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Autore: shirupandasarunekotenshi    08/08/2016    1 recensioni
"Finché il sole sorgerà e tramonterà,
finché ci saranno il giorno e la notte".
Primavera 1992.
Così poco tempo è passato dalle ultime battaglie. Non sembra mai abbastanza
-
Due divinità si incontrano in un luogo fuori dal tempo, il futuro della terra è incerto. Un'altra dea, per l'ennesima volta, si troverà a dover proteggere questo futuro e giovani guerrieri dovranno di nuovo mettere le proprie vite al servizio di un destino al quale non potranno sottrarsi.
Crossover Saint Seiya e Yoroiden Samurai Troopers
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima di lasciarvi alla lettura, ci siamo rese conto, anche grazie alle osservazioni gentilissime di una nostra lettrice, di dover fare alcune precisazioni soprattutto per quanto riguarda l'universo di Saint Seiya. 
La fanfic è scritta tenendo conto solo della serie classica, non siamo fans delle altre produzioni, quindi troverete riferimenti
solo alla storia che va dall'inizio dell'anime e manga classico fino ad Hades. E, sempre in riferimento al nostro universo, noi abbiamo sempre immaginato che, dopo Hades, anche i gold ritornino in vita, ne abbiamo parlato in altre fic, quindi non stupitevi di incontrare tutti i personaggi classici al santuario, con tanto di Sion come sacerdote.
Qualche precisazione va fatta anche sul nostro modo di concepire l'universo dei samurai e sul nostro modo di interpretare il loro legame: dal nostro punto di vista la loro simbiosi è diventata talmente totalizzante da impedire loro di immaginarsi gli uni senza gli altri e per questo hanno preso la decisione di vivere assieme. Inoltre, anche in riferimento ad altre nostre fanfic, Touma è diventato scrittore, piuttosto precocemente e questo spiega i suoi doveri a Kyoto in questo capitolo :P


 
CAPITOLO 3

 
Quella sera, a Kyoto, l'aria si era raffreddata; Touma sapeva che il vento aveva cambiato direzione, tornando a spirare da est a ovest, dalla zona del Biwa-ko verso il lontano mare. Si chiuse nella giacca, mentre rientrava nel ryokan che il suo agente gli aveva prenotato: si era ritrovato a fare quella strana sessione di autografi, nella grande libreria Marimo vicina all'antico Palazzo Imperiale, non con l'entusiasmo che si sarebbe aspettato da un evento simile.
Forse un mese prima avrebbe accettato senza fare tutte le storie che avevano indispettito la pazienza di Seiji – e un po' quella di Shin. Ma non era stato un capriccio il suo – o così, almeno, pensava. Lasciare casa per quei tre giorni, in quel momento, l'aveva reso inquieto.
Non capiva il perché, né lui era la persona più sensibile a certe sensazioni.
Ma sapeva che se il suo editor non l'avesse obbligato con quel modo di fare quasi dittatoriale, beh, Touma non si sarebbe assolutamente allontanato da Tokyo.
Uno sbuffo di fumo bianco uscì dalle sue labbra, mentre il viso cercava riparo sotto il colletto della giacca fin troppo leggera che si era portato appresso. A fine Marzo non era normale un freddo simile. O forse era lui che era diventato fin troppo freddoloso.
Neppure il ramen divorato dopo l'incontro era riuscito a scaldarlo abbastanza, il freddo si era fatto strada sotto tutte le stoffe.
Non vedeva l'ora di arrivare nella propria stanza, sotto le coperte, e lasciarsi andare al sonno: era tardi, troppo tardi anche per uno Shinkansen, altrimenti sarebbe rientrato a casa, a costo di arrivare nel cuore della notte.
Ma era già nel cuore di quella gelida notte ed era a Kyoto. E il primo Shinkansen sarebbe partito solo al mattino, alle cinque. E Touma non era in grado di infilarsi in un treno a quell'ora, arrivare a Tokyo e scendere alla fermata giusta.
Era certo che avrebbe proseguito per il grande nord.
E chissà quando si sarebbe risvegliato.
Rabbrividì e fece scorrere i fusuma d'entrata del ryokan. Una voce assonnata gli diede il benvenuto mentre lui, rispondendo, si levava in fretta e furia la scarpe da tennis e camminava velocemente verso le scale.
Una volta entrato in camera gettò giacca, pantaloni e felpa a terra e si infilò sotto il futon con l'agilità di un'anguilla in acqua, non certo quella di un panda... in ogni situazione.
Ma il sonno era tanto e Touma aveva voglia di arrivare al giorno dopo velocemente, per tornare alla sua famiglia, a Tokyo. Solo quello.
Si cacciò sotto la coperta fino al naso, affondò il capo nel morbido cuscino e, tempo cinque minuti, si era già addormentato.
Insieme al sonno profondo giunse, inatteso, un sogno.


Fluttuava. Come in ogni suo sogno più bello, fluttuava tra le stelle e le nuvole.
Il vento, leggero, lo cullava in quello che pareva diventare un sonno nel sogno.
Era da Touma sognare di dormire, davvero.
Il cielo stellato era di un blu intenso, morbido, le stelle parevano piccoli lumi caldi, come lucciole su un puro torrente di montagna.
E Touma fluttuava su una piccola nuvola bianca e affondava lo sguardo sulla volta celeste, sospirando, sorridendo e sperando, al contempo, di poter vedere uno dei propri nakama spuntare nel suo sogno, per poter ammirare assieme quel cielo stellato e non rimanere solo, nemmeno in un sogno.
Poi, d'un tratto, il cielo tremò, le stelle cominciarono a palpitare, come le luci intermittenti di un immenso albero di Natale.
Si mise a sedere sulla nuvola, in guardia, in attesa di uno stravolgimento del suo dolce e morbido sogno.
Avrebbe dovuto aspettarsi di nuovo quell'oscurità che lo ghermiva, soffocandolo fino a risvegliarsi?
Oppure si sarebbe ritrovato in quello spazio bianco privo di suoni, ove nessuno riusciva ad entrare o lui... uscire?
Che doveva aspettarsi dopo un simile inizio?
Il tremore del cielo si fece rombo, troppo uguale ad un tuono e, allora, gli occhi di Touma si spalancarono nella gioia più pura, il suo corpo si allungò oltre la nuvola, nella direzione del fragore.
E vide il drago.
Anche senza stelle le sue nobili scaglie rilucevano di quel nobile color smeraldo che catturava da sempre gli occhi di Touma. Per lui il verde non era solo colore di speranza, ma anche di ammirazione, bellezza...
L'amore era, invece, legato al violetto. Il colore dei suoi occhi.
Ah, i suoi occhi, i suoi incredibili, perfetti, unici occhi...
Neri?!
Il drago si era voltato verso di lui, la criniera bluastra era scivolata appena sui grandi occhi del grande animale, ma a guardarlo non si trattava di due occhi violetti.
Erano molto, molto più scuri.
E il drago, ora, non solo lo stava guardando.
Si stava avvicinando alla sua nuvola.
Touma non poté impedirsi di indietreggiare davanti a quell'ospite sconosciuto che, con aria fiera, molto simile a quella che Seiji-drago mostrava, mista a curiosità poco contenuta, avanzava lento e sinuoso.
Touma notò la zampa anteriore levata a protezione del petto, gli occhi scuri cerchiati da piccole ma profonde ferite, come se un nemico avesse tentato più volte di accecarlo.
Chi sei?” chiese Touma, socchiudendo gli occhi, come se cercasse di scavare dentro quel corpo sconosciuto e immenso.
Chi sei?” gli rispose la voce profonda e vibrante del drago.
Non devi rispondermi con una domanda... sei tu nel mio sogno!” lamentò il ragazzo incrociando le braccia.
Gli occhi scuri del drago si socchiusero, sembrò sorridere al ragazzo, mentre si avvicinava ancora e ancora...


E Touma si svegliò.
All'improvviso, nel modo che proprio non sopportava, perché il sonno se ne andava tutto in un attimo, facendogli smarrire il dolce momento che dal sonno profondo lo trasportava a un risveglio morbido.
Si portò una mano ai capelli arruffati e li arruffò ulteriormente, mentre gli occhi scrutavano l'alba che colorava l'intero cielo, fuori dalla finestra della camera del ryokan.
“Che strano sogno...” mugugnò tra sé. “Sognare un drago che non è Seiji... se non fosse stato solo un drago, l'avrei preso per un atto di tradimento nei suoi confronti”.
Si alzò, stiracchiandosi, e pensò con un ghigno che avrebbe sorpreso i propri nakama tornando a casa in un orario fin troppo strano per lui.
Shin avrebbe subito pensato che non era nemmeno andato a dormire, Shu e Ryo avrebbero gridato al miracolo.
E Seiji?
Beh, se avesse commentato in maniera poco carina, gli avrebbe raccontato quello strano sogno, accusando lui e tutta la razza dei draghi di disturbo alla quiete pubblica!


 
***


Il cielo di Tokyo era diverso da quello di Goro-Ho: Shiryu sapeva che non si sarebbe mai abituato del tutto a quelle stelle opache, inquinate dalle luci artificiali della metropoli.
La nostalgia per le sue montagne selvagge si faceva a tratti struggente eppure, al tempo stesso, aveva bisogno di rimanere lì, in quella villa alla periferia di Tokyo.
Dall'esperienza nell'Ade, quando tutti loro si erano convinti che non sarebbero mai più tornati al mondo della luce, da quando i suoi occhi che potevano di nuovo vedere si erano fissati sul petto di Seiya trafitto dalla spada del dio degli Inferi, il senso di appartenenza con quei ragazzi si era accentuato a tal punto che la sola idea di allontanarsi da loro avrebbe causato, in lui, una rottura insanabile.
Forse perché erano stati tutti così prossimi a perdersi, forse perché avevano condiviso imprese che nessuno, al di fuori di loro, avrebbe potuto comprendere. Forse perché la dea per la quale avevano rischiato e, in un certo senso, dato la vita, era lì e loro cinque, quali guardie del corpo, non si sentivano in pace se non potevano rimanere al suo fianco.
Forse, dopotutto, era la paura incancellabile che ancora qualcosa potesse accadere che li rendeva tanto bisognosi di essere lì, per non venire colti alla sprovvista da sorprese sgradite. Certo, era segno che le loro menti davvero in pace non lo erano mai e non avrebbero mai potuto esserlo.
Negli anni trascorsi a Goro-Ho, Shiryu passava notti intere a contemplare il cielo stellato; era comune a tutti loro, in realtà, cercare una comunione sempre più profonda con gli astri e con le proprie costellazioni; costituiva parte integrante della preparazione spirituale dei santi di Athena. Ma per Shiryu non era solo un dovere: era diventata una pratica fondamentale per conquistare la serenità interiore, quanto meno un equilibrio che si mantenesse costante, giorno dopo giorno. La simbiosi con il drago celeste e con le altre stelle era per lui fonte di salvezza morale, necessaria per non impazzire nel corso di un'esistenza che, da lui e dal suo spirito di sacrificio, aveva sempre preteso troppo.
Gli mancavano terribilmente le notti passate in quel remoto angolo di Cina, dove le presenze umane si limitavano a lui, a Shunrey e al maestro, dove nessun altro piede di uomo si era mai avventurato. Era un luogo ancora incontaminato e puro, nel quale i ritmi della natura guidavano l'esistenza quotidiana ed era ancora possibile contemplare l'universo in tutta la sua immutata perfezione.
A Tokyo non era possibile, neanche a Villa Kido che si trovava all'esterno della metropoli; il cielo ne era comunque condizionato, le stelle erano pallide e distanti.
Allora desiderava almeno essere più vicino alle stelle e, al tempo stesso, sentirsi in alto, al di sopra della terra, così come si sentiva sulle vette maestose di Goro-Ho; aveva preso un'abitudine, appena scendeva la notte, quando a Villa Kido ogni luce artificiale si spegneva e ogni voce umana si faceva silenziosa.
Sgattaiolava fuori dalla sua stanza e, di balzo in balzo, raggiungeva la sommità dell'edificio, acquattandosi più comodo che poteva sui mattoni del tetto, il naso e gli occhi rivolti al cielo, e si concentrava per superare le impurità che il cielo cittadino conferiva agli astri e recuperare la loro essenza in tutta la sua completezza.
Si sdraiava, incurante della pendenza che sarebbe stata pericolosa per chiunque; lui era abituato a ben altre altezze, a ben altri luoghi impervi.
Dal tetto di Villa Kido la visuale delle stelle non era certo tanto più limpida che dal basso, ma era meglio di niente e Shiryu restava lì per ore, finché il sonno lo coglieva e lo costringeva a strisciare, attraverso il balcone, nella propria stanza, per infilarsi sotto le coperte.
Quella notte, tuttavia, non sapeva decidersi. Gli occhi gli si chiudevano, le palpebre si facevano sempre più pesanti, ma lui non voleva distogliere lo sguardo dal cielo; le stelle del drago erano come magneti per i suoi occhi e per il suo spirito, pulsavano, persino nella notte offuscata.
Palpitavano, sincronizzandosi alla perfezione con i battiti del suo cuore.
Il drago prendeva vita e lui scivolava, lentamente, nel sonno.


Il drago, sua essenza e spirito guida, l'accolse dentro di sé, rendendo la simbiosi così completa che il ragazzo si sentì fluttuare, leggero, verso la volta notturna ammantata di stelle. Non sapeva cosa stesse accadendo e non gli importava in quel momento: era bello lasciare il mondo moderno degli uomini sotto di sé, sempre più distante, e conquistare quegli spazi infiniti.
Non era la prima volta: il drago di smeraldo, nella sua pienezza, l'aveva già condotto oltre l'impensabile, al di là della vita, alla quale per miracolo era tornato... per miracolo e grazie all'estrema redenzione del Gold Saint del Capricorno.
Era diverso, tuttavia: in quella precedente occasione i conflitti, le preoccupazioni per i nakama e per Athena avevano reso angosciante l'ascesa attraverso il cielo.
Adesso, invece, c'era pace in lui: il drago, suo celeste alter-ego, l'aveva accolto in sé per metterlo in contatto con la bellezza dell'universo, perché finalmente potesse goderla appieno.
Adesso sì che vedeva bene le stelle, così luminose, tanto vicine da poterle toccare, se non fisicamente, con l'anima da esse ora totalmente sommersa.
Era un drago, più che mai; cercò di guardare dietro di sé e scorse la scia delle sue spire che spiccavano, sinuose, nella notte: le scaglie smeraldine lucide, accese e brillanti esse stesse come le stelle più luminose della sua costellazione guida.
Sto andando lassù, dal drago che giace da millenni nel cielo?” si chiese.
Riportò lo sguardo davanti a sé e vide la stella cadente; era veloce e veniva verso di lui, ma non si spaventò. Non era da lui spaventarsi per un pericolo, certo, ne aveva passate tante.
Tuttavia non provò neanche quel fremito di preoccupazione che la prudenza e la consapevolezza di una minaccia avrebbero procurato.
La verità era che non percepiva alcuna minaccia, niente stava per fargli del male.
Continuò a pensarlo anche quando i contorni della stella assunsero una forma sempre più simile a quella di una freccia... una freccia scagliata per mano di un arciere, da una dimensione distante? Era una freccia, ma era anche stella, perché le stelle la forgiavano; come esse era splendente, così splendente che il drago Shiryu dovette, a un certo punto, chiudere gli occhi, per non venirne abbagliato.
Persino attraverso le palpebre serrate quel bagliore, ora così vicino che lui si sentì bruciare, ferì dolorosamente i suoi occhi, già martoriati dalle passate battaglie.
Ancora, nonostante tutto, non si ritenne in pericolo e non provò a spostarsi, nemmeno quando sentì la punta della freccia scalfire il petto e penetrare in profondità, fino a scomparire dentro di sé. Non si ritenne in pericolo neanche quando il dolore esplose, strappandogli un ruggito di agonia che, tuttavia, conteneva in sé una gioia mai conosciuta prima.
Il suo cuore colpito stava sbocciando verso una nuova consapevolezza, in un contrasto di sensazioni così intense da farlo impazzire di aspettativa e timore.


Aprì gli occhi mentre un grido strozzato gli usciva dalla gola.
Il brusco risveglio, unito alla posizione precaria, rischiò di farlo precipitare dal tetto della villa e solo i suoi riflessi pronti lo salvarono da quella che sarebbe stata una rovinosa caduta. Si mise seduto, tentando di dominare il proprio respiro.
Non era tipo da lasciarsi impressionare da un sogno, ma quel sogno non sembrava affatto tale; la freccia l'aveva sentita così viva, bruciante che...
Con un'esclamazione di dolore si portò una mano al petto: anche l'indolenzimento che sentiva era fin troppo reale, ma non si trattava di puro dolore fisico.
Era uno scombussolamento che pizzicava lo spirito e Shiryu non capiva, proprio come nel sogno, cosa significasse quel rincorrersi insensato di euforia e paura.
Lui sapeva cos'era la paura, aveva imparato a dominarla, non era spaventato dalla paura, la accoglieva e la controllava.
Ma quella paura era diversa, era simile ad un salto nel vuoto mentale che generava stupore, curiosità: per Shiryu non era semplice accettare qualcosa che non riusciva affatto a comprendere.
  
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