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Autore: Relie Diadamat    13/08/2016    4 recensioni
Merlin, ventenne suonato, si ritrova costretto a lavorare al fianco del suo inseparabile Asino, nel bar aperto da quest'ultimo. Con loro c'è Freya, la dolce ed ingenua fidanzata di Merlin, che Arthur detesta.
Tutto cambia un giorno, quando il giovane Pendragon rivela ai suoi colleghi un cambio di programma.
*
[Dal Cap. 1]
«Non saremo i soli a gestire il bar.» continuò Arthur, serrando lievemente la mascella, evidentemente quella non era stata una scelta del tutto condivisa dal biondino «Mia sorella Morgana ed il suo fidanzato Mordred saranno dei nostri.»
Il cervello del corvino si resettò in un lampo.

*
[Cap. 6]
«Io non voglio condividere proprio niente con te, Aridian.» sibilò, serrando lo sguardo.
«Strano…» Unì tra loro le mani, aggrottando la fronte «La droga la dividevi volentieri.»

*
[Cap. 13]
«Quella stronzata che sono attratto dal tuo ragazzo. Come ti è venuta in mente una cosa simile?»
«Perché io ti ho visto, Arthur. Ho visto cosa diventano i tuoi occhi quando lo guardi».

*
[Cap 11]
«Io ti avrei amata per sempre».
*
*
[Freya/Merlin/Arthur] [Mordred/Morgana/Merlin] [Freya/Merlin/Morgana] [Merlin/Arthur/Mithian] [Elyan/Mithian/Arthur] [Kara/Mordred/Morgana] [Freya/Gwaine]
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Freya, Merlino, Morgana, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù, Merlino/Morgana
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Nda: Buon salve a tutti! (...Sempre se qualcuno ci sia ancora).
Non aggiorno da mesi, ma per farmi perdonare posso garantirvi che questo è un capitolo lungo tanto da saziarvi abbastanza. Vi ho inserito due soundtrack che spero ascolterete, magari accompagnate alla lettura.
Cosa troverete in questo capitolo?
MERTHUR, ancora one-sided, ma abbiate pazienza. 
Mergana, of course. Un po' doloroso, ma a noi piace lo stesso anche così, no?
Un Gwaine in versione Barney Stinson in compagnia della sua adorata Hartie e... Una Gwen un po' pressante.
Mi auguro che apprezziate il ritorno di Pendragon's. Stavolta non ci saranno riferimenti ad Igraine perché le sarà dedicato un capitolo a parte (il 22esimo).
Il simbolo (*) indica un distacco temporale netto, in questo caso il giorno seguente.
Ringrazio tutte le persone che hanno aggiunto la storia nelle preferite/ricordate/seguite, so che ci siete e questo mi riempe il cuore. Un grazie a coloro che leggono in silenzio e a coloro che hanno recensito i capitoli precedenti. Siete delle persone dolcissime.
Vi lascio, finalmente, a questo capitolo.
Aspetto i vostri pareri.
Buona, spero, lettura!
 
XX.  Quando brucia più dell’alcool nella gola.
 Soundtrack: Walking Blind
                 Battlefield

 
Don't tell me the truth 
tell me that it didn't happen 
there's been a mistake 
there's been a misunderstanding 

 - Aidan Hawken





«Ho fatto una scelta», ripeté. «E vorrei che tu fossi dalla mia parte».
Gwen abbassò il braccio accanto al fianco, accompagnata dal tintinnare delle chiavi che aveva tra le mani, lo sguardo fisso sugli occhi smarriti dell’amica.
«Puoi farlo, Gwen?» La voce di Morgana scivolava sul suolo sporco, per poi aggrapparsi ai jeans scoloriti della mulatta, scalando il suo corpo fino a gettarsi nel suo petto. «Puoi farlo per me?»
Gwen ricordava bene cosa era successo.
Ricordava le parole che si erano dette, i litigi e le incomprensioni; in quel momento, però, dinanzi a lei c’era la sua migliore amica col mento tremante e gli occhi lucidi, che non le chiedeva nient’altro se non il suo aiuto.
Ginevra compresse le labbra sottili in una smorfia dolce, la stessa che riservava sempre a un cucciolo solo e affranto, quella che indossava tutte le volte che provava a convincere la sua amica ad ospitare un randagio nella villa Pendragon.
Prese posto accanto a lei, avvolgendola in un abbraccio pieno d’affetto. La sentì tirare su col naso due volte.
«Entriamo in casa».
Gwen le accarezzò i capelli, tenendola stretta.
 
1 giorno prima…
 



La pioggia picchiettava sui vetri lisci e trasparenti dell’ospedale, scendendo incostante dal cielo scuro e cupo di quella mattinata di Giugno.
Il Kilgharrah’s Hospital non si era mai addormentato. Dalla stanza in cui Elyan si trovava, poteva udire il rumore delle rotelle dei carrelli sul pavimento, i passi affrettati degli altri medici, qualche chiacchiera a voce bassa di alcuni parenti.
Nel Kilgharrah’s Hospital si respirava la stessa aria di tutti gli altri policlinici del mondo: un misto di disinfettante e ansia, ma chiunque avrebbe scovato dell’altro dietro gli occhi sorridenti del giovane infermiere.
«Quindi potrò mangiare la pizza, dottoressa Princess?»
Elyan alzò un angolo della bocca all’insù nel vedere il sorriso genuino che Mithian offrì alla bambina.
«Certo che potrai, Jodie».
«Una intera?»
La specializzanda sorrise divertita. «Anche le patatine fritte se vuoi, ma ricorda: solo dopo una settimana».
«Ma se mangio solo passato di verdure diventerò verde come Hulk?»
Elyan scosse il capo intenerito, trattenendo una risata.
«No, Jodie.» La dottoressa posò la cartella clinica avvicinandosi alla bimba, chinandosi verso di lei. «Però mi hanno detto che uomini come Diego Costa stravedono per chi mangia sano».
Il sorriso gentile e smagliante della specializzanda si eclissò quando Jodie, la fronte corrugata e – Elyan temette – disgustata, le rispose: «Diego Costa?! Ma è vecchio! E poi è brutto. Sergio Agüero è molto più bravo di lui!»
L’infermiere decise d’intervenire; Mithian aveva abbassato lo sguardo, mordendosi l’interno labbra. Elyan la conosceva da un numero di anni sufficienti a comprendere che quello non era per niente un buon segno: Mithian era stata cresciuta dal padre a pane e Chelsea; amava la birra, urlare allo stadio e sudare in un campo di calcio, ma soprattutto… era fedele alla sua squadra.
«Dottoressa Princess, una parola!»
Elyan la afferrò per un braccio, invitandola a uscire dalla stanza.
«Beh, deve essere un vero peccato che il City abbia vergognosamente perso la partita di ieri sera! Dov’era il mitico Agüero, mentre la sua squadra veniva ridotta ad un marmocchio in lacrime, eh?!»
Mithian non le pensava davvero quelle cose, solo che era una donna molto… passionale, ma la piccola Jodie non poteva saperlo. Gli occhi scuri della bambina si erano spalancati alla reazione della dottoressa – tanto bella e gentile -, costringendo Elyan a una risatina quasi isterica, al limite dell’impreparazione.
Se la trascinò fuori dalla camera, sorridendo grato al cielo alla vista della madre della piccola. «Oh signora Brown, che piacere vederla! Jodie è in splendida forma e l’intervento è andato molto bene, tra qualche minuto passerà il dottor Fox per informarla de-»
La donna indicò stranita una Mithian trascinata per un braccio fuori dalla camera, interrompendo così la raffica di parole dell’infermiere: «Ma la dottoressa Princess…?»
«È… molto impegnata. Bisogna strattonarla via dai suoi pazienti per permetterle di salvarli tutti.» Rise, certo di non essere stato per niente convincente, trascinando Mithian abbastanza lontana da quella stanza.
«Mi dispiace. Non volevo comportarmi in quel modo», si sincerò la specializzanda, abbassando lo sguardo colpevole. «È solo che… cavoli, è il sogno di ogni ragazza quello di finire al fianco di Diego Costa! Non può essere definito vecchio, lui è un campione!»
Elyan le lanciò un’occhiata di rimprovero, incrociando le braccia al petto.
«Okay, hai ragione. Scusami».
La mora alzò le mani in segno di resa, ridendo di se stessa.
Era tremendamente bella quando lo faceva, pensava Elyan tutte le volte che Mithian muovesse o aprisse bocca. A dire il vero, talvolta se lo ripeteva anche quando la rivedeva stanca e sfinita da un intervento, insonnolita e struccata.
È tremendamente bella, si diceva ogni volta. Soprattutto quella giornata che, rallegrata dalla sconfitta del City della sera precedente, aveva preso a canticchiare l’intera compilation di Ed Sheeran tra quelle mura tristi dell’ospedale, donando un po’ di luce a quel posto.
O forse era solo lui a vederla in quel modo?
Elyan fu riscosso dal tocco gentile della mano di Mithian sul suo braccio. Una leggera carezza tra colleghi, un gesto innocente tra due persone che si rispettano. «Grazie, Elyan. Sei un ottimo amico».
Fu così che, con un sorrisetto sfacciato da ragazzo ribelle, l’infermiere la vide allontanarsi per i corridoi del Kilgharrah’s Hospital sentendola canticchiare alcune strofe di Photograph. Era una sensazione strana quella che avvertiva alla bocca dello stomaco, come se bruciasse più dell’alcool nella gola.
 
 
 






Stare in ospedale la metteva a disagio, la rendeva irrequieta.
Appena entrati nel Kilgharrah’s Hospital, Morgana si era sentita stringere forte alla gola; c’era un alone particolare che avvertiva negli ospedali, specialmente in quello.
Le pareti riverniciate erano le stesse che aveva visto una mattinata di molti anni addietro, l’odore che aleggiava nel policlinico non era cambiato di una virgola.
Ricordava il rumore assordante delle sirene accese, le luci fastidiose dell’ambulanza… e poi ricordava quella stretta alla gola. Lo shock. L’incapacità di avvertire un minimo soffio di vento sulla pelle chiara.
Erano passati quindici anni, ma quella morsa continuava a toglierle il fiato.
Adesso, seduta su quella sedia blu, aveva fatto la conoscenza di un nuovo senso d’inquietudine.
Successe quasi in un lampo: dei gemiti di dolore le arrivarono alle orecchie come una doccia gelida; dinanzi ai suoi occhi una donna in travaglio veniva accompagnata da un’infermiera in sala parto, sulla sedia a rotelle.
Durò poco meno di qualche secondo; rivide i suoi occhi verdi in quelli castani e lucidi dal dolore di quella donna sconosciuta. I lisci capelli d’ebano scompigliati diventarono onde corvine e sudaticce, i gemiti di quell’estranea divennero i suoi gemiti. Solo una cosa le accumunava in quel momento: erano sole, entrambe.
 



«Ti va una cioccolata calda, piccola?»
Gli occhi della bambina erano fissi nel vuoto. Il giovane infermiere confuse quel silenzio come un viaggio tormentato nei ricordi, e forse fu per questo che smise di tenderle il braccio per porgerle un bicchiere ricolmo di liquido bollente.
La verità era che Morgana non stava pensando a niente. La sua mente e il suo corpo erano completamente ibernati, immersi in una dimensione parallela.
Sentì il giovane occupare il posto al suo fianco e respirare pesantemente. Probabilmente la sua tuta verde si era alzata e abbassata a ritmo col suo petto.
Ne seguirono dei secondi di mutismo surreale, dopodichè l’infermiere estrasse qualcosa di tintennante dai suoi pantaloni, rompendo quell’attimo di strana quiete.
«Ti piace Topolino?», tentò a quel punto il giovane dalla tuta verde, riservandole un tono gentile.
Fu la cosa peggiore che avesse potuto fare.
Morgana guardò il pupazzetto che pendeva da un mazzo di chiavi con la coda dell’occhio. Non si accorse neanche di tremare.
In un attimo la sua mente fu invasa da immagini confuse, a tratti indistinte: un uomo che distribuiva volantini indossando un costume di Topolino, le mani snelle di sua madre sul volante, la radio accesa sulla sua stazione preferita… poi l’urto inseguito dal caos, il mondo sottosopra. Del sangue. Il niente.
L’infermiere sospirò stancamente, lasciandosi ricadere sullo schienale. «Vedrai che il tuo papà arriverà presto».
La piccola Pendragon rabbrividì in silenzio, seduta su una sedia blu qualsiasi di un ospedale che non avrebbe mai dimenticato.
 



«Morgana», la voce di Arthur la risvegliò dai suoi pensieri. «Cosa ti sta succedendo?»
La corvina deglutì impercettibilmente, lo sguardo ancora indirizzato verso il vuoto, finché non voltò il capo a guardare il fratello. «Che cosa potrebbe mai succedermi, Arthur?»
«Non lo so», ammise il biondo. «Ma dev’esserci qualcosa che non va. Per essere una donna sei troppo silenziosa in questi giorni, e per essere un maschiaccio stai diventando spaventosamente femminile».
«E tu, per essere un tipo ossessionato da te stesso, stai prendendo troppo a cuore la vita altrui» lo rimbeccò, arricciando le labbra rosse in una smorfia strana.
«Non rovinare tutto come tuo solito».
Morgana si concesse una risatina degna da sorella maggiore – o perfida arpia, com’era solito precisare il suo amato fratellino. «Ti eri preparato il discorso?» lo interrogò, alzando un sopracciglio corvino in aria di sfida.
«Più o meno», concesse Arthur di malavoglia, stringendo i denti. «Ad ogni modo, non è questo l’importante: sei mia sorella e, per quanto orticante tu possa essere, rimani la bambina che sgattaiolava nel mio letto a notte fonda.» Stavolta l’espressione di Arthur era seria. I suoi occhi blu le trasmettevano tanta premura e sincerità, il lato migliore di ciò che suo fratello era veramente. «Se c’è qualcosa che ti turba, qualcosa che non va… puoi parlarne con me».
Sono incinta.
Non so cosa fare, non so di chi sia e non so nemmeno se lo voglio, un figlio.
Ecco, cosa mi sta succendo.
Tu cosa ne dici, Arthur?
«Sono incinta».
Morgana rimase ferma a guardare suo fratello, un’espressione indecifrabile, come se avesse appena pronunciato la frase più semplice e banale dell’intero universo. Sono incinta.
D’altronde erano molte le cose che Morgana sapeva su Arthur; conosceva i cibi ai quali era allergico e che – quando era piccola – gli nascondeva nei suoi pasti sghignazzando come una vera streghetta. Era a conoscenza dell’incapacità del fratello di mantenere una casa in uno stato abitabile e la sua innata arguzia per questioni palesemente ovvie.
Per queste e ben altre ragioni impossibili da elencare, Morgana aveva già previsto la scontata reazione del fratello.
«Ci trovi così tanta soddisfazione nel prendermi in giro?» Arthur s’imbronciò come un bambino a cui hanno appena portato via un bel cono al cioccolato – o come avrebbe avuto modo di esaminare Merlin, un totale Asino. «Sai cosa?» continuò alzando le mani in segno di resa. «Va bene. Tieniti per te le tue lune storte, ma almeno cerca di essere meno egoista con chi ti sta intorno. Mordred ha rinunciato ad una carriera, per te. Non merita un voltafaccia simile».
«Cos’è? Mordred ti ha sedotto col suo fascino parigino o ha giurato eterna fedeltà al City?» lo beffò, schernendo l’improvviso interesse di Arthur per il suo fidanzato.
«No, Morgana. Semplicemente, non credo che Mordred lo meriti».
«Sinceramente, Arthur, non credo che siano affari tuoi».
Fin da piccoli i due Pendragon si divertivano a rendere la vita dell’altro un inferno, battibeccando e scontrandosi come cane e gatto. E proprio come ai quei tempi, Morgana sostenne il suo sguardo determinata e astiosa. Era inutile specificare che lei avesse sempre la meglio, no?
«Pendragon?»
Il biondo aprì bocca per proferire parola, ma rinunciò non appena l’infermiera fece il suo nome. Rispose all’appello, rialzandosi piano dalla sedia evitando l’aiuto della sorella. Quando fu in piedi, sorretto dalle stampelle, guardò la ragazza consapevole che bastasse un solo sguardo per capirsi.
Ed era così, tra loro. Infatti, Morgana si risistemò la borsa sulle spalle, distanziandosi un po’ dal fratello. «Se non dovessi vedermi, mandami un messaggio».
«D’accordo».
Arthur e Morgana si separarono, andando via di schiena.
 
 
 





«She’s like cold coffee in the morning…»
Arthur, il sopracciglio dorato all’insù, osservava la dottoressa canticchiare indisturbata le strofe di una canzone a lui sconosciuta, così contenta che sembrava quasi contaggiosa. Per questo, forse, sorrise di riflesso alla sua dolce voce. «È una nuova tenica di supporto al paziente?»
Mithian incrociò il suo sguardo, interrompendo per un attimo la manifestazione della sua gioia, di cui il biondo ignorava la causa. «Può darsi», gli rispose semplicemente.
Non conosceva quella canzone, ma dopo averla sentita canticchiare a Mithian da quando era entrato in quella stanza, poteva perfettamente cantarla a sua volta. Era orecchiabile, le parole gli erano entrate nella testa ostinandosi a non uscirne più. O forse era solo merito della voce cristallina della specializzanda?
«Mi piace», confessò spavaldo il Pendragon, incatenando i suoi occhi blu a quelli nocciola di lei. «Hai davvero una bella voce».
«È una fortuna!» considerò raggiante Mithian. «Almeno so cosa farò dopo aver aperto e ricucito tutti i dipendenti del Pendragon’s».
«Tsk», Arthur sbuffò una risata. «Confessi, dottoressa Princess: non vede l’ora di liberarsi di me perché mi ritiene un pessimo paziente».
Mithian rise, allontandosi dal Pendragon dopo aver terminato la sua visita. «Ho preso lezioni di canto a posta».
Tuttavia, il sorriso disegnato sulle labbra piene di Arthur non svanì. Rimase impresso sul suo viso mentre guardava la dottoressa armeggiare qualche carta con su scritto chissà cosa, nella mente ancora la sua voce cristallina che canterellava quelle strofe dolci.
«Vuole liberarsi di me, dottoressa Princess?»
Le labbra sottili di Mithian presto incurvate verso l’alto gli offrirono un’insolita speranza. Quel sorriso silenzioso rispose per lei, facendo gonfiare il petto del giovane Pendragon.
«Ti piace l’acqua, Arthur?»
Quella domanda galleggiò tra loro, mentre dalla finestra la pioggia sembrava calmarsi.
Una volta finita la visita e uscito dalla stanza, Arthur inviò un messaggio a sua sorella non avendola vista nei paraggi, indugiando però sullo schermo del suo cellulare. Guidato dalle strofe imitate dalla specializzanda poco prima, cedette all’impulso di cercare la canzone sul web sorridendo di riflesso al titolo. Non sapeva il motivo, ma quella canzone lo ispirava, gli piaceva a pelle.
Dunque, decise che non sarebbe stato poi un grosso sbaglio abbassare il volume e risentirla in quel momento. Ma – come ogni strega che si rispetti – Morgana lo colse alla soprovvista e il biondo sobbalzò al suo richiamo, premendo una cosa per un’altra…
 
 



 

Merlin era intento ad asciugare un boccale di vetro con uno strofinaccio quando Gwaine – puntualmente seduto sul solito sgabello -, interrompendo la strage in atto di noccioline nella ciotola, aveva spalancato la bocca ridendo di gusto issando il suo cellulare all’altezza degli occhi.
«L’ombra di un cliente?», scherzò Merlin alzando un angolo della bocca, senza tuttavia nessuna traccia di offesa.
Il meccanico non ci fece caso. Con la risata ormai tramutata in un buffo ghigno incorniciato dalla barba, mostrò al barista la pagina internet che stava scorrendo, attendendo la reazione del corvino. «La principessa ha finalmente espresso il suo lato femminile».
Merlin, incredulo ai suoi occhi, continuava a chiedersi se era stato davvero Arthur a condividere quella canzone sul suo profilo, memore delle mille precisazioni idiote che l’Asino gli aveva rifilato negli anni: “Un Pendragon non ascolta musica melensa, Merlin. Un Pendragon conserva sempre la propria virilità.” A poco erano serviti i tentativi del giovane corvino di spiegargli che i gusti musicali c’entravano davvero poco con la sessualità e che certi stereotipi erano da declassare: Arthur lo aveva liquidato con una stupidaggine delle sue, come promettergli di non infierire troppo in futuro quando lo avrebbe ritrovato a canticchiare piagnucolante My heart will go on in un angolo buio.
«Siamo sicuri che sia lui?», fu l’unica frase che Merlin – scettico – riuscì ad articolare. «Magari è stato posseduto dallo spirito di una fan uccisa durante un concerto» espose con naturalezza, quasi fosse un’ipotesi da poter prendere tranquillamente in considerazione. Lo sguardo sbigottito che Gwaine gli dedicò bastò per sentirsi un vero idiota.
A rispondere alle preoccupazioni sciocche del barista fu il grugnito della piccola Hartie, salita a fatica sul bancone, con la testa ficcata nella ciotola rossa ricolma di noccioline.
Merlin strabuzzò gli occhi allarmato, provando il desiderio di portarsi le mani tra i capelli immaginando l’ira di Arthur semmai lo avesse scoperto, rischiando di far cadere il boccale al suolo. «No, no, no!»
Gwaine, dapprima confuso, seguì lo sguardo dell’amico per poi sorridere alla vista della piccola Hartie, prendendola in braccio. «Una signorina ha fatto la porcellina, qui».
«Se l’è spazzolate tutte», costatò a bocca spalancata il povero Emrys, incurante degli occhietti dolci che la piccola mammifera utilizzava come scudo. Gwaine, infatti, cedeva sempre.
«Non è tollerabile, Gwaine!» sussurrò a denti stretti. «Non è igienico. Arthur mi aveva già avvisato di non farti entrare con…», mosse la mano in aria con gesti confusi, prima d’indicare la piccola Hartie. «lei».
«Oh, suvvia!» Il moro si sistemò il maialino sulle cosce come un neonato, sfoggiando – forse non proprio nella maniera più consona per la povera Hartie – tutto il suo orgoglio da neopapà. «Tutti amano i maialini».
«Certo! Li amano fritti, arrostiti e accompagnati da uova strapazzate», ne convenne il corvino paventando la furia omicida che il Pendragon gli avrebbe riservato, licenziandolo all’istante. «Ma nessuno ama vederli mangiare il proprio cibo».
Come a smentire ogni sua parola detta fino a quel momento, una ragazza dai lisci capelli rossi si avvicinò al bancone emettendo un verso stridulo, abbassandosi all’altezza della piccola Hartie. «Ma è dolcissimo!»
Gwaine assunse una delle sue espressioni più false, fingendo una voce rotta dall’emozione: «Non so cosa ne sarebbe di me, se lei non ci fosse più. Non riesco a starle lontano nemmeno un minuto, ma purtroppo non tutti accettano la loro presenza» e qui quell’idiota donnialo mise su una faccia da cane bastonato degno di un Oscar.
La ragazza scosse il capo, sdegnata. «È inammissibile. Mi verrebbe voglia di smettere di frequentare quei posti all’istante».
«Non dirlo a me!»
Mentre la ragazza dedicava tutta la sua attenzione e coccole varie alla piccola Hartie, Gwaine si voltò per fare l’occhiolino a Merlin; il corvino, ignorando le spiccate capacità da playboy dell’amico, roteò gli occhi al soffitto.
 





La corte di Gwaine era durata un quarto d’ora.
Christine – quello era il nome della povera mal capitata – aveva ceduto alle avances del moro fin da subito, scrivendogli il numero di telefono su un tovagliolo offertole dal barista. Gwaine, fiero del risultato, aveva recitato la parte del timido ragazzo insicuro finché la rossa non gli strinse una mano e non gli propose di aggiungersi al corteo che Domenica pomeriggio avrebbe marciato contro «quegli assassini schifosi che vendono pelle di cadavere».
Quando Christine se ne fu andata, Gwaine stracciò in mille pezzi il tovagliolo.
Merlin, beandosi della vista dell’amico impaurito, ne rise divertito.
Il resto del tempo passò tranquillo tra un’ordinazione e l’altra, una ciotola di noccioline e una di salatini svuotate dal moro – con l’aiuto della fida Hartie -, fintantoché l’Asino non fece la sua entrata nel bar con un grosso sorriso.
Merlin e Gwaine si scambiarono delle occhiate d’intesa, facendo corrugare la fronte del biondino. Arthur ignorava cosa, quei due idioti, avessero in testa – purtroppo per lui.
Gwaine tossicchiò, preparandosi per la sua parte. Poggiò i gomiti sul bancone, sorridendo colpevole. «Ehm… Merlin?»
«Sì, Gwaine? Dimmi pure.» Fu la risposta fin troppo accondiscendente del corvino.
«Potresti prepararmi un bel caffè?»
«Certo! Che domande».
«Però non lo berrò subito, sai… a me piace freddo».
Arthur, i capelli biondi un po’ umidicci a causa della pioggia, cominciò a capire dove quelle due teste vuote volessero andare a parare. Così, metà imbarazzo e metà infastidito, digrignò i denti.
«Ma davvero?» La voce fastidiosa di Merlin arrivò alle orecchie di Arthur come il ronzio di una zanzara. «Pensa che invece Freya preferisce sempre una tazza di tè con due zollette di zucchero».
«Siete due completi idioti», li rimproverò il Pendragon, punto nell’orgoglio nell’udire le loro stupide risatine. «Lo annoterò sulla lista nera», dichiarò minaccioso alla volta di Merlin, per poi puntare il dito verso Gwaine. «E comincerò un lungo elenco di prodotti acquistati e mai pagati!»
«Noi magari potremmo mettere su il cd di Ed Sheeran, se questo ti rende felice.» Merlin alzò le spalle, indicando con lo straccio che aveva in mano lo stereo in un angolo del bar.
«Io…» Arthur serrò la mascella in cerca delle parole giuste per zittirli a dovere. «Non sto facendo outing solo perché ascolto una canzone di Ed Sheeran!» sibilò, le gote leggermente imporporate.
Merlin gli si avvicinò con un sospiro, battendogli una pacca sulla spalla. Da quanto tempo aveva atteso quel momento?
Annullò le distanze tra i loro visi quel tanto che gli bastasse per sussurrargli: «Caro il mio Arthur, nemmeno se ti dicessi che ieri – anche se il City ha vergognosamente perso – mi sarebbe piaciuto passare del tempo solo con te, starei facendo outing».
Se in quel momento si fossero trovati nel mondo dei fumetti, probabilmente il volto del Pendragon sarebbe stato talmente rosso che dalle sue orecchie sarebbe uscito del fumo, stizzito più dai modi di quell’imbecille che dalle sue parole. Se lo scrollò di dosso, avviandosi come un toro zoppo verso gli spoiatoi – Dio solo sapeva perché – urlando di rimando: «E fate sparire quel bacon con le zampe dal mio bar, prima che lo arrostisca!»
Gwaine ebbe il tatto di coprire le orecchie della piccola mammifera con le sue mani, assicurandole che «la principessa era soltanto in quei giorni».
Arthur, invece, continuò a borbottare: «Per fortuna quell’impiastro di Mordred non conosce bene la lingua, altrimenti…»
Merlin e Gwaine non udirono più alcuna parola siccome l’Asino si era chiuso la porta alle spalle e, ancor di più, nessuno dei due ebbe cuore di far notare al Pendragon che il francese conosceva perfettamente la loro lingua.
Solo quando la porta si richiuse con un tonfo alle sue spalle, Arthur guardò dinanzi a sé la piccola panchina di legno, abbonzando un sorriso spontaneo. Anche se Merlin era un deficiente, talvolta sapeva usare le parole giuste.
 
 






Dopo la scenata del Pendragon – altre due birre scroccate da Gwaine e minuti interminabili che l’Asino aveva speso chiuso nello stanzino -, la vita era ritornata alla sua quotidiana e ordinaria routine.
Al bar erano arrivati i clienti di sempre occupando i loro tavoli preferiti – l’ultimo accanto alle vetrate e il secondo in fondo alla sala -, chiacchierando e ordinando le solite cose. Alcuni avventori con i quali Merlin aveva stretto un buon rapporto, si avvicinarono al bancone per esaminare la new entry del Pendragon’s ridendone teneramente, altri preferirono restarsene seduti ai propri posti.
Arthur aveva inghiottito il boccone amaro della sconfitta del City la sera precedente che un cliente gli aveva ricordato, ignorando persino le continue frecciatine che Gwaine e Merlin ogni tanto continuavano a mandargli per via della canzone erroneamente condivisa.
Merlin dovette ammettere che, per quanto fosse divertente stuzzicare il Pendragon, quest’ultimo aveva un ottimo senso del dovere e riusciva a mascherare diplomaticamente la voglia di strangolarli all’istante.
«Ehi!»
Merlin sollevò gli occhi dal bicchiere di Coca che stava riempendo quando Gwaine gli sfiorò il polso con i polpastrelli, indicandogli con un sorriso da schiaffi uno dei tavoli al centro del locale. «Sembra carina.» Gwaine annuì da solo alle proprie constatazioni, aspettando impaziente anche l’assenso dell’amico.
Merlin spostò lo sguardo incontrando il nuovo bersaglio del moro. I capelli fulvi incredibilmente fuori posto per il taglio corto, il tappo blu della penna morsicchiato nervosamente durante la lettura dei tomi che occupavano il tavolo; due occhi verdi messi in risalto da una montatura di occhiali che ricordava tanto quelli di Harry Potter, che sbranavano ogni pagina con attenzione.
Il corvino abbozzò un sorriso per poi chiedere conferma al suo amico: «Eleanor?»
«Contiene la ‘e’ e la ‘a’», osservò il meccanico, quasi fosse un particolare di ovvia importanza che ciononostante Merlin non colse. «Augurami buona fortuna».
«Non ti conviene, amico».
«Merlin bello, nessuna donna può resistere a cotanto fascino.» Gwaine s’indicò il corpo ammiccando, ma tutto quello che ricevette in risposta fu il grugnito di Hartie – che, sfiorando con le sue orecchie lo stomaco del moro, cominciava ad averne abbastanza di quella assurda posizione ristrettiva - e un Merlin scettico che scuoteva il capo.
«Sai…», Merlin si sporse sul bancone, avvicinandosi all’amico. «Certe volte penso che tu e Arthur sareste perfetti insieme».
Il corvino sapeva perfettamente che quelle parole non avevano alcun poter su Gwaine: il meccanico, proprio come l’Asino, era un caso perso. Per questa ragione non si meravigliò delle leggere pacche che gli lasciò sulla mano chiusa a pugno e del sorrisetto sfacciato accompagnato da un: «Non essere geloso. La Principessa ama solo te».
Merlin scosse il capo, ridendosela, perché consapevole di ciò che sarebbe avvenuto da lì a poco: Mordred si avvicinò al tavolo della ragazza, porgendole un muffin imbottito di marmellata ai mirtilli, sorridendole cordiale. Eleanor ricambiò la gentilezza con imbarazzo, le gote sempre più rosse  e gli occhi verdi puntati sul bel francese.
«Sei la mia client favori, Elly».
«G-Grazie», balbettò la ragazza, sistemandosi la montatura troppo spessa e troppo scura. «È un piacere, per me. Nel senso che trovo piacevole risultare piacevole. È… un piacere.» Eleanor si morse il labbro, inveendo contro se stessa con un lungo sproloquio nella sua mente.
Il francese, però, dimostrò tutta la sua abilità nel trattare gli avventori e le sorrise gioviale. «Spero troverai piacevole anche il dolce».
Gwaine, rimasto fermo come ibernato sullo sgabello, si voltò verso Merlin imbronciato dando tanto l’aria di essere un Peter Pan barbuto a cui hanno appena soffiato la propria Wendy. «Odio quell’uomo», decretò infine.
Anche io, avrebbe voluto dire il corvino, ma sapeva di non poterselo permettere: sarebbe stata l’ennesima bugia di una vita costruita sulla menzogna. Merlin non odiava Mordred, il sentimento che provava per l’attraente parigino era tutt’altro che astio. Aveva visto persone morire davanti ai suoi occhi per mano di suo zio, una piccola luce di speranza nello sguardo di coloro a cui aveva venduto la droga spegnersi dose dopo dose.
L’unica persona che Merlin biasimava più di tutte era se stesso. Era stata colpa sua se Morgana adesso non era tra le sue braccia, non certo di Mordred. Quell’uomo… forse sarebbe stato in grado di offrirle ciò che lui non era mai stato capace di darle; eppure nel vederlo sorridere alla timida Eleanor i ricordi della sera precedente presero il sopravvento, avendo la meglio su tutto.
 



Merlin si era rifugiato in cucina per fuggire dall’umore nero del Pendragon: non solo non era riuscito a vedere la partita dall’inizio alla fine come previsto, ma la sua sciarpa portafortuna era stata rovinata dalla piccola Hartie e il City aveva miserabilmente perso. Poteva esistere serata peggiore di quella per l’Asino?
Merlin non avrebbe saputo rispondersi. Si avvicinò al frigo aprendolo, estrendone tre lattine di birra. L’unico modo per combattere la collera di Arthur, in certi casi, era proprio l’alcool.
«Serve una mano?»
Una lattina cadde rovinosamente a terra. Merlin deglutì a vuoto, abbassandosi per raccoglierla. «No, grazie».
Nonostante avesse rifiutato il suo aiuto, il corvino poté avvertire la presenza di Mordred nella stanza e il suo sguardo sulla schiena. Quando lo sentì avvicinarsi per sfilargli due lattine dalle mani, Merlin si chiese se fosse riuscito a guardarlo negli occhi mentre l’odore della sua acqua di colonia gl’invadeva le narici.
«Dev’essere molto dura, per Arthur».
Il ventenne si costrinse ad incrociare il suo sguardo di ghiaccio. Se possibile, quegli occhi bruciavano più dell’alcool nella gola. Mordred sembrava una statua imperosa a distanza così ravvicinata.
«Cosa?» Finse un tono calmo.
Merlin si sentiva studiato dalle sue iridi enigmatiche. Lo vide sorridere solo dopo pochi secondi. «Per la partita. Non sono un genio in queste cose ma da quel che ho capito il Manchester City ha perso».
«Gli passerà», lo rassicurò Merlin, indicandogli distrattamente le birre. «Un paio di quelle e la testa di legno torna come nuovo».
Sul viso rasato del francese nacque un accenno di risata. «Conosci Arthur molto bene».
Merlin scrollò le spalle. «Anni di esperienza».
Quel tipo sapeva metterlo in soggezione come pochi e non era solo per la questione di Morgana; Merlin aveva condiviso buona parte della sua vita al fianco di spacciatori, assassini e delinquenti: sapeva riconoscerne uno quando lo vedeva. Il problema era che nemmeno il giovane Emrys sapeva il motivo di quella sua inquietudine.
«Arthur è molto legato a te», continuò indisturbato il francese, quasi volesse ricavarne qualcosa. «Finge di non sopportarti, eppure sei l’unica persona che ascolta».
Merlin sbuffò una risata, schernendosi, ma prima che potesse aggiungere qualsiasi altra cosa Mordred lo precedette: «Davvero. Lui si fida ciecamente di te».
Dalla stanza accanto si sentivano le proteste di Arthur contro la sua piccola tv e le canzonature che Gwaine prontamente gli offriva ogni qualvolta l’Asino aggrediva verbalmente la piccola mammifera. Merlin decise che fosse l’ora d’intervenire – quanto meno per il povero Parsifal che, impotente, si ritrovava solo tra due fuochi. E poi il corvino non riusciva più a sostenere quello sguardo glaciale che lo trafiggeva.
«Sarà meglio andare di là», suggerì, incamminandosi verso la porta, finché la voce di Mordred non lo bloccò: «Dovrai conoscere bene anche Morgana».
Merlin andò a sbattere contro il tavolo in legno, mordendosi inavvertitamente la lingua. Sentiva il sangue gelarsi nelle vene mentre la cucina veniva inghiottita nel nulla. Preferì non fiatare – perché non avrebbe davvero saputo cosa dire – e lasciar fare al parigino.
«Sai, da quando è tornata mi sembra diversa. Alcune volte fatico persino a sopportarla. È una ragazzina capricciosa che non si accontenta di un “no”. La verità è che non sa nemmeno lei cosa vuole».
Il ventenne trattenne il fiato, insicuro se parlare o meno, stringendo l’unica mano libera in un pugno. Non aveva dimenticato cos’erano diventati gli occhi della Pendragon quando le aveva spezzato il cuore scegliendo Freya e mai, mai lo avrebbe fatto.
«Ha visto la madre morirle davanti agli occhi quando aveva solo sei anni. Suo padre non si è mai preso cura di lei, non le ha mai fatto da genitore.» Si voltò per guardarlo negli occhi, stavolta senza alcuna insicurezza. «Non è una ragazzina capricciosa, è solo una donna ferita. Dovresti darle più tempo, più fiducia… e magari un giorno crederà ciecamente in te, tanto da non dover sentire il bisogno di scappare».
Mordred restò a guardarlo con un’espressione ermetica, poi abbassò lo sguardo e giocherellò con le lattine che aveva tra le mani, sfiorandole con i pollici. Quando alzò il capo, le sue labbra sottili erano incurvate all’insù. Il sorriso di chi aveva ottenuto esattamente ciò che desiderava. «Grazie per il consiglio, Merlin» gli disse indicandolo con una lattina. «Lo terrò a mente».
 
 
 






In quei giorni che avrebbero decretato il suo addio definitivo al Pendragon’s Coffee, Morgana aveva passato la maggior parte del tempo lontana da Mordred e dagli altri dipendenti del bar. Non aveva minimamente pensato alle conseguenze della sua scelta: il suo fidanzato avrebbe continuato a lavorare per Arthur oppure sarebbe scappato a gambe levate da quella città?
Si rese conto di non averci mai badato; le decisioni di Mordred non le sembravano la cosa più importante in quel momento. Prima avrebbe risolto il suo problema e poi, magari, le avrebbe prese in considerazione.
Quella mattinata aveva accompagnato suo fratello all’ospedale per la visita alla rotula – finalmente lo avevano liberato da tutto quel gesso – e dopo averlo lasciato al bar non era più tornata a casa.
Aveva colto la palla al balzo per fermarsi sotto l’edificio del settimanale scovato online e fissarlo a lungo. Quello sarebbe stato il prossimo passo: lavorare in quel posto, fare conoscenza con Annis Lowe e tentare d’impressionarla abbastanza per entrare nelle sue grazie… Il resto del piano sarebbe venuto da sé, ma poi c’era stato l’imprevisto.
Morgana tolse il piede dal freno, guardando distrattamente il semaforo dei pedoni colorarsi  di rosso mentre con la mente ritornava all’ospedale e a quello che la dottoressa dalle labbra spigolose le aveva detto riguardo la sua scelta. Sollevò lentamente il piede dalla frizione e accellerò. Sbarrò gli occhi, frenando con urgenza quando vide una riccia chioma di capelli pararsi dinanzi a lei e cadere al suolo.
Morgana sgranò gli occhi, certa di aver appena investito la sua migliore amica.





 
 
Quando Merlin tornò a casa quel pomeriggio, sentiva la propria schiena ridotta in mille pezzi – o almeno, questa era la versione che aveva adottato con Freya, entrando nell’appartamento. La ragazza gli aveva consigliato di mettere qualcosa sotto i denti e sdraiarsi per qualche minuto, poi gli aveva soffiato un bacio sulle labbra ed era uscita.
Merlin era rimasto impalato nel soggiorno per un arco di tempo indecifrabile finché non decise di seguire uno dei saggi consigli di Freya. Si spostò meccanicamente in cucina e rovistò tra i cassetti e nel frigo, riuscendo a ricavare un pranzo composto da una scatola di cereali al miele e una confezione di latte scaduto.
Poco male, si disse. Sperimentare un pranzo vegetariano per un giorno, non lo avrebbe di certo ucciso.
Durante quei pochi minuti che si ritagliavano per una pausa pranzo, Arthur gli aveva offerto più volte un sandwich, sventolandoglielo quasi sotto al naso. Non che l’Asino non fosse avezzo a tali gesti di cortesia – in realtà, le volte in cui Merlin non si serviva da solo dalla vetrina del Pendragon’s, Arthur compariva sempre, in un modo o in un altro, per offrirgli un dolce o un panino. La maggior parte delle volte, era Merlin a preoccuparsi che l’Asino si nutrisse sventolandogli il cibo sotto gli occhi -, ma quel giorno il corvino aveva rifiutato più volte il pasto dicendo di non averne voglia.
Anche adesso, ritrovatosi a sgranocchiare cereali da una scatola quasi vuota, non se ne pentì. Stava riempendo il suo stomanco solo per non sentirlo brontolare, ma lo faceva controvoglia, memore dei vecchi richiami di Gaius quando saltava i pasti.
Per tutto quello che Merlin aveva vissuto grazie a suo zio, continuava a considerarsi un ragazzo ottimista, eppure in quei giorni non riusciva ad essere pienamente sereno. C’era qualcosa che lo turbava, come se la – quasi – quiete raggiunta fino a quel momento potesse spezzarsi all’istante. Il prima possibile. E buona parte del merito ce l’aveva suo zio, Aridian.
Non si era sbagliato, Merlin. Quel verme non si sarebbe mai accontentato di qualche banconota rubata a Morgana, quello era solo uno dei suoi tanti avvertimenti. Non aveva mai voluto del denaro, Aridian desiderava solo non avere testimoni.
Aridian desiderava qualcuno che stesse dalla sua parte.
Posò la scatola di cereali sul comò. Era arrivato nella loro camera.
Fece qualche passò in avanti, fermandosi accanto al letto e furgarci sotto fino a toccare qualcosa. Senza pensarci due volte, estrasse il cofanetto di legno aprendolo con uno scatto secco.
Era una vera fortuna che Freya non amasse ficcanasare in giro, perché non avrebbe proprio saputo spiegarle cosa ci facesse, lui, con una pistola.
La prese tra le mani con delicatezza, quasi potesse esplodere da un momento all’altro. Se stringeva saldamente il manico, poteva risentire sul palmo il sangue caldo e nauseante che goccia dopo goccia cadeva sul pavimento.
Oh sì, Merlin sapeva esattamente a che gioco Aridian stesse giocando.
 
 
 
 
 




«Mi stavi seguendo?»
«Sono preoccupata per te, Morgana».
La corvina sbuffò come una bambina capricciosa, roteando gli occhi al tettuccio dell’auto. Dopo averla soccorsa e ad aver appurato che Gwen era ancora viva e vegeta, le due si erano rintanate in auto per via del nuovo temporale in arrivo. Morgana aveva ripreso a guidare senza una meta precisa – o almeno, questa era stata l’impressione di Ginevra Wilson.
«Gwen, questa storia sta diventando ridicola».
Ginevra non ne volle proprio sapere di mollare l’osso. Continuò a tenere i suoi occhi scuri sul profilo pallido della donna, mantenendo un tono premuroso seppur a tratti petulante: «È ridicolo il fatto che tu non voglia fare niente. Non ti sei nemmeno presentata al bar, l’altra sera».
Morgana alzò l’angolo della bocca in un mezzo ghigno sarcastico, voltando verso destra. «Perché sarei dovuta venire?»
«Perché siamo amiche, Morgana! Siamo tutti amici: io, te e Merlin. Lo siamo sempre stati».
«Ti sbagli».
«E se stessi sbagliando tu?»
Morgana parcheggiò l’auto in modo a dir poco sconsiderato e Gwen pregò chiunque la stesse guardando dall’alto che nessun vigile l’avesse vista; la mulatta ebbe poco tempo per gioire del fatto che quella manovra fosse stata ignorata dall’intera Inghilterra che Morgana esplose come un vulcano in eruzione: «Vuoi sapere che razza di amici ho? Mio fratello, che probabilmente mi disconoscerebbe insieme a mio padre se sapesse che sono incinta. Ci sei tu, che non fai altro che ripetermi che ogni scelta presa finora è un colossale errore… e poi c’è Merlin.
Merlin che è fidanzato con la perfetta e adorabile Freya».
Morgana si morse il labbro trattenendo le lacrime che rischiavano di rigarle il viso. Gwen non seppe dirsi se fossero dettate dalla rabbia o dal rancore, ma l’ascoltò lo stesso. La lasciò sfogare standosene in silenzio, poi parlò: «Io ci sono già passata, Morgana. So cosa vuol dire portare in grembo un bambino che non avevi previsto, so cosa significa vedere la propria vita stravolta nel giro di qualche giorno. So cosa vuole dire sentirsi giudicati, credere di essere nel torto… ma so anche cosa significa dire addio al tuo bambino prima ancora che venga al mondo».
Avrebbe voluto abbracciarla, Morgana, con tutta la forza di cui era capace… eppure non n’era in grado. Gwen poteva sapere cosa volesse dire essere in una situazione simile, ma non avrebbe mai vissuto quella situazione. Lei era Gwen e non sarebbe mai stata Morgana.
«Tu saresti stata fantastica, Ginevra.» La guardò negli occhi come tanto tempo fa, quando erano solo due ragazzine con uno zaino sulle spalle e la mente piena di progetti. «Ma io non sono come te, non lo sarò mai. Sarei una pessima madre», ammise.
Dirlo ad alta voce faceva uno strano effetto, lo rendeva ancora più reale.
«Adesso devi andare».
Morgana le indicò il palazzo colpito dalla forte pioggia, aspettando che la ragazza scendesse dall’auto e la lasciasse sola con i suoi pensieri.
Ginevra sembrò sul punto di dire qualcosa: le labbra schiuse e le iridi scure fisse sul suo viso. La Wilson però la sorprese, esaudendo il suo desiderio.
 
 
 
 
 
*
 
 




Quella giornata era passata in un batter d’occhio.
Al Pendragon’s erano giunti i clienti di sempre ordinando le solite cose, nuovi volti con nuove storie che Arthur non avrebbe mai conosciuto.
Merlin aveva diviso un panino con lui durante quel piccolo quarto d’ora che si erano ritagliati per loro, riuscendo a scambiarsi qualche parola senza avere nulla di preciso da dirsi, e per una ragione assurda Arthur ne fu felice.
Dopo averlo preso in giro per la smorfia che fece quando gli offrì un sorso della sua birra, Arthur chiese al corvino di accompagnarlo in piscina per gli esercizi che la dottoressa Princess gli aveva consigliato e si riscoprì inconsciamente sorridente quando gli rispose – scontato – che per lui andava bene.
Magnanimo, quel giorno aveva riservato a quell’idiota di Gwaine solo uno scappellotto a tradimento, quando il donniaolo aveva tentato di flirtare con alcune clienti utilizzando il bacon con le zampe come esca.
Almeno, si concesse di pensare, quelle due teste vuote avevano smesso di dargli il tormento per quella storia della canzoncina melensa condivisa per sbaglio.
Quello che il giovane Pendragon ignorava era il motivo per cui tutti i suoi dipendenti si fossero radunati al bar verso l’orario accordato per l’ultimo giro.
«Goditi lo spettacolo», gli aveva sghignazzato quell’arpia di sua sorella prendendo posto su uno sgabello, sorseggiando chissà che cosa offertole da Mordred. Il francese, notò confuso l’Asino, sembrava non aspettarsi niente.
Con la fronte aggrottata oltre l’inverosimile, Arthur vide Merlin sorreggere la sua chitarra e sedersi su uno sgabello posizionato accanto allo stereo e alcune casse – montate su ordine del Pendragon il giorno stesso in cui aveva deciso che Merlin si sarebbe esibito dinanzi ai clienti -, seguito da un Gwaine che sorrideva con una faccia da schiaffi, impugnando un microfono.
E fu esattamente in quel momento che inizò a sudare freddo.
Aveva visto confabulare quei due idioti molto a lungo in quei due giorni, ma non si sarebbe mai aspettato un colpo così basso. Il peggiò arrivò quando, presa dall’euforia, Freya si unì al duo canticchiando insieme a Gwaine quella maledetta canzone di Ed Sheeran.
Arthur tentò di nascondersi per tutta la durata di quell’imbarazzante messa in scena, specie quando quell’idiota di Gwaine ammiccò nella sua direzione strizzando un occhio. Morgana, accanto a lui, se la godeva da brava strega.
C’era una cosa, però, che spinse Arthur a sollevare le sue labbra in un sorriso di compiacimento: le mani guizzanti di Merlin che sembravano quasi magiche quando toccavano le corde della chitarra, il sorriso spensierato e familiare nato sul suo viso che Arthur aveva tanto ricercato in tutti quei mesi… Il modo in cui lo guardava, anche se lo stava ricoprendo di ridicolo.
Anche Morgana si perse ad osservarlo, a ricordare tutte le volte che Merlin aveva pizzicato quelle stesse corde dinanzi a lei, canticchiando sottovoce le canzoni che sua madre amava – quelle di Battisti -, tradotte in inglese data la sua incapacità nell’apprendere la lingua italiana. Non lo avrebbe mai ammesso, ma Morgana non riusciva a togliergli gli occhi di dosso mentre le bisbigliava quelle dolci melodie accompagnate dal suono ammaliante della chitarra.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma non si era mai persa così per qualcuno. La Pendragon era talmente incantata da Merlin da non accorgersi dei due occhi di ghiaccio che la guardavano attenti.
 
 
 







Quando l’ultimo giro giunse al termine e le gote di Freya furono ritornate ad un colore più o meno consono al suo solito pallore, la ragazza si apprestò a ripulire il tavolo che si era appena liberato.
Le mani le tremavano ancora e senza volerlo fare di proposito lasciò cadere una bottiglia di birra sul tavolo, rovesciando parte della bibita rimasta. Si guardò intorno colpevole; per fortuna, nessuno sembrava averci fatto caso.
Merlin, la testa china su uno degli ultimi tavoli accanto alle vetrate, passava uno straccio sulla superficie di legno in modo da eliminare tutte le briciole. Era strano pensare che quel ragazzo fosse lo stesso che avesse suonato davanti ad un bar gremito di persone qualche attimo prima.
Nonostante i loro cinque mesi di fidanzamento, Freya non si era mai accorta di quanto Merlin sapesse suonare bene la chitarra. A dire il vero, un mese addietro era all’oscuro di molti aspetti del suo passato: i suoi amici del liceo, il suo primo vero amore. E nonostante tutto continuava ad ignorare parti fondamentali della sua vita: chi erano i suoi genitori e com’erano morti? Come ha conosciuto Gaius, realmente? Quante altre cose gli nascondeva?
Mi hai mai tradita?
In realtà, a spingerla verso quel duo improvvisato e a condividere un microfono con un vecchio amico del suo ragazzo era stato proprio Gwaine. C’era qualcosa in quell’uomo che la faceva sentire viva, serena e in pace con se stessa… se non fosse stato che gli avesse mentito spudoratamente fin dall’inizio.
Voleva chiarirsi con lui perché Gwaine non sembrava affatto quello che tentava di ostentare. Era divertente, spontaneo e pieno di vita.
Gwaine non era per niente uguale a Merlin.
Allargò timidamente le sue labbra struccate in un sorriso incontrando la figura slanciata del meccanico, decidendosi a muovere qualche passo verso di lui. Sentiva il bisogno di scusarsi, di mettere in chiaro le cose su ciò che era successo, ma…
Freya lo vide sorridere ad un’altra ragazza. Bionda, i capelli in disordine e le guance arrossate - probabilmente per l’alcool, dato il modo in cui si era appoggiata al moro. La tipa dell’officina, fece mente locale la cameriera.
Gwaine le cinse la vita col braccio, avvicinandosela a sé. Lei gli baciò la guancia sporcandogliela di rossetto e si strinse a lui. Se ne andarono via così, lasciando Freya impalata al centro del Pendragon’s mentre si dava della stupida da sola.
 
 



 


Arthur uscì dalla porta secondaria del bar, Mordred e Morgana qualche passo più indietro.
Si lasciò accarezzare la fronte dal leggerlo venticello della notte, cullato dalla certezza che in poco tempo sarebbe ritornato nel pieno delle sue forze. La dottoressa Princess gli aveva consigliato di abbandonare l’uso delle stampelle con calma, senza ulteriori sforzi.
Quella sera si era portato con sé una sola stampella e certe volte si era mosso senza il suo ausilio. Finalmente un bagno in completa e beata autonomia, pensò trionfante.
Dal momento esatto in cui Mithian gli aveva tolto il gesso, Arthur avrebbe voluto fare i salti gioia e camminare, camminare e camminare. Finalmente.
Percorrere anche quel piccolo tratto di strada, benché fosse solo un vicolo illuminato dalle luci del bar, era la cosa più appagante che il biondino avesse fatto da un mese a questa parte. Si gustò ogni singolo passo, anche se un po’ lenti, respirando a pieni polmoni l’aria maleodorante che proveniva dal cassonetto della spazzatura alla sua sinistra.
Alla fine della viuzza, Arthur scorse una Gwen a capo basso che spostava sassolini immaginari con le sue scarpe da ginnastica. I ricci capelli castani erano raccolti all’insù, il labbro inferiore mordicchiato. Il Pendragon parve quasi rivederla tra i banchi di scuola e un fermaglio tra i capelli ribelli; sorrise senza darlo a vedere, avvicinandosi lentamente alla ragazza.
«Quei due» cominciò Arthur schiarendosi la voce, «sono dei veri idioti. Mi chiedo ancora perché non li abbia sbattuti fuori dal mio locale».
Gwen alzò il capo di scatto nell’udire la voce del barista, distanziando di poco la sua schiena dal muro. «Non ti ho sentito arrivare», si giustificò, non badando al sorriso impacciato di Arthur e al suo strano approccio. A quelli era abituata.
«Non ti ho vista al bar, prima».
«Avevo bisogno di un po’ d’aria».
Ogni silenzio è diverso dall’altro, quello che cala tra due ex è il più imbarazzante del mondo. Arthur cercò qualcosa da dirle, qualcosa di sensato senza cadere in quei discorsi messi in piedi solo per annullare l’assenza di parole - come parlare di quanto abbia piovuto in quei giorni. Aprì la bocca, proferendo l’unica frase che – a suo dire – fosse lecita: «Sai, sei la migliore».
Gwen lo guardò perplessa, attendendo delucidazioni e la risposta di Arthur non tardò ad arrivare: «Nel bar, tra i miei dipendenti», chiarì. «Sei la migliore».
Le labbra sottili della ragazza s’incurvarono verso l’alto. «Dici sul serio?»
«Sì», confessò. «I clienti ti adorano, non salti un solo turno… Avrei dovuto assumerti molto tempo fa».
Nell’udire quelle parole Gwen sentì una stretta al cuore, un senso di colpa che l’attanagliava da tempo e da cui non riusciva a liberarsi. Nella luce fredda dell’insegna del Pendragon’s che illuminava quella stradina stretta, riemerse tutto a galla. «È stata solo colpa mia».
Arthur sembrò leggerle nel pensiero e si affrettò a contraddirla: «No, non è vero. Sono stato io a rifiutare le chiamate, ad evitarti…»
«No», Gwen scosse il capo. «Tu non potevi saperlo. Non ho insistito abbastanza».
Il Pendragon abbassò il capo, cosciente del fatto che Ginevra stesse dicendo il vero. Nel giro di due mesi gli erano capitate così tante cose che il ricordo di quel bambino mai avuto lo aveva appena toccato, un pizzicotto sulla pelle che veniva a fargli visita alla sera. Ma Gwen aveva riaperto la ferita, servendogli su un piatto d’argento una verità orribile: suo figlio era morto ancora prima che sapesse della sua esistenza. Quella consapevolezza bastò ad umidirgli gli occhi. «Sai se era…»
«Un maschetto».
Arthur sorrise con poca convinzione e le lacrime agli occhi, limitandosi ad annuire.
«Saresti stato un papà eccezionale.» Il tono di Ginevra era caldo, sincero.
Arthur tirò su col naso, camuffando il tutto con un lieve colpo di tosse. Scoccò una breve occhiata alle sue spalle vedendo Morgana e Mordred avvicinarsi. «Vuoi un passaggio?», le chiese, tornando con gli occhi su di lei.
«No, grazie» declinò gentilmente l’offerta. «Mi piace pedalare».
Il biondo annuì, informandola che semmai avesse cambiato idea Merlin era rimasto al bar per pulire. Ginevra lo ringraziò, salutando i tre ragazzi quando furono tutti vicini.
 
 





Appena rientrati in casa, il Pendragon si era fiondato in bagno ringhiando contro la sorella di non aver bisogno del suo aiuto – e di non averne mai avuto -, uscendone mezz’ora dopo più a pezzi di prima. Optò per un riposo ristoratore e crollò spalmato sul letto.
Morgana si concesse il lusso di una crema profumata massaggiata sulle cosce mentre Mordred era in bagno. Le sue mani stavano ancora stendendo la crema ormai asciutta quando il francese si fermò sullo stipide della porta, le braccia incrociate.
«Dobbiamo parlare».
Morgana deglutì in silenzio, mantenendo un’aria indifferente. «È tardi.» Indicò distrattamente la sveglia sull’altro comò. «A quest’ora ti risponderei con la stessa prontezza di Arthur».
«Dico sul serio, Morgana.» L’uomo le si avvicinò di qualche passo, ancora a torso nudo e i capelli umidicci. La corvina si rimproverò per aver indugiato sulle goccioline che gli cadevano sul petto. Mordred non tardò a notarlo.
«Io non sono il tipo d’uomo paterno che ti consola e ti protegge da ogni male. Non mi vedrai mai in ginocchio dinanzi ai tuoi piedi, né supplichevole ai tuoi rifiuti. Non ti darò mai tutto me stesso se non farai altrettanto con me.» Mordred scrollò impercettibilmente le spalle, indicandosi il petto. «Sono ciò che vedi e non ho intenzione di cambiare, per nessuno. Però voglio te e voglio che sia qualcosa di vero».
Avanzò, fino a sfiorarle un ginocchio con le gambe.  «Ma per averti devo anche fidarmi, altrimenti sarebbe inutile».
Morgana lo guardò in silenzio, aspettando che dicesse dell’altro, che continuasse il suo monologo studiato e invece la soprese: si abbassò a prenderle il viso tra le mani e poggiare le labbra sulle sue. Si staccò piano, incantenando i suoi occhi di ghiaccio in quei due smeraldi meravigliati. «Non ti chiederò niente e questa è la mia prova di fiducia, ma tu devi dimostrare lo stesso con me».
La Pendragon sentì il cuore martellarle forte nel petto, una strana sensazione contorcerle le interiora. Poi Mordred le dedicò un mezzo sorriso, lasciando scivolare la mano sul suo braccio fresco. «Cos’è questa storia della Principessa
 
 
 




Gwen rientrò nel bar stando ben attenta a non fare rumore; vi ritrovò solo Merlin, munito di mocio e secchio d’acqua, che puliva il pavimento.
La mulatta lanciò delle occhiate tutt’intorno, ma di Freya non c’era neanche l’ombra. Certe volte la sconvolgeva il modo in cui quei due prendessero le distanze l’uno dall’altra alla prima occasione possibile.
Le venne da ridere al pensiero che un tempo faceva lo stesso con lui, quando ne era cotta persa. Prima di Arthur, prima di Lancelot… quasi in un’altra vita.
«Ancora all’opera?»
Merlin sobbalzò spaventato, preso alla sprovvista. Una volta che ebbe incrociato lo sguardo di Gwen parve calmarsi, sospirando di sollievo. «Dio, Gwen. Che ci fai ancora qui?»
La ragazza si strinse nelle spalle. «Speravo in un tuo passaggio. Freya è già andata via?»
«Sì», rispose. «Era molto stanca».
Ginevra sviò il discorso sul nascere, indicando col mento la chitarra dimenticata sul bancone. «Era da tempo che non ti sentivo suonare. Sei stato molto bravo».
«Grazie.» Merlin le sorrise, tornando al suo lavoro. «In realtà temevo Tequila e noccioline».
Risero entrambi, una risata malinconica che andava a sfumarsi troppo presto.
Gwen si torturò le mani, improvvisamente tesa come una corda di violino. Merlin era stato il suo migliore amico, prima che lei tradisse il Pendragon, e dopo tutto quel tempo la loro amicizia continuava a risentirne. Ma lei gli voleva bene, con tutto il suo cuore. «Mi è mancato tutto questo… Posso abbracciarti?» chiese in fretta, quasi l’avessero minacciata per chiederglielo. «Insomma, così… Se ti va, altrimenti…»
Prima che la sua amica potesse immergersi in un tortuoso sproloquio senza fine, Merlin posò il mocio accanto ad un tavolo andandole incontro. Allargò le braccia pronto a stringerla, ma quando le fu abbastanza vicino Gwen sputò il rospo: «Morgana aspetta un bambino. Non sa chi sia il padre, ma ha deciso di non tenerlo».
Merlin si allontanò lentamente, impietrito. Gwen si mordeva il labbro colpevole, maledicendosi per la sua linguaccia lunga.
La guardò senza dire una parola, senza saper più muovere neanche un muscolo. L’unico rumore che si udì, fu quello del mocio caduto al suolo.
 




 
Relie's Corner
Bene, se siete arrivati fin qui vuol dire che Pendragon's vi era mancato davvero e per questo... vi offro un piccolo spoiler del prossimo capitolo: Arthur e Merlin avranno un faccia a faccia e verrà a galla una grossa verità. Aridian farà il suo ritorno.
E adesso, passiamo alle precisazioni del capitolo:
- La frase in corsino all'inizio del capitolo è ripresa da quello precedente;
- Diego Costa è uno dei giocatori più talentuosi del Chelsea. L'unico che mi è capitato sott'occhio;
- Sergio Aguero è l'unico giocatore affascinante della rosa del City del 2015;
- Il momento in cui Morgana confessa di essere incinta ad Arthur è un riferimento all'ottava puntata della prima stagione di Merlin. Ricordate la storiella del paravento?;
- La regola della "e" e della "a" è stata già nominata nel capitolo XII;
- La canzone con cui vi ho rotto le scatole che ci ha accompagnato per tutto il capitolo è Cold Coffee, che io considero perfetta per questa storia --> click
- Eleanor non è un OC di mia invenzione, ma dell'autrice EurydikeSpero di averla giostrata bene ^^
- Annis è un personaggio canon, comparso per la prima volta nella quarta stagione;
- Mia piccola considerazione: nelle recensioni precedenti ho visto parte dei lettori divisi tra #TeamMerlin e #TeamMordred riguardo la gravidanza di Morgana, e devo ammettere che mi ha fatto sorridere: nessuno ha preso in considerazione l'eventualità che la Pendragon decidesse d'interrompere la gravidanza. Cambierà idea?
- Okay, questa è solo una mia curiosità: molto tempo fa chiesi quale fosse la vostra coppia preferita. La maggior parte fa il tifo per Merlin/Arthur e buona parte per Merlin e Morgana... ma qual è la coppia che più odiate? Sono curiosa!
Adesso vi lascio sul serio.
Alla prossima!

 
   
 
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