Matt
La mattina mi
svegliai con in testa “Jessie’s girl” e
capii che la situazione stava
degenerando e neanche troppo lentamente. Diedi un pugno sul letto.
Cristo. Amy
nemmeno se ne accorse, dormiva ancora, ma non più addosso a
me, fortunatamente.
Mi alzai dal letto e diedi un’occhiata in giro. Dom non
c’era, non riuscivo a
credere che fosse davvero riuscito a portarsi a letto Lola.
Impossibile,
pensavo, impossibile. Afferrai il pacchetto di Marlboro e
l’accendino sul comò
e uscii sul balcone, cercando di fare il meno rumore possibile. Mi
accesi una
sigaretta e mi sedetti sulla ringhiera. Guardai l’oceano;
c’era già qualcuno in
spiaggia, ma era ancora tutto una meraviglia. Amavo stare in mezzo al
casino,
ero il primo a farne, ma a volte era anche bello vedere un
po’ di tranquillità.
Chiusi gli occhi per un secondo, presi un respiro e sbam, ancora:
“Jessie is a friend,
yeah, I know he's been a good friend of mine. But lately something's
changed.
It ain't hard to define. Jessie's got himself a girl and I want to make
her
mine..”. Dio mio, volevo uccidermi. Guardai
giù, ero al terzo piano, un po’
di male me lo sarei fatto a buttarmi di sotto. Poi sembrava fatto
apposta. Il
cantante vuole la ragazza di Jessie, io volevo la ragazza di Jessie. Il
mio
cervello malato mi stava prendendo per il culo, non sentivo quella
canzone da
anni e tutto d’un tratto, tac, eccola lì. Nel
momento giusto, o sbagliato che
fosse.
Mi passai la
mano tra i capelli e li tirai un po’, che voglia di farmi del
male. Soffiai via
il fumo e sentii dei rumori provenire da dentro la stanza. Mi alzai per
andare
a vedere. Dom era appena entrato, lo vidi chiudere la porta e voltarsi
verso il
mio letto. Sorrise e scosse la testa dopo aver visto Amy tra le
lenzuola e poi,
finalmente, si accorse di me. Mi fece i due pollici all’insu
e venne verso la
finestra.
Uscii sul
balcone e mi diede una spallata leggera.
«Sei sempre il
solito, Bells. Non ti si può lasciare solo un attimo che te
le scopi tutte tu.
Lasciane un po’ anche agli altri! E dai!» Ridemmo
tutti e due insieme, cercando
di trattenerci un po’.
«Lo chiamavano
lo scopatore seriale!» Dissi e lui mi diede un pugno sulla
spalla.
«Il migliore
fra tutti! Vorrei avere il tuo uccello, amico.» Rispose.
«Okay, okay,
adesso basta complimenti.» Gli diedi una gomitata leggera e
gli offrii la fine
della mia sigaretta, lui la afferrò e fece un tiro.
«Allora?» Chiesi,
curioso. «Lola?»
«E’ successa
una cosa.» Rispose in tono piuttosto serio, spegnendo la
sigaretta nel
posacenere.
«Cosa?» Non
sapevo cosa pensare.
«Te lo dico io,
anche se non spetterebbe a me, ma visto che ero
presente…»
Cosa cazzo è
successo, pensai.
«Hai combinato
qualcosa che non dovevi con Lola?»
Mi immaginai che magari si fosse rotto il preservativo o qualcosa del
genere.
«No, cioè, ero
con lei, ma poi è andato tutto a
puttane…» Rispose.
«Perché?»
«Ha chiamato
Gwen. Piangeva.»
Mi preoccupai.
Pensai di tutto.
«Cosa cazzo è
successo?» Finalmente lo dissi ad alta voce.
«Ha beccato
Jessie sbattersi un’altra dietro un cazzo di albero in
spiaggia.» Rispose,
mentre si grattava la nuca.
Cazzo. Merda.
Cazzo.
«Merda.» Sussurrai.
«Già.»
«E quindi?»
«Quindi io e
Lola l’abbiamo raggiunta, continuava a piangere
e…»
«Ma Jessie?»
«Jessie non lo
sa, credo.»
«Come non lo
sa?!»
«No, non l’ha
vista e lei non è andata da lui.»
«Ma-»
«Neanche Lola
non riesce a spiegarsi perché, chiunque sarebbe andato
lì per spaccargli la
faccia.»
«Cristo, che
coglione.»
Dom annuì e
iniziò a picchiettare nervosamente le dita sul balcone.
Guardammo
entrambi verso l’oceano. Mi passai le mani tra i capelli e
poi le incrociai
dietro la nuca.
«E adesso?» Chiesi.
«Adesso non lo
so. Le ho lasciate in camera un’oretta fa, Gwen perlomeno
aveva smesso di
piangere.» Rispose.
«Okay.»
Silenzio.
«Dici che devo
far finta di niente?» Domandai ancora.
«Sinceramente
non saprei. Forse sì. Però d’altronde
lo sanno che siamo in camera insieme.»
«Che razza di
coglione deficiente.» Commentai ancora. «Adesso mi
tocca anche dividermi. I
miei due migliori amici che litigano... Fantastico.»
La cosa sarebbe
potuta andare a mio favore per quanto riguardava la questione
“io e Gwen”, ma
in quel momento non ci pensavo. Sapevo che lei stava male sul serio e
non era
il caso di fare l’idiota.
«Lo so, è un
bel casino.» Rispose Dom.
«Sarei dovuto
esserci io. Invece ero qui con quella.» Dissi, indicando con
il pollice dietro
di me.
«Non fartene
una colpa. Poi non era da sola, c’era Lola.»
«Gli avrei
spaccato la faccia.»
«Lo so bene.»
Disse. «Quindi forse è andata meglio
così.»
«Non vedo Gwen
piangere dalle superiori e ricordo che non mi aveva fatto piacere
vederla
così.»
Tanto per la
cronaca ero stato io a farla piangere, quella volta. Mi ero comportato
da vero
stronzo, come mio solito, e lei c’era rimasta davvero male.
Per fare pace le
avevo regalato un orsacchiotto di peluche, cosa assolutamente non da
me, visto che
non mostravo affetto a nessuno, tantomeno a lei; ma quella volta mi ero
sentito
proprio una merda e avevo cercato di rimediare in qualche modo. Sapevo
che il
peluche era ancora in camera sua, ma non le chiesi mai niente a
riguardo.
La faccia
potrei spaccargliela lo stesso, pensai. Volevo proprio sapere
perché si fosse
comportato così da testa di cazzo, praticamente sotto gli
occhi di Gwen.
Stavano insieme da così tanto tempo che non credevo ne
sarebbe stato capace.
Sapevo che lei ci teneva. Sapevo quante persone aveva allontanato
per
stare con lui, quanti no aveva detto. Lui forse no, ma io
sì. Ricordo che, un
paio di anni prima, una sera l’avevamo passata insieme ed
eravamo finiti a ridere
ubriachi sul tappeto di camera sua. Lei mi aveva dato una spinta
– al solito -,
io le avevo tirato un pizzicotto, ancora una spinta e un altro
pizzicotto
finché non ci eravamo trovati vicini, così tanto
vicini che le avevo
accarezzato il viso e spostato i capelli biondi dietro
l’orecchio. Avevo visto
un brivido percorrerle il collo, proprio lì dove
l’avevo sfiorata. Tutti e due
ci eravamo accorti della tensione che aleggiava in quella stanza. In
quel
momento, io desideravo le sue labbra esattamente come lei desiderava le
mie. Ma
quando avevo fatto per avvicinarmi, lei, come se niente fosse, si era
girata
dall’altra parte e mi aveva detto: «Io ho sonno,
dormi qui o vai a casa?» e
così era tutto sfumato. Ma era andata bene così,
sarebbe stato un errore. Ovviamente
poi ero andato a casa. Non ne parlammo mai. Entrambi facemmo finta di
niente
per giorni, fino a quando sembrò che tutto fosse stato
dimenticato; ma, come
vedete, mi ricordavo tutto benissimo, anche le sensazioni provate. Non
sapevo
se anche per lei fosse stato come per me, ma ero convinto di
sì.
Fatto sta che lei aveva resistito a chiunque, me compreso, sobria o
ubriaca che
fosse.
«Non è stato un
bello spettacolo, in effetti.» Commentò Dom.
«Andrò da lei
fra qualche ora. Magari adesso sta dormendo.» Dissi.
«Probabile.»
Sentimmo entrambi
dei rumori provenire da dentro la camera. Dom mi lanciò
un’occhiata.
«Mi sa che
qualcuno si è svegliato…» Mi fece segno
con la testa.
«Fantastico.»
Sussurrai e un secondo dopo apparve Amy sul balcone.
Aveva addosso
una mia maglietta. Decisamente stavamo esagerando.
«Buongiorno.»
Disse, accompagnando il tutto con un gesto della mano.
Io la stavo
guardando male, quando Dominic mi diede una gomitata e rispose.
«’Giorno,
Amy.», al che accennai un sorriso falsissimo e la salutai
anche io. Lei venne
verso di me, ma io feci per entrare in camera.
«Forse dovresti
andare, abbiamo un po’ da fare questa mattina.»
Dissi, anche se in realtà non
era assolutamente vero, volevo solo che si togliesse la mia maglietta e
portasse il suo bel culo fuori da lì. Niente legami, niente
di niente.
Nello specchio
di fronte a me vidi riflessia Amy che guardava Dom con aria
interrogativa
chiedendo “perché” a bassa voce e lui
scuotere la testa e allargare le braccia.
Mi sedetti poi sul bordo del letto e la guardai raccogliere il suo
vestito e
avviarsi alla porta.
«La mia
maglietta.» Dissi e le rivolsi un sorriso senza denti.
«Dio, quanto
sei stronzo, Matt.» Commentò lei, sfilandosela in
modo stizzito. Me la lanciò
addosso e uscii sbattendo la porta.
«Ciao, biondina!»
Urlai e poi mi lasciai cadere sul letto.
Dom rientrò.
«Sei proprio un gran coglione.» Rideva.
«Impara a
prendere le mie cose.» Dissi.
«Era una
maglietta del cazzo.»
«Un maglietta
del cazzo, mia.»
Sottolineai.
«Non troverai
mai una ragazza.»
«Non è il mio
obiettivo.»
«Vero. Il tuo
obiettivo è scopartele tutte e poi mandarle a
fanculo.»
«Centrato in
pieno.»
Dominic rideva
come un bambino.
Io sospirai.
Ero proprio uno stronzo. Avevo davvero pensato che avrei potuto
portarmi a
letto Gwen senza un minimo di rimorso? Che schifo. Che schifo di
persona. Che
schifo di amico.
Il pomeriggio
mi arrivò un messaggio mentre guardavo la tv. Era di Gwen.
Dove sei?
Non ero uscito
quella mattina, perché temevo di incontrare Jessie e sentire
l’impulso di
doverlo prendere a calci in culo davanti a tutti. Così avevo
dormito ancora un
po’ e cercato di rilassarmi. Per quanto riguardava Gwen,
avevo deciso di
aspettare che mi cercasse lei. Le avrei detto che Dom mi aveva spiegato
l’accaduto, ma che comunque avevo preferito fosse lei a
parlarmene per prima.
Non volevo fare l’impiccione, cosa che, per
l’appunto, non ero.
Camera. Ti
raggiungo? Mi raggiungi?
Due minuti e
sono
lì.
Ero in boxer,
così mi infilai velocemente un paio di pantaloncini e cercai
di sistemare alla
bell’e meglio i due letti per non fare la figura del barbone.
Due minuti dopo
spaccati, bussò alla porta. Aprii e mi appoggiai allo
stipite. Mi guardava con
due occhi gonfissimi e di un azzurro quasi accecante, i capelli
raccolti in uno
chignon scompigliato e un’espressione che non riuscivo a
decifrare. Le sorrisi,
lei mi spinse dentro appoggiandomi la mano al centro del torace, poi
chiuse la
porta alle sue spalle.
Mi lanciò
un’occhiata glaciale.
«Giurami che
non lo sapevi.» Disse.
Quindi sapeva che sapevo che cosa era successo. Ma cosa intendeva?
«Cosa?»
Domandai, allargando le braccia.
«Cominciamo
bene.» Fece roteare gli occhi.
«Gwen,
spiegati.»
Sbuffò.
«Dimmi che non
sapevi niente di Jessie e quella troia.»
«Ma stai
scherzando?!» Sbottai. «Che cazzo dici?»
Speravo non lo pensasse
veramente.
«Non si sai
mai. Sai… Magari tra stronzi ve la intendete.»
Sibilò.
La afferrai per
un polso. «Ti sei rincretinita tutto d’un
colpo?»
«Non mi sono
rincretinita! Siete voi che non sapete tenervi una ragazza! Se non ve
ne
scopate abbastanza state male!» Urlò e mi diede
uno strattone per togliere il
polso dalla mia presa.
Non la mollai e le presi il viso con l’altra mano per
obbligarla a guardarmi.
«Io non sono il
tuo ragazzo, Gwen. Se voglio scoparmi dieci ragazze al giorno, posso
farlo.»
Dissi. «Non è che se siamo amici significa che io
lo abbia obbligato a fare
quello che faccio io. Non mi sono mai legato a nessuna e continuo a non
farlo,
non ho mai voluto ferirle e per questo non mi sono mai fidanzato con
nessuna di
loro. Se il tuo moroso è un coglione patentato non
è colpa mia.» Continuai,
piuttosto incazzato.
Quando fece per
abbassare la testa, gliela tenni su.
«Di certo non
gli ho detto io di farsi un’altra e sai bene che non lo farei
mai.» Dissi,
abbassando il tono di voce. «Non sei arrabbiata con me,
quindi smettila.»
I suoi occhi
erano puntati nei miei. Una piccola lacrima si formò
all’angolo di entrambi.
Mollai la presa e subito le sue braccia mi circondarono in un
abbraccio.
Stringeva forte, molto forte.
«Scusami,
Matt.» Sussurò. «Hai ragione, io non ce
l’ho davvero con te» Mi strinse ancora
di più, quasi fosse possibile.
Inspirai il suo
profumo. Sapeva di vaniglia. Mi accorsi anche di non star ricambiando
l’abbraccio, così rimediai. Le presi la nuca e le
feci appoggiare la testa alla
mia spalla. Singhiozzava leggermente, ma ormai non riusciva nemmeno
più a
piangere come si deve perché probabilmente aveva finito le
lacrime.
«Sono contento
che ti sia resa conto delle stronzate che stavi dicendo. Non ci
è nemmeno
voluto tanto, ce la siamo cavata in fretta.» Commentai.
«Sei sempre
così delicato e dolce nel dire quello che pensi,
Matthew.» Disse, sarcastica.
«Matthew mi
chiama solo mia madre quando è incazzata.» La
sentii sorridere sulla mia
spalla.
Sciogliemmo
l’abbraccio e la scrutai un po’, mentre la tenevo
per le spalle. Cercai di
farle un sorriso comprensivo. Non ero per niente bravo in queste cose.
Menomale
che sono nato uomo, pensai, come donna sarei stato un completo disastro.
La accompagnai
a sedersi sul mio letto. Io mi misi per terra di fronte a lei. Ci fu un
attimo
di silenzio.
«Cosa ho
sbagliato?» Chiese, poi.
«Niente.»
«A quanto pare
qualcosa sì.»
«Gwen, cerca di
vederla in un modo meno pessimistico. Siamo giovani, non dobbiamo mica
sposarci
adesso. Era l’uomo della tua vita?» Tentai di
convincerla che non era mica la
fine del mondo, quella.
«No. Cioè, non
lo so. Ci stavo bene insieme, ecco tutto.» Rispose, un
po’ confusa.
«Ti sei
risposta da sola, allora. Non farne una tragedia.» Le dissi.
La vidi
agitarsi. «Certo, per te è tutto così
facile! Non provare mai niente per
nessuno ha i suoi lati positivi, non lo metto in dubbio. Ma qui la cosa
è
diversa.” Sbottò.
Mi passai una
mano fra i capelli. In effetti non ero la persona migliore per poterla
consigliare in questa situazione. Anzi, ero decisamente la peggiore.
Anche se
dei sentimenti ce li avevo anche io, nonostante tutti mi descrivevano
quasi
come un robot.
«Non posso
aiutarti, allora.» Sussurrai.
«Non ho detto
questo. È solo che tu la fai subito facile. Vorrei solo un
po’ di supporto da
parte tua.»
Scivolò anche
lei per terra. Tenevo la testa bassa. Mi sentivo in colpa
perché non ero capace
di fare l’amico come si doveva.
«Quanto vorrei
essere come te, a volte.» Mi disse, dandomi un buffetto
affettuoso sul
polpaccio.
«Sconsigliabile.»
Feci io, con un mezzo sorriso.
Lei rise
leggera. Era bello sentirla ridere. Poi però torno ancora
seria.
«Comunque non
lo sa ancora che l’ho beccato.» Disse a bassa voce.
«Gwen, ma
perché?! Cazzo, dovevi andare là
subito!» Mi alterai un attimo. Io questa cosa
davvero non la capivo. Non mi andava giù che gli avesse
lasciato finire la sua
bella scopata in pace e tranquillità, quando lei era stata
male tutta la notte.
«Non lo so
neanche io perché.» Le disse con un tono strano,
che non capii.
«Non vorrai
mica fare finta di niente e lasciar perdere spero.» Le scossi
la gamba.
«Non lo so.»
Mi alzai di
scatto e lei si spaventò. Non era la risposta che volevo.
«Ah, cazzo! No,
Gwen! Non puoi farti prendere per il culo così! Ma stiamo
scherzando? Lui va in
giro a scoparsi la prima che passa e tu stai in camera a piangere e a
fare la
brava ragazza?» Urlai. «Ma non ci siamo
proprio!»
«E’ che-
Cominciò, ma non la lasciai finire.
«E’ che, un
cazzo!» C’era l’anta
dell’armadio aperta, così ne approfittai per fare
un po’
di scena e la sbattei con violenza. Lei serrò gli occhi al
rumore. «Se tu ci
torni insieme senza dire niente, prima lo ammazzo di botte e poi gli
dico il
perché… se è ancora vivo.»
Sibilai.
Si alzò anche
lei. «Ma manco avesse messo le corna a te!»
Gridò. «Smettila di dire queste
stronzate! Tu non ammazzi di botte proprio nessuno!»
Alzai le
spalle. «Vedremo.» Dissi a bassa voce.
In quel momento
la stavo solo provocando. Non avevo davvero intenzione di dargliele di
santa
ragione e di certo non volevo ucciderlo, volevo solo che lei capisse.
Anche se,
comunque, due schiaffoni Jessie se li sarebbe solo meritati.
Mi venne
addosso e mi colpì al braccio.
«Se gli metti
le mani addosso, puoi considerare la nostra amicizia finita.»
Disse,
arrabbiata.
Le presi la
mano con cui mi aveva colpito e la tirai verso di me. Stava dando i
numeri.
«Ma ti rendi
conto che lo stai difendendo? Dopo quello che ti ha fatto?»
Domandai, cercando
di tenere un tono pacato.
Rimase in
silenzio. Guardava in basso. La vidi deglutire.
«Non lo sto
difendendo.»
«Sì, invece.»
«Vorrei solo
che non litigaste voi due per colpa mia.»
«Al massimo per
colpa sua.»
«Sì, ma tu non
c’entri in questa storia.»
«Okay, se preferisci
mi faccio da parte.» Dissi e mi arresi. «Se vuoi
far finta di niente, tornarci
insieme e farti prendere per il culo, liberissima di farlo. Sappi solo
che
sbagli.» Si concluse così il cazziatone di Matthew
James Bellamy a Gwen
Morrissey.
Lei mi rispose
con un “okay” sussurrato e poi mi spinse sul letto.
Ci si buttò sopra anche lei
e abbracciandomi mi disse: «Adesso fammi ridere, stupido
scemo.»
Ehilà, sono di
nuovo qui.
Ringrazio tanto chi ha trovato il tempo di lasciarmi un commento (spero
di poterne trovare altri :) ) al primo capitolo e chi ha messo la
storia fra le seguite. Grazie, grazie.
La canzone Jessie's Girl è di Rick Springfield, ma l'ho
conosciuta tramite Glee anni fa.
A presto.
Lady.