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Autore: Keshi_B    14/08/2016    0 recensioni
White, mentre è alla ricerca della sua identità, incontrerà un ragazzo, tra i due nascerà, forse, una tenera passione.
Mentre il passato verrà a galla il futuro sarà scritto.
Genere: Avventura, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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So ciò che amo e ciò che odio.
Ma realmente, chi sono?
Pensando a ciò mi addormentai, e mi risvegliai la mattina dopo.
La solita sveglia arrugginita che echeggiava per la stanza un fastidioso trillio metallico, le cinque in punto.
Aprì gli occhi lentamente, la luce non filtrava minimamente dalla finestra, ma il freddo mi aveva risucchiata, anche se il camino la sera precedente mi stava scaldando abbastanza.
Strinsi il piumone tra i palmi delle mani, mi feci forza e mi misi a sedere.
Scrutai il paesaggio dalla finestra.
Pioggia. Tanta pioggia.
Neve. Un po' di neve.
Durante la notte evidentemente aveva piovuto, e la neve che la sera precedente era quasi abbondante si era sciolta in gran parte, lasciando una poltiglia fangosa lungo i viali, le strade, i breccini, e un po' ovunque a Filadelfia.
Come sempre mi feci una doccia calda, con il freddo che c'era una bella doccia calda calda faceva solo bene.
Quando uscì dalla doccia erano le cinque e mezza, tempo per truccarmi, vestirmi e pettinarmi erano le sei. 
La solita routine, doccia, trucco, vestiti, capelli, orologio.
Come ogni singola mattina da quando avevo cinque anni.
Scesi le scale saltellando, nonostante la monotonia delle mie giornate il sorriso mi spariva raramente, in meno di due secondi ero in cucina, salutai mamma con un "buongiorno" affettuoso, presi la brioche tra le mani, la portai alla bocca e morsi, Elizabeth, mia madre,  non sbagliava mai, miele e mela, il mio gusto preferito, la guardai e sorrisi non feci in tempo ad aprir bocca che lei mi precedette e imitando il cenno della mia mano e la voce impastata disse "Mhhh, deliziosa, mela e miele, la mia preferita mamma!" ridemmo entrambe, ormai anche quella frase faceva parte della mia routine, ma amavo proprio quella brioche e non potevo far a meno di ripeterlo ogni mattina.
Come sempre mamma era vestita perfettamente, spesso mi divertivo a spiare la sua "routine" mattutina, che routine non era, poiché l'unica cosa abituale che faceva era preparare la mia brioche. Ogni tanto si truccava, ogni tanto abbinava i vestiti la sera, ogni tanto la mattina, ogni tanto faceva la doccia, ogni tanto si svegliava leggermente dopo. Era il mio contrario, io ormai avevo la mattina pianificata da anni, lei ogni mattina sconvolgeva la routine da me mentalmente creata che credevo avesse seguito, e non smettevo mai di sorprendermi, a dissolvermi dai pensieri fu la sua voce "tesoro, sali in macchina dai, sennò facciamo tardi e non prendi il treno in tempo" disse ridacchiando, sapendo che i miei piani non prevedevano mai ritardi. Poco dopo eravamo in macchina, alla radio i Fleetwood Mac, la band preferita di mamma, e l'Arbre Magique fragranza mango sospeso allo specchietto, amavo quel profumo e mamma sapendolo prendeva sempre quello, conoscevo a memoria la canzone che era in riproduzione, guardai mamma e con lei mi misi a cantare.
Pochi minuti dopo ero sul sedile del treno diretto verso scuola, a subirmi un'ora e mezzo di viaggio, ma era una delle parti che preferivo della mattina, al primo posto c'era cantare con mia madre. 
Pensai alla mia routine, magari amavo fare sempre le stesse cose perché era un po' come vivere nel passato, come rivivere sempre la stessa mattinata, forse ciò mi piaceva.
Un po' come riguardare delle repliche di film, rileggere un libro o cose simili, così da provare sempre stessi sentimenti, ma così non era, ogni mattina, nella sua identicità era diversa, un orecchino posato sul lavandino che la mattina prima non c'era, Midnight in una posizione diversa dal giorno precedente, un libro prima aperto e successivamente chiuso, ogni piccolo dettaglio, per molti insignificante, rendeva la mia routine diversa, il fischio del treno mi fece sobbalzare, stavo fissando il pavimento, con occhi assenti, involontariamente passai una mano sul sedile blu, strinsi, il tessuto plasticoso dopo poco si riscaldo, diventando appiccicoso e umido, distolsi lo sguardo e lo spostai sulla mia mano umidiccia per poi osservare fuori. L'acqua cadeva a catinelle, il vasto campo che si estendeva su quel tratto di periferia in primavera crescerà verde e rigoglioso. 
Una casa di mattoni rossi era illuminata da mille lucine gialle che la contornavano, probabilmente dei bambini si erano divertiti ad addobbarla insieme ai genitori, immaginavo due bambini, maschio e femmina, lei bionda, con i capelli legati in una treccia e le labbra piene di briciole dei biscotti di zenzero a forma di omini, mangiati poco prima di nascosto, e la mamma che faceva finta di non accorgersene, per poi pulirle le labbra e ridere con la piccola. Abby, la  madre immaginavo si chiamasse così, la immaginavo bionda con una spolverata di lentiggini, giovane, simpatica, e Rob, suo marito, capelli rossicci e fissato con i puzzle, così immaginavo suo marito, magari mente teneva il figlio tra le braccia, in alto, per far si che arrivasse ad appendere le lucine natalizie sopra il portone. E la casa pochi istanti dopo svanì nel nulla.
Tornai con lo sguardo e la mente alla normalità, difronte me sedeva un ragazzo, dimostrava diciassette anni, un anno in più rispetto me, era magrolino, capelli marroni, scuri, occhi color nocciola, mangiava dei bastoncini di zucchero rossi e bianchi, li estraeva da una scatolina, verde, con un nastrino rosso, adoravo quei bastoncini, si trovavano sotto le feste natalizie in qualsiasi negozio, adoravo sentirli sciogliere in bocca, sentii una voce, mi distolse dai bastoncini, ma non capì ciò che disse, e neppure chi parlò, magari era solo la mia immaginazione, alzai lo sguardo verso il ragazzo, unica persona seduta difronte a me, i posti accanto al mio o il suo erano vuoti, lo guardai, accennai un sorrisetto e arrossì, mi fissava con aria interrogativa e fu lì che realizzai che mi aveva veramente chiesto qualcosa "scusami, avevo la mente altrove, mi hai detto qualcosa?" Sorrise e fece un cenno d'assenso con la testa "ti ho chiesto se volevi un bastoncino, ho notato che li stavi guardando" divenni ancora più rossa, e annuì. Sapevo che potevo mangiarlo perché fino poco fa pure lui ne stava mangiando uno, gli sorrisi appena me ne porse uno e ringraziai "sai, stavo giusto riflettendo su quanto io adori quei bastoncini, ne potrei mangiare infiniti" dissi ridendo, rise pure lui "anche io". Ecco perché odiavo tutti.
Prima di formulare quella fase mi passarono mille pro e contro per la mente, una come me prima di aprir bocca ci mette secoli a riflettere e tutto ciò che si sente rispondere è "anche io".
Tornai a fissare fuori dal finestrino, totalmente assente, quando quella voce mi tornò a rivolgere parola "io ora devo scendere, tieni, ti regalo la mia confezione".
Appoggiò la scatolina verde sul mio leggins color cappuccino e se ne andò, stupita, ecco come rimasi, stupita, ora a passare da maleducata, senza rispondere, ero io. 
Senza volerlo mi alzai, aveva appena varcato il mio sedile che afferrai il suo zaino nero e lo fermai, sentivo la faccia e gli occhi bruciarmi, ero in imbarazzo, sussurrai un grazie sotto i suoi occhi e tornai verso il mio sedile "Ci vediamo!" Esclamò con un tono entusiasmato.
Tornai a sedere, ne aveva mangiati quattro, la confezione ne conteneva dodici, cinque con quello che mi aveva offerto.
Sei, con quello che afferrai e mangiai.
Venti minuti dopo scesi pur io dal treno, l'aria gelida di New York mi scompigliò i capelli, l'orologio segnava le 7.57 tra dodici minuti esatti avrei varcato i cancelli di scuola e mi sarei diretta verso la classe 2F, la prima ora avevo lettere, la mia materia preferita, adoravo il professor Winsor, spiegava molto bene e coinvolgeva nelle sue lezioni, amavo tutti i poeti, amavo quei testi, amavo comporre temi ma detestavo quando mi lanciavano, i miei compagni, palline di carta tra i capelli.
Le cinque ore scolastiche finirono velocemente, era venerdì e come ogni venerdì dopo le cinque ore avevo altre due ore di lezione, danza classica.
Mamma sapendo quanto amavo la danza mi iscrisse alla scuola superiore con i rientri più facoltosi in ambito danza di New York, e davo il massimo.
Le due ore passarono in un batter d'occhio tra la musica e l'odore di pece per le punte mischiato al parquet ormai scolorito.
Salutai Madame Dubois con un inchino, e come spesso accadeva uscì con altre allieve del mio stesso corso da scuola con le punte e il body, ogni volta che prendevamo il treno a quell'ora era vuoto e se non ci sbrigavamo l'avremmo perso. Con lo zaino in spalla lasciammo la scuola e poco dopo stavamo aspettando il treno, con i nostri tutu e le punte addosso.
   
 
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