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Autore: Lady Of The Flowers    19/08/2016    2 recensioni
Un gruppo di amici in vacanza insieme al mare e un amore (quasi) impossibile.
Matthew Bellamy è il tipico ragazzo che non ama legarsi, cinico e orgoglioso; Gwen Morrissey, la sua migliore amica da una vita. Qualcosa presto cambierà il loro rapporto.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Matt



La mattina mi svegliai con in testa “Jessie’s girl” e capii che la situazione stava degenerando e neanche troppo lentamente. Diedi un pugno sul letto. Cristo. Amy nemmeno se ne accorse, dormiva ancora, ma non più addosso a me, fortunatamente. Mi alzai dal letto e diedi un’occhiata in giro. Dom non c’era, non riuscivo a credere che fosse davvero riuscito a portarsi a letto Lola. Impossibile, pensavo, impossibile. Afferrai il pacchetto di Marlboro e l’accendino sul comò e uscii sul balcone, cercando di fare il meno rumore possibile. Mi accesi una sigaretta e mi sedetti sulla ringhiera. Guardai l’oceano; c’era già qualcuno in spiaggia, ma era ancora tutto una meraviglia. Amavo stare in mezzo al casino, ero il primo a farne, ma a volte era anche bello vedere un po’ di tranquillità. Chiusi gli occhi per un secondo, presi un respiro e sbam, ancora: “Jessie is a friend,
yeah, I know he's been a good friend of mine. But lately something's changed. It ain't hard to define. Jessie's got himself a girl and I want to make her mine..
”. Dio mio, volevo uccidermi. Guardai giù, ero al terzo piano, un po’ di male me lo sarei fatto a buttarmi di sotto. Poi sembrava fatto apposta. Il cantante vuole la ragazza di Jessie, io volevo la ragazza di Jessie. Il mio cervello malato mi stava prendendo per il culo, non sentivo quella canzone da anni e tutto d’un tratto, tac, eccola lì. Nel momento giusto, o sbagliato che fosse.
Mi passai la mano tra i capelli e li tirai un po’, che voglia di farmi del male. Soffiai via il fumo e sentii dei rumori provenire da dentro la stanza. Mi alzai per andare a vedere. Dom era appena entrato, lo vidi chiudere la porta e voltarsi verso il mio letto. Sorrise e scosse la testa dopo aver visto Amy tra le lenzuola e poi, finalmente, si accorse di me. Mi fece i due pollici all’insu e venne verso la finestra.
Uscii sul balcone e mi diede una spallata leggera.
«Sei sempre il solito, Bells. Non ti si può lasciare solo un attimo che te le scopi tutte tu. Lasciane un po’ anche agli altri! E dai!» Ridemmo tutti e due insieme, cercando di trattenerci un po’.
«Lo chiamavano lo scopatore seriale!» Dissi e lui mi diede un pugno sulla spalla.
«Il migliore fra tutti! Vorrei avere il tuo uccello, amico.» Rispose.
«Okay, okay, adesso basta complimenti.» Gli diedi una gomitata leggera e gli offrii la fine della mia sigaretta, lui la afferrò e fece un tiro.
«Allora?» Chiesi, curioso. «Lola?»
«E’ successa una cosa.» Rispose in tono piuttosto serio, spegnendo la sigaretta nel posacenere.
«Cosa?» Non sapevo cosa pensare.
«Te lo dico io, anche se non spetterebbe a me, ma visto che ero presente…»
Cosa cazzo è successo, pensai.
«Hai combinato qualcosa che non dovevi con Lola?»
Mi immaginai che magari si fosse rotto il preservativo o qualcosa del genere.
«No, cioè, ero con lei, ma poi è andato tutto a puttane…» Rispose.
«Perché?»
«Ha chiamato Gwen. Piangeva.»
Mi preoccupai. Pensai di tutto.
«Cosa cazzo è successo?» Finalmente lo dissi ad alta voce.
«Ha beccato Jessie sbattersi un’altra dietro un cazzo di albero in spiaggia.» Rispose, mentre si grattava la nuca.
Cazzo. Merda. Cazzo.
«Merda.» Sussurrai.
«Già.»
«E quindi?»
«Quindi io e Lola l’abbiamo raggiunta, continuava a piangere e…»
«Ma Jessie?»
«Jessie non lo sa, credo.»
«Come non lo sa?!»
«No, non l’ha vista e lei non è andata da lui.»
«Ma-»
«Neanche Lola non riesce a spiegarsi perché, chiunque sarebbe andato lì per spaccargli la faccia.»
«Cristo, che coglione.»
Dom annuì e iniziò a picchiettare nervosamente le dita sul balcone.
Guardammo entrambi verso l’oceano. Mi passai le mani tra i capelli e poi le incrociai dietro la nuca.
«E adesso?» Chiesi.
«Adesso non lo so. Le ho lasciate in camera un’oretta fa, Gwen perlomeno aveva smesso di piangere.» Rispose.
«Okay.»
Silenzio.
«Dici che devo far finta di niente?» Domandai ancora.
«Sinceramente non saprei. Forse sì. Però d’altronde lo sanno che siamo in camera insieme.»
«Che razza di coglione deficiente.» Commentai ancora. «Adesso mi tocca anche dividermi. I miei due migliori amici che litigano... Fantastico.»
La cosa sarebbe potuta andare a mio favore per quanto riguardava la questione “io e Gwen”, ma in quel momento non ci pensavo. Sapevo che lei stava male sul serio e non era il caso di fare l’idiota.
«Lo so, è un bel casino.» Rispose Dom.
«Sarei dovuto esserci io. Invece ero qui con quella.» Dissi, indicando con il pollice dietro di me.
«Non fartene una colpa. Poi non era da sola, c’era Lola.»
«Gli avrei spaccato la faccia.»
«Lo so bene.» Disse. «Quindi forse è andata meglio così.»
«Non vedo Gwen piangere dalle superiori e ricordo che non mi aveva fatto piacere vederla così.»
Tanto per la cronaca ero stato io a farla piangere, quella volta. Mi ero comportato da vero stronzo, come mio solito, e lei c’era rimasta davvero male. Per fare pace le avevo regalato un orsacchiotto di peluche, cosa assolutamente non da me, visto che non mostravo affetto a nessuno, tantomeno a lei; ma quella volta mi ero sentito proprio una merda e avevo cercato di rimediare in qualche modo. Sapevo che il peluche era ancora in camera sua, ma non le chiesi mai niente a riguardo.
La faccia potrei spaccargliela lo stesso, pensai. Volevo proprio sapere perché si fosse comportato così da testa di cazzo, praticamente sotto gli occhi di Gwen. Stavano insieme da così tanto tempo che non credevo ne sarebbe stato capace. Sapevo che lei ci teneva. Sapevo quante persone aveva allontanato per stare con lui, quanti no aveva detto. Lui forse no, ma io sì. Ricordo che, un paio di anni prima, una sera l’avevamo passata insieme ed eravamo finiti a ridere ubriachi sul tappeto di camera sua. Lei mi aveva dato una spinta – al solito -, io le avevo tirato un pizzicotto, ancora una spinta e un altro pizzicotto finché non ci eravamo trovati vicini, così tanto vicini che le avevo accarezzato il viso e spostato i capelli biondi dietro l’orecchio. Avevo visto un brivido percorrerle il collo, proprio lì dove l’avevo sfiorata. Tutti e due ci eravamo accorti della tensione che aleggiava in quella stanza. In quel momento, io desideravo le sue labbra esattamente come lei desiderava le mie. Ma quando avevo fatto per avvicinarmi, lei, come se niente fosse, si era girata dall’altra parte e mi aveva detto: «Io ho sonno, dormi qui o vai a casa?» e così era tutto sfumato. Ma era andata bene così, sarebbe stato un errore. Ovviamente poi ero andato a casa. Non ne parlammo mai. Entrambi facemmo finta di niente per giorni, fino a quando sembrò che tutto fosse stato dimenticato; ma, come vedete, mi ricordavo tutto benissimo, anche le sensazioni provate. Non sapevo se anche per lei fosse stato come per me, ma ero convinto di sì.
Fatto sta che lei aveva resistito a chiunque, me compreso, sobria o ubriaca che fosse.
«Non è stato un bello spettacolo, in effetti.» Commentò Dom.
«Andrò da lei fra qualche ora. Magari adesso sta dormendo.» Dissi.
«Probabile.»
Sentimmo entrambi dei rumori provenire da dentro la camera. Dom mi lanciò un’occhiata.
«Mi sa che qualcuno si è svegliato…» Mi fece segno con la testa.
«Fantastico.» Sussurrai e un secondo dopo apparve Amy sul balcone.
Aveva addosso una mia maglietta. Decisamente stavamo esagerando.
«Buongiorno.» Disse, accompagnando il tutto con un gesto della mano.
Io la stavo guardando male, quando Dominic mi diede una gomitata e rispose. «’Giorno, Amy.», al che accennai un sorriso falsissimo e la salutai anche io. Lei venne verso di me, ma io feci per entrare in camera.
«Forse dovresti andare, abbiamo un po’ da fare questa mattina.» Dissi, anche se in realtà non era assolutamente vero, volevo solo che si togliesse la mia maglietta e portasse il suo bel culo fuori da lì. Niente legami, niente di niente.
Nello specchio di fronte a me vidi riflessia Amy che guardava Dom con aria interrogativa chiedendo “perché” a bassa voce e lui scuotere la testa e allargare le braccia. Mi sedetti poi sul bordo del letto e la guardai raccogliere il suo vestito e avviarsi alla porta.
«La mia maglietta.» Dissi e le rivolsi un sorriso senza denti.
«Dio, quanto sei stronzo, Matt.» Commentò lei, sfilandosela in modo stizzito. Me la lanciò addosso e uscii sbattendo la porta.
«Ciao, biondina!» Urlai e poi mi lasciai cadere sul letto.
Dom rientrò. «Sei proprio un gran coglione.» Rideva.
«Impara a prendere le mie cose.
» Dissi.
«Era una maglietta del cazzo.»
«Un maglietta del cazzo, mia.» Sottolineai.
«Non troverai mai una ragazza.»
«Non è il mio obiettivo.»
«Vero. Il tuo obiettivo è scopartele tutte e poi mandarle a fanculo.»
«Centrato in pieno.»
Dominic rideva come un bambino.
Io sospirai. Ero proprio uno stronzo. Avevo davvero pensato che avrei potuto portarmi a letto Gwen senza un minimo di rimorso? Che schifo. Che schifo di persona. Che schifo di amico.

Il pomeriggio mi arrivò un messaggio mentre guardavo la tv. Era di Gwen.

Dove sei?

Non ero uscito quella mattina, perché temevo di incontrare Jessie e sentire l’impulso di doverlo prendere a calci in culo davanti a tutti. Così avevo dormito ancora un po’ e cercato di rilassarmi. Per quanto riguardava Gwen, avevo deciso di aspettare che mi cercasse lei. Le avrei detto che Dom mi aveva spiegato l’accaduto, ma che comunque avevo preferito fosse lei a parlarmene per prima. Non volevo fare l’impiccione, cosa che, per l’appunto, non ero.

Camera. Ti raggiungo? Mi raggiungi?

Due minuti e sono lì.

Ero in boxer, così mi infilai velocemente un paio di pantaloncini e cercai di sistemare alla bell’e meglio i due letti per non fare la figura del barbone. Due minuti dopo spaccati, bussò alla porta. Aprii e mi appoggiai allo stipite. Mi guardava con due occhi gonfissimi e di un azzurro quasi accecante, i capelli raccolti in uno chignon scompigliato e un’espressione che non riuscivo a decifrare. Le sorrisi, lei mi spinse dentro appoggiandomi la mano al centro del torace, poi chiuse la porta alle sue spalle.
Mi lanciò un’occhiata glaciale.
«Giurami che non lo sapevi.» Disse.
Quindi sapeva che sapevo che cosa era successo. Ma cosa intendeva?
«Cosa?» Domandai, allargando le braccia.
«Cominciamo bene.» Fece roteare gli occhi.
«Gwen, spiegati.»
Sbuffò.
«Dimmi che non sapevi niente di Jessie e quella troia.»
«Ma stai scherzando?!» Sbottai. «Che cazzo dici?»
Speravo non lo pensasse veramente.
«Non si sai mai. Sai… Magari tra stronzi ve la intendete.» Sibilò.
La afferrai per un polso. «Ti sei rincretinita tutto d’un colpo?»
«Non mi sono rincretinita! Siete voi che non sapete tenervi una ragazza! Se non ve ne scopate abbastanza state male!» Urlò e mi diede uno strattone per togliere il polso dalla mia presa.
Non la mollai e le presi il viso con l’altra mano per obbligarla a guardarmi.
«Io non sono il tuo ragazzo, Gwen. Se voglio scoparmi dieci ragazze al giorno, posso farlo.» Dissi. «Non è che se siamo amici significa che io lo abbia obbligato a fare quello che faccio io. Non mi sono mai legato a nessuna e continuo a non farlo, non ho mai voluto ferirle e per questo non mi sono mai fidanzato con nessuna di loro. Se il tuo moroso è un coglione patentato non è colpa mia.» Continuai, piuttosto incazzato.
Quando fece per abbassare la testa, gliela tenni su.
«Di certo non gli ho detto io di farsi un’altra e sai bene che non lo farei mai.» Dissi, abbassando il tono di voce. «Non sei arrabbiata con me, quindi smettila.»
I suoi occhi erano puntati nei miei. Una piccola lacrima si formò all’angolo di entrambi. Mollai la presa e subito le sue braccia mi circondarono in un abbraccio. Stringeva forte, molto forte.
«Scusami, Matt.» Sussurò. «Hai ragione, io non ce l’ho davvero con te» Mi strinse ancora di più, quasi fosse possibile.
Inspirai il suo profumo. Sapeva di vaniglia. Mi accorsi anche di non star ricambiando l’abbraccio, così rimediai. Le presi la nuca e le feci appoggiare la testa alla mia spalla. Singhiozzava leggermente, ma ormai non riusciva nemmeno più a piangere come si deve perché probabilmente aveva finito le lacrime.
«Sono contento che ti sia resa conto delle stronzate che stavi dicendo. Non ci è nemmeno voluto tanto, ce la siamo cavata in fretta.» Commentai.
«Sei sempre così delicato e dolce nel dire quello che pensi, Matthew.» Disse, sarcastica.
«Matthew mi chiama solo mia madre quando è incazzata.» La sentii sorridere sulla mia spalla.
Sciogliemmo l’abbraccio e la scrutai un po’, mentre la tenevo per le spalle. Cercai di farle un sorriso comprensivo. Non ero per niente bravo in queste cose. Menomale che sono nato uomo, pensai, come donna sarei stato un completo disastro.
La accompagnai a sedersi sul mio letto. Io mi misi per terra di fronte a lei. Ci fu un attimo di silenzio.
«Cosa ho sbagliato?» Chiese, poi.
«Niente.»
«A quanto pare qualcosa sì.»
«Gwen, cerca di vederla in un modo meno pessimistico. Siamo giovani, non dobbiamo mica sposarci adesso. Era l’uomo della tua vita?» Tentai di convincerla che non era mica la fine del mondo, quella.
«No. Cioè, non lo so. Ci stavo bene insieme, ecco tutto.» Rispose, un po’ confusa.
«Ti sei risposta da sola, allora. Non farne una tragedia.» Le dissi.
La vidi agitarsi. «Certo, per te è tutto così facile! Non provare mai niente per nessuno ha i suoi lati positivi, non lo metto in dubbio. Ma qui la cosa è diversa.” Sbottò.
Mi passai una mano fra i capelli. In effetti non ero la persona migliore per poterla consigliare in questa situazione. Anzi, ero decisamente la peggiore. Anche se dei sentimenti ce li avevo anche io, nonostante tutti mi descrivevano quasi come un robot.
«Non posso aiutarti, allora.» Sussurrai.
«Non ho detto questo. È solo che tu la fai subito facile. Vorrei solo un po’ di supporto da parte tua.»
Scivolò anche lei per terra. Tenevo la testa bassa. Mi sentivo in colpa perché non ero capace di fare l’amico come si doveva.
«Quanto vorrei essere come te, a volte.» Mi disse, dandomi un buffetto affettuoso sul polpaccio.
«Sconsigliabile.» Feci io, con un mezzo sorriso.
Lei rise leggera. Era bello sentirla ridere. Poi però torno ancora seria.
«Comunque non lo sa ancora che l’ho beccato.» Disse a bassa voce.
«Gwen, ma perché?! Cazzo, dovevi andare là subito!» Mi alterai un attimo. Io questa cosa davvero non la capivo. Non mi andava giù che gli avesse lasciato finire la sua bella scopata in pace e tranquillità, quando lei era stata male tutta la notte.
«Non lo so neanche io perché.» Le disse con un tono strano, che non capii.
«Non vorrai mica fare finta di niente e lasciar perdere spero.» Le scossi la gamba.
«Non lo so.»
Mi alzai di scatto e lei si spaventò. Non era la risposta che volevo.
«Ah, cazzo! No, Gwen! Non puoi farti prendere per il culo così! Ma stiamo scherzando? Lui va in giro a scoparsi la prima che passa e tu stai in camera a piangere e a fare la brava ragazza?» Urlai. «Ma non ci siamo proprio!»
«E’ che- Cominciò, ma non la lasciai finire.
«E’ che, un cazzo!» C’era l’anta dell’armadio aperta, così ne approfittai per fare un po’ di scena e la sbattei con violenza. Lei serrò gli occhi al rumore. «Se tu ci torni insieme senza dire niente, prima lo ammazzo di botte e poi gli dico il perché… se è ancora vivo.» Sibilai.
Si alzò anche lei. «Ma manco avesse messo le corna a te!» Gridò. «Smettila di dire queste stronzate! Tu non ammazzi di botte proprio nessuno!»
Alzai le spalle. «Vedremo.» Dissi a bassa voce.
In quel momento la stavo solo provocando. Non avevo davvero intenzione di dargliele di santa ragione e di certo non volevo ucciderlo, volevo solo che lei capisse. Anche se, comunque, due schiaffoni Jessie se li sarebbe solo meritati.
Mi venne addosso e mi colpì al braccio.
«Se gli metti le mani addosso, puoi considerare la nostra amicizia finita.» Disse, arrabbiata.
Le presi la mano con cui mi aveva colpito e la tirai verso di me. Stava dando i numeri.
«Ma ti rendi conto che lo stai difendendo? Dopo quello che ti ha fatto?» Domandai, cercando di tenere un tono pacato.
Rimase in silenzio. Guardava in basso. La vidi deglutire.
«Non lo sto difendendo.»
«Sì, invece.»
«Vorrei solo che non litigaste voi due per colpa mia.»
«Al massimo per colpa sua.»
«Sì, ma tu non c’entri in questa storia.»
«Okay, se preferisci mi faccio da parte.» Dissi e mi arresi. «Se vuoi far finta di niente, tornarci insieme e farti prendere per il culo, liberissima di farlo. Sappi solo che sbagli.» Si concluse così il cazziatone di Matthew James Bellamy a Gwen Morrissey.
Lei mi rispose con un “okay” sussurrato e poi mi spinse sul letto. Ci si buttò sopra anche lei e abbracciandomi mi disse: «Adesso fammi ridere, stupido scemo.»



Ehilà, sono di nuovo qui.
Ringrazio tanto chi ha trovato il tempo di lasciarmi un commento (spero di poterne trovare altri :) ) al primo capitolo e chi ha messo la storia fra le seguite. Grazie, grazie.

La canzone Jessie's Girl è di Rick Springfield, ma l'ho conosciuta tramite Glee anni fa.

A presto.
Lady.

   
 
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