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Autore: MissyHarry    15/08/2016    2 recensioni
Una vecchia conoscenza di Revy, una nuova associazione che tenta di prendere il sopravvento sull'Hotel Moscow e i soliti fattorini che ogni tanto si scontrano con la legge.
Perché in fondo un traditore, anche se passa dalla tua parte, rimane pur sempre un traditore.
RevyxRock, accenni... O forse qualcosa di più di semplici accenni, hmmm...
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dutch, Nuovo personaggio, Revy, Rock, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 20.

Shot me down

 

Mark guardò fisso davanti a sé. Un fremito gli scossa la spina dorsale, e non si seppe spiegare se era dovuto al freddo o al timore. “Quindi è qui che è la base, mh?” sussurrò, senza staccare gli occhi di dosso dall’edificio che avevano davanti. “Oui, mon cher” cinguettò Nicole, sorridendo languida. Aprì la portiera e scivolò fuori dall’abitacolo. Il suo vestito frusciò, arricciandosi su per le cosce. Mark spostò lo sguardo verso di lei, prima di scendere. “Arrivo”.

Lei camminava a passi spediti, nonostante i tacchi. Sembrava avesse preso tutto d’un tratto coraggio e spirito d’iniziativa. L’inglese si morse più volte la lingua: non capiva se rimaneva dietro di lei perché ipnotizzato dal ritmico andamento delle sue gambe o perché temeva qualcosa. Un agguato? Qualche occupante abusivo? Sapeva solo che era lì che doveva andare, in quel capannone dismesso dal tetto in amianto.

 

I calcinacci scricchiolavano sotto i suoi piedi. Rischiò più volte di cadere, reggendosi al muro polveroso e chiedendosi dove diavolo quella ragazza avesse trovato così tanta destrezza da evitare accuratamente ogni superficie dissestata. Procedeva davanti a lui di buon passo, voltandosi di tanto in tanto con un sorriso per assicurarsi che la seguisse.

 

Giunti in quella che sembrava la sala centrale, Nicole si voltò. “Eccoci qui” disse, aprendo le braccia e guardandosi intorno. “Siamo arrivati”.

“Questa è… La base, Nicole…?” chiese Mark con un sussurro. La stanza era spoglia; c’era qualche schedario abbandonato per terra, mattonelle rotte, alcune anime di travi in ferro che penzolavano dal soffitto.

“No, non è la base. Siamo arrivati dove volevo portarti, tesoro” rispose lei, divertita. “E non chiamarmi Nicole”.




 

“Così questa è la loro base, eh”.
Dutch abbassò gli occhiali da sole. C’era ancora un po’ di buio fuori, e non riusciva a mettere bene a fuoco i particolari di quell’enorme villone un po’ pacchiano che, fino a qualche ora prima, aveva ospitato l’intera Trading Company. “Difficile non notarla, in effetti”.

Revy si sporse dal finestrino, le labbra strette in un broncio. “Non vedo nessuna auto, qui. Dove sono gli altri?”

“Domande dopo” sentenziò cupo Boris, aprendo la portiera. Si diresse verso il bagagliaio e tirò fuori tre sacconi. “Devono esserci soldi e armi qui” mugugnò, dosando bene le parole “prendete quelli, documenti prendo io”.

La pistolera afferrò controvoglia un sacco vuoto, caricandoselo in spalla. Erano troppe le cose che non le tornavano, e di sicuro aveva perso la voglia di rimanere esclusa dai piani altrui. Era convinta, però, che una volta entrati avrebbero trovato le risposte a quello che cercavano; ci sarebbe stato sicuramente qualche povero stronzo pronto a renderla partecipe di quella cazzo di missione che avevano affidato alla loro compagnia, no?
Con questa certezza in testa, stringendo i denti nella vana ricerca di autocontrollo, precedette i due. Quando si rese conto che la porta d’ingresso era ancora chiusa a chiave, sparò un colpo alla serratura ed entrò.




 

Mark fece una risatina nervosa. “Madame, me l’hai detto tu di chiamarti così… Beh, se non vuoi…”

“No, non voglio” lo interruppe lei, secca.

“Perché dovresti, scusa…?” Una voce familiare alle sue spalle lo fece voltare di scatto. Dietro di lui c’era Eda, appoggiata al muro, con le braccia conserte. “Si chiama Christine”.

Il biondo sbattè le palpebre. Si voltò verso quella che pensava fosse la figlia del capo, che per tutta risposta esibì un sorriso a trentadue denti. Riportò lo sguardo verso la suora, e si accorse che, dal corridoio, stava arrivando anche Rock, trascinando i passi, come a voler ritardare quel momento il più possibile. Aveva gli occhi bassi, ma non riusciva a capire se fosse un gesto dovuto alla vergogna o alla concentrazione. Una voce lo riportò alla realtà.

“Ti starai chiedendo, probabilmente” cominciò la suora, accendendosi una sigaretta “perché ci troviamo qui con te, in quella che pensi sia la base del capo”.

Mark si dondolò sui talloni, stringendosi nelle spalle. “Ad essere sincero, che ci fosse qualcosa di strano era palese. Tipo, che nessuno ci stava seguendo…”

Nicole - o meglio, Christine - scoppiò a ridere. “Oh, è bastato alzare un po’ la gonna e mi ha seguita come un cagnolino!” “Sorella” la rimproverò Eda “ricordati che sei una pecorella del Signore, attenta a dire certe cose”. Storse le labbra in un’espressione di rimprovero. “Comunque sia, Rock, vieni qui! Non voglio che ti perdi lo spettacolo!” scoppiò in una risata sguaiata, battendo il pugno sul muro dietro di lei. “Vieni fuori, non fare lo struzzo!”

Il giapponese mosse due passi verso l’interno della stanza, alzando gli occhi verso il rivale solo quando furono uno di fronte all’altro. Lesse lo smarrimento nei suoi occhi, e precedette ogni sua domanda. “Non so nemmeno io cosa stia succedendo” sentenziò, serio.

“Già, questo te lo posso assicurare” continuò la bionda, sbuffando una nuvoletta di fumo. “Così come non ne sa niente il povero Benny, che ha preferito rimanere in auto. Beh, adesso facciamo contenti tutti con una bella lezione, ok…? Per prima cosa” allungò il palmo della mano verso di lui “dammi la mia Glock”.

Un brivido corse lungo la spina dorsale del punk. Allora sapeva…? “E non provare a puntargliela addosso” continuò Christine, come se gli avesse letto nel pensiero “o ti ritrovi una bella protesi di piombo nel cranio”.

Mark trasse un respiro profondo. Non aveva bisogno di voltarsi per capire che quella stronza non stava bluffando. Alzò la maglia e si sfilò la pistola dai pantaloni; la porse all’americana, tenendola per la canna. “Ecco”.

Non gli sembrò un buona idea rivangare ciò che era successo fra i due qualche ora prima, ma lei lo anticipò. “La mia non è una vendetta per come ti sei comportato con i tuoi vecchi amici. Ho parlato con il nerd là fuori” mosse il capo in direzione dell’entrata, dove era parcheggiata la loro auto “e non penso si sia sentito particolarmente offeso. E’ la routine, qui, fare i propri comodi. Vero, sorella?” “Certo” rispose beffarda Christine, alzando il mento sottile. “Non ci fa caso nessuno, se volti le spalle”. “Ecco, brava!” Eda digrignò i denti “Alle spalle, esatto! Senti, biondino, se ti stai chiedendo come mai me la sia presa così tanto per una botta in testa” allungò il braccio per afferrare la sua vecchia arma “devi sapere che un velo da suora copre molte più cose di quante te ne aspetti”. Tenendo la sigaretta stretta fra le labbra, puntò la canna verso la sua testa. “Ultimo desiderio…?”

 

Mark si voltò di scatto verso Rock. Incontrò i suoi occhi spaventati, vi si perse dentro per un attimo. No, lui non ne sapeva nulla. La bocca gli si aprì automaticamente, formulando delle parole che non si accorse di pronunciare.

“Revy… Sa…?”
Rock scosse la testa, incredulo. No, Revy non sapeva. No, lei non l’avrebbe tradito! Il cuore di Mark rallentò per un attimo, tranquillizzandolo. L’importante era quello.

In meno di un secondo si rese conto che non avrebbe più avuto modo di salutare la sua vecchia amica. Non sarebbe riuscito a strapparla dalle mani di quello sfigato, non avrebbe fatto in tempo a raccontarle delle gambe di Nicole per leggerle la gelosia negli occhi.
Non ebbe tempo di pensare a tutto, non ebbe tempo di chiedere a quello stronzetto giapponese di salutargliela.
Sperò che ci arrivasse da solo.

Eda non era certo la tipa da perdersi in sentimentalismi, soprattutto quando c’entrava il lavoro. Era per questo che le piaceva la Glock: nessuna sicura. Bastava premere bene il grilletto e la levetta accoppiata, e tanti saluti. Nessun gesto inutile, veloce, pulito.

Affondò l’indice, e Mark cadde a terra.




 

Revy sentì il sangue gelarsi nelle vene quando, dopo una attenta perquisizione, si rese finalmente conto che la villona era deserta.
“Abbiamo svuotato questo posto di merda da cima a fondo. Dov’è Mark?” chiese, secca. Boris continuò ad ignorarla.

“Ho detto” ripetè, lasciando scivolare il sacco a terra ed estraendo entrambe le cutlass dalla fondina “...dov’è Mark”. Scandì bene le parole, avvicinandosi al russo e puntandogli le pistole dal basso verso l’alto, sotto il mento. L’omone si limitò a lanciarle un’occhiata, rivolgendosi subito a Dutch.
“Tieni a freno tua dipendente” tagliò corto, sprezzante. Il capo intervenne subito, tirando a sé Revy per le spalle.

“Non mi toccare!” sbraitò lei a denti stretti, scrollandosi di dosso la presa. “Ehi, tu, ti ho fatto una domanda! La vodka ti ha dato al cervello?!”

Boris alzò la Stechkin verso la ragazza, corrugando la fronte. “Avevo detto niente domande”.

 

Dutch sospirò. ‘Ecco, ci risiamo’ pensò, sconfitto. Fece appello a tutta la sua autorità, afferrò un polso di Revy e lo strinse con forza. “Adesso stai a sentirmi, ragazzina” si accigliò. Lanciò un’occhiata in tralice al russo. “Hai ragione a voler sapere cosa sta succedendo. ‘Niente domande’ non è una risposta contemplata dalla Lagoon Company, dal momento in cui siamo stati assoldati per questa missione”.

Boris provò a sostenere il suo sguardo: una lotta fra titani. Infine, sconfitto più dall’impazienza che da altro, ammise: “Mark è andato via con la suora. Noi siamo qui col bottino”.

Il suo modo di esprimersi ermetico non bastò certamente ad accontentare Revy, che continuava a tenere le Beretta bene in alto. “Io l’ho visto uscire con la stronzetta, e non mi sembrava proprio una suora”.

Il russo rise. “Neanche Eda sembra una suora”.

Dutch lasciò il polso della rossa, imprecando. Si voltò e diede un calcio al sacco che giaceva inerme a terra. Revy, più lenta di comprendonio, non gli staccò lo sguardo di dosso, spronandolo ad andare avantii. “Che vuoi dire?”

Boris sbuffò. Non gli piaceva che quella stronza gli piazzasse delle armi addosso; che avrebbe detto Balalaika, se l’avesse vista? Che avesse davvero ragione lei, che fosse tutta colpa di quel giapponese…?

Le puntellò il fianco con la Stechkin, invitandola a riporre le armi. “Tuo amico è andato via con amica di Eda. Ragazza francese ci ha detto di questo posto, e noi l’abbiamo uccisa”.

 

Ci volle qualche secondo, affinché Revy si rendesse perfettamente conto della situazione. I suoi occhi si spalancarono, la mascella si serrò in una smorfia di rabbia. “Cosa cazzo avete fatto…?!”
I suoi polsi tremarono, e fece qualche passo indietro. Quest’attimo di fragilità bastò a Boris per sferrarle un pugno sulla mascella, facendola cadere a terra.

“Tienila ferma” ordinò a Dutch, che si era precipitato ad anticipare quell’ordine. “Non voglio ucciderla”. Li fissò per qualche secondo, seccato, per poi prendere sulle spalle anche i loro sacchi e dirigersi verso la porta d’ingresso.




 

“Le chiavi le ha lui in tasca” tagliò corto Eda, rivolta a nessuno in particolare. Si diresse verso Christine, lanciandole una divisa da suora. “Cambiati, che se fratello Fernando ti vede così gli parte un embolo”.

Rock era immobilizzato, in piedi di fronte a Mark. Non riusciva ancora a collegare tutti gli avvenimenti nella sua testa. La paura lo frenava dal fare domande, ma si rese conto che sarebbe stato lui, prima o poi, a dover dare delle spiegazioni a Revy. Si fece coraggio, deglutì e fece per parlare.

“Ehi, zuccherino”. Eda fu più veloce di lui. Si chinò sul cadavere, sfilandogli le chiavi della Cinquecento dalla tasca anteriore dei jeans. “Tu e Benny andate pure, così riportate la macchina a Dutch. Sono in una villa a sud-est da qui, hai presente” mosse la mano come a mimare una strada immaginaria “prima della forca giri a destra, segui la strada e tieni il boschetto sulla sinistra. Sono circa quattro chilometri”.

Rock si sorprese di come la sua voce gli uscì dalla gola senza troppa fatica. Gli sembrava di non parlare da anni. “Quindi ci hai detto di venire per… Per prendere la sua auto”. Eda non rispose, aspettava paziente che Christine si spogliasse. “Dai, bella, che facciamo mattina qui”.

“Eda”. Rock alzò il tono della voce. Cercò di mantenerla il più ferma possibile, ma il sangue che incrostava una ciocca di capelli di quel biondino lo distraeva terribilmente. “Perché l’hai ucciso?”

Christine ridacchiò. Si era tolta la camicetta e la stava riponendo con cura davanti a sé. “Secondo te, la Chiesa della Violenza può permettere che un’esponente di un’organizzazione così pericolosa e radicata rimanesse in vita…?” Eda fece una smorfia. “Tu vestiti”.

“Radicata?” Rock ridacchiò fra sé e sé, pensando a come era stato facile, per l’Hotel Moscow, scoprirli e spazzarli via. “Mi sembrava piuttosto innocua”.

Eda si voltò verso di lui: quest’ultima frase era riuscita finalmente a catturare il suo interesse. Lo guardò, stupita.

“Rock, zuccherino, ti facevo più intelligente”. Si strinse nelle spalle. “Qui si stava formando la sede più importante, ma è ovvio che ci sono altre sedi satelliti, nei loro paesi d’origine. Il mio… Beh, nostro” si corresse “compito era di eliminare chi era qui. La pulizia vera e propria è ancora tutta da fare!”
Il giapponese socchiuse gli occhi, pensoso.

“Il tuo compito? E come puoi…”

“Le vie del Signore sono infinite” sbottò Christine. Si era finalmente rivestita, ed ora poteva finalmente essere riconosciuta come un membro della Chiesa della Violenza. “C’è un solo Dio, ma i suoi figli sono tanti”. Eda, soddisfatta dalla risposta, sorrise. “Ora andate a riprendervi i vostri amichetti, Revy avrà bisogno di sostegno, non so se mi spiego”. La battuta aveva un che di amaro, in una situazione come quella. “A pulire il casino ci pensano la biondina qui e Fernando. Ciao”.



***

Angolino Autrice

Beh, che dire.
Non mi sono soffermata più di tanto sulla scena clou perché... Non volevo ucciderlo. Mi ci ero affezionata, sto male anche io ora! Fino alla fine mi sono detta, lo salvo o non lo salvo? Sono stata più volte sul punto di far finire tutto bene, ma non sarebbe stato Black Lagoon, giusto...?
Questo è ufficialmente il penultimo capitolo. E' incredibile come sia facile finire una storia iniziata anni ed anni fa... Mi mancherà, sicuramente.
Ma non temete! Ho già iniziato a scriverne un'altra, e la trama, beh... Sinceramente mi piace più di questa!
Grazie mille a tutti quelli che recensiscono... Fatemi sapere che ne pensate!

Harry


 
  
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