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Autore: heike_b    20/08/2016    1 recensioni
Ti voglio tanto bene bambina mia, spero di vederti presto,
Christoph Schneider
“Chi è questo signore?” mi chiese mentre ancora fissavo la sua grafia elegante e ordinata, e piangevo.
“Il mio papà”
Genere: Drammatico, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Era il pomeriggio del 20 settembre. Mi trovavo al parco con le mie due migliori amiche, a fumare qualche sigaretta e ad ascoltare musica. Non riuscivo a concentrarmi sui loro discorsi, d’altronde, a fine giornata avrei rivisto mio padre, e non sapevo neanche se sarebbe stato in grado di riconoscermi.
“Ci vediamo ragazze.” Diedi loro un bacio e mi incamminai verso l’uscita del parco dove presi l’autobus per tornare a casa.

Iniziai a farmi mille paranoie, mille problemi. Iniziai a pensare a come dovevo vestirmi, a come dovevo salutarlo, se dovevo essere arrabbiata, se era giusto rivolgergli ancora la parola dopo tutti gli anni in cui non si era fatto sentire. Arrivai a casa col cuore che mi usciva dal petto; piansi, avevo paura. Decisi di dormire per passare più in fretta il tempo, non misi la sveglia e mi buttai sul letto.
Eva mi svegliò. Mi disse che era ora di cena. Mi chiese se stavo bene ma non seppi rispondere, il mio padre adottivo Daniele non sapeva come approcciarsi alla situazione. Era sicuramente molto a disagio e io non sapevo cosa dirgli. Non sapevo cosa sarebbe successo e neanche quale sarebbe stata la cosa giusta fare. Avevo lo stomaco chiuso, così, mangiai poco.
Andai a prepararmi in bagno; mi lisciai i capelli, facendo la mezza coda in alto. Mi truccai al meglio che sapevo fare, con il mio ombretto nero preferito che usavo per le occasioni importanti, e il rossetto bordeaux che mi regalò la mia migliore amica Anna per il mio diciassettesimo compleanno. A pensarci, tra poco avrei compiuto diciotto anni. Sarei diventata un’adulta legalmente; mio papà non poteva trovare momento migliore per sconvolgermi la vita.
Misi un cardigan, una canottiera nera e la mia gonna a vita alta di jeans; mi guardai per l’ultima volta allo specchio e notai che stavo tremando. Così cercai di calmarmi, tirando tre lunghi respiri, chiudendo gli occhi, e cercando di convincermi che sarebbe andato tutto bene, che lui mi amava e che mi avrebbe riconosciuta subito. Qualche spruzzata di profumo, presi la borsa e andai a prendere il treno per raggiungere Milano.

Era una serata piuttosto scura, certo, da poco non era più estate, ma il buio rendeva tutta la situazione più opprimente. Scesi dopo quattro fermate e raggiunsi il forum in taxi. Non sapevo bene dove fosse il posto dove avrei dovuto aspettarlo; mi misi dal lato opposto dell’entrata principale. Mi appoggiai al muro e accesi una sigaretta. Iniziarono a uscire tantissime persone, quasi tutte con la maglietta dei Rammstein, tutti emozionati, felici, che avevano vissuto una delle sere più belle della loro vita e ora si dirigevano alle loro auto con un ricordo bellissimo in più. Fantasticavo, pensavo se anche io mi sarei sentita così da lì a poco.

Aspettai il tempo di due sigarette, e stavo fumando la terza. L’ansia mi stava divorando, non riuscivo più a stare ferma. Iniziai a camminare avanti e indietro. Guardavo oltre i cancelli. Stavo per avere una crisi di nervi, volevo vederlo il prima possibile.

“Heike?” A un certo punto lo sentii. E sentii un tuffo al cuore. Sussurrai “papà.”
Mi avvolse in un abbraccio bellissimo, più bello dell’ultimo che mi diede sei anni fa. Piansi tantissimo sulla sua spalla. Pianse anche lui.
“Sei bellissima piccola mia.. beh non sei più tanto piccola uhm, non so proprio cosa dire.. io..”
“Papà! Papà, calmo” ridemmo. “Ti voglio bene” disse, guardandomi negli occhi, “anche io” gli rivolsi un sorriso sincero a cui ricambiò.
“Allora.. andiamo?” “Sì! Ehm, cioè, dove?” chiesi confusa, “vieni con me o.. non puoi?” riflettei in un millesimo di secondo a tutto quello che avevo costruito qui in Italia in questi anni, cosa dovevo fare, prendere e andare con lui, lasciare tutto dov’è, e cambiare vita? “Non lo so..” mi strinse le mani, “almeno lascia che ti accompagniamo a casa”

Salii a bordo per vedere il resto dei componenti del gruppo. Mio padre mi esortò ad andare sul fondo del pullman e mi sedetti, “ragazzi lei è Heike”.
A quel punto sentii quello che mi pare di ricordare come Richard, palesemente ubriaco, ridere e urlare “cavolo punti sulle minorenni Doom!” un altro lo prese, e lo fece sedere, “è mia figlia” rispose.
Mi offrii qualcosa da bere e iniziammo a parlare per conto nostro.
“Quando hai il diciottesimo?” “Li compio a ottobre, il 6 ottobre” sorrise emozionato, “è tra pochissimo!” alzai le sopracciglia “già.” Mi mise il braccio attorno alle spalle “dovremmo festeggiarlo insieme che ne pensi? In Germania. Ci divertiremmo un sacco,” si rivolse al resto della band, “è una bella idea vero?” acconsentirono tutti. Era la situazione più strana in cui mi fossi mai trovata.
“Quindi devo venire in Germania? Sai che non posso farlo” risi, rise anche lui “piccola, avresti tutto quello che hai qui” alzai le spalle. Forse era vero, l’Accademia di Belle Arti c’era anche lì, ma i miei amici? “Non lo so papà.”
Passammo l’oretta di viaggio per casa mia, a raccontarci tutto quello che ci era accaduto nei sei anni passati; iniziai a trovarmi benissimo e sapevo che non potevo permettermi di perdere ancora i contatti con lui.

Mi accompagnò fino alla porta di cosa, ci abbracciamo fortissimo, lo guardai negli occhi, mi prese il viso tra le mani, “ti vengo a prendere.” Mi baciò la fronte, “buonanotte piccola mia” “buonanotte papà”.


 
   
 
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