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Autore: Sajoko    19/08/2016    1 recensioni
Lily è una ragazza di 17 anni e come tutti gli adolescenti ha un sogno nel cassetto; però ha fatto la promessa a sé stessa di non dirlo a nessuno. Lei sa che le persone non capirebbero…
È una ragazza solitaria, infatti a scuola non ha amici, ma nonostante tutto, i suoi voti sono eccellenti; specialmente in una materia che lei ama alla follia: psicologia. L’insegnante di quella materia, il prof. Robert, è molto legato a Lily e sa che nonostante sia così fredda e distaccata con tutti, lei ne è legata da un filo invisibile nel suo profondo. Sa che in quella ragazza c’è umanità.
Robert non sa che periodo sta passando Lily e non sa nemmeno cos’ha per la testa… e quando capisce cosa la tormenta, ormai il più è già fatto…
Genere: Avventura, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo 7: Chile

 
Lavanda. Era questo il profumo che sentiva Lily nell’aria. A primo impatto non era riuscita a riconoscerlo, ma poi aveva ricordato. Era lavanda. Un profumo intenso ma delicato.
Quando Lily aprì gli occhi, si ritrovò nello stesso treno del sogno. C’era tutto: l’erba verde, i fiori, i petali che volavano leggeri mossi dal vento che entrava impetuoso nella cabina e, infine, il tramonto fuori dai finestrini. Era tutto esattamente come l’aveva sognato la prima volta.
Lily alzò la testa lentamente, guardò il sedile e lo tastò: era morbidissimo, quasi come se fosse fatto di lana pregiata. Si sedette e ammirò la cabina felice. Dopo aver fatto quel sogno, aveva sperato con tutta sé stessa di rifarlo.
Si alzò dal sedile e lasciò che il vento trasportasse i petali nei suoi capelli arruffati. Era una sensazione bellissima. Guardò nella direzione in fondo della cabina e trovò lo stesso salice che in precedenza aveva utilizzato per farci un sonnellino. S’incamminò verso di esso, maestoso e verde, ma accanto alle sue radici, Lily vide qualcosa… anzi, qualcuno. Quel qualcuno stava leggendo un libro, ma non sapeva dire con certezza quale.
Che quella persona fosse ciò che aveva visto nel primo sogno?
Si avvicinò lentamente e ad ogni passo, era sempre più curiosa. Quando fu abbastanza vicina, lo riconobbe: era Thomas. Aveva la stessa camicia bianca scollata che mostrava il petto abbronzato, le braghe verde scuro fino al ginocchio e dei sandali vecchi in pelle marrone. Al braccio sinistro portava il bracciale d’oro di Lily.
Lui si voltò e le sorrise, pose il libro a terra, s’alzò e andò verso di lei. Lily sorrise a sua volta. Era felicissima di vedere Thomas.
Si abbracciarono a lungo, finché lui prese tra le dita la collana che gli aveva dato in custodia alla ragazza e disse:
 
- La mia collana… ce l’hai sempre con te? –
 
- Sempre Thomas. Ce l’ho sempre con me. –
 
Lily appoggiò l’orecchio sul petto di Thomas e sentì il suo cuore battere. Era una sensazione bellissima e il battito andava a ritmo del treno. Mentre si abbracciavano, Thomas chiese:
 
- Vorresti vedere una cosa? E’ un evento raro che accade solo qui e da nessun altra parte. –
 
La curiosità spinse Lily ad accettare, così lui le prese la mano e la trascinò dolcemente verso la fine della cabina. Attraversarono altre cabine simili alla prima con petali, sedili, il vento e i fiori; poi finalmente arrivarono davanti ad una porta in legno marron chiaro. Thomas l’aprì e si ritrovarono in testa al treno. Non c’era nessuno alla guida, ma questo non sembrava preoccupare i due ragazzi.
Thomas si sporse dalla porta laterale di destra e indicò qualcosa in lontananza:
 
- Laggiù Lily! La vedi laggiù? –
 
Si sporse pure lei, mentre Thomas le faceva spazio per guardare meglio:
 
- Che cosa Thomas? –
 
- La galleria in cui stiamo per entrare. –
 
Lily aguzzò la vista: in effetti, in lontananza, si vedeva un punto nero che, man mano che il treno si avvicinava, diventava sempre più grande. Era l’entrata della galleria, ma era molto strana: non c’erano montagne o colline all’orizzonte, ma solo immensi territori ricoperti da nuvole arancioni basse fino alla caviglia.
Lily si voltò verso Thomas e la curiosità la spinse a domandare:
 
- Che cos’ha di così tanto speciale questa galleria? –
 
- Adesso lo scoprirai amica mia. Lasciati guidare. –
 
Lily si voltò nuovamente verso la galleria. Ormai mancava poco.
Ad un centinaio di metri dall’entrata, Thomas prese Lily affianco a sé e disse:
 
- … Ora, lasciati stupire! –
 
Quando entrarono nella galleria, il vento cambiò. Anche il panorama cambiò: non c’erano più le lunghe distese ricoperte di nuvole arancioni al tramonto, ma al suo posto apparve l’universo coi suoi pianeti, le sue stelle e le sue nebulose colorate. Era uno spettacolo a dir poco stupendo.
Lily guardò a bocca aperta quel paesaggio. Non aveva mai visto una cosa del genere.
Si voltò verso Thomas e con gli occhi illuminati di stupore disse:
 
- Wow! Thomas, è lo spettacolo più bello che io abbia mai visto! –
 
Tornò a guardare quell’incredibile paesaggio con gli occhi pieni di gioia. Da lì riuscivano a vedere tutto: Giove e l’immensa Macchia rossa al suo interno, l’anello di Saturno era talmente vicino che sembrava di poterlo toccare con la mano, mentre Venere era di un colore verde acqua lucente facendolo sembrare una pietra preziosa.
Lily desiderava tanto che quel momento non finisse mai, ma come in ogni galleria, c’è sempre la luce in fondo…
Appena Thomas la notò, disse a Lily di fare attenzione:
 
- Ci stiamo avvicinando all’uscita adesso. Ci sarà un cambiamento di clima ad dir poco notevole. –
 
Lily guardò davanti a sé, ma l’unica cosa che vide fu il pianeta Terra.
Si voltò verso il ragazzo e chiese:
 
- Ma li c’è il nostro pianeta. Non vedo nessuna luce… sei sicuro che l’uscita sia vicina? –
 
Thomas guardò Lily negli occhi e rispose:
 
- Ma come, non hai capito? La fine della galleria è la Terra! –
 
La mente di Lily diventò confusa. Come poteva essere la Terra la fine della galleria?
Si rivolse nuovamente al ragazzo:
 
- Come fa la Terra ad essere l’uscita? Ci schianteremo! –
 
Thomas rise a quella frase. Prese il volto di Lily dolcemente con la mano e disse:
 
- … Sta un po’ a vedere amica mia. –
 
Le voltò leggermente il viso e quello che accadde fu impossibile: mentre il treno si avvicinava alla Terra, Lily notò che non era la Terra vera e propria, ma l’inizio di un rettilineo ferroviario in mezzo ad un bosco. Quando uscirono dalla galleria, magicamente, il treno arrivò in un bosco con alberi alti, verdi e foglie che volavano qua e là cadendo al suolo silenziose.
Quello che aveva visto Lily, era impossibile… ma era accaduto sul serio davanti a lei.
Tornò a guardare Thomas e con voce stupefatta disse:
 
- Thomas… ma questo è… –
 
- … E’ ciò che vede un viaggiatore libero, mia cara. Ciò che un viaggiatore vede con nuovi occhi, senza alcun pregiudizio o idea a cosa stia andando incontro. –
 
Thomas si avvicinò alla porta della cabina, prese la maniglia, poi si voltò verso di lei e disse:
 
- … Questo è un piccolo assaggio di ciò che vedrai Lily, ma il resto lo vedrai molto presto, te lo prometto… -
 
Aprì la porta e uscì verso una luce bianca. Le altre cabine sembravano essere sparite.
Lily aveva così tante domande da fargli e voleva vedere altro. Era troppo bello per fermarsi adesso.
Chiamò Thomas, che ormai aveva già passato la porta, e gli urlò:
 
- Aspetta Thomas! Fammi vedere altro! Ti prego! –
 
Thomas continuò a camminare. Non si voltò indietro. Sembrava che non la sentisse. Lily corse verso di lui e allungò la mano per fermarlo:
 
- THOMAS, ASPETTAAAAA! –
 
- … Lily? -
 
Quando Lily entrò dentro la luce bianca, tutto finì.
Era un sogno, come tutte le cose belle. Ma questo era un sogno ad occhi aperti.
Quando tornò alla vera realtà, Lily sentì una voce maschile chiamarla:
 
- Lily? Ci sei? -
 
La ragazza spostò lo sguardo e vide una persona ai piedi del letto che riconobbe subito: era Edward Connor: un uomo alto, senza barba, con gli occhi grigi, gli occhiali a montatura sottile e un’acconciatura perfetta coi capelli neri pettinati all’indietro. Questo ragazzo, che mostrava 10 anni in meno di quelli che aveva, era specializzato in psicologia applicata, aveva due Master ed era uscito col massimo dei voti da una delle più prestigiose università inglesi… il classico strizzacervelli laureato alle prime armi.
Un particolare di quell’uomo era che portava sempre un vestito elegante con la cravatta rossa e la giacchetta, anche se c’erano 40 gradi all’ombra. Sembrava un maggiordomo in frac.
Lily lo fissò per qualche secondo, come se tentasse di capire quello che avesse detto, poi si guardò attorno: era in ospedale e la stanza fredda, bianca e silenziosa le ricordava una rosa bianca appassita. C’era un forte odore di candeggina, il solito odore degli ospedali, e il profumo di lavanda che aveva sentito prima in sogno, ormai era solo un lontano ricordo.
Si alzò lentamente per sedersi, poi rispose alla domanda dell’uomo:
 
- … Si Sig. Connor; ci sono… -
 
- Possiamo continuare? –
 
Nella voce di quell’uomo, Lily sentì la stessa sensazione che provò la prima volta che lo aveva incontrato: menefreghismo e indifferenza. Stava palesemente fingendo di interessarsi a lei.
Quando lo aveva incontrato per la prima volta, lui si presentò davvero male: entrando nella stanza, col solito vestito elegante e un fascicolo di fogli in mano, s’era presentato dandole subito del “Tu” senza manco porgerle la mano da stringere.
Era la cosa che Lily odia di più delle persone: qualcuno si presenta, sa il tuo nome, ma tu non sai nulla riguardo a lui o lei… è una situazione frustrante e inquietante, no?
Lo psicologo sfogliò il fascicolo di fogli che aveva in mano, voltò alcune pagine velocemente e chiese:
 
- Allora… dov’eravamo rimasti? ... Ah sì: Vorresti parlarmi di tuo padre? –
 
Lily non rispose, ma lui, come tutti gli psicologi, rimase ad aspettare.
Passarono 5 minuti, poi l’uomo accavallò le gambe, appoggiò le mani sui braccioli in legno lucido e domandò:
 
- … Cos’hai pensato in questo lasso di tempo? –
 
Lily non rispose. Quello che aveva fatto era di squadralo dalla testa ai piedi per trovare tutti i difetti di quel damerino, ma ovviamente non glielo disse in faccia:
 
… Ha una ciocca fuori posto sulla parte destra della tempia… il sopracciglio sinistro è più alto rispetto a quello destro… ha un neo nascosto sotto al colletto e… si tinge i capelli? Oddio che orrore!…
 
Lo guardò una seconda volta e alla fine disse:
 
- Sig. Connor, vedo che non ha ancora mollato la presa… -
 
L’uomo distolse per un secondo lo sguardo e ridacchiando disse:
 
- Eh eh eh… Sono una persona molto competitiva Lily. Non mollo mai quello che ho iniziato. –
 
Lily alzò un sopracciglio e con la stessa aria indifferente di prima pensò:
 
Questo lo vedremo presto, bello…
 
Abbassò il sopracciglio, lo guardò e disse:
 
- … Allora? –
 
Connor si guardò nuovamente in giro e confuso domandò:
 
- … Scusami? –
 
Lily stava perdendo la pazienza. Questo tipo non era capace di fare una conversazione come si deve; inoltre lei voleva capire perché fosse lì con lei ogni giorno della settimana, ma ovviamente il damerino non voleva dirglielo… oppure non poteva. Fece un’altra pausa, poi chiese:
 
- Che cosa vuole da me? –
 
- Sono qui per parlare con te. Lo abbiamo detto anche durante le altre sedute. –
 
- Ma io non ho niente da dirle. –
 
- Allora vorrà dire che staremo in silenzio, come abbiamo fatto prima. –
 
- Durerà molto, sappiatelo… -
 
- Tanto mi pagano a ore, quindi non c’è problema. -
 
A parte un intenso senso omicida, Lily si domandava cosa facesse (di veramente utile) nella vita quell’uomo: era uno psicologo oppure un comico?
Dopo alcuni secondi di sguardi fulminanti, Lily chiese:
 
- … Perché l’hanno pagata per parlare con me? –
 
- Perché alcune persone vogliono aiutarti. –
 
- Come mia madre? –
 
Connor si zittì di colpo. Quando Lily scoprì che doveva parlare con uno psicologo durante la permanenza in ospedale, scoprì anche che la madre aveva architettato questa faccenda. Da quel momento aveva deciso di non volerle più parlare. Erano giorni che non la vedeva e ancora non era riuscita a perdonarla. Ovviamente nessuno voleva darle delle spiegazioni al riguardo di questa storia, così decise di far cedere prima lo psicologo per ottenere quello che voleva.
Connor si sistemò sulla sedia, si avvicinò al letto e disse:
 
- Lily, devi capire che tua madre lo ha fatto per il tuo bene. Non devi puntarle il dito contro per il fatto che ha pensato di fare la cosa giusta. –
 
- Lei crede che imbottire qualcuno con farmaci antidepressivi sia la cura migliore? Allora perché non mi fa l’elettroshock e risolviamo la questione? No, anzi, ho un’idea migliore: mi chiuda in un centro psichiatrico, così potrà aiutarmi meglio! –
 
Connor rimase in silenzio. Si lasciò cadere sullo schienale della sedia verde assieme ad un sospiro e guardò Lily con aria stufa. Il fastidio nella ragazza crebbe ancora di più vedendo quello sguardo.
Inoltre c’era qualcosa che non quadrava: stava architettando qualcosa che Lily non sapeva… ma cosa esattamente?
Connor tirò fuori dalla tasca un piccolo oggetto metallizzato, lo mostrò a Lily e disse:
 
- Ora registrerò questa seduta. Non l’ho fatto nelle sedute precedenti per non metterti in ansia, ma da adesso faremo così. Dopo aver registrato le nostre conversazioni potrò –
 
- Analizzare tutte le risposte che dico, così potrà capire dal mio comportamento che cos’ho che non va… La prego, si risparmi le spiegazioni. So come funzionano queste cose. –
 
Connor rimase immobile col registratore a mezz’aria. Fece una smorfia divertita e disse:
 
- Sei molto intelligente. Si vede che ti piace la psicologia. –
 
Lily non disse nulla. Non gli stava affatto simpatico e qualunque cosa uscisse dalla bocca di quel tipo le pareva una cavolata.
Connor premette il pulsante del registratore poi parlò attraverso il microfono:
 
- 21 Settembre 2015; Ore: 11.37; nome della paziente: Lily Clark. Quinta seduta. –
 
Poggiò il registratore lampeggiante sul fondo del letto e iniziò a parlare:
 
- Allora Lily, ti rifaccio la domanda che ti ho chiesto prima: vorresti parlarmi di tuo padre? –
 
Non rispose. Non aveva ancora ottenuto le risposte che aveva chiesto.
Si sistemò sullo schienale del letto, si mise comoda e disse:
 
-  Continua a fare domande, ma non risponde mai alle mie: prima mi dica perché è qui, poi forse risponderò alle sue domande... –
 
- Te l’ho già detto: sono qui per parlare con te. –
 
- Allora parliamo, ma di ciò che voglio sapere. –
 
- Queste sono informazioni che i pazienti non possono avere. –
 
- E’ per via di quello che è successo a scuola? È per questo che lei è qui, giusto? –
 
- Non sono abilitato a darti queste informazioni. –
 
Lo scrutò a fondo, ma quell’uomo non voleva mollare la presa. Aveva ragione: non lasciava mai quello che aveva iniziato.
Lily si sistemò nuovamente sul letto e con una leggera smorfia di dolore appoggiò la mano sulla parte lombare del corpo:
 
- … Lo prendo come un sì. D'altronde, per cos’altro poteva essere? –
 
Connor rimase in silenzio. Stava ormai per cedere, ne era sicura.
Guardò la ragazza con lo stesso sguardo di disinteressamento di prima, ma questa volta era più marcato in viso.
Connor si sistemò gli occhiali sul naso e continuò a parlare:
 
- Provi dell’odio per questa scelta che ha fatto tua madre? –
 
Lily si massaggiò la parte dolorante:
 
- … Dovrebbero proporlo anche all’altra ragazza, Dakota Campbell, che mi ha ridotta in questo stato. Lo scriva sui suoi appunti… -
 
Dopo alcuni minuti e tante domande senza risposta, Connor prese il registratore, lo spese, si alzò dalla sedia e disse:
 
- … Grazie per la piacevole chiacchierata Lily; sei stata bravissima. Ho le informazioni che mi servono. –
 
Connor fece per andarsene, ma Lily, poco prima che uscisse dalla soglia della porta, gli disse:
 
- I suoi capelli. -
 
Si fermò, si voltò e disse:
 
- Cosa? –
 
- I suoi capelli. Si vede che li tinge. Il riflesso non è naturale. Le consiglio di usare un’altra tinta. –
 
Connor guardò Lily, sorrise e disse:
 
- …Ne terrò conto Lily. Grazie. –
 
E detto questo, uscì dalla stanza.
Chiuse la porta, s’incamminò verso il corridoio ed entrò in un’altra piccola stanza dove lo attendevano quattro medici all’interno.
Uno del gruppo, un uomo sui 30 anni coi capelli arruffati e una barba molto folta, vedendo lo psicologo entrare domandò:
 
- Allora? Anche questa volta non ha parlato? –
 
Connor si sistemò gli occhiali, si sedette e con aria impassibile tirò fuori delle carte che porse sul tavolo:
 
- No, nemmeno stavolta. Devo ammettere che è uno delle pazienti più complicate che abbia mai avuto a che fare: è chiusa, indifferente, fredda, ma ha un intuito eccezionale, devo riconoscerlo. In poco tempo è riuscita a capire molte cose che non doveva sapere… è un genio, in poche parole. –
 
I medici si guardarono tra di loro e una donna di colore, anziana e leggermente grassottella, disse:
 
- Sarà anche un genio, ma è parecchio scorbutica: quando sono andata da lei per farle i prelievi del sangue diceva che non ero capace di mettere l’ago come si deve nella vena. A momenti prendeva l’attrezzatura e faceva tutto da sola! –
 
Un secondo uomo, sui 27 anni circa, con capelli biondi e due occhi azzurri da far innamorare chiunque ragazza, disse:
 
- Nemmeno io che sono “vicino alla sua età” sono riuscito ad avere un contatto… ma che cos’ha quella ragazza? -
 
Il quarto medico, un uomo pelato e con un’espressione severa dipinta in volto, aveva ascoltato la conversazione e s’intromise brutalmente:
 
- Non vogliamo sapere se quella ragazza sa fare un prelievo da sola, ma se le supposizioni fatte siano esatte. Allora? Cosa dice Dottor. Connor? –
 
Connor guardò le quattro persone schierate in fila davanti a lui, prese un foglio dal fascicolo che aveva prima e disse:
 
- Dalle mie analisi e dal suo comportamento posso dedurre che effettivamente quella ragazza soffre di depressione. Ha tutte i sintomi: si isola, non parla con nessuno e non parla praticamente mai di lei o della sua famiglia. Ho notato inoltre che, durante le rare volte che parla con qualcuno, cambia personalità: con alcuni è aperta e spensierata, mentre con altri è diffidente e aggressiva.
Riesce a mascherare tutto con un estrema facilità e il fatto che conosca molto sulla psicologia l’avvantaggia parecchio, riuscendo ad anticipare le mosse del suo interlocutore. Solo parlando con la madre sono riuscito a scoprire altre cose che lei non ha mai detto, e questo mi ha fatto luce sulla causa di queste malattie… -
 
I medici si guardarono perplessi e la donna disse:
 
- Pensa che soffra anche di personalità multipla? –
 
- Lieve. Non è evidente, ma sembra che dentro di lei ci siano altre personalità… -
 
I medici non dissero nulla. Nella piccola stanza calò un silenzio di tomba, quasi come se nessuno osasse replicare quello che aveva detto lo psicologo. L’unico suono che aleggiava in aria era la ventola del distributore di bevande, che a sentirlo pareva quasi inquietante.
Solo il medico dall’aria severa, dopo qualche secondo di quiete, interruppe il tutto e disse:
 
- Quindi possiamo affermare che il preside della scuola aveva ragione? Quella ragazza soffre di depressione e persino di personalità multipla? –
 
Connor si sistemò gli occhiali, prese il fascicolo di fogli, li riordinò sbattendoli leggermente sul tavolo e disse:
 
- … Si. Possiamo confermare che è così. Scriverò una mail da mandare al preside della scuola, dopodiché, vedremo il da farsi. –
 
Non tutti ne erano convinti, ma non osarono replicare. Uno alla volta, i medici uscirono dalla stanza, lasciando lo psicologo da solo. Connor fece un sospiro, prese il suo Iphone 6, cliccò sulla posta elettronica e iniziò a scrivere la mail da mandare al preside:
 
<< A: WiCb@hotmail.com
 
Oggetto: valutazione clinica studentessa L.C
 
 
Egregio Sig. William Campbell,
 
Le scrivo per confermare la sua ipotesi sulla malattia della studentessa Lily Clark.
Esaminando le sedute con un approfondita e rigida valutazione della personalità, del comportamento e della logica, posso affermare che la paziente soffre di depressione di livello lieve. Nel comportamento ho riscontrato anche un problema di personalità multipla anch’esso a livello lieve.
Pertanto, le chiedo il permesso di iniziare la terapia.
La aggiornerò su eventuali farmaci prescritti compresa la data stabilita per il rientro della studentessa nella struttura scolastica.
 
Cordiali saluti,
 
Dottor. Edward Connor >>

 
Dopo averla riletta attentamente, Connor premette il tastò invio e spedì la mail.
 
***
 
<< To all of you American girls
It's sad to imagine a world without you
American girls
I'd like to be part of the world around you
Driving a car by the sea side
Watching the world from the bright side
 
To all of you American girls in the movies
No one can tell where your heart is
American girls like dollies
Which shines and smiles in plastic body
 
I wish I had American girlfriend… >>

 
Lily aveva le cuffiette nelle orecchie e stava ascoltando “To all of You” dei Syd Matters.
Quando ascoltava questa canzone, s’immaginava di viaggiare per gli Stati Uniti su una decappottabile rossa sulla costa Ovest, fianco a fianco con l’Oceano Pacifico.
Riusciva ad immaginarsi tutto: il vento che le scompiglia i capelli, il rumore ruggente del motore, il viso scottato dal sole, il rumore delle onde che si scagliavano sugli scogli, la strada rovente completamente deserta e la felicità che provava facendole venire la pelle d’oca.
Quella sensazione di libertà, dove sai che niente e nessuno ti può fermare, per Lily, è quello che aveva desiderato essere sin dall’inizio: libera e felice.
Nel testo, il cantante parla delle ragazze americane: dice loro di vivere come vogliono la loro vita senza farsi mai influenzare da nessuno… Lily si sente una di quella “ragazze americane” ed è così che ha deciso di vivere.
Mentre s’immaginava di viaggiare sulla Pacific Coast Highway, superstrada situata sulla costa Ovest degli Stati Uniti diretta a Los Angeles, sentì all’improvviso la porta della camera aprirsi.
Si voltò di scatto ma quando vide la persona che era entrata gli sorriso: era Robert.
Lily si tolse le cuffiette mentre Robert le domandò:
 
- Ho interrotto qualcosa di bello? Ti ho vista sorridere. –
 
- Affatto! Sorridevo perché ho visto te. –
 
Scese dal letto e lentamente (per via del dolore alla schiena) si avvicinò a Robert per poi abbracciandolo forte:
 
- Ciao Robert. -
 
- Ciao Lily. Come ti senti? –
 
- Andrebbe tutto a meraviglia se i medici mi facessero uscire da qui, ma per ora non mi lasciano… non sai che noia rimanere rinchiusi qui dentro! –
 
Robert lasciò Lily dall’abbraccio e le porse dei fiori che teneva nascosti dietro la schiena:
 
- Magari qualcosa dall’esterno ti rallegrerà: questi sono per te. –
 
Lily prese il mazzo di fiori; erano gerbere arancioni, gialle e rosse. Bellissime!
Le annusò e tirò un sospiro di felicità. Era da parecchio che non sentiva il profumo dei fiori. Ormai era in ospedale da due settimane.
Prese con l’indice un petalo rosso e disse:
 
- Ti ringrazio per questo bellissimo regalo. Adesso mi sento felice! –
 
Robert sorrise. Probabilmente era da parecchio che Lily combatteva contro i medici e chiacchierare con qualcuno (che ritenesse intelligente) era quello che le mancava.
Dopo aver messo i fiori in un vaso pieno d’acqua fresca, I due decisero di lasciare la stanza e fare un giro per l’ospedale per parlare con tutta calma. Mentre camminava, Lily era ancora incerta su alcuni passi a causa della botta alla schiena, ma ammise che stava migliorando rispetto alla prima settimana che le sembrava di essere totalmente paralizzata.
Passeggiarono per i corridoi parlando di cosa era successo nelle settimane precedenti finché Robert disse:
 
- Ho parlato con tua madre qualche giorno fa: dice che non le parli da quando lo psicologo ha iniziato le sedute… -
 
Lily rimase in silenzio. Non voleva parlare di sua madre in quel momento. Continuò a camminare e con lo sguardo rivolto sempre dritto davanti a lei disse:
 
- … Abbiamo bisticciato, ma non devi preoccuparti: va tutto bene. Abbiamo già risolto. –
 
Robert guardò Lily; aveva un’espressione di fastidio sul volto e si stava mordendo il labbro inferiore per non darlo a vedere. Robert capì che stava mentendo.
Sospirò. Era preoccupato, ma sapeva che se l’avesse detto alla ragazza si sarebbe arrabbiata moltissimo.
Mentre camminavano, Lily notò che da quando erano usciti dalla stanza Robert continuava a guardarsi attorno, come se ci fosse qualcuno alle sue spalle. Quando passavano dei medici nel corridoio, lui abbassava lo sguardo e rimaneva stranamente in silenzio finché non si allontanavano. Lily gli domandò se stava bene, ma Robert rispose:
 
- … Tranquilla. Sto benissimo. Grazie per avermelo chiesto… -
 
Quest’ultimo si voltò ancora una volta ma Lily lasciò perdere. Non voleva insistere.
Continuarono a camminare per qualche metro finché, appena svoltarono l’angolo, Robert prese Lily per un braccio e la trascinò in una stanzetta vuota. Presa alla sprovvista, Lily gridò:
 
- Ma cosa?!... –
 
Robert chiuse la porta a chiave, si volto verso di lei e disse:
 
- Lily, devi ascoltarmi attentamente. Potrà sembrare strano, ma quegli stronzi dei medici non ti faranno uscire da qui fino a quando non sarai “guarita mentalmente”. Pensano che tu abbia qualche problema psicologico e per questo hanno intenzione di farti rimanere qui per seguire una terapia di guarigione inutile. –
 
Lily guardò Robert con aria spaventata. Che diavolo gli era preso all’improvviso? Si allontanò di due passi tenendolo sempre d’occhio e disse:
 
- … Cosa vuoi dire con “guarita mentalmente”? che cavolo stai dicendo Robert? Io non sono malata… –
 
Quest’ultimo doveva dire a Lily quello che aveva scoperto a scuola: mentre era al lavoro, Robert doveva consegnare un foglio importante al preside, ma appena arrivò a pochi metri dalla porta dell’ufficio, lo sentì parlare con lo psicologo che seguiva Lily all’ospedale.
Robert si mise accanto alla porta nascosto e ascoltò l’intera conversazione tra i due. Sapeva perfettamente che poteva essere scoperto e così facendo anche di perdere il posto di lavoro… ma per Lily lo avrebbe fatto.
Lo psicologo prese un fascicolo dalla borsa che teneva sulle gambe, la porse al preside e disse:
 
- Questi sono i risultati… e a quanto pare “aveva ragione”. –
 
Il preside Campbell prese il plico di fogli, le diede una rapida letta e disse:
 
- … “Depressione” e “personalità multipla”? –
 
- Esatto. La ragazza è affetta da queste patologie e siccome richiede tempo per la guarigione, le chiedo di iniziare la terapia immediatamente… -
 
L’uomo guardò il Sig. Connor, poi il fascicolo. Lo poggiò sul tavolo in legno lucido e disse:
 
- … Può procedere con la terapia. E grazie per non aver nulla su mia figlia… –
 
Il Sig. Connor ridacchiò e rispose:
 
- Nessun problema. Con le giuste quote si possono fare molte cose… -
 
Robert intanto, si era già allontanato. Dentro di sé, aveva una rabbia incontrollabile per quello che avevano fatto quegli stronzi. Robert andò in sala insegnanti, poggiò le mani sul tavolo con un tonfo fortissimo e pensò:
 
… Quello stronzo del preside ha pagato lo psicologo per mettere in terapia Lily anziché sua figlia Dakota? Quindi è Dakota quella malata? Ommiodio… Lily… che cosa ti hanno fatto?
 
Voleva tanto tornare lì da quei due, picchiarli a sangue e dire a tutti quello che avevano fatto.
Lo avrebbe fatto sicuramente, ma la ragione fermò l’istinto di Robert: doveva giocare per tempo. Aveva un piano, ma prima doveva avvertire Lily.
Dentro quella stanzetta non c’era niente. Era un piccolo sgabuzzino abbandonato dell’ospedale, ma per Lily era come essere in una scatola di fiammiferi. Il suo cuore iniziò ad andare in agitazione, il battito accelererò e sembrò che le pareti della stanzetta iniziavano a chiudersi su sé stessa. L’aria le mancava e la gola le si chiuse improvvisamente.
Robert cercò di farle riprendere fiato. Era pallida in viso e tremava. Robert non sapeva cosa fare: la spaventava. Non l’aveva mai vista così.
L’uomo si passò una mano tra i capelli neri spettinati, poi iniziò a parlare:
 
- … Lo psicologo che ti segue crede che tu abbia una malattia mentale e vuole sottoporti ad una terapia psichiatrica. È per questo che non sei mai uscita di qui! Ti terranno qui dentro finché non crederanno opportuno lasciarti andare. –
 
Lily guardò Robert con gli occhi sgranati. Una terapia? Ma stava scherzando? Ecco perché non la facevano uscire da qui nonostante i miglioramenti!
Lily si passò una mano sui capelli rasta e disse:
 
- … Oh cazzo… stai dicendo sul serio? –
 
- Sono serissimo Lily! Quegli stronzi non ti lasceranno andare finché non diranno loro che sei “guarita”! –
 
Lily rimase senza parole. Che poteva fare? Rimanere alle regole di quei deficienti per settimane? No, non poteva riuscirci. Lily iniziò a camminare avanti e indietro per lo sgabuzzino a causa dell’agitazione.
Nella sua mente continuava a pensare:
 
Cazzo! Non voglio restare al loro gioco! Non voglio! Non voglio!
 
 
Lily sentì Robert prenderla per la spalla, voltarla leggermente verso di lui e dire:
 
- Ascoltami Lily, devi fare una cosa per me: devi resistere per qualche settimana qui dentro poi, quando sarai fuori di qui, devi aiutarmi a risolvere questa situazione. Ho un piano per aiutarti, ma devi promettermi che resisterai... –
 
Il piano di Robert era quello di denunciare il preside e lo psicologo di falsa testimonianza, complicità, abuso di minore e corruzione… ma per farlo doveva avere Lily fuori dall’ospedale: altrimenti, chi mai avrebbe dato retta ad una ragazza sotto terapia psichiatrica?
Lily iniziò a piangere. Sapere che doveva passare tutto quel tempo rinchiusa in un edificio non era per niente facile. Robert l’abbracciò per rassicurarla e le disse:
 
- Lo so che per te non sarà affatto facile, ma se resiti, ti prometto che tutto si risolverà… promettimi che resisterai Lily… -
 
Lily chiuse gli occhi mentre una lacrima le sfiorò il viso arrossato dal dolore. Con la voce rotta dal pianto, riuscì a stento a parlare:
 
- … Io… resisterò Robert… te lo prometto… -
 
Robert l’abbracciò ancora più forte. Sapeva che per Lily sarebbe stata una tortura, ma doveva resistere. Poteva farcela, ne era sicuro. Niente e nessuno poteva fermarla…
 
***
 
Passarono altre tre settimane da quando Lily fu ricoverata in ospedale. Era un mese che non camminava per la strada all’aperto; un mese che non passeggiava per la città… un mese che resisteva a quella tortura che sembrava non avere mai fine.
Quel giorno che erano nello sgabuzzino, Robert promise a Lily che sarebbe venuta a trovarla ogni giorno per portarle qualcosa di nuovo dall’esterno. Quella promessa, che Robert manteneva, dava a Lily un po’ di forza nel resistere giorno dopo giorno. Per la maggior parte, le portava libri e fiori.
Oggi è il 26 ottobre 2015, sono solo le 13.47 e Lily se ne sta seduta sul davanzale della finestra a guardare fuori. È una giornata grigia, come ogni autunno, e sta guardando la pioggia fredda abbattersi sulla città. Il vetro è ricoperto di righe d’acqua imperfette e le gocce si schiantano su di esso facendo un piccolo rumore piacevole.
Lily s’immaginava di essere sotto la pioggia e di sentire la pelle bagnata a contatto di essa. S’immaginava di avere i vestiti inumiditi e provare il contatto di quest’ultimi sulla sua pelle magra. Immaginava la felicità che avrebbe provato se fosse stata fuori e dei brividi di piacere le percorrevano tutto il corpo…
Per un momento, le sembrò di sentire veramente qualcosa di liquido sul dorso della mano, ma stranamente era caldo. Quando guardò cos’era, notò che era una lacrima. La sua lacrima.
Stava piangendo.
Rivivere quelle belle sensazioni senza poterle provare davvero la rendevano triste e malinconica.
All’improvviso, qualcuno entrò nella stanza. Lily non si voltò nemmeno ma riconobbe la voce alle sue spalle:
 
- Ciao Lily. È ora di prendere la medicina. –
 
Era l’infermiere del terzo piano Michael: alto, coi capelli marrone scuro lunghi raccolti in un codino, sbarbato e con due occhi marrone chiaro grandi.
Portò dentro la stanza un enorme carrello pieno di farmaci, brocche d’acqua e bicchierini di plastica. Prese un barattolo con la scritta “Fluoxetina” (o più comunemente, l’antidepressivo per eccellenza detto “Prozac”), ne tirò fuori una piccola pasticca, riempì un bicchiere d’acqua e li servì a Lily:
 
- Coraggio. Vedrai che poi starai meglio. –
 
La ragazza si voltò. Non è che a Lily gli stesse antipatico Michael, anzi… gli stava proprio sul cazzo quando le diceva queste cose infantili.
Dopo aver guardato per un lungo momento i due oggetti infernali, Lily li prese entrambi, li guardò nuovamente, poi si rassegnò: mise in bocca la pasticca e bevve un sorso facendo una faccia schifata, poi riconsegnò il bicchiere vuoto a Michael:
 
- Brava ragazza. Ci vediamo stasera per il secondo dosaggio. –
 
Appena il ragazzo se ne andò, Lily tirò fuori dalla bocca la pasticca che aveva nascosto sotto la lingua, andò verso il gabinetto del bagno, la buttò e tirò lo sciacquone.
Mentre guardava la piccola pillola verde e bianca finire nelle fognature pensò:
 
Per quanto tempo dovrà andare avanti questa storia? … Quanto?
 
 
***
 
Oggi è il 23 Novembre 2015. Sono passati esattamente due mesi da quando Lily è in ospedale e nulla sembra essere cambiato. Ultimamente sta perdendo la voglia di fare qualsiasi cosa: mangiare, dormire, parlare e sfortunatamente collaborare. Da qualche settimana risponde alle provocazioni dei medici mandandoli a quel paese oppure si rifiuta di prendere quello che le danno. L’ultima volta che si è rifiutata, le hanno dato del Prozac liquido in via endovenosa.
Era al limite. Il suo stato mentale stava andando a pezzi.
Quello stesso giorno, dopo l’ennesimo rifiuto di obbedire agli ordini, Lily era stata lasciata chiusa in camera. Per calmarla le avevano messo un altro flebo.
Non aveva mai preso così tanti medicinali in vita sua e questo la faceva stare male: il cambiamento di umore la rendeva vulnerabile e agitata.
Per peggiorare le cose, la madre Clara, qualche giorno fa, venne senza preavviso all’ospedale per parlare con lei. Si ricorda perfettamente quello che era accaduto:
La ragazza era nella sala caffè per la sua “ora d’aria” (perchè “l’ora del facciamo-lo-stesso-dannato-giro-dell’ospedale” suonava male da dire ai pazienti) e stava gustando il suo caffè macchiato in santa pace. Era seduta ad un tavolo mentre leggeva un libro che Robert le aveva portato qualche giorno prima, quando all’improvviso sentì una voce dirle:
 
- … Ciao tesoro. –
 
La ragazza alzò lo sguardo. Quando vide la madre in piedi davanti a lei, provò un senso di rabbia mischiato al fastidio. La guardò per qualche secondo, poi chiuse il libro con un tonfo e fece per andarsene, senza dire una parola. La madre tentò di fermarla prendendola per un braccio:
 
- Aspetta tesoro! Voglio solo parlare! –
 
Lily si voltò verso di lei, la guardò negli occhi e con voce fredda e distaccata disse:
 
- … Questa conversazione è morta ancora prima di iniziare. –
 
Si liberò dalla morsa e si avviò verso la sua camera. Aveva ancora del tempo per rimanere “fuori”, ma la voglia le passò subito appena vide la madre. Arrivata davanti alla porta della sua stanza, spalancò la porta, si sdraiò sul letto ma nel mentre arrivò Clara furibonda:
 
- Lily! Non ti permetto di fare così! Sono tua madre e dovresti avere un po’ di rispetto! –
 
Lily si voltò dall’altra parte e mentre si sistemava comoda disse:
 
- Quando esci chiudi la porta per favore. Non voglio sentire le voci provenienti dal corridoio… -
 
Clara, infuriata, prese la ragazza per la spalla, la voltò e con le lacrime agli occhi disse:
 
- NON TRATTARMI COSI’! NON TE LO PERMETTO! –
 
Lily la guardò con sguardo severo e freddo. Voleva ribattere ma non voleva discutere con lei.
Rimase a fissarla negli occhi per diversi secondi. La odiava in quel momento. La donna con cui per anni si era confidata le aveva voltato le spalle senza nemmeno lasciarle dire la propria opinione sulla terapia.
È tua madre, come non puoi lasciar spiegare quello che ha da dire tua figlia prima di prendere una decisione?
Nonostante ciò, Lily decise di ascoltare quello che aveva da dire sua madre. Voleva capire cosa l’avesse spinta a prendere questa decisione senza averla consultata.
Si liberò dalla presa di Clara, si sistemò seduta sul letto a gambe incrociate e disse:
 
- … Se hai qualcosa da dire dillo ora, perché non ti darò una seconda possibilità… -
 
Clara guardò la figlia con aria severa, ma dentro moriva di preoccupazione. Sembrava che avesse un’altra persona davanti a lei.
Prese la sedia che c’era nell’angolo della stanza, si sistemò sullo schienale, poggiò la borsa nera accanto ai piedi e iniziò a parlare:
 
- … Ricordi quanto eri legata a Papà? Eravate migliori amici. Facevate tantissime cose insieme: giocavate, t’insegnava a cucinare, andavate spesso in giro in montagna o al parco… ti ha persino insegnato ad andare in bicicletta, ricordi? –
 
Lily si addolcì per un momento pensando a quei ricordi. Parlare del padre morto le faceva sempre uno strano effetto e lo aveva sempre tenuto nascosto.
Effettivamente, lei ed Anthony andavano molto d’accordo: spesso passeggiavano assieme in mezzo alla natura ed è proprio per merito del padre se Lily ha la passione di scoprire posti nuovi.
Anthony era un uomo alto, coi capelli biondo cenere, occhi verdi, un sorriso stupendo e due mani affusolate bellissime. Lily assomigliava parecchio al papà, tutti lo dicevano.
Nonostante lavorasse come operaio in una ditta che smantellava metallo e altri oggetti, aveva delle mani morbide e ben curate.
Quand’era assieme al padre, Lily sorrideva felice. Si sentiva al sicuro nelle sue braccia.
Già prima che nascesse Lily, il padre era malato di una forma rara di tumore al cuore detta “Angiosarcoma”, solo che lo ha tenuto ben nascosto alla figlia scoprendolo solo 7 anni dopo la sua morte.
Quando arrivò il giorno che Anthony se ne andò, all’età di 6 anni, Lily cambiò totalmente il suo modo di vedere il mondo: diventò malinconica e sorrideva meno rispetto a prima…
Era come se una parte di lei fosse morta assieme al padre…
Tentò di non pensare a quei ricordi anche se fu molto difficile. La madre continuava a parlare e spiegò il perché di questa scelta:
 
- Ho deciso di farti fare questa terapia proprio perché anni fa ho deciso di evitartela: pensavo che mandarti dallo psicologo dopo la morte di papà non fosse la migliore delle decisioni e quindi lasciai perdere… ora voglio rimediare a quella scelta: adesso puoi dimenticare e tornare quella che eri una volta… -
 
Lily guardò Clara con occhi sgranati dallo stupore. Ma che stava dicendo? Dimenticare tutto? Ora? Non parlava seriamente…
Lily rimase a guardare Clara stupita mentre lei si avvicinò per accarezzarle la testa:
 
- … Lily, mi dispiace di non aver chiesto la tua opinione, ma ora starai bene… -
 
Con scatto fulmineo, Lily diede una manata al braccio della madre per allontanalo. Clara, stupita da questo gesto, si prese il polso con l’altra mano e disse:
 
- LILY! Ma cosa? … -
 
- … Tu pensi che starò bene? E’ questo quello che credevi di fare? Farmi stare meglio? –
 
Clara rimase senza parole: gli occhi di Lily sembravano bruciare e la voce si era fatta più infuriata:
 
- Lily, io –
 
- Tu non hai idea di cosa ho provato dopo la morte di papà; non sai un bel niente di come mi sono sentita per tutti questi anni. Non sai niente di quello che pensavo riguardo a quel coglione di Craig quando ti malmenava, di quando i miei compagni di scuola mi prendevano in giro, di quando scappavo e finalmente trovavo la pace dentro di me…
Tu non sai nemmeno chi sono io veramente… -
 
- Tesoro, io –
 
- TU NON SAI NULLA! TU NON HAI NEMMENO PIANTO PER LA MORTE DI PAPA’; ANZI, SEMBRAVI SOLLEVATA! CHE RAZZA DI MOGLIE NON PIANGE PER SUO MARITO MORTO? MA CHE RAZZA DI MADRE E’ UNA CHE MANDA LA FIGLIA IN TERAPIA PSICHIATRICA SENZA SAPERE UN CAZZO DI CIO’ CHE HA PASSATO?
COME? –
 
Clara indietreggiò. Aveva paura di lei. Chi era quella ragazza che le stava urlando contro? Non era sua figlia… no, non poteva esserlo.
 Mentre Clara iniziava a singhiozzare, con la voce roca disse:
 
- … Lily, amore… ma che cosa ti è successo? –
 
Lily con sguardo gelido e una rabbia che ribolliva dentro la guardò fissa negli occhi e disse:
 
- … Succede che mi hai cambiata in peggio… di nuovo. Di nuovo, cazzo. Mi hai reso ancora una volta la persona peggiore di questo mondo per la seconda volta! –
 
Clara scoppiò in lacrime. Tutto quello stress emotivo e la figlia malata la facevano stare a pezzi.
Si accasciò a terra a piangere. Quel pianto disperato echeggiò per tutto il corridoio. Sembrava che la stessero torturando, ma questa era diversa da qualsiasi tortura fisica; molto più dolorosa di qualsiasi tortura inflitta ad un essere umano.
Clara pianse disperata quando all’improvviso sentì una mano poggiarsi sulla spalla. Alzò lo sguardo e vide Lily: se ne stava lì, inginocchiata e con gli occhi sbarrati. Aveva uno sguardo inquietante sul viso e questo spaventò ancora di più Clara.
La guardò per qualche secondo poi, con voce fredda Lily le disse:
 
- … Non venire mai più qui… non voglio vederti mai più… Io. Ti. Odio.
 
Quando Lily pronunciò quelle parole, il cuore di Clara si ruppe in mille pezzi, come se fosse di vetro. Presa dalla disperazione, Clara prese la borsa nera, uscì dalla stanza piangendo lasciando la figlia sola.
Lily rimase immobile, si alzò in piedi e mentre i medici entrarono per capire cosa fosse successo, pensò:
 
Addio Mamma. Non ci rivedremo mai più…
 
***
 
Arrivata la sera, a Lily era permesso di usare il cellulare. Potevano usarlo solo in determinati giorni e oggi era uno di quelli.
Mentre accendeva la connessione dati del suo telefono, una sfilza di notifiche e messaggi apparvero sullo schermo luminoso. La maggior parte erano notifiche di Facebook o notizie online, ma siccome non le interessavano le eliminò subito. Passò quindi ai messaggi di Whatsapp:
 

#ROBERT: << Ciao Lily. Come stai? Vo… >>   ①

#Mamma: << Tesoro, ti prego di rispon… >>   ⑳

#GruppoClassediMerdaIV*E: << Miriam: Che compiti ci… >>  


 Guardò prima i messaggi di Robert:
 
<< Ciao Lily. Come stai? Volevo dirti che ieri non sono potuto venire in ospedale a trovarti per una riunione improvvisa. È molto importante e sai quanto ci tengo a dire la mia idea al riguardo…
Comunque: mercoledì 25 sono libero e verrò a trovarti. Porterò qualcosa che ti piacerà sicuramente ;)
Stay strong mate!
Rob >>
 
Lily sorrise. Robert odiava le riunioni, ma se l’argomento della seduta lo interessava, faceva di tutto per esserci e dire la sua idea “anarchica e anticonformista” come la definiva lui.
Tornò indietro sulle conversazioni e, con leggero fastidio, lesse i messaggi di sua madre Clara:
 
<< Tesoro, ti prego di rispondere almeno ai messaggi! Non riesco proprio a capire cos’ho fatto di male per meritarmi questo tuo silenzio… mi sta facendo impazzire!
Ti prego, scrivimi; voglio parlare con te… >>
 
Lily guardò la data: 14 Novembre 2015. Aveva scritto quei messaggi molto prima della loro conversazione d’addio. Scorse tutti e venti i messaggi e lesse l’ultimo che diceva:
 
<< Ti voglio bene >>

Lily lesse quest’ultimo messaggio con malinconia. Non sapeva se fosse vero quello che aveva scritto; ormai dubitava di tutto.
Scacciò quei pensieri dalla testa e chiuse la conversazione. Non voleva più pensarci.
I messaggi del gruppo classe non li guardò nemmeno; li eliminò ancora prima di leggerli.
Non le interessava quello che avevano da dire i suoi compagni.
Stava per chiudere Whatsapp quando vide una conversazione con un nuovo messaggio. Scorse in basso e quando lesse il nome del mittente, sorrise: era Thomas.
Non aveva avuto occasione di sentilo in questi ultimi mesi proprio perché non era mai online.
Preoccupata del suo amico pensò:
 
Chissà perché mi ha scritto? Di solito lo fa quando succede qualcosa di sensazionale…
 
Infatti, aveva ragione. Quando lesse il messaggio, capì subito cos’era successo:
 
<< Lily, cara amica mia, come stai? Ti scrivo per darti una buona notizia: il momento è finalmente giunto! Il nostro progetto può avere inizio! >>
 
Lily lesse quelle due righe più e più volte. Aveva letto bene: il progetto di una vita poteva iniziare.
Continuò a leggere il resto del messaggio:
 
<< Devi sapere che ho deciso questa cosa all’improvviso per via di alcuni problemi che ho avuto a casa ultimamente: i miei genitori, dopo essere tornato a casa dalle vacanze a Lisbona, hanno iniziato a litigare tra di loro. Già da tempo lo facevano e sembravano non migliorare affatto. Qualche giorno fa, hanno fatto una cosa che non avrei mai immaginato accadesse: mamma è tornata con le carte del divorzio e papà è andato su tutte le furie. Come se non bastasse, i vicini hanno chiamato i GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) per il gran trambusto che hanno fatto… l’umiliazione più grande che abbia mai preso Lily...
Volevo che il tempo si fermasse; volevo tornare indietro nel tempo e dire loro “Fermi! State sbagliando tutto!”, ma ora come ora, che ci posso fare? Lo so, la colpa non è mia, lo hanno detto anche i miei genitori, ma io mi sento responsabile in ogni caso… per questo ho deciso di andare il via. >>
 
Lily lesse il testo con attenzione. Ogni parola era fondamentale in quel messaggio:
 
<< Ti ricordo quello che devi fare: non destare sospetti; non lasciare tracce e men che meno non dire nulla a nessuno! Niente cellulare, porta con te tutti i documenti necessari e l’essenziale per dare iniziò alla tua avventura. Io sono già lontano. Ci troveremo, ma non subito.
Ci troveremo quando sarà il momento, ma per ora, goditi la tua avventura amica mia!
 
Ci vedremo presto,
 
Thomas >>
 
Lily strinse forte il cellulare che aveva in mano e una lacrima cadde sullo schermo luminoso.
Finalmente… finalmente poteva andare. Poteva essere libera.
Tolse le coperte che l’avvolgevano, prese dei vestiti puliti dall’armadio, li indossò e prese il telefono con sé. Si dimenticò di una cosa fondamentale: per dare il via alla sua avventura, doveva passare a casa per prendere le sue cose. Essendo in ospedale, non era riuscita a prendere tutto.
Infuriata dall’intoppo, tentò di calmarsi e a pensare ad un piano per entrare nell’appartamento senza fare casino. Quando ebbe un piano d’azione, decise di scappare dall’ospedale.
Aprì la porta della camera lentamente, si assicurò che nessuno fosse nel corridoio e percorse con cautela il terzo piano. Doveva uscire senza farsi scoprire.
Arrivò vicino alla porta dell’ascensore in fondo al corridoio. Guardò a destra e a sinistra assicurandosi che nessuno la vedesse, poi uscì dalle scale d’emergenza. Era meno probabile che qualcuno la vedesse lì, dato che nessuno passava mai per le scale anti-incendio.
Arrivata al pian terreno, Lily trovò il guardiano che faceva il turno. Si nascose dietro un muro e osservò i movimenti della guardia: l’uscita era a pochi metri tra la guardia e la libertà, ma sembrava che l’omone non volesse schiodarsi da li.
Lily osservò la situazione con attenzione ma sembrava che non ci fossero altre vie d’uscita.
Mentre nella sua mentre imprecava, pensò:
 
Merda! Devo distrarlo in qualche modo…ma come?
 
Come una risposta dal cielo, Lily notò una secchio abbandonato in un angolo ed ebbe un idea: prese il secchio, lo lanciò lontano verso la direzione opposta e si nascose per non essere vista dalla guardia.
L’uomo, molto robusto, si voltò per vedere in quella direzione. Puntò la torcia elettrica e disse:
 
- Chi è là? –
 
Si avvicinò piano piano, mentre Lily pensava:
 
Avanti, forza… ancora qualche metro…
 
La guardia si allontanò abbastanza da permettere a Lily di raggiungere l’uscita finché, con scatto felino, uscì dal suo nascondiglio e corse fuori.
Arrivò al parcheggio e da quel momento non fece altro che correre più veloce che poteva.
Si fermò per voltarsi dopo un centinaio di metri e, con un euforia al di fuori dal comune, fece doppio dito medio all’ospedale e nella sua mente pensava solo ad una cosa:
 
Addio bastardi! A mai più rivederci!
 
Abbassò le dita e riprese la sua corsa verso la libertà.
 
 
***
 
Arrivata sotto casa, Lily prese la chiave di riserva nascosta sotto ad una roccia smossa lì vicino. Troppe volte la madre si era dimenticata la chiave, quindi per ovvi motivi ne aveva fatto un duplicato in caso d’emergenza. Quando arrivò alla porta del suo appartamento, prese un Passepartout e delle forcine e tentò di forzare la serratura. Dopo dieci minuti, finalmente la porta si aprì con un *click*. Lily sorrise felice. Entrò lentamente e controllò che sua madre fosse a letto. Passando vicino alla cucina, Lily notò che c’erano diverse confezioni di cibo preconfezionato aperte sul tavolo: gelati, cibo spazzatura, coca cola, caramelle… probabilmente Clara era depressa dopo la conversazione con Lily e per tirarsi su di morale, tentò di trovare conforto nel cibo.
Salì le scale e passando davanti la camera della madre, controllò se stesse dormendo: le luci erano spente e un mare di fazzoletti di carta usati invadeva il pavimento. Assieme al cibo, pure le lacrime erano un modo si sfogo.
Lily andò in camera sua e la guardò a lungo. Era l’ultima volta che l’avrebbe vista.
Prese un vecchio borsone marron chiaro, lo aprì e prese tutto il necessario per la sua avventura:
Vestiti, biancheria, oggetti per l’igiene, macchina fotografica reflex vintage, un diario in pelle bordò, cartine geografiche e documenti d’identità.
Quando controllò di avere tutto, chiuse la lampo del borsone, se lo mise in spalla e pensò tra sé e sé:
 
Bene! adesso sono pronta per partire!
 
Fece per uscire dalla stanza, ma un pensiero le passò per la testa. Rimase qualche secondo ferma immobile poi, quasi come se avesse avuto un lampo di genio, prese un indelebile nero, carta, penna e finalmente uscì dalla stanza. Diede un’ultima occhiata a quella camera che aveva visto tanti ricordi, sorrise e si chiuse la porta alle spalle.
Dopo aver preso dei soldi dal portafogli della madre (quasi 300 euro), uscì dall’appartamento per poi avviarsi per strada.
Erano le 02.47 del 23 Novembre 2015…
L’avventura di Lily era finalmente iniziata.
   
 
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