Per
la prima volta
dopo quasi due mesi, Maria si sentiva più serena forse
perché nella limpida
mattinata di marzo si avvertiva già odore di primavera o
più facilmente perché
doveva trascorrere tutto il sabato in negozio. Anche se la Riviera di
Chiaia
era piuttosto lontana, invece di spendere soldi per il tram, decise di
fare
una passeggiata a
piedi fino al lavoro un
po’ perché era ancora presto e un po’
perché voleva prolungare il più a lungo
possibile la piacevole sensazione.
Quando
se n’era andata
in fretta e furia da quella che non aveva mai smesso di considerare la
sua casa
portando con sé solo
l’indispensabile,
non aveva avuto troppe possibilità di scegliersi
un’occupazione adeguata. Era
stato solo grazie alla loro ex cuoca, ancora molto affezionata a lei,
che era
riuscita a trovare un impiego come ricamatrice.
Con
il denaro regalatole
da George Festing aveva affittato una modesta stanzetta nei vicoli
intorno a Porta
Medina ed aveva cominciato una nuova vita, fiduciosa di potercela fare.
Ma sin nei primi tempi di un inverno che era cominciato in maniera così mite ma che presto si era trasformato in freddo e piovoso, aveva dovuto affrontare le enormi difficoltà della sua nuova condizione.
Non
era stato facile.
Era
sempre stata brava
a ricamare e le era sempre piaciuto, ma una cosa era il farlo per
diletto in
compagnia della mamma durante le tranquille serate mentre il padre
leggeva un
libro ed i fratellini giocavano accanto a loro ed un’altra
era farlo per
mestiere, tutto il santo giorno, in un retrobottega umido e buio sotto
lo
sguardo esigente della padrona, fino a quando gli occhi
lacrimavano e
la schiena era a pezzi. I primi tempi soprattutto si era
ritirata la
sera così distrutta da non avere neanche la forza di
prepararsi un pasto caldo.
Solamente la sua ostinazione le aveva dato la forza di tirare avanti.
Neanche
con le tre
compagne aveva legato. Loro tre, povere figlie del popolo, anche se
avevano
pressappoco la sua stessa età, erano troppo dissimili da lei
perché potessero
davvero affiatarsi. Non lo faceva apposta, ma a volte nemmeno le capiva
tanto
parlavano in dialetto stretto ed un po’ la disgustavano
quando mordevano con voracità
gli enormi pezzi di pane imbottito che si portavano per colazione o
ridevano
sguaiate a qualche lazzo volgare.
Anche
a loro quella giovane così bella, fine e riservata non stava
simpatica e così avevano
cominciato a prenderla in giro chiamandola “madama”
ed a metterla in cattiva
luce con donna Rosa, la padrona, senza neanche immaginare che le sue
vicende
così tristi avrebbero di sicuro colmato di compassione i
loro semplici cuori se
soltanto le avessero conosciute.
Per
fortuna don Ciro,
il marito della padrona che si occupava del negozio antistante il
laboratorio,
aveva notato quanto lei fosse adatta alla clientela raffinata che
frequentava
la bottega ed era riuscito a farsela dare in aiuto dalla
moglie,
prima solo per poche ore, poi sempre più spesso.
Fare
la
commessa era un lavoro altrettanto massacrante, ma almeno poteva stare a contatto con una
clientela di persone
raffinate che apprezzavano molto i suoi consigli ed i suoi modi
eleganti. Il
padrone sembrava molto contento e le aveva promesso anche di aumentarle
la paga,
cosa che le faceva un enorme piacere perché voleva
conservare qualche soldo per
andare a trovare Robertino a Firenze.
Smessi
gli abiti
costosi, ora si vestiva dimessamente. Aveva rinunciato
persino a portare un modesto
cappellino quando le altre ricamatrici avevano cominciato a deriderla
per tale
mania da “madama”, ma non per questo era meno bella
del solito.
Gli
stenti e la
stanchezza le avevano fatto perdere un po’ di peso ma gli
occhi neri e lucenti
erano sempre belli così come i lunghi capelli che si
ostinava a spazzolare ogni
sera ed a tener puliti per paura di prendersi i pidocchi. Nemmeno
l’abito
semplice e dignitoso riusciva a nascondere la grazia del suo corpo e
gli
sguardi maschili continuavano a posarsi su di lei carichi di
ammirazione.
Pure
don Ciro la
guardava così però Maria preferiva leggergli
nello sguardo solo una paterno
apprezzamento. Ad ogni buon conto cercava di mantenersi sempre ad una
certa
distanza e di non restare mai da sola con lui. Nell’entrare
nel negozio quella
mattina, si rese conto però che stando lì tutta
la giornata le sarebbe stato
più difficile farlo ma non se ne preoccupò
troppo, anche perché ben presto la
bottega si riempì di clienti.
Erano quasi le dodici quando lo vide entrare e non poté impedirsi di provare un tuffo al cuore.
Ruggiero
portava un braccio
al collo, forse
perché doveva essere stato ferito in Africa ed appariva
molto dimagrito e
sofferente. Nonostante ciò il suo aspetto era sempre assai
gradevole. Di
sottecchi Maria ne osservò il bel viso abbronzato sul quale
spiccavano gli
occhi grigi ed i sottili baffi neri.
Si
voltò ad aggiustare
della biancheria sullo scaffale sperando che né lui
né Elvira che lo
accompagnava e che in quel momento stava chiedendo qualcosa al padrone,
l’avessero notata.
Don
Ciro però la
chiamò chiedendole di occuparsi della cliente e
così, ancora più in imbarazzo
per il rossore dal quale sentiva invadersi il viso, fu costretta a
voltarsi ed
a salutare con un educato cenno della testa i due che sembrarono
piuttosto
stupiti di vederla.
-
Come stai? – le
chiese con freddezza l’amica di un tempo, visibilmente
contrariata e gettando
uno sguardo al fidanzato che era arrossito lui pure.
-
Bene. Volevate
vedere qualcosa in particolare? – chiese cercando di non
scomporsi.
-
Sì. Sai, a giugno ci
sposiamo e mi servono le ultime cose per il corredo. Mostrami un
po’ di tovaglie
da tavola.
Maria
gliele mostrò. La
giovane cominciò a parlarne con Ruggiero che però
le rispondeva a monosillabi,
gli occhi bassi.
-
Non mi piacciono
questi ricami! – sbottò ad un certo punto Elvira
che cominciava a mostrare il nervosismo
– Avrei voluto qualcosa di colorato, non questi ricami
bianchi.
-
Ma ce ne sono! –
intervenne il padrone.
-
Non qui – rispose
secca Maria per cercare di liberarsi.
-
Venga un momento con
me, signorina, adesso chiamo mia moglie e
spiega a lei come vuole
le tovaglie.
Tempo una settimana e gliele facciamo trovare.
-
Non oggi, oggi non
ho tempo – disse la ragazza per andar via in fretta.
Ma
l’altro non
intendeva desistere.
-
Rosa, Rosa! – chiamò
e quando la moglie comparve sotto la tenda che divideva il negozio dal
laboratorio, la invitò ad avvicinarsi alla cliente per
sentire cosa voleva.
Suo
malgrado Elvira fu
costretta a parlarle, lasciando così Ruggiero da solo
davanti al bancone sul
quale Maria stava ripiegando le tovaglie per riporle.
-
Maria, perdonami! –
le disse subito l’uomo a voce bassa cercando di non farsi
udire dalla fidanzata
che lo sorvegliava con la coda dell’occhio.
-
Non ho niente da
perdonarti – gli rispose fredda.
-
Sì, invece, ma non è
stata colpa mia. Io non ho mai smesso di amarti, nemmeno un minuto.
-
Ed è per questo che
a giugno sposi Elvira? – gli disse stizzita guardandolo
dritto negli occhi.
-
Sono stati i miei a
combinare il matrimonio, io ho lottato, ma alla fine ho dovuto cedere.
-
A quanto pare hai
ceduto in fretta, non come hai fatto con me che ho dovuto aspettare
quasi
quattro anni di fidanzamento perché dovevi fare carriera e
non potevi sposarmi
subito! In realtà è stato un bene, pensa che
guaio se fossimo stati già
sposati: ti saresti trovato come moglie la figlia di un uomo infamato e
suicida!
-
Lo sai che non è
questo – mormorò lui arrossendo a tanta ironica
veemenza.
-
No? Allora cos’è, il
fatto che non ho più un soldo forse?
-
Maria, ti prego …
-
Basta, Ruggiero, non
essere ridicolo! Tieniti la tua Elvira e non pensare più a
me!
Involontariamente
aveva alzato un poco la voce e la fidanzata si era voltata. Congedati
in fretta
i due negozianti, prese per un braccio l’uomo e dopo aver
gettato uno sguardo
freddo all’ex amica, senza neanche salutarla, lo
trascinò via.
-
Che è successo? –
chiese donna Rosa.
-
Niente, signora,
sono persone che conoscevo – si giustificò la
ragazza.
-
E vedi di non far
andare via i clienti, stupida! – la redarguì
l’altra che non la poteva
soffrire.
La
giovane non rispose
nulla e se ne andò nell’angolo più
nascosto del magazzino dove finse di star
mettendo a posto delle trine ma dove in realtà si era
nascosta per non mostrare
le lacrime che le erano salite agli occhi.
Appena
la moglie fu
andata via, don Ciro si mise a gironzolare per il negozio vuoto e ad un
certo
punto la raggiunse, venendole alle spalle e facendola sussultare.
-
Piccerè – la
chiamò – che
tieni?
-
Niente, niente.
-
Non è vero, tu stai
piangendo! È per quel bel tomo di prima che piangi?
L’aveva
afferrata per
una spalla e cercava di farla girare ma la ragazza si scostava
infastidita.
L’uomo
cominciò ad
insistere:
-
Dai, non fare così,
una bella ragazza come te può avere tutti gli uomini che
vuole. Però non devi
sceglierti questi damerini, devi prenderti un vero uomo, uno che possa
tenerti
come una principessa, uno come me!
Oramai
aveva perso il
controllo e l’aveva afferrata con violenza costringendola a
girarsi.
-
Cosa fate? Siete
impazzito? Come vi permettete? – protestava la ragazza
cercando di liberarsi da
quella stretta di acciaio.
-
Sì, sì, sono pazzo
di te! Dammi un bacetto su, dammi un bacetto e non ti farò
pentire.
Senza
sprecare fiato,
Maria lo respingeva con tutte le forze
ma ciò non sarebbe bastato a fermarlo se in quel momento non
fosse sbucata da dietro
la tenda la moglie che con un urlo di belva si lanciò verso
di loro. Ma invece
di scagliarsi sul marito traditore, afferrò la giovane e
cominciò a
percuoterla.
-
Brutta puttanella, schifosa,
gatta morta! – le urlava tirandole i capelli – Con
tutte le tue smorfie ti vuoi
prendere il marito
mio, non è vero?
Che ti credi che non l’avevo capito che
era per questo che ti sei fatta mettere nel negozio? Ma io ti faccio
nera,
malafemmina!
Alle
grida sguaiate
erano accorse tutte le ragazze dal retrobottega che erano rimaste a
guardare
chi stupita, chi soddisfatta, chi divertita.
Mentre don Ciro restava impietrito senza sapere cosa fare,
Vincenzino Tagliaferri, un giovane assunto da poco come fattorino, si
gettò
sulla donna sottraendole la giovane che cercava solo di difendersi
dalle
percosse.
-
Basta, donna Rosa,
smettetela! Ma che la volete mandare all’ospedale questa
povera figlia? –
strillò lui pure.
-
Sì, sì le voglio
rompere le gambe a questa svergognata – continuò
la padrona incurante che
quella scenata orribile avesse attirato parecchi curiosi che sbirciavano
dalla
vetrina.
-
Prendetevela con
vostro marito, invece, e vergognatevi tutt’e due!
- Fuori, fuori, vattenn e’ puortete pure chesta zoccola.
-
Certamente, e chi ci
rimane qui! Mettitev’ scuorno!
Il
giovane trascinò in
strada Maria che era quasi in uno stato confusionale. Con gentilezza la
condusse un po’ lontano dalla
bottega
davanti alla quale si era radunata una piccola folla. Senza che lei
avesse la
forza di reagire, la fece sedere ad un tavolino di un caffè
e le ordinò una
camomilla calda che la giovane accettò con gratitudine
perché si sentiva
tremare tutta un po’ per i nervi scossi, un po’ per
il freddo.
-
È stato lui, io non
ho fatto nulla, credetemi – si giustificò.
-
Lo so signorina, lo
so bene. Quel porco vi ha messo gli occhi addosso da quando vi ha
vista. Voi
siete una giovane seria, non c’è bisogno che me lo
diciate.
La
ragazza lo guardò
fisso assumendo un’espressione molto perplessa
perché non si fidava più di
nessuno, soprattutto degli uomini.
-
Perché avete preso
le mie difese? In questo modo avete perduto anche voi il lavoro
– gli chiese
scrutandolo per capire quali fossero le sue intenzioni.
-
Non vi preoccupate,
io un lavoro lo trovo assai facilmente. Piuttosto dopo ritorno da quei
due e mi
faccio dare quello che ci spetta. Abbiamo lavorato tutta la settimana e
devono
darci la paga.
-
Io non voglio
tornarci mai più – sussurrò Maria,
ancora sconvolta per la scenata e le
percosse subite.
-
Non vi preoccupate,
ci penserò io. Voi andatevene a casa e più tardi
passerò a portarvi i soldi.
Ancora
una volta la
ragazza si mise sul chi va là.
-
Come fate a sapere
dove abito?
Negli
occhi di
Vincenzo passò come un lampo di smarrimento ma fu solo un
attimo perché fu
pronto a risponderle.
-
Perché io abito
proprio vicino a voi, in vico San Liborio e vi ho visto rincasare
spesso. Però
adesso statemi a sentire: siete assai turbata, tornatevene a casa ed
andate a
riposare un poco.
-
Va bene –
accondiscese e poi aggiunse quasi con timidezza – Grazie di
tutto, signor
Tagliaferri.
-
Ma quale “signor
Tagliaferri”, io mi chiamo Vincenzo, anzi, per gli amici
Vincenzino e spero che
lo diventeremo amici, non è così?
Lei
lo guardò seria e
non rispose nulla poi si allontanò stringendosi nello
scialletto di lana che il
giovane aveva avuto la prontezza di prenderle prima di lasciare il
negozio.
Anche se la bevanda calda l’aveva confortata, continuava a
sentirsi molto
nervosa e camminando lottava con il
vento freddo che si era alzato all’improvviso e con le
lacrime che le
riempivano gli occhi. Però non aveva voglia di tornare a
casa, sempre se casa
si poteva mai chiamare quel tugurio puzzolente di umidità
che affacciava in un
cortile senza sole. Aveva voglia di aria aperta, aveva bisogno di
respirare e
così, invece di prendere il tram che l’avrebbe
portata verso casa, ne prese uno
che salendo per la strada di Posillipo la condusse fin
sull’omonimo capo
laddove nelle sere d’estate si davano convegno gli innamorati.
Nella
fredda mattinata
di marzo però non c’era nessuno. Smontata dal tram
del quale alla fine
del percorso era stata l’unica passeggera,
si avvicinò al basso parapetto da cui si vedeva
il burrone sotto cui
biancheggiava il mare in tempesta. Si sedette lì,
stringendosi nello scialletto
per ripararsi dal vento e solo allora, appoggiando il capo sulle
ginocchia,
riuscì finalmente a piangere.
Era
arrivata ad un
punto tale della vita in cui davvero non ce la faceva più ad
andare avanti. Si
sentiva sola ed infelice e non aveva più voglia di lottare.
Le venivano in
mente le parole che aveva detto Roberto: “l’unica
cosa giusta l’ha fatta papà”.
Anche se allora si era sentita inorridita ad ascoltarle da un bambino,
ora
capiva che forse il fratellino aveva visto giusto. I de Oliveira erano
nati
sfortunati, lo erano stati tutti loro
ed
illudersi di cambiare la propria sorte è una vana speranza
che accarezzano solo
gli sciocchi. Quante ingiustizie doveva ancora subire, quanti calci in
faccia
doveva ancora prendersi, quanti bocconi amari inghiottire prima di
capire che
era tutto inutile? Certo,
c’erano quei
due poveri bambini ancora più soli ed abbandonati di lei, ma
neanche ad essi
poteva dare più nulla ed allora forse era proprio venuto il
momento di dire
basta. Sarebbe bastato solo scavalcare quel basso muretto e lanciarsi
nel vuoto
perché tutto fosse finito per sempre. Solo qualche momento
di supremo spavento
e dopo non ci sarebbero più stati paura, tristezza,
solitudine, amore. Già,
l’amore, quale altra assurdità!
Una
volta perduti i genitori, non c’era più nessuno a
volerle bene. Le aveva voluto
bene forse quell’infame di Ruggiero che nonostante la mattina
stessa le avesse
fatto capire di tenere ancora a lei non aveva esitato un attimo ad
abbandonarla? E certamente non gliene aveva voluto Christopher. Era
proprio per
lui più che per l’ex fidanzato che stava soffrendo
di più. Quante volte in quel
lungo periodo di lontananza lo aveva ricordato ed al pensiero
dell’intimità che
c’era stata tra loro aveva tremato. Forse non era un
comportamento da giovane
onorata ma non le era possibile dimenticare la sua dolcezza
e i suoi baci anche
se il ricordo si faceva doloroso quando rammentava il modo freddo e
determinato
con cui alla fine l’aveva allontanata.
Lo
aveva amato più di
quanto non avesse mai fatto con nessuno, ma il suo sentimento era stato
deriso,
disprezzato, buttato via come una cosa inutile e forse lei stessa era
così, una
cosa inutile, buona soltanto per giocarci un po’ e poi
buttare via.
Intanto
si era alzata
e si era appoggiata al parapetto, i capelli quasi sciolti dal vento e
la gonna
che le svolazzava intorno alle gambe. Incurante di tutto, se ne stava a
guardare il mare e l’isola di Nisida che si stagliava contro
il cielo plumbeo.
Non si accorse che alle sue spalle
il
conducente del tram ed il vetturino la stavano guardando con attenzione.
-
Gennarì, guarda che
ce ne dobbiamo andare – stava dicendo quest’ultimo
rivolto al primo.
-
Mimì, aspetta un
momento, a me quella giovane non me la conta giusta. Magari noi ce ne andiamo e poi
domani mattina si trova un corpo giù sugli scogli.
-
Eh, come sei
tragico!
-
Ma non l’hai vista
prima come piangeva?
-
Sarà la solita
ragazza che soffre per amore. Che ci possiamo fare?
Il
conducente gli fece
cenno con la mano di aspettare e poi si avvicino a Maria.
-
Signorina! Signorina!
– chiamò.
La
giovane ebbe un sussulto
perché era sopra pensiero e si voltò a guardarlo.
-
Perdonate se v’importuno,
ma noi ce ne stiamo per andare e questa è l’ultima
corsa. Sapete, di questa
stagione non ci viene nessuno qui e così ci stanno poche
corse …
Vedendo
che la donna
non gli rispondeva, la incalzò:
-
Su, salite sul tram
che ce ne torniamo.
Lei
ancora non rispose ma andò
di nuovo a sedersi
sul basso muretto. Gennarino, incurante
delle proteste del collega, la
imitò.
-
Non dovete farli
nemmeno certi pensieri! – le disse semplicemente.
Maria
si mise a
ridere, amara.
-
E che ne sapete voi
di quello che sto pensando?
-
Si vede. Ma per
quanto vi possiate sentire ora una schifezza, non vi dimenticate che,
come
diceva la buonanima di mamma mia, solo ad una cosa non
c’è rimedio: la morte.
-
O forse è la morte
ad essere il rimedio per tutte le cose!
-
Non è vero, almeno non
quando si è giovani e, permettetemi, belle come siete voi.
-
Che me ne faccio
della bellezza! Non mi serve a niente, se non a farmi soffrire di
più.
-
È un uomo che vi fa
soffrire?
-
Non ce l’ho un uomo,
non ho una casa, né una famiglia e da stamattina non ho
neanche più un lavoro.
Sono sola e senza speranze. Vi basta?
-
Tutte queste cose le
troverete presto, ne sono sicuro.
-
Non sentitevi in
obbligo di consolarmi, per favore. Lo so, avete paura che io mi butti
giù e ciò
vi fa sentire in imbarazzo. Mi dispiace, se vi può liberare
dagli scrupoli, me
ne tornerò insieme a voi, ma non cercate di convincermi che
va tutto bene
perché non è così.
-
Mi dispiace che vi
sentite sola e che siete disperata e nel mio piccolo vi vorrei aiutare.
Io ho
sette figli, sapete, due
ragazze pressappoco
della vostra età, come potrei non dispiacermene?
Perché non facciamo in questo
modo? Domani è domenica, venite a casa mia, così
state in compagnia. Sto di
casa al Vico Tre Re a Toledo, proprio di fronte alla
chiesa di Santa Francesca. Dovete
solo chiedere di Abbate Gennaro, lì mi
conoscono tutti.
Nel
vedere che la
giovane non sembrava intenzionata a dargli ascolto, le rivolse un
sorriso un
po’ sdentato e la invogliò
ancora, scherzando:
-
Forza, ditemi di sì.
Vi assicuro che anche
se durante la
settimana tiriamo un po’ la cinghia, la domenica mia moglie
Emilia fa un ragù che
fa profumare tutto il vicolo! Vuol dire che ve ne mangiate un piatto
insieme a
noi e poi magari andiamo dalle buone monachelle di Santa Francesca e
vediamo se
vi aiutano a trovare un altro lavoro. Che ne dite, ci venite?
Il
calore umano di
quell’uomo semplice fu come un balsamo per il cuore desolato
di Maria che gli
sorrise con gratitudine.
-
Ci proverò – gli
promise – ma ora affrettiamoci a tornare perché il
vostro collega si è proprio
stancato.
Si
diressero entrambi
verso il tram e Gennaro, rivolto al vetturino, disse allegro:
-
Mimì, la signorina
qui presente non lo paga il biglietto: è ospite mia!
Entrando
in quella povera
cantina, Christopher fu investito dal calore umido e dal forte odore di
vino. Lanciò
uno sguardo piuttosto perplesso a Pasquale Russo il quale invece si
diresse
deciso ad un tavolino accanto all’entrata dove era seduto un
giovane popolano.
Nel
vederli,
quest’ultimo si levò in piedi e li
salutò con rispetto levandosi il berretto e
scoprendo i capelli
neri e ricciuti.
-
Vi presento Vincenzo
Tagliaferri, l’uomo
che ho messo a
sorvegliare la signorina in questione. È stato lui a venirmi
a riferire quello
che è successo oggi ed ho pensato che era una cosa che
dovevate sapere - gli
disse il Russo facendogli cenno di accomodarsi al tavolino e sedendosi
egli
stesso.
-
Avete fatto
benissimo – concordò guardando il giovane che
però sembrava piuttosto in
imbarazzo.
Infatti
questi si grattò la
testa e confessò:
-
Solo che la
signorina non è tornata a casa sua e non so dove sia . . .
-
Come non lo sapete?
– sbottò Christopher – Non
l’avrete per caso persa di vista proprio ora, voglio
sperare!
Vedendo
che l’altro
abbassava gli occhi ed anche il principale non diceva nulla,
continuò piuttosto
alterato e battendo un pugno sul tavolo, incurante
dell’oste che era venuto a portare
loro dei bicchieri colmi di anisetta.
-
Eppure ve lo avevo
detto che la prima cosa che dovevate fare era sorvegliarla, accidenti!
A
quel rimprovero
preciso Pasquale Russo intervenne:
-
Vincenzo non poteva
sorvegliare la giovane e venire nello stesso tempo da me per dirmi
quello che
era successo!
-
No, il signore ha
ragione. La poverina era davvero sconvolta e forse non dovevo lasciarla
sola,
dovevo continuare a tenerla d’occhio. Ho sbagliato proprio!
-
Se le è successo
qualcosa . . . – minacciò Christopher rosso in
volto e guardando torvo il
giovane il quale abbassò il viso, pallido e mortificato.
Ma
proprio in
quell’istante il principale, indicando la strada,
esclamò:
-
Eccola, eccola, sta
rientrando!
Stretta
nello scialle,
pallida e scarmigliata, infatti Maria avanzava lentamente come una
sonnambula.
-
Dove avete detto che
abita? – chiese Christopher assai sollevato.
-
Proprio nel
palazzetto qui di fronte. Ci sono cinque o sei scalini da scendere e
nel
cortiletto c’è la porta della camera che ha preso
in affitto – gli spiegò
Vincenzino che aveva ripreso colore.
-
Bene! Andate ora,
non ho più bisogno di voi. Passerò
lunedì a saldare la parcella.
-
Va bene.
Sicuro di non aver più bisogno di noi? – gli
chiese Pasquale Russo e vedendo
che l’altro annuiva, fece cenno al dipendente di andar via.
Questi
però, dopo aver
salutato Christopher, sembrò esitare un attimo e voltatosi
di nuovo verso di
lui, gli disse a bassa voce:
- Sono due mesi ormai che
sorveglio la
signorina e tutto questo tempo ha fatto solo
casa, lavoro e chiesa. Non se la meritava proprio quella
scenata di
oggi, ve lo
garantisco. Sul bene che
voglio ai miei figli, vi posso giurare che è una gran brava
ragazza!
Riddell
non disse
nulla, limitandosi a guardarlo ma il principale non fu dello stesso
avviso e lo
redarguì piuttosto irritato.
-
Cammina, deficiente
– gli disse – Questo non è un
comportamento professionale, non spetta a te dare
dei giudizi.
Così
dicendo lo
trascinò via, rammaricandosi non poco:forse la sua agenzia di investigazioni era ben lontana dal mostrare lo stile serio ed efficiente che avrebbe voluto avesse!.
Ma
i problemi
lavorativi di Pasquale Russo in quel momento erano l’ultima
cosa che passava
per la testa di Christopher, piuttosto si chiedeva come doveva
comportarsi.
Desiderava
con tutto il
cuore Maria ma temeva di essere respinto perché forse la sua
fuga significava
che si era stancata di lui e nemmeno la miseria in cui era precipitata
avrebbe
potuto farle cambiare idea.
Era
lì da cinque o
dieci minuti a pensare ed a buttare giù un bicchiere dopo
l’altro del
disgustoso liquore aromatico che aveva davanti, quando la vide uscire
dal
portoncino con un’aria sconvolta ed avviarsi correndo nella
strada. Allora
gettò in fretta delle monete sul tavolo e si
precipitò a seguirla.
Aveva
freddo, un
freddo terribile che la faceva tremare tutta. Forse erano state le
emozioni e
la stanchezza di quel giorno orrendo eppure Maria
sentiva ancora un piccolo barlume di speranza
come se il sorriso e le buone parole dell’anziano conducente
di tram le
avessero acceso dentro una tenue fiamma che la riscaldava.
Entrando
nella buia
stanzetta del suo alloggio, ancora una volta fu colpita dal disgustoso
tanfo di
umidità ma preferì non farci caso. Con le mani
tremanti accese il piccolo lume
a petrolio per farsi luce. Decise di non pensare a nulla in quel
momento, solo
di mangiare qualcosa, ficcarsi a letto senza neanche svestirsi per
cercare di
prendere un po’ di calore e rimandare all’indomani
ogni decisione. Purtroppo
non riuscì a scacciare del tutto la
preoccupazione dell’immediato futuro e così,
seguendo un impulso, decise di
controllare quanto denaro aveva a disposizione per affrontare almeno i
primi
giorni. Era da un po’ che risparmiava cercando di mettere da
parte i soldi
necessari per il viaggio a Firenze perché non poteva mancare
la promessa di
andare a trovare Roberto. Non gli aveva detto niente della sua nuova
situazione.
Nelle lettere settimanali che il ragazzo le mandava ancora a villa
Helena e che
il buon Anthony le portava, si mostrava contento del nuovo collegio
dove stava
studiando con profitto e molto volentieri. Prima o poi le sarebbe
toccato
dirgli la verità ma nel frattempo non voleva turbarlo. Aveva
ancora un poco del
denaro datole da George e forse i soldi
le sarebbero bastati per andare a Firenze. Purtroppo, se
doveva togliere
il necessario per sopravvivere fino a quando non trovava un altro
lavoro, non
sarebbe stato più possibile affrontare la spesa.
Per
verificare la
cifra a sua disposizione, prese dalla credenza il bricco di porcellana
sbrecciata in cui custodiva i soldi e si mise a contarli alla tenue
luce del
lume. Ad un tratto però un rumore alle sue spalle, come una
specie di fruscio, la colpì facendola girare. Sul focolare,
intorno ad un piatto
coperto da un tovagliolo nel quale era stata tanto incauta da lasciare
del
formaggio, scorse tre o quattro topi abbastanza grossi.
Aveva
sempre detestato
i topi che le facevano addirittura ribrezzo. Per un attimo
credé di stare per
svenire e rimase impietrita dal disgusto
a guardare quegli immondi animali che a loro volta la
fissavano con gli
occhietti neri, assai meno impauriti di quanto non fosse lei. Con la
gola
stretta da cui non riusciva a sfuggire nemmeno un grido, finalmente
riuscì a
trovare la forza di muoversi e fu così che come impazzita
scappò da
quell’orrore, via nel cortiletto buio, su per gli scalini,
attraverso il
portoncino aperto, nella strada, correndo come se quelle bestie
schifose la
stessero inseguendo.
Intanto
era calata la
notte all’improvviso e le strade erano buie ed umide. Non
c’era quasi nessuno e
delle poche persone che passavano, strette nei cappotti per ripararsi
dal
freddo ed occupate dai propri casi, nessuna badò
a quella giovane scarmigliata che correva
a perdifiato per la strada di Montesanto.
Non
sapeva nemmeno
dove andare o cosa fare. Si diresse verso la piazza dove
c’era la chiesa in cui
tante volte aveva cercato conforto. Ne trovò i cancelli
chiusi ed allora, in un
moto quasi istintivo, desiderò tornare al Vomero dove
c’era la sua casa.
Entrò
a precipizio
nella funicolare. Per fortuna si accorse di aver gettato nella tasca
della
gonna i suoi pochi soldi. Ne prese quelli necessari per pagarsi la
corsa, fece il
biglietto e poi salì
in un convoglio vuoto. Cadde a sedere su un sedile di legno
ed appoggiò la testa ad un finestrino chiudendo gli occhi
perché le girava
assai la testa.
Restò
così fino a
quando il trenino non partì e solo allora li
riaprì per guardarsi
intorno. Era sola nello
scompartimento ma in quello più
su
c’erano due
vecchi ed una donna con un
bambino. Ad un tratto il cuore le balzò nel petto
perché, ritto in piedi, vide
Christopher che la fissava.
Restò
a guardarlo come
ipnotizzata e nonostante l’emozione, ne notò la
bella figura messa in risalto dall’elegante
cappotto nero e dal berretto di pelliccia calzato sui capelli color del
rame. I
suoi occhi che non smettevano un istante di fissarla, brillavano come
due gemme
azzurre mentre la barba corta e rossiccia gettava un’ombra di
dolcezza sul
volto dai lineamenti regolari.
Anche
ora, nel
vederlo, uno struggimento improvviso le attanagliò le
viscere, insieme alla
voglia di gettarsi tra quelle braccia forti ed in esse trovare
finalmente rifugio.
Per
tutta la durata
del viaggio non smisero un istante di guardarsi.
Quando
il treno arrivò,
Christopher si avviò all’uscita senza voltarsi
indietro. Maria
rimase un istante incerta sul da farsi.
Doveva tornare indietro nella stanzetta umida e buia vincendo la paura
ed il
ribrezzo o seguire quello strano istinto che l’aveva portata
sin lassù? Non
sapeva dove andare o cosa fare ma ugualmente uscì nella
notte fredda,
stringendosi nello scialletto per ripararsi dal vento. Nel silenzio
sentiva
solo il rumore dei suoi passi sull’acciottolato viscido di
umidità ed a poco a
poco avvertiva spegnersi sempre più la piccola luce che pure
tanto l’aveva
confortata quel pomeriggio stesso. Era sola, sola e disperata e
Christopher,
che pur l’aveva ben veduta,
se n’ era
andato perché non gli interessava più,
perché per lui non era niente, non lo
era mai stata.
Nonostante
tutto, si
diresse verso quella che era stata la sua casa, senza neanche un
perché, forse
solo per vedere ancora una volta il luogo che era stato il caldo nido
che un
giorno l’aveva tenuta al riparo dal freddo e dalla notte.
Girò l’angolo e quasi
si scontrò con Riddell che l’aspettava proprio
sotto un lampione a gas che
illuminava la strada.
-
Stai venendo a casa?
– le chiese con la voce vellutata, guardandola intensamente.
Lei
non rispose.
-
Vieni – la invitò
con dolcezza – è troppo tardi per stare per strada
ed incomincia anche a
piovere, non vedi?
Maria
lo seguì come in
sogno. Si sentiva stordita e quando lo vide prendere le chiavi dal
panciotto,
si fermò un momento e mormorò:
-
Chris, io, io …
volevo dirti dove sono stata tutto questo tempo …
L’uomo
si voltò a
guardarla e controllando le emozioni, le disse:
-
Non importa, ora sei
qui.
Non
le rivelò che
sapeva cosa aveva fatto in quel periodo quasi in ogni istante
né le disse
quanto avesse sofferto per la sua lontananza, solo la prese
delicatamente per
un gomito e la condusse dentro.
-
Non c’è nessuno
della servitù stasera perché è sabato.
Già, che stupido – aggiunse sorridendo –
lo dico a te quando sei stata tu stessa a concordare con loro il giorno
di
libertà!
Maria
si sentiva
stordita, quella era la sua casa, le cose familiari, ma non riusciva a
liberarsi dalla sensazione di star sognando. Eppure, entrando nel
salotto
accogliente dove nel camino bruciava un fuoco ristoratore, ebbe
l’assurdo
pensiero che non di un sogno si trattasse, ma del risveglio da un
incubo
orrendo.
Allungò
verso la
fiamma le mani
gelate per riscaldarsi intanto
che Christopher si toglieva il soprabito ed il berretto.
-
Vieni, mangia
qualcosa – la esortò avvicinandosi al tavolo e
sollevando il coprivivande
d’argento per mostrarle i cibi apparecchiati.
-
E tu? - obiettò lei
avvicinandosi un po’ esitante.
-
Io non ne ho voglia,
prenderò solo un po’ di vino.
La
ragazza si rese
conto di star morendo di fame e d’altronde la ricchezza delle
stoviglie di
porcellana, lo scintillio del cristallo dei bicchieri e le succulente
portate a
sua disposizione erano davvero irresistibili. Prese un po’ di
roast-beef e
delle patate e bevve qualche sorso di vino che l’uomo le
aveva versato.
Dopo
poco il rossore
cominciò a colorarle le guance e si sentì molto
meglio anche se non aveva ancora
il coraggio di parlare.
Lo
fece Christopher
per dirle con la voce suadente:
-
Non ho fatto toccare
nulla nella tua stanza, è esattamente come l’hai
lasciata.
-
Quando sei partito,
credevo che tu non mi volessi più … -
mormorò lei.
-
Sei stata tu ad
andartene, io non ti ho mai mandato via – le rispose,
guardandola con due occhi
che sembravano bucarle l’anima.
Maria
si sentiva
davvero sconvolta. Non poteva far finta di nulla. Tutto quello che
aveva patito
in quei mesi, tutte
le miserie, le
umiliazioni, la fatica, dovevano avere una spiegazione, non potevano
apparire
solo come un capriccio inutile. Si alzò da tavola e si
avvicinò di nuovo al
camino. Si sentiva le gambe tremare e così si
accoccolò sul tappeto persiano,
vicinissima alla fiamma, stringendosi le ginocchia al petto e senza
parlare.
Stranamente
Christopher
la imitò: dopo essersi tolto la giacca e la cravatta, in
maniche di camicia, le
si sedette accanto per terra e si mise anche lui ad osservare la fiamma
senza
dir nulla.
La ragazza restò
qualche attimo a riflettere,
poi parlò, con un filo di voce.
-
Avevi ragione tu –
gli disse – avevi ragione su tutto. Mi sono lasciata
condizionare
dall’educazione che ho ricevuto e dalle convenzioni sociali
ed ho pensato che
senza amore non fosse possibile instaurare nessun legame valido tra di
noi. Mi
sbagliavo invece ed anche se non ci amiamo, anzi, forse proprio
perché non ci
amiamo, possiamo avere un rapporto che, come dici tu, non sia una
parodia del
peggiore matrimonio, ma qualcosa che entrambi vogliamo in piena
consapevolezza.
Non c’è bisogno d’amarsi o di essere
sposati per avere quello che si desidera,
ora ne sono convinta.
Christopher
si sentì
amareggiato. Proprio ora che aveva preso consapevolezza del tenero
sentimento
che gli era nato dentro, Maria ammetteva finalmente di non amarlo. Rise
piuttosto crucciato e diventò cattivo per la delusione.
-
Ma ci sei arrivata
troppo tardi, mia cara! Stasera ti ho raccolto come si fa con un micino
infreddolito ma non è detto che possa avere ancora interesse
per te, non vedi
come sei diventata? Che cosa mi dai che non potrebbe darmi chiunque
altra?
Voleva
ferirla, ma
questa volta la donna non era disposta a rinunciare per orgoglio a
qualcosa che
desiderava molto. Gli si avvicinò e lo abbracciò.
-
Mi piace il
paragone: un micino infreddolito! – scherzò e poi,
carezzandogli il viso, lo
costrinse a guardarla.
-
Ebbene – continuò –
con un po’ di cure ed un po’ di buona pappa, questa
micina infreddolita potrà
ritornare ad essere di nuovo una splendida gatta che ti farà
una meravigliosa
compagnia!
Piano,
con sensualità,
gli baciò il collo, laddove la camicia aperta gli lasciava
scoperta la pelle
delicata.
-
E poi perché si
tiene un gatto? Perché è bello, perché
si può accarezzare, perché non si può
fare a meno di vederselo intorno – gli sussurrò
mentre con la mano infilata
nella camicia gli carezzava il petto ed il ventre.
Christopher
sentì
esplodere il desiderio. Carezzandola, la fece distendere sul tappeto e
cominciò
a baciarla. Ben presto le aprì i bottoni della camicetta e
gliela fece sfilare.
Sotto Maria non indossava fine biancheria di seta ma solo un leggero
corpetto
di cotone che si lacerò quando provò a scostarlo.
Le vide il seno, sodo e
grosso, sempre bellissimo e vi affondò il viso, godendo
della sua morbidezza di
seta. Gemendo, lei lo lasciò fare cercandogli a sua volta la
bocca senza
saziarsi dei baci. Ancora mezzo vestiti, si amarono quasi con furia,
consumando
un rapporto breve ma intensissimo.
Subito
dopo,
Christopher si rialzò, risistemandosi i pantaloni. Ancora a
torso nudo si
avvicinò al camino ed appoggiandosi ad esso con un braccio,
si rimise a
guardare in silenzio la fiamma.
Anche
Maria si sollevò
e gli venne accanto. Cingendolo tra le braccia, cominciò a
baciargli la pelle
morbida delle spalle con una tale sensualità da farlo
rabbrividire. Allora si
voltò a guardarla e vide quanto era bella: il seno che
sbucava dal corpetto
rotto, il
biancheggiare delle cosce
tornite laddove finivano le lunghe calze nere, il ventre sodo ed il
triangolino
nero del pube a malapena nascosti da quello che restava di una corta
gonnella
di cotone mezza strappata.
La
voglia di averla lo
sconvolgeva e divenne ancora più forte quando le
guardò gli occhi neri che brillavano
foschi.
-
Allora, milord, hai
deciso di tenertela questa gattina? – gli domandò
cercandogli ancora le labbra
e solo dopo avergliele mordicchiate un po’ ed avergli fatto
sentire ancora il
sapore dei suoi baci, continuò a mormorargli – Se
lo farai, ti prometto che non
ci saranno più lacrime né recriminazioni, che non
mi vergognerò più di non
essere tua moglie, che ti sarò fedele e che starò
con te fino a quando non ti
sarai stancato di me o perlomeno fino a quando mi converrà
farlo.
Nel
vederlo corrugare
la fronte stupito, rise gettando il capo all’indietro, poi
gli prese il viso
tra le mani guardandolo fisso negli occhi chiari che brillavano alla
luce della
fiamma.
-
Non era questo che volevi?
Ebbene, avevi ragione: probabilmente è l’unico
modo per possedere un gatto o
una donna.
Christopher
non disse
più nulla, la prese in braccio e si avviò su per
le scale fino alla camera di
lei dove la gettò sul letto con la voglia di amarla fino a sentirsene
esausto.
Maria
sussultò
svegliandosi perché cominciava già ad albeggiare
ma poi si ricordò dov’era ed
una grande contentezza la riempì al pensiero di non doversi
più gettare dal
letto per correre a lavoro. Pigramente si girò cercando
Christopher ma si
avvide che non era accanto a lei. Non ricordava quando se ne fosse
andato forse
perché, stanca per le intense
emozioni
della giornata e per aver fatto tanto a
lungo all’amore, doveva essere caduta addormentata nella
rassicurante stretta
delle sue braccia. Si accoccolò ancora tra le lenzuola
ricamate beandosi del
tepore delle coperte ma non prese di nuovo sonno perché il
ricordo della sera
precedente ancora le appariva come uno strano sogno. Nonostante
Christopher
l’avesse accolta e dato riparo proprio come si fa con un
gattino sperduto,
c’era stato un momento in cui aveva temuto che non la volesse
più e forse
proprio una tale paura l’aveva
spinta a
tenere un comportamento tanto audace.
Ora
si rimproverava di avergli mentito sui suoi sentimenti. Come poteva
sperare di
avere rispetto se lei per prima non ne aveva di sé? Il
terrore di perderlo
l’aveva spinta ad offrirsi a lui
accettando
di diventare né più né meno che un
animaletto domestico con il quale potersi trastullare senza nessun
coinvolgimento affettivo. Non era questo che voleva però,
lei voleva essere
amata, voleva diventare una vera compagna, la madre dei suoi figli, una
donna
con la quale condividere l’esistenza intera.
All’incirca
alle otto,
entrò nel salotto per vedere se lui si fosse già
alzato. Sebbene avesse ancora
i capelli sciolti perché aveva mandato a chiamare una
pettinatrice per farseli
acconciare ad arte, era elegantissima con addosso una veste da camera
di raso bianco.
Christopher
non c’era
ma in compenso entrò il maggiordomo il quale la
guardò senza
riuscire a trattenere un certo stupore
nel vederla di nuovo lì.
-
Buongiorno Anthony –
lo salutò e l’altro, ripreso il controllo, le
rispose molto compitamente
abbassando il capo in cenno di saluto.
-
La colazione è
pronta nella sala da pranzo – le annunciò come se
niente fosse.
-
Perché nella sala e
non qui?
-
Poiché la stanza da
pranzo è più vicina alla cucina ed essendo
più comodo per la servitù, il
padrone aveva preso l’abitudine di consumare lì i
suoi pasti in questo periodo
in cui è stato da solo – le spiegò.
-
Eppure ieri sera era
apparecchiato qui, accanto al camino.
-
È stato lui a
chiederlo espressamente prima di uscire. Comunque, se lo preferite,
darò ordine
alla cameriera di preparare sul tavolo in salotto come avveniva prima.
-
Sì, grazie.
-
Di nulla.
Come
se un pensiero lo
avesse colto all’improvviso, Anthony le disse:
–
Sono arrivate due
lettere di Roberto. Adesso ve le porto, signora.
Maria
si sentì un poco
a disagio per quel termine “signora” al posto
dell’abituale “signorina” che
l’uomo aveva sempre usato con lei. Le parve anche di cogliere
un lieve tono di
biasimo nella sua voce ed in effetti, dopo l’aiuto e
l’affettuosa complicità
che le aveva dato in quell’ultimo periodo, forse lui
disapprovava il suo
improvviso ritorno in una casa da cui era fuggita solo qualche mese
prima. Una
giustificazione doveva dargliela, non poteva far finta che non fosse
accaduto
nulla.
-
Non ce l’ho fatta,
Anthony, era troppo dura! – mormorò con gli occhi
bassi – Mi dispiace …
-
La signora non mi
deve nessuna spiegazione – replicò
l’altro.
-
Spiegazione di cosa?
– chiese Christopher che in quel momento entrava in salotto
ma che aveva udito benissimo
le loro ultime frasi.
Il
maggiordomo restò
un attimo interdetto invece Maria fu pronta a trovare una scusa.
-
Nulla, gli dicevo
che preferisco mangiare
qui in salotto.
A te non dispiace vero?
Il
giovane sorrise,
colpito dalla disinvoltura con la quale la donna era stata pronta a
mentirgli,
ma oramai era troppo preso da lei per sentirsene irritato.
-
Figurati, sei la padrona!
– le rispose andandosi a sedere allo scrittoio.
-
Bene, allora faccio
servire la colazione qui – disse il maggiordomo. Si
chinò davanti al camino per
raccattare da terra
i vestiti di Maria
che erano rimasti lì dimenticati dalla sera prima
– E di questi che ne faccio?
– domandò rivolto alla padrona.
La
ragazza arrossì ma ordinò
con decisione:
-
Bruciateli!
L’uomo
assentì con il
capo e se ne stava andando quando, mettendo una mano nella tasca della
gonna,
trovò il denaro che lei vi aveva ficcato prima di scappare.
-
Qui ci sono dei
soldi – le disse porgendoglieli.
Erano
solo poche lire
ma fino al giorno prima per lei, povera e desolata, erano state un
piccolo
capitale. Le venne un’idea.
-
Aspettate! – gli
disse – Dovete farmi un favore: far recapitare una cosa per
mio conto.
Si
avvicinò anche lei
allo scrittoio e chiedendo permesso a Christopher, lo fece scostare un
poco,
gli prese la penna dalle mani e su di una busta scrisse un nome
dopodiché prese
un foglio e si mise a scrivere qualcosa.
Lui
rimase a guardarla
dubbioso poi prese la busta e lesse ad alta voce:
“Signor
Gennaro
Abbate, Vico Tre Re a Toledo, di fronte alla Chiesa di Santa
Francesca” . Chi è
costui? – domandò incapace di resistere alla
curiosità tanto più che quel nome
non era mai comparso in nessuno dei pur dettagliati rapporti di
Pasquale Russo.
Per
tutta risposta
Maria sorrise e prendendogli la busta dalle mani,
vi infilò il foglio sul quale aveva scritto
poche righe. Ci mise dentro anche il denaro e la consegnò ad
Anthony; solo
quando quest’ultimo se ne fu andato e
furono soli, guardò il suo uomo che era rimasto ad
osservarla con la fronte
corrugata dal dubbio.
-
È una brava persona
che mi ha pagato un biglietto … – gli
spiegò – …
un biglietto per la vita – aggiunse pensierosa
dopodiché gli prese il viso tra le
mani e gli posò dei tenerissimi baci sulla fronte, sul naso,
sulle guance.
Allora
Christopher la
strinse forte a sé e le cercò la bocca che
baciò, trovandola più dolce del
miele.
********************
Con
questo capitolo, nel quale
Christopher e Maria tornano a vivere insieme, la storia potrebbe anche
essersi conclusa. Ma
in questo modo cose fondamentali
non sarebbero approfondite: l’attaccamento di Maria
all’uomo è dettato dal suo
bisogno di continuare la vita agiata che ha sempre vissuto o
è quello di una
donna che per amore è disposta a rinunciare anche ai suoi
principi? E
Christopher è davvero arido e freddo e sfrutta il bisogno di
una povera giovane
per il suo piacere personale o la diffidenza che prova nasce da
qualcosa di più
profondo?
Nella vita reale le persone non sono mai del tutto buone o cattive. In
ognuno
convivono luci ed ombre. Solo l’amore ci consente di
accettare chi ci sta
accanto non solo per i suoi pregi ma anche con i suoi difetti e la vita
poi è un
banco di prova dove bisogna
misurarsi ogni giorno.
Ecco perché ho voluto proseguire la storia. Chi
continuerà a leggerla, oltre a seguirne le vicende, forse coglierà
qualcosa di più della
psicologia dei miei personaggi e, spero, li sentirà vivi e
reali come li ho
sentiti io.
Speriamo che siate in tanti!
Con l’occasione desidero
ringraziare Sherezade
che mi ha spinto a pubblicare le “fantasie scritte”
che tanto mi hanno
aiutata a superare momenti
assai tristi,
la mia nuova lettrice Sara che sin dal primo capitolo mi sta seguendo e
incoraggiando e
naturalmente anche Faith
e tutte le altre amiche del forum nonché la cara Nicoletta
perché so che mi
stanno supportando (e sopportando!) in questa mia nuova esibizione da
scrittrice dilettante.
Come
mi ha fatto notare Sara, ho tralasciato di mettere la
traduzione di alcune frasi scritte in napoletano per dare una nota di
colore.
Non sono molte perché ho cercato di far parlare anche i
personaggi del popolo
in italiano anche se in modo piuttosto dialettale. Ad ogni buon conto
la
traduzione è, nell’ordine, la seguente:
Piccola
– la chiamò – che hai?
Fuori,
fuori, vattene e portati via anche questa poco di
buono.
Certamente,
e chi ci rimane qui! Vergognatevi!