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Autore: mido_ri    14/08/2016    1 recensioni
Due ragazzi completamente diversi entrano in contatto in un apparente contesto scolastico.
Alessio: il solito ragazzo disordinato e "piantagrane" che reputa la sua vita una noia, così come la scuola e qualsiasi tipo di legame con le altre persone.
Riccardo: un ragazzo, meglio definito "ragazzino", che sembra fin troppo piccolo per poter frequentare il secondo anno di liceo; al contrario del suo fisico, la sua mente è grande.
Così come ci si aspetterebbe da un ragazzo del genere, Riccardo nasconde a tutti, perfino alla sua famiglia, la vera vita che conduce ogni giorno, difficile e sconvolgente.
Un inaspettato incontro spingerà Alessio a porsi sempre più domande su quello strano ragazzo.
Come si svolgerà la storia dei due incompatibili compagni di banco?
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mer, 28 settembre, notte
Era quasi mezzanotte quando lo lasciai davanti casa, era quasi mezzanotte quando infilai le chiavi nella serratura con un sorriso da ebete stampato in faccia, era quasi mezzanotte quando calpestai un liquido scuro sul pavimento, era mezzanotte quando accesi la luce e vidi mio padre riverso in una pozza di sangue con gli occhi sbarrati, la bocca serrata, i pugni stretti, lo sguardo spento, il viso pallido, morto.
Gio, 29 settembre, notte
Non ricordavo da quanto tempo fossi seduto sulla quella scomodissima poltrona con una coperta rossa sulle spalle e i denti che battevano forte. Di tanto in tanto passava qualcuno per lasciarmi qualche timida carezza su un braccio o delle parole che non erano per nulla di conforto. Non sapevo nemmeno dove fossi né come ci fossi finito, di una cosa ero certo: mio padre era morto. 
Fra tanti visi tutti uguali e pieni di compassione ne scorsi uno che mi destò da quel maledetto incubo. Mia madre si avvicinò a passo veloce e mi abbracciò forte, ma non potei fare niente di niente, il mio corpo era intorpidito. Si mise a piangere e singhiozzare rumorosamente, tirando su con il naso, ci guardavano tutti; cos'avevano da guardare? Li odiavo perché guardare era l'unica cosa che potessero fare, erano impotenti. Cominciai a odiare perfino quella donna che mi stava sussurrando parole rotte e incomprensibili, volevo solo andarmene di lì e stare da solo, lontano dalle idee sbagliate. Cosa credevano, che sarei andato ad ammazzarmi? Sicuramente sarebbe stato di gran lunga migliore che stare con loro, ma non ero quel tipo di persona, ce l'avrei fatta. 
Mi stesi finalmente su quel letto che non vedevo da anni, dopo qualche minuto venne anche mia madre e si sedette accanto a me; cominciò a passarmi una mano fra i capelli con dolcezza e non la finiva di fissarmi con quello sguardo compassionevole. La odiavo, era così maledettamente debole, cosa pensava di risolvere piangendomi addosso e poi cercando di consolarmi? Non lo aveva mai fatto in vita sua e nessuno dei due ne aveva mai avuto bisogno, men che meno in quel momento. Dove voleva andare a parare?
- Solo adesso mi accorgo di quanto tu sia cresciuto, sei diventato davvero un bel ragazzo...mi ricordi tuo padre -
Ecco, solito discorso da film. Io, bello? Certo, avrei potuto far parte del cast de "La Famiglia Addams" come terzo figlio, o magari ottenere qualche ruolo in uno dei vari film sul Conte Dracula. In ogni caso non assomigliavo per niente a mio padre, lui sembrava sempre appena tornato da una vacanza alle Hawaii, io dalla Transilvania; perfino i nostri caratteri erano incompatibili, oppure mia madre intendeva dire un'altra cosa: sarei morto nel suo stesso modo.
Le chiesi gentilmente di uscire dalla stanza e ficcai la testa sotto il cuscino, quella notte non mi andava di sentire neanche lo scroscio della pioggia.
Gio, 29 settembre, mattina
Quando mi presentai in cucina vestito, mia madre si lasciò sfuggire un verso di disapprovazione.
- Torna a letto -
- Ma devo andare a scuola - 
Mi guardò come se fossi la persona più strana del mondo, poi appoggiò la tazza di caffè sul tavolo con decisione.
- Ascolta, capisco che per te sia stata una bella batosta, ma devi essere paziente, domani ti porterò da uno psichiatra, okay? -
- Che?! -
Fece un respiro profondo.
- Spesso i ragazzi della tua età non si rendono conto della gravità di alcuni avvenimenti, forse non hai ancora realizzato che tuo padre...-
Trattenne il fiato, poi serrò le labbra.
- Mamma, accompagnami a casa mia e fammi prendere lo zaino -
Aggrottò le sopracciglia, poi si diresse verso la sua camera da letto per vestirsi.
Non appena ebbi messo piede in classe, tutti si voltarono a guardarmi. Il professore mi rivolse uno sguardo penoso che feci finta di non notare.
Al solito banco mi aspettava Riccardo, non riuscii a decifrare la sua espressione.
- Ciao -
In risposta spinse sulla superficie del banco un paio di monete.
- Per lo zucchero filato di ieri -

Mer, 28 settembre, notte

Era quasi mezzanotte quando lo lasciai davanti casa, era quasi mezzanotte quando infilai le chiavi nella serratura con un sorriso da ebete stampato in faccia, era quasi mezzanotte quando calpestai un liquido scuro sul pavimento, era mezzanotte quando accesi la luce e vidi mio padre riverso in una pozza di sangue con gli occhi sbarrati, la bocca serrata, i pugni stretti, lo sguardo spento, il viso pallido, morto.


Gio, 29 settembre, notte

Non ricordavo da quanto tempo fossi seduto sulla quella scomodissima poltrona con una coperta rossa sulle spalle e i denti che battevano forte. Di tanto in tanto passava qualcuno per lasciarmi qualche timida carezza su un braccio o delle parole che non erano per nulla di conforto. Non sapevo nemmeno dove fossi né come ci fossi finito, di una cosa ero certo: mio padre era morto.

Fra tanti visi tutti uguali e pieni di compassione ne scorsi uno che mi destò da quel maledetto incubo. Mia madre si avvicinò a passo veloce e mi abbracciò forte, ma non potei fare niente di niente, il mio corpo era intorpidito. Si mise a piangere e singhiozzare rumorosamente, tirando su con il naso, ci guardavano tutti; cos'avevano da guardare? Li odiavo perché guardare era l'unica cosa che potessero fare, erano impotenti. Cominciai a odiare perfino quella donna che mi stava sussurrando parole rotte e incomprensibili, volevo solo andarmene di lì e stare da solo, lontano dalle idee sbagliate. Cosa credevano, che sarei andato ad ammazzarmi? Sicuramente sarebbe stato di gran lunga migliore che stare con loro, ma non ero quel tipo di persona, ce l'avrei fatta. Mi stesi finalmente su quel letto che non vedevo da anni, dopo qualche minuto venne anche mia madre e si sedette accanto a me; cominciò a passarmi una mano fra i capelli con dolcezza e non la finiva di fissarmi con quello sguardo compassionevole. La odiavo, era così maledettamente debole, cosa pensava di risolvere piangendomi addosso e poi cercando di consolarmi? Non lo aveva mai fatto in vita sua e nessuno dei due ne aveva mai avuto bisogno, men che meno in quel momento. Dove voleva andare a parare?

- Solo adesso mi accorgo di quanto tu sia cresciuto, sei diventato davvero un bel ragazzo...mi ricordi tuo padre -

Ecco, solito discorso da film. Io, bello? Certo, avrei potuto far parte del cast de "La Famiglia Addams" come terzo figlio, o magari ottenere qualche ruolo in uno dei vari film sul Conte Dracula. In ogni caso non assomigliavo per niente a mio padre, lui sembrava sempre appena tornato da una vacanza alle Hawaii, io dalla Transilvania; perfino i nostri caratteri erano incompatibili, oppure mia madre intendeva dire un'altra cosa: sarei morto nel suo stesso modo. Le chiesi gentilmente di uscire dalla stanza e ficcai la testa sotto il cuscino, quella notte non mi andava di sentire neanche lo scroscio della pioggia.


Gio, 29 settembre, mattina

Quando mi presentai in cucina vestito, mia madre si lasciò sfuggire un verso di disapprovazione.

- Torna a letto -

- Ma devo andare a scuola - 

Mi guardò come se fossi la persona più strana del mondo, poi appoggiò la tazza di caffè sul tavolo con decisione.

- Ascolta, capisco che per te sia stata una bella batosta, ma devi essere paziente, domani ti porterò da uno psichiatra, okay? -

- Che?! -

Fece un respiro profondo.

- Spesso i ragazzi della tua età non si rendono conto della gravità di alcuni avvenimenti, forse non hai ancora realizzato che tuo padre...-

Trattenne il fiato, poi serrò le labbra.

- Mamma, accompagnami a casa mia e fammi prendere lo zaino -

Aggrottò le sopracciglia, poi si diresse verso la sua camera da letto per vestirsi.

Non appena ebbi messo piede in classe, tutti si voltarono a guardarmi. Il professore mi rivolse uno sguardo penoso che feci finta di non notare.Al solito banco mi aspettava Riccardo, non riuscii a decifrare la sua espressione.

- Ciao -

In risposta spinse sulla superficie del banco un paio di monete.

- Per lo zucchero filato di ieri -

Sorrisi al ricordo di ciò che era successo fra di noi, lui però non si permise di fare lo stesso.

- Puoi tenerle, era un regalo -

Ritirò la mano e se le mise in tasca.

Al suono dell'ultima campanella mi trattenne per un braccio, attendendo che fossero usciti tutti.

- Mi dispiace per tuo padre -

- Non ti preoccupare, passerà -

- Non sono preoccupato, so che passerà...a me è passato -

Lo guardai con aria interrogativa.

- Anche tuo padre è...? -

Annuì prima che potessi completare la frase, d'altronde era meglio così.

- Com'è successo? -

Il suo sguardo si rattristò, non era passato per niente. 

- Omicidio -

Il mio cuore perse un battito, quella parola mi colpì in pieno. Omicidio, solo in quel momento realizzai che anche mio padre era morto per mano di qualcun altro.

- Hanno trovato l'assassino? -

- N-no... però io so chi è -

Rabbrividii.

- In che senso? -

- L'ho visto, ma non ricordo la sua faccia -

Una seconda scossa mi percorse dalla testa ai piedi; istintivamente voltai la testa e lo vidi: quell'uomo mi fissava ossessivamente attraverso il vetro della finestra che mi stava di fronte. Urlai e, senza neanche pensarci, mi coprii il viso e mi accasciai a terra in una massa di carne e ossa scossa continuamente dai tremiti. 

Riccardo si voltò di scatto verso la finestra, volevo fermarlo, ma non sarebbe comunque servito a nulla. 

- C-che hai visto?! Non c'è niente! -

Mi aiutò a tirarmi su e mi rivolse uno sguardo di sincera preoccupazione.

- Nulla...io... credo di essere ancora un po' scosso per ieri... -

- E hai ragione...non saresti dovuto venire a scuola, hai la testa dura -

 

Ven, 5 ottobre, sera

Saltai la scuola per un'intera settimana, non uscii di casa né mi azzardai a muovermi dal letto. 

Fuori imperversava un temporale che metteva paura: verso le ventidue era saltata la corrente già tre volte. 

Ogni pomeriggio Riccardo mi mandava le foto dei compiti e degli appunti su Facebook, finché non decidemmo di scambiarci i numeri per parlare più agevolmente. 

Come va?  

                                      Diciamo...

Capisco, ti stai godendo il temporale?

                                      Come no! 

Io sono rimasto al buio... >_<

                                       Ahahah, sfigato 

Stupido

Adesso vado a dormire, a domani <3

                                        AAAH

Che cosa?! 

                                        Un cuore

                                        Che schifo

Bleeeh

                                        Buonanotte ;)

Buonanotte...

Spensi il cellulare e mi decisi finalmente a chiudere gli occhi.

 

Sab, 6 ottobre, mattina

Feci colazione con gli ippopotami di cioccolata richiesti personalmente a mia madre, poi mi gettai sul divano e presi a fissare il tappeto; ah, quante volte ci avevo vomitato da piccolo, strano che non fosse già a marcire in qualche inceneritore. 

Al trillo del cellulare mi rialzai immediatamente.

- Riccardo? -

- Hey! Come va la tua vita da vecchietto confinato in un ospizio? -

- Benissimo...che vuoi? -

- Ti va di uscire oggi pomeriggio? -

Al solo pensiero rabbrividii.

- Ehm...ecco...-

- Guarda che lo so che non hai niente da fare...E so anche che non hai voglia di uscire, ma non puoi stare a fare la muffa sul letto! -

- Guarda che sto sul divano -

- Hai fatto progressi...-

- Già -

- Grrr, alza il sedere da lì e passa a prendermi alle cinque! -

- E dove andiamo? -

- Dove vuoi tu, l'importante è che tu esca di casa -

Lo congedai con un "ok" e terminai la chiamata, poi ripresi la mia interessante attività da nullafacente.

 

Sab, 6 ottobre, pomeriggio

- Ah, finalmente! -

Lo guardai male.

- Te la sei presa davvero per dieci minuti di ritardo? -

- Dieci? Dieci?! Ti avevo detto di passare alle cinque e sono le sei e dieci! -

- Ah...be', credo che il mio orologio vada un'ora avanti -

- Io credo che tu sia un cretino! -

- Hey, hey, nanerottolo, placati -

Lo sentii sbuffare dietro di me, il suo alito caldo mi arrivò sulla nuca facendomi venire la pelle d'oca. 

- Allora, dove andiamo? -

Fui costretto a gridare per farmi sentire al di là del frastuono del vento e del motore.

- Al parco pubblico va bene? -

Accettai la sua proposta di malavoglia, quel posto non mi piaceva più di tanto, mi ricordava solo quanto fossero idioti i miei amici. 

Le giornate ormai si stavano accorciando parecchio, era quasi buio e se non fosse stato per quei due o tre lampioni malridotti non avremmo visto un bel niente. Accostai davanti a un marciapiede e oltrepassammo il cancello. Riccardo si sedette su un'altalena che a malapena si reggeva in piedi, piena di scritte con pennarelli e correttore; le corde producevano uno strano rumore e sembravano non reggere neanche il suo peso. 

- Oh uff, questo parco fa davvero schifo -

Di nuovo quell'espressione da bambino deluso.

- Be'? Non lo sapevi? -

- No...non ci vengo da un sacco di tempo-

Si grattò la nuca imbarazzato.

- Uhm, che ne dici di scavalcare quel muretto e andare nel parco privato?

- Eh? C'è un altro parco?! -

- Sì, lì le giostre sono presentabili -

Scese immediatamente dall'altalena e cominciò a seguirmi ma, non appena si ritrovò dinanzi al "muretto", deglutì preoccupato.

- Davvero credi che io riesca a superare quel coso? Voglio dire...a sento arrivo ai centosessanta centimetri...-

Non potei trattenere una risata.

- Giusto, dimenticavo che sei un nano -

Mi avvicinai e lo sollevai di peso, mentre lui non faceva altro che pregarmi di metterlo giù. 

- Ale!! Finiscila...! -

Iniziò a muovere i piedi freneticamente. 

- Uff, ti odio! -

- Sisi, continua a lamentarti...intanto dovresti solo ringraziarmi -

- Zitto! -

- Rispetta le persone più grandi di te -

- Pfff -

Dopo varie urla e imprecazioni, riuscimmo a raggiungere il piccolo parco e Riccardo fece per fiondarsi subito su un'altalena, ma lo trattenni: seduti su uno scivolo c'erano i miei "amici", i cui volti erano illuminati solamente dallo schermo di un cellulare. 

- Ale...? Che c'è? -

Gli intimai di fare silenzio, ignorando la sua espressione confusa.

- Oddio, quel frocio ci è cascato sul serio! E anche di brutto...-

Non capivo, poi sentii una voce che non conoscevo.

- La prossima volta dove mi faccio trovare? Sotto la sella del suo motorino?-

Mi mancò l'aria, la vista mi si offuscò, cosa stava succedendo?

 

  
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