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Autore: Sissy77    08/08/2016    0 recensioni
Questa è una storia.
Quando è iniziata?
Molto tempo fa.
Potrebbe essere una di quelle storie che iniziano con:C’era una volta…., ma non è una di quelle storie: è la mia storia.
Mi chiamo Eva: Eva Cudicini.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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La vita alla Garbatella scorreva veloce.
Eva e Marta vivevano ancora nella grande casa Cesaroni.
Avevano rimodernato la soffitta togliendo il grigio dalle pareti.
Sia madre che figlia dipingendo con i nuovi colori si erano chieste come avesse fatto Marco a dormire, a sognare, ad amare circondato da tutto quel grigiore.
Unite dallo stesso pensiero si erano guardate negli occhi e capite all’istante. Marta dando voce ai propri pensieri chiese alla madre se ancora ora il padre fosse circondato da tanta tristezza.
Eva non seppe cosa risponderle  se non uno sterile: speriamo di no…
Ogni tanto da quella soffitta Eva sgattaiolava sul tetto rimanendo ad osservare il quartiere dall’alto.
Amava soprattutto farlo nelle ore del tramonto.
La luce del sole che moriva sfumata dalle tenebre che avanzavano la ipnotizzava. Le sembrava che in quelle ore il cielo sapesse esattamente cosa lei provasse nel profondo del suo animo.
Aveva avuto la luce dentro di lei, ma ora vedeva solo buio.
 
Tutta la famiglia le era stata vicina: anche Giulio.
Quando lui l’abbracciava, quando lui le sorrideva o le cedeva l’ultima brioche portata da zio Cesare, ma soprattutto quando lui si comportava come il padre che aveva imparato a conoscere in quegli anni, lei si sentiva in colpa.
Giulio non era stupido, aveva intuito con il cuore di padre, che qualcosa turbava quella giovane donna divenuta parte della sua famiglia.
Un giorno in giardino, dopo la solita grigliata organizzata da Cesare ed Ezio, dopo i soliti battibecchi tra i due voluti fortemente da Marta, Giulio si era avvicinato alla ragazza e le aveva chiesto cosa la turbasse.
Una Eva tentennante,  guardando quel padre che doveva dividersi tra l’amore per il proprio figlio e l’affetto sincero che provava per quella figlia caduta dal cielo, gli chiese scusa.
Scusa per aver fatto soffrire il figlio l’anno prima cacciandolo da Parigi,
scusa per aver cercato di mettersi in mezzo alla felicità che finalmente con Maya pareva aver trovato e scusa per essere piombata nuovamente dal cielo a stravolgere la vita famigliare dei Cesaroni.
 
Giulio la fece parlare.
Avrebbe voluto interromperla al primo scusa, ma cuore di padre aveva intuito che quella giovane donna, che per lui sarebbe sempre rimasta ragazzina, aveva bisogno di sfogarsi, bisogno di togliersi quel sassolino dalla scarpa.
 
Eva concluse il suo monologo con un ultimo: Scusa Giulio, scusa davvero.
Una piccola lacrima scivolò dolcemente dai suoi occhi al suo viso.
Giulio guardò quella ragazza e pensò che il figlio aveva davvero perso tanto, ma si augurò che avesse trovato davvero la felicità con Maya.
 
Padre e figlia si abbracciarono.
Rimasero stretti in quell’abbraccio finché  Marta non volle giocare a bocce con il nonno, spiegò ad entrambi che doveva allenarsi per battere i maschi più grandi dell’asilo: facevano troppo i gradassi.
 
Eva li guardò allontanarsi.
Quanto doveva mancare Marco a Marta?
Non avrebbe dovuto essere lui a giocare con la figlia?
A lui bastava davvero sentirla per telefono una volta ogni due- tre giorni?
Con queste domande rientrò in casa dirigendosi in cucina per aiutare Lucia e le altre donne che avevano iniziato a riassettare il gran casino lasciato da Cesare ed Ezio.
  
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