita, fiduciosa di potercela fare.

Ma sin nei primi tempi di un inverno che era cominciato in maniera così mite ma che presto si era trasformato in freddo e piovoso, aveva dovuto affrontare le enormi difficoltà della sua nuova condizione. 

Non era stato facile.

Era sempre stata brava a ricamare e le era sempre piaciuto, ma una cosa era il farlo per diletto in compagnia della mamma durante le tranquille serate mentre il padre leggeva un libro ed i fratellini giocavano accanto a loro ed un’altra era  farlo per mestiere, tutto il santo giorno, in un retrobottega umido e buio sotto lo sguardo esigente della padrona, fino a quando gli occhi  lacrimavano e  la schiena era a pezzi. I primi tempi soprattutto si era ritirata la sera così distrutta da non avere neanche la forza di prepararsi un pasto caldo. Solamente la sua ostinazione le aveva dato la forza di tirare avanti.

Neanche con le tre compagne aveva legato. Loro tre, povere figlie del popolo, anche se avevano pressappoco la sua stessa età, erano troppo dissimili da lei perché potessero davvero affiatarsi. Non lo faceva apposta, ma a volte nemmeno le capiva tanto parlavano in dialetto stretto ed un po’ la disgustavano quando mordevano con voracità gli enormi pezzi di pane imbottito che si portavano per colazione o ridevano sguaiate a qualche lazzo volgare.  Anche a loro quella giovane così bella, fine e riservata non stava simpatica e così avevano cominciato a prenderla in giro chiamandola “madama” ed a metterla in cattiva luce con donna Rosa, la padrona, senza neanche immaginare che le sue vicende così tristi avrebbero di sicuro colmato di compassione i loro semplici cuori se soltanto le avessero conosciute.

Per fortuna don Ciro, il marito della padrona che si occupava del negozio antistante il laboratorio, aveva notato quanto lei fosse adatta alla clientela raffinata che frequentava la bottega ed era riuscito a farsela  dare in aiuto dalla moglie, prima solo per poche ore, poi sempre più spesso.

Fare la commessa era un lavoro altrettanto massacrante, ma almeno poteva  stare a contatto con una clientela di persone raffinate che apprezzavano molto i suoi consigli ed i suoi modi eleganti. Il padrone sembrava molto contento e le aveva promesso anche di aumentarle la paga, cosa che le faceva un enorme piacere perché voleva conservare qualche soldo per andare a trovare Robertino a Firenze.

Smessi gli abiti costosi, ora si vestiva dimessamente. Aveva  rinunciato persino a portare un modesto cappellino quando le altre ricamatrici avevano cominciato a deriderla per tale mania da “madama”, ma non per questo era meno bella del solito.

Gli stenti e la stanchezza le avevano fatto perdere un po’ di peso ma gli occhi neri e lucenti erano sempre belli così come i lunghi capelli che si ostinava a spazzolare ogni sera ed a tener puliti per paura di prendersi i pidocchi. Nemmeno l’abito semplice e dignitoso riusciva a nascondere la grazia del suo corpo e gli sguardi maschili continuavano a posarsi su di lei carichi di ammirazione.

Pure don Ciro la guardava così però Maria preferiva leggergli nello sguardo solo una paterno apprezzamento. Ad ogni buon conto cercava di mantenersi sempre ad una certa distanza e di non restare mai da sola con lui. Nell’entrare nel negozio quella mattina, si rese conto però che stando lì tutta la giornata le sarebbe stato più difficile farlo ma non se ne preoccupò troppo, anche perché ben presto la bottega si riempì di clienti.

Erano quasi le dodici quando lo vide entrare e non poté impedirsi di provare un tuffo al cuore.

Ruggiero portava  un braccio al collo, forse perché doveva essere stato ferito in Africa ed appariva molto dimagrito e sofferente. Nonostante ciò il suo aspetto era sempre assai gradevole. Di sottecchi Maria ne osservò il bel viso abbronzato sul quale spiccavano gli occhi grigi ed i sottili baffi neri.

Si voltò ad aggiustare della biancheria sullo scaffale sperando che né lui né Elvira che lo accompagnava e che in quel momento stava chiedendo qualcosa al padrone, l’avessero notata.

Don Ciro però la chiamò chiedendole di occuparsi della cliente e così, ancora più in imbarazzo per il rossore dal quale sentiva invadersi il viso, fu costretta a voltarsi ed a salutare con un educato cenno della testa i due che sembrarono piuttosto stupiti di vederla.

- Come stai? – le chiese con freddezza l’amica di un tempo, visibilmente contrariata e gettando uno sguardo al fidanzato che era arrossito lui pure.

- Bene. Volevate vedere qualcosa in particolare? – chiese cercando di non scomporsi.

- Sì. Sai, a giugno ci sposiamo e mi servono le ultime cose per il corredo. Mostrami un po’ di  tovaglie da tavola.

Maria gliele mostrò. La giovane cominciò a parlarne con Ruggiero che però le rispondeva a monosillabi, gli occhi bassi.

- Non mi piacciono questi ricami! – sbottò ad un certo punto Elvira che cominciava a mostrare il nervosismo – Avrei voluto qualcosa di colorato, non questi ricami bianchi.

- Ma ce ne sono! – intervenne il padrone.

- Non qui – rispose secca Maria per cercare di liberarsi.

- Venga un momento con me, signorina, adesso chiamo mia moglie e  spiega a lei come  vuole le tovaglie. Tempo una settimana e gliele facciamo trovare.

- Non oggi, oggi non ho tempo – disse la ragazza per andar via in fretta.

Ma l’altro non intendeva desistere.

- Rosa, Rosa! – chiamò e quando la moglie comparve sotto la tenda che divideva il negozio dal laboratorio, la invitò ad avvicinarsi alla cliente per sentire cosa voleva.

Suo malgrado Elvira fu costretta a parlarle, lasciando così Ruggiero da solo davanti al bancone sul quale Maria stava ripiegando le tovaglie per riporle.

- Maria, perdonami! – le disse subito l’uomo a voce bassa cercando di non farsi udire dalla fidanzata che lo sorvegliava con la coda dell’occhio.

- Non ho niente da perdonarti – gli rispose fredda.

- Sì, invece, ma non è stata colpa mia. Io non ho mai smesso di amarti, nemmeno un minuto.

- Ed è per questo che a giugno sposi Elvira? – gli disse stizzita guardandolo dritto negli occhi.

- Sono stati i miei a combinare il matrimonio, io ho lottato, ma alla fine ho dovuto cedere.

- A quanto pare hai ceduto in fretta, non come hai fatto con me che ho dovuto aspettare quasi quattro anni di fidanzamento perché dovevi fare carriera e non potevi sposarmi subito! In realtà è stato un bene, pensa che guaio se fossimo stati già sposati: ti saresti trovato come moglie la figlia di un uomo infamato e suicida!

- Lo sai che non è questo – mormorò lui arrossendo a tanta ironica veemenza.

- No? Allora cos’è,  il fatto che non ho più un soldo forse?

- Maria, ti prego …

- Basta, Ruggiero, non essere ridicolo! Tieniti la tua Elvira e non pensare più a me!

Involontariamente aveva alzato un poco la voce e la fidanzata si era voltata. Congedati in fretta i due negozianti, prese per un braccio l’uomo e dopo aver gettato uno sguardo freddo all’ex amica, senza neanche salutarla, lo trascinò via.

- Che è successo? – chiese donna Rosa.

- Niente, signora, sono persone che conoscevo – si giustificò la ragazza.

- E vedi di non far andare via i clienti, stupida! – la redarguì l’altra che non la poteva soffrire.

La giovane non rispose nulla e se ne andò nell’angolo più nascosto del magazzino dove finse di star mettendo a posto delle trine ma dove in realtà si era nascosta per non mostrare le lacrime che le erano salite agli occhi.

Appena la moglie fu andata via, don Ciro si mise a gironzolare per il negozio vuoto e ad un certo punto la raggiunse, venendole alle spalle e facendola sussultare.

- Piccerè – la chiamò – che tieni?

- Niente, niente.

- Non è vero, tu stai piangendo! È per quel bel tomo di prima che piangi?

L’aveva afferrata per una spalla e cercava di farla girare ma la ragazza si scostava infastidita.

L’uomo cominciò ad insistere:

- Dai, non fare così, una bella ragazza come te può avere tutti gli uomini che vuole. Però non devi sceglierti questi damerini, devi prenderti un vero uomo, uno che possa tenerti come una principessa, uno come me!

Oramai aveva perso il controllo e l’aveva afferrata con violenza costringendola a girarsi.

- Cosa fate? Siete impazzito? Come vi permettete? – protestava la ragazza cercando di liberarsi da quella stretta di acciaio.

- Sì, sì, sono pazzo di te! Dammi un bacetto su, dammi un bacetto e non ti farò pentire.

Senza sprecare  fiato, Maria lo respingeva con tutte le forze ma ciò non sarebbe bastato a fermarlo se in quel momento non fosse sbucata da dietro la tenda la moglie che con un urlo di belva si lanciò verso di loro. Ma invece di scagliarsi sul marito traditore, afferrò la giovane e cominciò a percuoterla.

- Brutta puttanella, schifosa, gatta morta! – le urlava tirandole i capelli – Con tutte le tue smorfie ti vuoi prendere il  marito mio, non è  vero? Che ti credi che non l’avevo capito che era per questo che ti sei fatta mettere nel negozio? Ma io ti faccio nera, malafemmina!

Alle grida sguaiate erano accorse tutte le ragazze dal retrobottega che erano rimaste a guardare chi stupita, chi soddisfatta, chi divertita.  Mentre don Ciro restava impietrito senza sapere cosa fare, Vincenzino Tagliaferri, un giovane assunto da poco come fattorino, si gettò sulla donna sottraendole la giovane che cercava solo di difendersi dalle percosse.

- Basta, donna Rosa, smettetela! Ma che la volete mandare all’ospedale questa povera figlia? – strillò lui pure.

- Sì, sì le voglio rompere le gambe a questa svergognata – continuò la padrona incurante che quella scenata orribile avesse attirato parecchi curiosi che sbirciavano dalla vetrina.

- Prendetevela con vostro marito, invece, e vergognatevi tutt’e due!

 - Fuori, fuori, vattenn e’ puortete pure chesta zoccola.

- Certamente, e chi ci rimane qui! Mettitev’ scuorno!

Il giovane trascinò in strada Maria che era quasi in uno stato confusionale. Con gentilezza la condusse un po’ lontano dalla  bottega davanti alla quale si era radunata una piccola folla. Senza che lei avesse la forza di reagire, la fece sedere ad un tavolino di un caffè e le ordinò una camomilla calda che la giovane accettò con gratitudine perché si sentiva tremare tutta un po’ per i nervi scossi, un po’ per il freddo.

- È stato lui, io non ho fatto nulla, credetemi – si giustificò.

- Lo so signorina, lo so bene. Quel porco vi ha messo gli occhi addosso da quando vi ha vista. Voi siete una giovane seria, non c’è bisogno che me lo diciate.

La ragazza lo guardò fisso assumendo un’espressione molto perplessa perché non si fidava più di nessuno, soprattutto degli uomini.

- Perché avete preso le mie difese? In questo modo avete perduto anche voi il lavoro – gli chiese scrutandolo per capire quali fossero le sue intenzioni.

- Non vi preoccupate, io un lavoro lo trovo assai facilmente. Piuttosto dopo ritorno da quei due e mi faccio dare quello che ci spetta. Abbiamo lavorato tutta la settimana e devono darci la paga.

- Io non voglio tornarci mai più – sussurrò Maria, ancora sconvolta per la scenata e le percosse subite.

- Non vi preoccupate, ci penserò io. Voi andatevene a casa e più tardi passerò a portarvi i soldi.

Ancora una volta la ragazza si mise sul chi va là.

- Come fate a sapere dove abito?

Negli occhi di Vincenzo passò come un lampo di smarrimento ma fu solo un attimo perché fu pronto a risponderle.

- Perché io abito proprio vicino a voi, in vico San Liborio e vi ho visto rincasare spesso. Però adesso statemi a sentire: siete assai turbata, tornatevene a casa ed andate a riposare un poco.

- Va bene – accondiscese e poi aggiunse quasi con timidezza – Grazie di tutto, signor Tagliaferri.

- Ma quale “signor Tagliaferri”, io mi chiamo Vincenzo, anzi, per gli amici Vincenzino e spero che lo diventeremo amici, non è così?

Lei lo guardò seria e non rispose nulla poi si allontanò stringendosi nello scialletto di lana che il giovane aveva avuto la prontezza di prenderle prima di lasciare il negozio. Anche se la bevanda calda l’aveva confortata, continuava a sentirsi  molto nervosa e camminando lottava con il vento freddo che si era alzato all’improvviso e con le lacrime che le riempivano gli occhi. Però non aveva voglia di tornare a casa, sempre se casa si poteva mai chiamare quel tugurio puzzolente di umidità che affacciava in un cortile senza sole. Aveva voglia di aria aperta, aveva bisogno di respirare e così, invece di prendere il tram che l’avrebbe portata verso casa, ne prese uno che salendo per la strada di Posillipo la condusse fin sull’omonimo capo laddove nelle sere d’estate si davano convegno gli innamorati.

Nella fredda mattinata di marzo però non c’era nessuno. Smontata dal tram del quale alla fine del percorso era stata l’unica passeggera,  si avvicinò al basso parapetto da cui si vedeva il burrone sotto cui biancheggiava il mare in tempesta. Si sedette lì, stringendosi nello scialletto per ripararsi dal vento e solo allora, appoggiando il capo sulle ginocchia, riuscì finalmente a piangere.

Era arrivata ad un punto tale della vita in cui davvero non ce la faceva più ad andare avanti. Si sentiva sola ed infelice e non aveva più voglia di lottare. Le venivano in mente le parole che aveva detto Roberto: “l’unica cosa giusta l’ha fatta papà”. Anche se allora si era sentita inorridita ad ascoltarle da un bambino, ora capiva che forse il fratellino aveva visto giusto. I de Oliveira erano nati sfortunati, lo erano stati tutti loro  ed illudersi di cambiare la propria sorte è una vana speranza che accarezzano solo gli sciocchi. Quante ingiustizie doveva ancora subire, quanti calci in faccia doveva ancora prendersi, quanti bocconi amari inghiottire prima di capire che era tutto inutile?  Certo, c’erano quei due poveri bambini ancora più soli ed abbandonati di lei, ma neanche ad essi poteva dare più nulla ed allora forse era proprio venuto il momento di dire basta. Sarebbe bastato solo scavalcare quel basso muretto e lanciarsi nel vuoto perché tutto fosse finito per sempre. Solo qualche momento di supremo spavento e dopo non ci sarebbero più stati paura, tristezza, solitudine, amore. Già, l’amore, quale altra assurdità!  Una volta perduti i genitori, non c’era più nessuno a volerle bene. Le aveva voluto bene forse quell’infame di Ruggiero che nonostante la mattina stessa le avesse fatto capire di tenere ancora a lei non aveva esitato un attimo ad abbandonarla? E certamente non gliene aveva voluto Christopher. Era proprio per lui più che per l’ex fidanzato che stava soffrendo di più. Quante volte in quel lungo periodo di lontananza lo aveva ricordato ed al pensiero dell’intimità che c’era stata tra loro aveva tremato. Forse non era un comportamento da giovane onorata ma non le era possibile dimenticare la sua dolcezza e i suoi baci anche se il ricordo si faceva doloroso quando rammentava il modo freddo e determinato con cui alla fine l’aveva allontanata.

Lo aveva amato più di quanto non avesse mai fatto con nessuno, ma il suo sentimento era stato deriso, disprezzato, buttato via come una cosa inutile e forse lei stessa era così, una cosa inutile, buona soltanto per giocarci un po’ e poi buttare via.

Intanto si era alzata e si era appoggiata al parapetto, i capelli quasi sciolti dal vento e la gonna che le svolazzava intorno alle gambe. Incurante di tutto, se ne stava a guardare il mare e l’isola di Nisida che si stagliava contro il cielo plumbeo. Non si accorse che alle sue spalle  il conducente del tram ed il vetturino la stavano guardando con attenzione.

- Gennarì, guarda che ce ne dobbiamo andare – stava dicendo quest’ultimo rivolto al primo.

- Mimì, aspetta un momento, a me quella giovane non me la conta giusta.  Magari noi ce ne andiamo e poi domani mattina si trova un corpo giù sugli scogli.

- Eh, come sei tragico!

- Ma non l’hai vista prima come piangeva?

- Sarà la solita ragazza che soffre per amore. Che ci possiamo fare?

Il conducente gli fece cenno con la mano di aspettare e poi si avvicino a Maria.

- Signorina! Signorina! – chiamò.

La giovane ebbe un sussulto perché era sopra pensiero e si voltò a guardarlo.

- Perdonate se v’importuno, ma noi ce ne stiamo per andare e questa è l’ultima corsa. Sapete, di questa stagione non ci viene nessuno qui e così ci stanno poche corse …

Vedendo che la donna non gli rispondeva, la incalzò:

- Su, salite sul tram che ce ne torniamo.

Lei ancora non rispose ma andò di nuovo a  sedersi sul basso muretto. Gennarino,  incurante delle proteste del collega, la imitò.

- Non dovete farli nemmeno certi pensieri! – le disse semplicemente.

Maria si mise a ridere, amara.

- E che ne sapete voi di quello che sto pensando?

- Si vede. Ma per quanto vi possiate sentire ora una schifezza, non vi dimenticate che, come diceva la buonanima di mamma mia, solo ad una cosa non c’è rimedio: la morte.

- O forse è la morte ad essere il rimedio per tutte le cose!

- Non è vero, almeno non quando si è giovani e, permettetemi, belle come siete voi.

- Che me ne faccio della bellezza! Non mi serve a niente, se non a farmi soffrire di più.

- È un uomo che vi fa soffrire?

- Non ce l’ho un uomo, non ho una casa, né una famiglia e da stamattina non ho neanche più un lavoro. Sono sola e senza speranze. Vi basta?

- Tutte queste cose le troverete presto, ne sono sicuro.

- Non sentitevi in obbligo di consolarmi, per favore. Lo so, avete paura che io mi butti giù e ciò vi fa sentire in imbarazzo. Mi dispiace, se vi può liberare dagli scrupoli, me ne tornerò insieme a voi, ma non cercate di convincermi che va tutto bene perché non è così.

- Mi dispiace che vi sentite sola e che siete disperata e nel mio piccolo vi vorrei aiutare. Io ho sette figli, sapete,  due ragazze pressappoco della vostra età, come potrei non dispiacermene? Perché non facciamo in questo modo? Domani è domenica, venite a casa mia, così state in compagnia. Sto di casa al Vico Tre Re a Toledo, proprio di fronte  alla chiesa di Santa Francesca.  Dovete solo chiedere di Abbate Gennaro, lì mi conoscono tutti.

Nel vedere che la giovane non sembrava intenzionata a dargli ascolto, le rivolse un sorriso un po’ sdentato e la invogliò  ancora, scherzando:

- Forza, ditemi di sì. Vi assicuro che  anche se durante la settimana tiriamo un po’ la cinghia, la domenica mia moglie Emilia fa un ragù che fa profumare tutto il vicolo! Vuol dire che ve ne mangiate un piatto insieme a noi e poi magari andiamo dalle buone monachelle di Santa Francesca e vediamo se vi aiutano a trovare un altro lavoro. Che ne dite, ci venite?

Il calore umano di quell’uomo semplice fu come un balsamo per il cuore desolato di Maria che gli sorrise con gratitudine.

- Ci proverò – gli promise – ma ora affrettiamoci a tornare perché il vostro collega si è proprio stancato.

Si diressero entrambi verso il tram e Gennaro, rivolto al vetturino, disse  allegro:

- Mimì, la signorina qui presente non lo paga il biglietto: è ospite mia!

 

Entrando in quella povera cantina, Christopher fu investito dal calore umido e dal forte odore di vino. Lanciò uno sguardo piuttosto perplesso a Pasquale Russo il quale invece si diresse deciso ad un tavolino accanto all’entrata dove era seduto un giovane popolano.

Nel vederli, quest’ultimo si levò in piedi e li salutò con rispetto levandosi il berretto e scoprendo  i capelli neri e ricciuti.

- Vi presento Vincenzo Tagliaferri,  l’uomo che ho messo a sorvegliare la signorina in questione. È stato lui a venirmi a riferire quello che è successo oggi ed ho pensato che era una cosa che dovevate sapere - gli disse il Russo facendogli cenno di accomodarsi al tavolino e sedendosi egli stesso.

- Avete fatto benissimo – concordò guardando il giovane che però sembrava piuttosto in imbarazzo.

Infatti questi si grattò la testa e confessò:

- Solo che la signorina non è tornata a casa sua e non so dove sia . . .

- Come non lo sapete? – sbottò Christopher – Non l’avrete per caso persa di vista proprio ora, voglio sperare!

Vedendo che l’altro abbassava gli occhi ed anche il principale non diceva nulla, continuò piuttosto alterato e battendo un pugno sul tavolo,  incurante dell’oste che era venuto a portare loro dei bicchieri colmi di anisetta.

- Eppure ve lo avevo detto che la prima cosa che dovevate fare era sorvegliarla, accidenti!

A quel rimprovero preciso Pasquale Russo intervenne:

- Vincenzo non poteva sorvegliare la giovane e venire nello stesso tempo da me per dirmi quello che era successo!

- No, il signore ha ragione. La poverina era davvero sconvolta e forse non dovevo lasciarla sola, dovevo continuare a tenerla d’occhio. Ho sbagliato proprio!

- Se le è successo qualcosa . . . – minacciò Christopher rosso in volto e guardando torvo il giovane il quale abbassò il viso, pallido e mortificato.

Ma proprio in quell’istante il principale, indicando la strada, esclamò:

- Eccola, eccola, sta rientrando!

Stretta nello scialle, pallida e scarmigliata, infatti Maria avanzava lentamente come una sonnambula.

- Dove avete detto che abita? – chiese Christopher assai sollevato.

- Proprio nel palazzetto qui di fronte. Ci sono cinque o sei scalini da scendere e nel cortiletto c’è la porta della camera che ha preso in affitto – gli spiegò Vincenzino che aveva ripreso colore.

- Bene! Andate ora, non ho più bisogno di voi. Passerò lunedì a saldare la parcella.

- Va bene. Sicuro di non aver più bisogno di noi? – gli chiese Pasquale Russo e vedendo che l’altro annuiva, fece cenno al dipendente di andar via.

Questi però, dopo aver salutato Christopher, sembrò esitare un attimo e voltatosi di nuovo verso di lui, gli disse a bassa voce:

 - Sono due mesi ormai che sorveglio la signorina e tutto questo tempo ha fatto solo  casa, lavoro e chiesa. Non se la meritava proprio quella scenata di oggi,  ve lo garantisco. Sul bene che voglio ai miei figli, vi posso giurare che è una gran brava ragazza!

Riddell non disse nulla, limitandosi a guardarlo ma il principale non fu dello stesso avviso e lo redarguì piuttosto irritato.

- Cammina, deficiente – gli disse – Questo non è un comportamento professionale, non spetta a te dare dei giudizi.  

Così dicendo lo trascinò via, rammaricandosi non poco:forse la sua agenzia di investigazioni era ben lontana dal mostrare lo stile serio ed efficiente che avrebbe voluto avesse!.

Ma i problemi lavorativi di Pasquale Russo in quel momento erano l’ultima cosa che passava per la testa di Christopher, piuttosto si chiedeva come doveva comportarsi.

Desiderava con tutto il cuore Maria ma temeva di essere respinto perché forse la sua fuga significava che si era stancata di lui e nemmeno la miseria in cui era precipitata avrebbe potuto farle cambiare idea.

Era lì da cinque o dieci minuti a pensare ed a buttare giù un bicchiere dopo l’altro del disgustoso liquore aromatico che aveva davanti, quando la vide uscire dal portoncino con un’aria sconvolta ed avviarsi correndo nella strada. Allora gettò in fretta delle monete sul tavolo e si precipitò a seguirla.

 

 

Aveva freddo, un freddo terribile che la faceva tremare tutta. Forse erano state le emozioni e la stanchezza di quel giorno orrendo eppure Maria  sentiva ancora un piccolo barlume di speranza come se il sorriso e le buone parole dell’anziano conducente di tram le avessero acceso dentro una tenue fiamma che la riscaldava.

Entrando nella buia stanzetta del suo alloggio, ancora una volta fu colpita dal disgustoso tanfo di umidità ma preferì non farci caso. Con le mani tremanti accese il piccolo lume a petrolio per farsi luce. Decise di non pensare a nulla in quel momento, solo di mangiare qualcosa, ficcarsi a letto senza neanche svestirsi per cercare di prendere un po’ di calore e rimandare all’indomani ogni decisione.  Purtroppo non riuscì a scacciare del tutto la preoccupazione dell’immediato futuro e così, seguendo un impulso, decise di controllare quanto denaro aveva a disposizione per affrontare almeno i primi giorni. Era da un po’ che risparmiava cercando di mettere da parte i soldi necessari per il viaggio a Firenze perché non poteva mancare la promessa di andare a trovare Roberto. Non gli aveva detto niente della sua nuova situazione. Nelle lettere settimanali che il ragazzo le mandava ancora a villa Helena e che il buon Anthony le portava, si mostrava contento del nuovo collegio dove stava studiando con profitto e molto volentieri. Prima o poi le sarebbe toccato dirgli la verità ma nel frattempo non voleva turbarlo. Aveva ancora un poco del denaro datole da George e forse i soldi  le sarebbero bastati per andare a Firenze. Purtroppo, se doveva togliere il necessario per sopravvivere fino a quando non trovava un altro lavoro, non sarebbe stato più possibile affrontare la spesa.

Per verificare la cifra a sua disposizione, prese dalla credenza il bricco di porcellana sbrecciata in cui custodiva i soldi e si mise a contarli alla tenue luce del lume. Ad un tratto però un rumore alle sue spalle, come una specie di fruscio, la colpì facendola girare. Sul focolare, intorno ad un piatto coperto da un tovagliolo nel quale era stata tanto incauta da lasciare del formaggio, scorse tre o quattro topi abbastanza grossi.

Aveva sempre detestato i topi che le facevano addirittura ribrezzo. Per un attimo credé di stare per svenire e rimase impietrita dal disgusto  a guardare quegli immondi animali che a loro volta la fissavano con gli occhietti neri, assai meno impauriti di quanto non fosse lei. Con la gola stretta da cui non riusciva a sfuggire nemmeno un grido, finalmente riuscì a trovare la forza di muoversi e fu così che come impazzita scappò da quell’orrore, via nel cortiletto buio, su per gli scalini, attraverso il portoncino aperto, nella strada, correndo come se quelle bestie schifose la stessero inseguendo.

Intanto era calata la notte all’improvviso e le strade erano buie ed umide. Non c’era quasi nessuno e delle poche persone che passavano, strette nei cappotti per ripararsi dal freddo ed occupate dai propri casi, nessuna  badò a quella giovane scarmigliata che correva a perdifiato per la strada di Montesanto.

Non sapeva nemmeno dove andare o cosa fare. Si diresse verso la piazza dove c’era la chiesa in cui tante volte aveva cercato conforto. Ne trovò i cancelli chiusi ed allora, in un moto quasi istintivo, desiderò tornare al Vomero dove c’era la sua casa.

Entrò a precipizio nella funicolare. Per fortuna si accorse di aver gettato nella tasca della gonna i suoi pochi soldi. Ne prese quelli necessari per pagarsi la corsa, fece il biglietto e poi  salì in un convoglio vuoto. Cadde a sedere su un sedile di legno ed appoggiò la testa ad un finestrino chiudendo gli occhi perché le girava assai la testa.

Restò così fino a quando il trenino non partì e solo allora li riaprì per guardarsi intorno. Era sola nello scompartimento ma in quello più  su c’erano  due vecchi ed una donna con un bambino. Ad un tratto il cuore le balzò nel petto perché, ritto in piedi, vide Christopher che la fissava.

Restò a guardarlo come ipnotizzata e nonostante l’emozione, ne notò la bella figura messa in risalto dall’elegante cappotto nero e dal berretto di pelliccia calzato sui capelli color del rame. I suoi occhi che non smettevano un istante di fissarla, brillavano come due gemme azzurre mentre la barba corta e rossiccia gettava un’ombra di dolcezza sul volto dai lineamenti regolari.

Anche ora, nel vederlo, uno struggimento improvviso le attanagliò le viscere, insieme alla voglia di gettarsi tra quelle braccia forti ed in esse trovare finalmente rifugio.

Per tutta la durata del viaggio non smisero un istante di guardarsi.

Quando il treno arrivò, Christopher si avviò all’uscita senza voltarsi indietro.  Maria rimase un istante incerta sul da farsi. Doveva tornare indietro nella stanzetta umida e buia vincendo la paura ed il ribrezzo o seguire quello strano istinto che l’aveva portata sin lassù? Non sapeva dove andare o cosa fare ma ugualmente uscì nella notte fredda, stringendosi nello scialletto per ripararsi dal vento. Nel silenzio sentiva solo il rumore dei suoi passi sull’acciottolato viscido di umidità ed a poco a poco avvertiva spegnersi sempre più la piccola luce che pure tanto l’aveva confortata quel pomeriggio stesso. Era sola, sola e disperata e Christopher, che pur l’aveva ben veduta,  se n’ era andato perché non gli interessava più, perché per lui non era niente, non lo era mai stata.

Nonostante tutto, si diresse verso quella che era stata la sua casa, senza neanche un perché, forse solo per vedere ancora una volta il luogo che era stato il caldo nido che un giorno l’aveva tenuta al riparo dal freddo e dalla notte. Girò l’angolo e quasi si scontrò con Riddell che l’aspettava proprio sotto un lampione a gas che illuminava la strada.

- Stai venendo a casa? – le chiese con la voce vellutata, guardandola intensamente.

Lei non rispose.

- Vieni – la invitò con dolcezza – è troppo tardi per stare per strada ed incomincia anche a piovere, non vedi?

Maria lo seguì come in sogno. Si sentiva stordita e quando lo vide prendere le chiavi dal panciotto, si fermò un momento e mormorò:

- Chris, io, io … volevo dirti dove sono stata tutto questo tempo …

L’uomo si voltò a guardarla e controllando le emozioni, le disse:

- Non importa, ora sei qui.

Non le rivelò che sapeva cosa aveva fatto in quel periodo quasi in ogni istante né le disse quanto avesse sofferto per la sua lontananza, solo la prese delicatamente per un gomito e la condusse dentro.

- Non c’è nessuno della servitù stasera perché è sabato. Già, che stupido – aggiunse sorridendo – lo dico a te quando sei stata tu stessa a concordare con loro il giorno di libertà!

Maria si sentiva stordita, quella era la sua casa, le cose familiari, ma non riusciva a liberarsi dalla sensazione di star sognando. Eppure, entrando nel salotto accogliente dove nel camino bruciava un fuoco ristoratore, ebbe l’assurdo pensiero che non di un sogno si trattasse, ma del risveglio da un incubo orrendo.

Allungò verso la fiamma  le mani gelate per riscaldarsi intanto che Christopher si toglieva il soprabito ed il berretto.

- Vieni, mangia qualcosa – la esortò avvicinandosi al tavolo e sollevando il coprivivande d’argento per mostrarle i cibi apparecchiati.

- E tu? - obiettò lei avvicinandosi un po’ esitante.

- Io non ne ho voglia, prenderò solo un po’ di vino.

La ragazza si rese conto di star morendo di fame e d’altronde la ricchezza delle stoviglie di porcellana, lo scintillio del cristallo dei bicchieri e le succulente portate a sua disposizione erano davvero irresistibili. Prese un po’ di roast-beef e delle patate e bevve qualche sorso di vino che l’uomo le aveva versato.

Dopo poco il rossore cominciò a colorarle le guance e si sentì molto meglio anche se non aveva ancora il coraggio di parlare.

Lo fece Christopher per dirle con la voce suadente:

- Non ho fatto toccare nulla nella tua stanza, è esattamente come l’hai lasciata.

- Quando sei partito, credevo che tu non mi volessi più … - mormorò lei.

- Sei stata tu ad andartene, io non ti ho mai mandato via – le rispose, guardandola con due occhi che sembravano bucarle l’anima.

Maria si sentiva davvero sconvolta. Non poteva far finta di nulla. Tutto quello che aveva patito in quei mesi, tutte le miserie, le umiliazioni, la fatica, dovevano avere una spiegazione, non potevano apparire solo come un capriccio inutile. Si alzò da tavola e si avvicinò di nuovo al camino. Si sentiva le gambe tremare e così si accoccolò sul tappeto persiano, vicinissima alla fiamma, stringendosi le ginocchia al petto e senza parlare.

Stranamente Christopher la imitò: dopo essersi tolto la giacca e la cravatta, in maniche di camicia, le si sedette accanto per terra e si mise anche lui ad osservare la fiamma senza dir nulla.

 La ragazza restò qualche attimo a riflettere, poi parlò, con un filo di voce.

- Avevi ragione tu – gli disse – avevi ragione su tutto. Mi sono lasciata condizionare dall’educazione che ho ricevuto e dalle convenzioni sociali ed ho pensato che senza amore non fosse possibile instaurare nessun legame valido tra di noi. Mi sbagliavo invece ed anche se non ci amiamo, anzi, forse proprio perché non ci amiamo, possiamo avere un rapporto che, come dici tu, non sia una parodia del peggiore matrimonio, ma qualcosa che entrambi vogliamo in piena consapevolezza. Non c’è bisogno d’amarsi o di essere sposati per avere quello che si desidera, ora ne sono convinta.

Christopher si sentì amareggiato. Proprio ora che aveva preso consapevolezza del tenero sentimento che gli era nato dentro, Maria ammetteva finalmente di non amarlo. Rise piuttosto crucciato e diventò cattivo per la delusione.

- Ma ci sei arrivata troppo tardi, mia cara! Stasera ti ho raccolto come si fa con un micino infreddolito ma non è detto che possa avere ancora interesse per te, non vedi come sei diventata? Che cosa mi dai che non potrebbe darmi chiunque altra?

Voleva ferirla, ma questa volta la donna non era disposta a rinunciare per orgoglio a qualcosa che desiderava molto. Gli si avvicinò e lo abbracciò.

- Mi piace il paragone: un micino infreddolito! – scherzò e poi, carezzandogli il viso,  lo costrinse a guardarla.

- Ebbene – continuò – con un po’ di cure ed un po’ di buona pappa, questa micina infreddolita potrà ritornare ad essere di nuovo una splendida gatta che ti farà una meravigliosa compagnia!

Piano, con sensualità, gli baciò il collo, laddove la camicia aperta gli lasciava scoperta la pelle delicata.

- E poi perché si tiene un gatto? Perché è bello, perché si può accarezzare, perché non si può fare a meno di vederselo intorno – gli sussurrò mentre con la mano infilata nella camicia gli carezzava il petto ed il ventre.

Christopher sentì esplodere il desiderio. Carezzandola, la fece distendere sul tappeto e cominciò a baciarla. Ben presto le aprì i bottoni della camicetta e gliela fece sfilare. Sotto Maria non indossava fine biancheria di seta ma solo un leggero corpetto di cotone che si lacerò quando provò a scostarlo. Le vide il seno, sodo e grosso, sempre bellissimo e vi affondò il viso, godendo della sua morbidezza di seta. Gemendo, lei lo lasciò fare cercandogli a sua volta la bocca senza saziarsi dei baci. Ancora mezzo vestiti, si amarono quasi con furia, consumando un rapporto breve ma intensissimo.

Subito dopo, Christopher si rialzò, risistemandosi i pantaloni. Ancora a torso nudo si avvicinò al camino ed appoggiandosi ad esso con un braccio, si rimise a guardare in silenzio la fiamma.

Anche Maria si sollevò e gli venne accanto. Cingendolo tra le braccia, cominciò a baciargli la pelle morbida delle spalle con una tale sensualità da farlo rabbrividire. Allora si voltò a guardarla e vide quanto era bella: il seno che sbucava dal corpetto rotto,  il biancheggiare delle cosce tornite laddove finivano le lunghe calze nere, il ventre sodo ed il triangolino nero del pube a malapena nascosti da quello che restava di una corta gonnella di cotone mezza strappata.

La voglia di averla lo sconvolgeva e divenne ancora più forte quando le guardò gli occhi neri che brillavano foschi.

- Allora, milord, hai deciso di tenertela questa gattina? – gli domandò cercandogli ancora le labbra e solo dopo avergliele mordicchiate un po’ ed avergli fatto sentire ancora il sapore dei suoi baci, continuò a mormorargli – Se lo farai, ti prometto che non ci saranno più lacrime né recriminazioni, che non mi vergognerò più di non essere tua moglie, che ti sarò fedele e che starò con te fino a quando non ti sarai stancato di me o perlomeno fino a quando mi converrà farlo.

Nel vederlo corrugare la fronte stupito, rise gettando il capo all’indietro, poi gli prese il viso tra le mani guardandolo fisso negli occhi chiari che brillavano alla luce della fiamma.

- Non era questo che volevi? Ebbene, avevi ragione: probabilmente è l’unico modo per possedere un gatto o una donna.

Christopher non disse più nulla, la prese in braccio e si avviò su per le scale fino alla camera di lei dove la gettò sul letto con la voglia di  amarla fino a sentirsene esausto.

 

Maria sussultò svegliandosi perché cominciava già ad albeggiare ma poi si ricordò dov’era ed una grande contentezza la riempì al pensiero di non doversi più gettare dal letto per correre a lavoro. Pigramente si girò cercando Christopher ma si avvide che non era accanto a lei. Non ricordava quando se ne fosse andato forse perché, stanca per le intense  emozioni della giornata e per aver fatto tanto  a lungo all’amore, doveva essere caduta addormentata nella rassicurante stretta delle sue braccia. Si accoccolò ancora tra le lenzuola ricamate beandosi del tepore delle coperte ma non prese di nuovo sonno perché il ricordo della sera precedente ancora le appariva come uno strano sogno. Nonostante Christopher l’avesse accolta e dato riparo proprio come si fa con un gattino sperduto, c’era stato un momento in cui aveva temuto che non la volesse più e forse proprio una tale paura  l’aveva spinta a tenere un comportamento tanto  audace. Ora si rimproverava di avergli mentito sui suoi sentimenti. Come poteva sperare di avere rispetto se lei per prima non ne aveva di sé? Il terrore di perderlo l’aveva spinta ad offrirsi a lui  accettando di diventare né più né meno che  un animaletto domestico con il quale potersi trastullare senza nessun coinvolgimento affettivo. Non era questo che voleva però, lei voleva essere amata, voleva diventare una vera compagna, la madre dei suoi figli, una donna con la quale condividere l’esistenza intera.

 

All’incirca alle otto, entrò nel salotto per vedere se lui si fosse già alzato. Sebbene avesse ancora i capelli sciolti perché aveva mandato a chiamare una pettinatrice per farseli acconciare ad arte, era elegantissima con addosso una veste da camera di raso bianco.  

Christopher non c’era ma in compenso entrò il maggiordomo il quale la guardò  senza riuscire a trattenere un certo stupore nel vederla di nuovo lì.

- Buongiorno Anthony – lo salutò e l’altro, ripreso il controllo, le rispose molto compitamente abbassando il capo in cenno di saluto.

- La colazione è pronta nella sala da pranzo – le annunciò come se niente fosse.

- Perché nella sala e non qui?

- Poiché la stanza da pranzo è più vicina alla cucina ed essendo più comodo per la servitù, il padrone aveva preso l’abitudine di consumare lì i suoi pasti in questo periodo in cui è stato da solo – le spiegò.

- Eppure ieri sera era apparecchiato qui, accanto al camino.

- È stato lui a chiederlo espressamente prima di uscire. Comunque, se lo preferite, darò ordine alla cameriera di preparare sul tavolo in salotto come avveniva prima.

- Sì, grazie.

- Di nulla.

Come se un pensiero lo avesse colto all’improvviso, Anthony le disse:

– Sono arrivate due lettere di Roberto. Adesso ve le porto, signora.

Maria si sentì un poco a disagio per quel termine “signora” al posto dell’abituale “signorina” che l’uomo aveva sempre usato con lei. Le parve anche di cogliere un lieve tono di biasimo nella sua voce ed in effetti, dopo l’aiuto e l’affettuosa complicità che le aveva dato in quell’ultimo periodo, forse lui disapprovava il suo improvviso ritorno in una casa da cui era fuggita solo qualche mese prima. Una giustificazione doveva dargliela, non poteva far finta che non fosse accaduto nulla.

- Non ce l’ho fatta, Anthony, era troppo dura! – mormorò con gli occhi bassi – Mi dispiace …

- La signora non mi deve nessuna spiegazione – replicò l’altro.

- Spiegazione di cosa? – chiese Christopher che in quel momento entrava in salotto ma che aveva udito benissimo le loro ultime frasi.

Il maggiordomo restò un attimo interdetto invece Maria fu pronta a trovare una scusa.

- Nulla, gli dicevo che preferisco  mangiare qui in salotto. A te non dispiace vero?

Il giovane sorrise, colpito dalla disinvoltura con la quale la donna era stata pronta a mentirgli, ma oramai era troppo preso da lei per sentirsene irritato.

- Figurati, sei la padrona! – le rispose andandosi a sedere allo scrittoio.

- Bene, allora faccio servire la colazione qui – disse il maggiordomo. Si chinò davanti al camino per  raccattare da terra i vestiti di Maria che erano rimasti lì dimenticati dalla sera prima – E di questi che ne faccio? – domandò rivolto alla padrona.

La ragazza arrossì ma ordinò con decisione:

- Bruciateli!

L’uomo assentì con il capo e se ne stava andando quando, mettendo una mano nella tasca della gonna, trovò il denaro che lei vi aveva ficcato prima di scappare.

- Qui ci sono dei soldi – le disse porgendoglieli.

Erano solo poche lire ma fino al giorno prima per lei, povera e desolata, erano state un piccolo capitale. Le venne un’idea.

- Aspettate! – gli disse – Dovete farmi un favore: far recapitare una cosa per mio conto.

Si avvicinò anche lei allo scrittoio e chiedendo permesso a Christopher, lo fece scostare un poco, gli prese la penna dalle mani e su di una busta scrisse un nome dopodiché prese un foglio e si mise a scrivere qualcosa.

Lui rimase a guardarla dubbioso poi prese la busta e lesse ad alta voce:

“Signor Gennaro Abbate, Vico Tre Re a Toledo, di fronte alla Chiesa di Santa Francesca” . Chi è costui? – domandò incapace di resistere alla curiosità tanto più che quel nome non era mai comparso in nessuno dei pur dettagliati rapporti di Pasquale Russo.

Per tutta risposta Maria sorrise e prendendogli la busta dalle mani,  vi infilò il foglio sul quale aveva scritto poche righe. Ci mise dentro anche il denaro e la consegnò ad Anthony;  solo quando quest’ultimo se ne fu andato e furono soli, guardò il suo uomo che era rimasto ad osservarla con la fronte corrugata dal dubbio.

- È una brava persona che mi ha pagato un biglietto … – gli spiegò –  … un biglietto per la vita – aggiunse  pensierosa dopodiché gli prese il viso tra le mani e gli posò dei tenerissimi baci sulla fronte, sul naso, sulle guance.

Allora Christopher la strinse forte a sé e le cercò la bocca che baciò, trovandola più dolce del miele.




 

********************

 

Con questo capitolo, nel quale Christopher e Maria tornano a vivere insieme, la storia potrebbe anche essersi conclusa. Ma in questo modo cose fondamentali non sarebbero approfondite: l’attaccamento di Maria all’uomo è dettato dal suo bisogno di continuare la vita agiata che ha sempre vissuto o è quello di una donna che per amore è disposta a rinunciare anche ai suoi principi? E Christopher è davvero arido e freddo e sfrutta il bisogno di una povera giovane per il suo piacere personale o la diffidenza che prova nasce da qualcosa di più profondo?    
Nella vita reale le persone non sono mai del tutto buone o cattive. In ognuno convivono luci ed ombre. Solo l’amore ci consente di accettare chi ci sta accanto non solo per i suoi pregi ma anche con i suoi difetti e la vita poi  è un banco di prova dove bisogna misurarsi ogni giorno.
Ecco perché ho voluto proseguire la storia. Chi continuerà a leggerla, oltre a seguirne le vicende,  forse coglierà qualcosa di più della psicologia dei miei personaggi e, spero, li sentirà vivi e reali come li ho sentiti io.

 Speriamo che siate in tanti!

Con l’occasione desidero ringraziare Sherezade che mi ha spinto a pubblicare le “fantasie scritte” che tanto mi hanno aiutata a superare  momenti assai tristi, la mia nuova lettrice Sara che sin dal primo capitolo mi sta seguendo e incoraggiando  e naturalmente anche Faith e tutte le altre amiche del forum nonché la cara Nicoletta perché so che mi stanno supportando (e sopportando!) in questa mia nuova esibizione da scrittrice dilettante.

 

Come mi ha fatto notare Sara, ho tralasciato di mettere la traduzione di alcune frasi scritte in napoletano per dare una nota di colore. Non sono molte perché ho cercato di far parlare anche i personaggi del popolo in italiano anche se in modo piuttosto dialettale. Ad ogni buon conto la traduzione è, nell’ordine, la seguente:

Piccola – la chiamò – che hai?

Fuori, fuori, vattene e portati via anche questa poco di buono.

Certamente, e chi ci rimane qui! Vergognatevi!

   
 
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