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Autore: Walpurgisnacht    16/08/2016    1 recensioni
Allora ragazzi, vi capita mai di avere idee folli su cui vi sale un hype incontrollabile e che DOVETE mettere per iscritto? Ecco, se vi è successo sapete cosa è passato per la testa mia e della mia socia. Spiegazioni sul crossover e altri tecnicismi nel primo capitolo.
Aggiornamenti settimanali, due a botta. Numero finale di capitoli: ventuno.
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Un aereo cade. Nove ragazzi ammaccati si leccano le (piccole) ferite e cercano di capire come andarsene da quel posto dimenticato da chiunque.
Sul serio, non c'è nessun tizio psicopatico che vuole farli giocare alla sua personalissima versione de La Ruota della Fortuna.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“FERMI TUTTI FERMI TUTTI FERMI TUTTI!” ululò Mondo, attirando l’attenzione di tutti i presenti “PERCHÉ CAZZO IKUSABA NON C’È?”.

Makoto credette di aver perso l’udito, e probabilmente non solo lui a giudicare dalle reazioni degli altri.

Cercò di tornare sullo schermo, e più le immagini passavano più si notava la totale mancanza di Mukuro.

Non appariva neanche in mezzo fotogramma.

Nulla. Nada. Nilch.

A quel punto un dubbio terribile lo assalì.

Si voltò, venendo imitato da Kyouko.

Come volevasi dimostrare. Di lei non c’era traccia anche al di fuori dello schermo.

“Gente” annunciò “siamo passati da due a zero Ikusaba in meno di trenta secondi”.

Quando la sua frase venne assimilata tutti gli occhi si scollarono dal video per cominciare a guardarsi attorno, constatando l’assenza del Soldato.

“Abbiamo la nostra spia” chiosò Togami. E nonostante avesse cercato di pronunciare questa frase con il suo vecchio tono da insensibile totale, una certa nota di preoccupazione filtrò evidente.

“Spia?” chiese Ishimaru strabuzzando gli occhi.

“Non è il momento!” li tranciò senza riguardo Kyouko “Se ci sbrighiamo forse riusciamo ancora a prenderla!”. E così dicendo schizzò fuori, disinteressandosi di chi la seguiva o meno.

Dannazione. Ci siamo giocati anche lei, ho paura. Nonostante il colpo basso di pochi minuti fa… la cosa non mi fa per nulla piacere.

“Credo che Kirigiri-san abbia ragione” disse Sakura avviandosi a sua volta verso l’uscita.

Pian piano tutti fecero lo stesso.

Si sparpagliarono, dovevano ovviamente coprire ogni possibile via di fuga.

Stava cercando all’interno della stanza 9 assieme ad Asahina quando…

“Venite! Credo di aver trovato qualcosa!” strillò Togami, forte abbastanza da farsi sentire per tutto il piano.

Uscirono entrambi, vedendolo emergere dalla stanza 1. In pochissimi istanti furono tutti lì, a pendere dalle sue labbra.

“Botola. Andiamo”.

Non si fecero pregare.

Scaletta che scendeva.

Furono talmente forsennati da prendersi vicendevolmente a calci in testa e sulle spalle. Quasi rischiarono di cadere tutti uno sopra l’altro come una torre di Jenga che crolla.

Impazziamo. Impazziamo tutti.

Poi la solita Kyouko, l’apripista, avvisò alzando la testa: “Vedo il fondo. Preparatevi a saltare”.

I meno atletici, come lo stesso Makoto e Touko, presero delle sonore sederate atterrando con decisamente poca grazia.

Si trovarono nel lato anteriore di una stanza gigantesca che, a quanto pareva, era stata addobbata come fosse una chiesa cristiana. C’erano persino le file di panche.

Si scuoterono rapidamente e… eccola là.

Non si vedeva granché bene, la distanza non era poca, ma bastava. Non poteva essere altrimenti, erano tutti lì a parte la fuggitiva.

“Benvenuti nel santuario” la sentirono urlare.

Ikusaba-san… perché? Perché? Perché?

Le si fecero sotto a poderose falcate, avanzando in maniera inquietantemente simile a quella di un carro armato.

Un veloce giro di sguardi gli confermò che fra di loro serpeggiava tanta, tanta rabbia. E che quella rabbia ora aveva un bersaglio ben preciso.

Lui stesso non poteva dirsene del tutto immune.

Erano ormai a pochi metri quando successe qualcosa di totalmente, assolutamente inaspettato: Zero parlò.

“Capo! Capo! Questo non c’era sul copione, che dobbiamo fare?”.

...eh?

Il loro impeto furioso subì una momentanea, anche se decisa, battuta d’arresto.

“Branco di incompetenti” la sentirono dire alzando la testa verso il soffitto “non serve farsi prendere dal panico. Da qui in poi ci penso io. Andate fuori a fumarvi una sigaretta”.

Rumori inconsulti alle sue spalle, ai suoi fianchi, davanti a sé. Makoto non capiva.

Allo shock si aggiunse una piccola dose di stupore quando vide che Mukuro stava avanzando verso di loro.

A quanto pareva Oowada e… oh santo cielo, Oogami non aspettavano altro e si avventarono, lui da destra e lei da sinistra, verso Ikusaba.

“Fossi in voi non lo farei” cantilenò quella, agitando con totale nonchalance una pistola. Prima non se n’erano accorti a causa della lontananza.

I due si arrestarono.

“Bravi ragazzi. Non vogliamo che qualcuno si faccia male, vero?”.

“Quella da dove salta fuori?” digrignò i denti Mondo, decisamente fuori di sé (e, conoscendo la sua notoria capacità gestionale in merito all’ira, probabilmente a tanto così dal saltare per aria come il miglior Krakatoa).

“Nascosta sotto una panca. Mi sono servita prima del vostro arrivo”.

Un centesimo di secondo di silenzio.

Vorticavano infinite domande, in mezzo a loro e fra loro e lei. Makoto quasi le poteva fisicamente vedere tanto erano dense.

“Ikusaba-san… perché?” le chiese, dando voce al suo dubbio più grande.

“Naegi, hai una capacità a dir poco invidiabile di fare sempre la domanda più stupida ma anche più sensata. Vieni, vieni un secondo. Ho da mostrarti una cosa”. L’invito venne esteso tramite la canna della pistola che si alzò verso la sua faccia.

Ehm. Ho idea che mi tocchi.

Lui si fece avanti lento. Lei indietreggiò lenta. Gli altri rimasero immobili.

Coprirono diversi metri con questo macabro balletto.

Poi giunsero a destinazione: nel bel mezzo della stanza c’era una teca di vetro. O forse di cristallo, come nelle favole.

E dentro questa teca…

“J-J-J-Junko-chan?”.

“Esattamente. Junko Enoshima, la bambina dimenticata.”

“M-Ma… ma come…”

“Come si è conservata così bene, dici? Oh, avevo i miei mezzi, ma non è importante.”

Makoto non osò controbattere, limitandosi ad osservare il contenuto della teca: quella che Mukuro diceva essere Junko era in realtà un fantoccio, del tutto identico a quello che aveva scatenato i ricordi suoi e di Togami. Notò pezzi di ossa qua e là, ma non poteva essere certo fossero appartenute alla bambina defunta.

“Che effetto fa vederla da vicino, dopo tutti questi anni? Ora te la ricordi bene?” cantilenò lei, e a quel punto Makoto non riuscì a trattenersi oltre: “M-Ma Ikusaba-san… questa è una bambola…”

Un pugno inaspettato lo colpì alla bocca dello stomaco, facendogli perdere l’equilibrio.

“NON OSARE RIVOLGERTI A JUNKO IN QUESTI TERMINI!”

Naegi, che ora aveva Sakura e Mondo al suo fianco che lo aiutavano a rimettersi in piedi, continuò a parlare, seppur a fatica: “Quella… quella è una bambola, Ikusaba-san. J-Junko è morta nell’incendio” disse, “non siamo riusciti a portarla via… e tu… tu non eri lì con noi.”
“LO SO!” urlò, e sparò un colpo in aria che colpì il soffitto. “Lo so che non ero là… e non me lo perdonerò mai, MAI. Vivrò per sempre con il rimorso di non aver potuto salvare la mia sorellina!”

La sua cosa?

“Aspetta, frena!” intervenne Mondo. “Tu ed Enoshima siete sorelle?! Ma i vostri cognomi sono diversi!”

Mukuro si lasciò scappare una risata sgradevole da iena: “Ovvio che sono diversi. Ci ha pensato la Kibougamine a cambiare il mio atto di nascita, non potevano certo lasciare in giro la prova vivente dell’esistenza di Junko e degli esperimenti.”

“Ma come… come hanno fatto ad insabbiare tutto? Come hanno potuto nascondere la morte di tua sorella ai vostri genitori?” fu Sakura a chiedere, stavolta, e Mukuro si limitò a un ghigno: “Genitori? Quali genitori? Io e Junko siamo state abbandonate in tenera età da due pezzi di merda che ci ritenevano un peso. Siamo state letteralmente adottate dall’accademia, difatti passavamo lì ogni giorno di vacanza. Ma immagino che nessuno di voi ricordi nulla in proposito.”

Per un attimo Makoto ebbe una fugace visione di lui che tornava a casa in auto con i genitori, forse per Natale, e salutava dal finestrino due bambine.

Junko e Mukuro.

“Io… io ricordo” balbettò, e il Super Soldato si inginocchiò davanti a lui: “Vedo che su di te l’effetto delle sedute d’ipnosi comincia a svanire… non che ti serva a nulla ormai, ma almeno potrai morire con la consapevolezza di essere stato la causa della morte di Junko. Tu e tutti gli altri.”

“Comodo incolpare noi per qualcosa in cui non avevamo potere decisionale, eh?”

Makoto, insieme a Sakura e Oowada, si voltò verso Togami, che apparentemente era tornato ad essere il Super Erede arrogante e dalla lingua lunga.

Che vuole farci uccidere tutti pensò brevemente, chiedendosi se il ragazzo avesse un piano in mente o semplicemente non aveva idea delle conseguenze che le sue parole potevano avere su Ikusaba. Optò per la seconda.

“Togami hai deciso di condannarci tutti a morte?!” ringhiò Mondo, dando voce ai pensieri di Naegi, ma Mukuro sembrò essere quasi divertita dal modo di fare del biondo: “E chi altri dovrei incolpare, Togami? Avanti, illuminami.”

“Beh, fino a prova contraria sono i dirigenti della Kibougamine i veri colpevoli. Una classe di bambini di nove anni non può certo mettersi a studiare campi morfogenetici e compagnia briscola, figurarsi imbastire anche una serie di test scientifici in proposito… quindi direi che la tua più che giustificata rabbia andrebbe rivolta altrove.”
“Oh, non preoccuparti Byakky. Ho intenzione di dedicarmi anche a loro.”

Non scese nei dettagli ma era chiaro che non intendeva niente di buono.

Se a noi ha riservato questo non voglio nemmeno immaginare la sorte che toccherà agli autori degli esperimenti.

Ignorò il fatto che non riusciva a provare troppa pietà per loro. Ci hanno trattati come cavie si disse, non devo provare pena.

“Rimane il fatto” proseguì Byakuya “che noi siamo vittime tanto quanto te. Non abbiamo perso una sorella in quell’incidente, ma ci hanno sottoposti a test disumani, tutti insieme.”

“Ma siete stati voi a lasciare morire Junko nell’incendio, ricordi?”

L’Erede stavolta non riuscì a replicare, e persino Makoto si sentì in colpa: nel suo ricordo aveva cercato di tornare indietro da Junko, ma Togami lo aveva tirato per un braccio dicendo che non potevano fare niente. Un altro pezzo di memoria riaffiorò, e vide il resto della classe sulle scale che portavano su da qualche parte, in attesa che lui e Byakuya li raggiungessero.

“Ma tu… come fai a sapere queste cose?”

La sua domanda attirò gli sguardi di tutti su se stesso, compreso quello di Ikusaba: “Come fai a sapere cos’è successo se tu eri nel gruppo dei trasmittenti?” proseguì. “Non eri lì, non puoi essere certa di com’è andata!”

“Oh, invece so tutto caro il mio Super Fortunello. E se non mi credi” disse Ikusaba, alzandosi e avvicinandosi ad una delle panche “ecco a voi le prove di quello che dico!”

Lanciò qualcosa per terra che finì ai piedi di Makoto: due fascicoli, enormi e con la scritta “TOP SECRET” stampata in copertina. Se non si fosse trovato in una situazione già di per sé assurda, l’avrebbe trovato un dettaglio ridicolo da film di spionaggio di serie B.

“Avanti, leggi” lo esortò lei, “giuro che non ti sparo mentre sei distratto.”

Non era del tutto propenso a fidarsi delle sue promesse, ma la curiosità era troppa: prese il primo fascicolo, quello dedicato a Junko, e lo aprì. Sentì i passi dei suoi compagni alle sue spalle, mentre prendevano posto dietro di lui nella speranza di carpire informazioni.

“Leggi ad alta voce, per favore.”

Makoto fece quanto Ikusaba gli aveva ordinato: “4 novembre 2003, ore 19:00. Interrogatorio numero 4, Makoto Naegi e Byakuya Togami. Quando è stato chiesto loro perché avessero lasciato morire Junko Enoshima, i soggetti hanno risposto: «Non c’era più niente da fare. Le usciva sangue dal naso e dalle orecchie e c’erano fumo e fiamme ovunque». Poco dopo è stata registrata un’esplosione di moderata entità nel punto in cui presumibilmente è morto il soggetto Enoshima” lesse, ma si interruppe subito: “Q-Queste dichiarazioni sono incomplete! Ricordo chiaramente di aver detto a Togami-san che non potevamo lasciarla lì, ma il vetro stava per esplodere!”
“STA’ ZITTO!” ringhiò lei, e per fortuna non partì un altro colpo. “I tuoi occhioni da cucciolo non funzionano su di me, non provarci nemmeno. So benissimo cos’è successo, è scritto tutto nero su bianco!”

“E noi come facciamo ad esserne sicuri?” insistette Togami, e Makoto avvertì un lieve tremolio nella voce solitamente ferma del ragazzo. “Chi ci dice che quei documenti siano veri? Potresti anche averli creati di sana pianta, per quel che possiamo saperne.”
Mukuro sbuffò spazientita: “Oh per piacere, Togami, da una suprema spina nel culo come te mi aspetto di meglio! Sono la Super Soldatessa, non la Super Falsaria. E poi perché prendermi la briga di falsificare due miseri fascicoli dopo avervi messo a disposizione tonnellate di prove che raccontano gli eventi nel dettaglio?”

Nessuno seppe ribattere a quella risposta: effettivamente non aveva senso creare un paio di prove false quando tutte le altre erano autentiche, pensò Makoto con non poca inquietudine. Mukuro Ikusaba non stava bene, questo era ovvio a tutti, ma in quel gigantesco, folle piano c’erano lucidità e organizzazione.

“Come ci sei riuscita?”

Stavolta fu Kyouko a dare voce ai pensieri che affollavano la testa di Makoto.

“Hm? Spiegati.”

“Quello che ho detto: come ci sei riuscita? Hai ottenuto praticamente quasi ogni prova esistente, sei riuscita a mettere su trappole complesse, ci hai portati tutti qui… questo richiede mesi, se non anni, di preparazione e di sicuro non potevi farlo da sola.”

Il Soldato ghignò: “Non sei la Super Detective mica per nulla. Ovviamente ho dovuto avvalermi di un aiuto esterno. Come il nostro Topo di Biblioteca ci ha spiegato prima” fece cenno in direzione di Fukawa, “i campi morfici e l’ipnosi non sono scienze esatte. Hanno funzionato, per un po’, ma era ovvio che prima o poi qualcuno di noi avrebbe riacquistato i ricordi. Caso volle che succedesse a me per prima.”

Cominciò a camminare avanti e indietro lungo la navata improvvisata, passando in mezzo a loro come se nulla fosse e ogni tanto tornando ad ammirare il fantoccio nella teca: “Non erano riusciti a rimuovere il ricordo di Junko, immagino fosse impossibile. Mi fecero semplicemente credere che la mia sorellina era morta quando ero molto piccola e per un po’ funzionò bene. Poi cominciarono gli incubi: scene in cui avevo un camice addosso, degli elettrodi, immagini in cui mi usciva sangue dal naso per i troppi sforzi mentali… suona familiare?” disse, rivolgendosi al gruppo. Makoto si voltò a guardarli, e chi più chi meno aveva un’espressione di stupore ed orrore in volto, e lo sguardo perso nel vuoto. Nessuno parlò ma era plausibile che quasi tutti stessero iniziando a ricordare.

“Poi, un giorno, qualcosa ha scatenato una reazione nella mia testa. Come il fantoccio per il nostro caro Naegi-kun” proseguì, “ci fu un evento che riportò tutto a galla, la classica goccia che fa traboccare il vaso” disse, rimanendo qualche istante in silenzio prima di rivolgersi ad Aoi e Sakura: “Vi ricordate del commilitone di cui vi ho parlato, quando eravamo chiuse nella prima stanza?”

Le due annuirono e lei sembrò soddisfatta: “Bene. Non era inventato, come forse starete pensando in questo momento: ogni cosa che vi ho raccontato di me è vera. Ebbene, prima del suo incidente quel commilitone mi fece un regalo: era un semplice quadrifoglio, come augurio di buona fortuna in battaglia. «Ci tengo molto e per questo voglio che lo abbia tu» mi disse” inspirò. “Quelle esatte parole fecero scattare qualcosa nel mio cervello, e improvvisamente ricordai Junko che mi regalava il suo fermacapelli con l’orso bianco e nero. Era il suo preferito e per questo voleva che lo avessi io.”

Mukuro trattenne a stento un singulto e Makoto non riuscì a non provare pietà per lei: al di là di quello che aveva fatto loro, era una ragazza che aveva sofferto immensamente e che era stata lasciata sola quando avrebbe avuto bisogno di aiuto e cure… e ora si trovavano davanti agli effetti distruttivi di quella negligenza.

“Da quel momento in poi ho continuato a ricordare quasi tutto, ma avevo bisogno di prove. E per fortuna avevo qualche favore da riscuotere nella brigata Fenrir: ex hacker, gente con agganci utili, tutto pur di ottenere ciò che mi serviva per capire e mettere in atto la mia vendetta. Non solo in realtà, mi sono anche indebitata con alcuni di loro in maniera… spinta, diciamo. Come ho appena detto: tutto per la mia vendetta. Tutto.”

“E hai approfittato di una gita scolastica per farlo” disse Kyouko.

“Il pilota era un ex commilitone, così come gli assistenti di volo. Per il resto è bastato corrompere il personale all’aeroporto privato da cui la Kibougamine aveva prenotato i voli. Pure la voce che avete sentito, come avrete ormai capito, era di qualcuno dei miei complici. A tal proposito devo farti i complimenti Togami, ci hai preso in pieno. I ragazzi avevano dei turni ben precisi” fu la replica di Mukuro, pacata come se stesse discutendo di frivolezze invece che di un piano ai limiti della follia. “Avete presente il gas che ci ha addormentati quando siamo entrati qui? Era un souvenir di guerra e l’ho usato anche sull’aereo, per questo non ricordate bene lo schianto. L’incidente era vero, ma meno grave di quanto io e il pilota vi abbiamo fatto credere. La brigata Fenrir ha le mani in pasta un po’ ovunque.”

“E questo posto?” insistette Kirigiri. “Come l’hai costruito?”
“Oh, qui viene il bello: non ho costruito proprio niente. Questa è una delle tante sedi in cui hanno svolto esperimenti.”

Le espressioni sui loro volti dovevano essere piuttosto eloquenti, pensò Makoto, perché Mukuro continuò la sua spiegazione: “In realtà non siamo neanche troppo distanti dalle coste del Giappone, siamo su un atollo sperduto di proprietà dell’accademia chiamato Jabberwock Island. Qui hanno svolto alcuni test, credo con una classe prima della nostra. Le uniche modifiche che ho apportato riguardano le stanze con le vostre… prove speciali. Compreso il finto studio medico e la stanza di Junko, riprodotta basandomi sui ricordi che avevo della sua stanza in accademia.”

Tutto questo è così… così assurdo.

Sentì che stava per venirgli la nausea, più Mukuro andava avanti nelle sue spiegazioni e meno lui riusciva a trovarci un senso. Ebbe però la forza di rivolgerle una domanda: “Perché io non ho sostenuto alcuna prova?”

“Hm?”

“Tutti loro hanno affrontato prove terribili e li hai costretti a tirare fuori i loro scheletri nell’armadio solo per… per torturarli!” disse. Si rendeva conto che era ormai inutile chiederglielo, ma lui aveva bisogno di sapere. “Perché io no? Non avevo nessun segreto vergognoso da confessare, ma non mi hai nemmeno sottoposto a nessuna prova particolare e tutti hanno addirittura creduto che fossi io Zero! Perché?!” chiese con insistenza.

“Oh, Naegi-kun” sorrise lei, calcando sul -kun quasi a volerlo sbeffeggiare. “perché tu non conti nulla.”

Per un attimo si sentì pesante e stanco.

“Semplicemente non valeva la pena perdere tempo con te. Insomma, tu stesso hai detto che sei così mediocre e banale tanto da non capire perché ti abbiano accettato alla Kibougamine! Probabilmente anche i nostri compagni la pensano così ma non te l’hanno mai detto per pura cortesia… anzi, trovo quasi ironico che abbiano creduto che tu potessi davvero essere Zero! Diamine, mi sento quasi offesa!” rise, e Makoto si sentì sprofondare. Sapeva di non dover tenere conto delle opinioni di una squilibrata, che probabilmente lo stava volutamente provocando, ma la parte razionale di sé aveva deciso di lasciarsi andare, che Ikusaba aveva ragione e lui non valeva niente. Sentì Asahina e Oogami alle sue spalle, dirgli che non era vero, ma le loro voci giungevano distanti e ovattate. Vide con la coda dell’occhio Aoi farsi avanti e urlare qualcosa al Super Soldato: “Perché… perché ci stai dicendo tutto questo? Potremmo raccontare tutto alle autorità, non ti preoccupa neanche un po’?!”

La risata folle di Mukuro ridestò Makoto.

“Autorità? Quali autorità? Non c’è nessuno qui che possa aiutarvi, anche le coordinate del nostro volo sono errate. Passeranno anni prima che riescano a trovarvi, e nel frattempo morirete qui da soli come cani. E in quanto a me… non può succedermi più nulla. Io sono già morta.”

Un istante dopo si infilò la canna della pistola in bocca e premette il grilletto.

“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!”.

THUD.

“Porca… porca… porca puttana…”.

“Capo? Capo!”.

Repentino. Inarrestabile. Tremendo.

Da quando Mukuro aveva pronunciato la parola morta a quando aveva sparato erano passati… boh, una manciata di microsecondi forse.

Nessuno aveva avuto il tempo di reagire. Nessuno aveva avuto il tempo di urlarle “Fermati!”. Nessuno aveva potuto fare nulla di nulla.

E ora erano tutti e otto congelati come statue ad osservare il piccolo lago di sangue che andava pian piano espandendosi da sotto la sua testa. Gli occhi della mente di Makoto riuscivano per fortuna a bloccare dal suo campo visivo i pezzi di cervello fuoriusciti.

L’atmosfera, fino a qualche minuto prima pesante, era appena diventata tossica. Non c’era un solo rumore a disturbare il sinistro sovrapporsi di respiri flebili, quasi erratici.

Maledizione cazzo maledizione perché è andata così non doveva andare così avremmo potuto aiutarla cazzo no no no no no siamo intrappolati in un incubo da cui non usciremo mai moriremo tutti quasi quasi le prendo la pistola dalla mano e la imito cazzo.

Poi arrivò qualcosa a rompere la cappa che li stava soffocando.

“Gyahahahahahahahahahahah! Era ora, mi si stavano anchilosando tutte le giunture! Sgranchirsi le gambe ogni tanto fa bene, lo diceva sempre il mio dottore… prima che gli piantassi le mie Genoscissors nella gola!”.

Voltandosi la vide. Era… oh santa polenta, sul serio?

Dopo il suicidio in diretta avevano per le mani anche la serial killer.

   
 
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