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Autore: SagaFrirry    20/08/2016    0 recensioni
Hope è una ragazza apparentemente normale. Venuta a sapere del malessere dello zio, decide di tentare l'impossibile: riunire la famiglia. Essa è a dir poco originale, piena di dissapori e soggetti pittoreschi. Riuscirà la Speranza a far trovare un accordo alla "famiglia più importante del Mondo"?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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II

 

Isola di Lord Howe, Australia

 

Hope non aveva mia amato viaggiare in aereo ma per giungere fino dall’Irlanda fino all’Australia in fretta non c’erano molte altre alternative.

Giunse a Sidney con le prime luci dell’alba e da lì si fece venire a prendere dalla cugina con una piccola imbarcazione. Aveva calcolato la stagione invertita ma si ritrovò comunque un po’ spiazzata dal caldo opprimente dell’estate inoltrata australe. 

La cugina fu lieta di rivederla e le due si salutarono con entusiasmo. Con la piccola valigia al fianco, Hope attraverso il piccolo tratto d’Oceano che ancora la separavano dalla meta. Decise, passandoci sopra con la barca, che sarebbe poi ripassata per lì per poter ammirare meglio la barriera corallina. Sorrise alla cugina, in costume da bagno argentato.

Loro due non avevano nulla in comune. Hope era pallida e dai capelli rossi e dritti mentre Umy, la cugina, aveva la pelle nera e i capelli blu oltremare, pieni di onde e ricci. Nemmeno gli occhi le facevano assomigliare. Hope aveva gli occhi azzurri, Umy di un bel verde che ricordava le profondità del mare. Inoltre Umy era alta, più di un metro e ottanta, e aveva un fisico molto più femminile di Hope. Aveva un seno piuttosto abbondante anche se, in Hope, si notava di più la linea fra vita e fianchi. Aveva gambe lunghe, caviglie affusolate, un bel viso da pantera adornato con due occhi da gatta. Quello era un corpo da ammirare, constatò Hope. Si chiese che reazione avrebbero avuto i suoi “ammiratori” di Kilkenny nel vedere una donna come sua cugina passare davanti al loro Pub.

“Spero tu abbia portato il costume, Hope!” ridacchiò Umy.

“Sinceramente no. Non l’ho considerata una visita di piacere alla partenza da casa. Vuoi portarmi a nuotare? Lui è qui?”.

“Lui chi? Papà? No. È appena partito con mamma. L’ha portato in un posto più tranquillo. Ti ho chiamato qui per parlare con il mio fratellino e fargli fare qualcosa. Non trovi che sarebbe bello avere la famiglia unita ogni tanto? Ma mio fratello non sa far altro che divertirsi in spiaggia tutto il giorno. Io sono arrivata da pochi giorni qui ma non l’ho mai visto fare altro…”.

“L’ultima volta che ci siamo sentite eri a Città del Capo, giusto?”.

“Sì. Ma poi Ocean mi ha chiamato dicendo che papà non stava bene e così sono venuta qui. Ma al mio arrivo papà e mamma si erano già spostati. Credo che il mio adorato fratellino mi abbia chiamato solo perché da solo non è in grado di restare e senza la mammina si sente perso…”.

“Ma non vive da solo?”.

“Sì. E da un sacco di tempo ormai. Ma comunque vive in una casetta accanto a quella dove stavano mamma e papà. A portata di voce, si può dire…”.

Hope sorrise. Pensò a suo fratello nel bel mezzo del nulla senza niente e senza nessuno e questo gli diede la conferma che in famiglia neanche uno aveva più di tanto in comune con qualcun altro.

Le due cugine giunsero a destinazione ed entrambe scesero dalla barchetta, che Umy assicurò con una cima. Assieme si avviarono verso una piccola casetta sulla spiaggia.

Dall’esterno sembrava graziosa, con il tetto in foglie di palma e le pareti di bambù o qualcosa del genere. All’interno Hope notò subito che aveva proprio un’aria da casa da single: era disordinata, sporca e piena di cose inutili. Un vero caos.

“Ti chiedo scusa per il disordine” disse Umy “Ma, come ti ho detto, sono giunta da poco qui e non ho avuto modo di pulire il porcile che lascia dietro di sé quel maiale di Ocean!”.

“Tranquilla…non c’è problema!” sorrise Hope, schivando un calzino spalmato sul pavimento.

“Per quanto ti tratterai?”.

“Non credevo per molto. Specie ora che so che lo zio non è qui”.

“Ho sistemato la camera. Vieni…te la mostro”.

Hope annuì e segui la cugina. Le due giovani entrarono in una piccola stanza, divisa a metà da una tendina, una specie di zanzariera verde chiaro.

“Questa è la nostra metà” spiego Umy. “Ho diviso la camera di Ocean. Non è comodissima ma noi donne sapremo arrangiarci, vero?” sfoderò un sorriso d’avorio e Hope rispose, poco convinta, con un cenno del capo.

Dividere un letto singolo in due non era mai stato il suo sogno. Inoltre un inquietante mascherone da stregone aborigeno la fissava, appeso alla parete.

Appoggiò la valigia a terra e Umy la incoraggio a venire in spiaggia in costume.

“Ti presto il mio! Vedrai che ti andrà benissimo!” propose.

Hope storse il naso con un ghigno. Di sicuro non avevano la stessa taglia.

La cugina allora, capito il suo pensiero, le propose di andare a comprarne uno, ma Hope rifiutò l’offerta. Voleva rimanere pallida come sempre e scottarsi non era mai stata una sua priorità.

La cugina, con un alzata di spalle, si arrese alla sua volontà e assieme andarono verso la spiaggia.

Vivevano su un’isola piuttosto piccola e bastava uscire di casa per essere vicino alla riva dell’Oceano. Umy però condusse Hope in un altro punto del lido, dove aveva piantato l’ombrellone. Le due si sedettero, Hope all’ombra e Umy al Sole, e guardarono le onde. Al largo si poteva vedere Ocean che faceva surf, gridando di gioia ad ogni cavallone. Umy cominciò ad agitare le braccia e fargli dei cenni per farlo tornare a riva.

“Ocean!! Fratellino! Vieni! È arrivata Hope!” urlava.

Ocean girò gli occhi ma ignorò a lungo la sorella, continuando a fare lo stupido, e Umy si arrabbiò.

Un’onda particolarmente alta prese alla sprovvista Ocean che si ribaltò e finì sott’acqua. Ci rimase per parecchio tempo. I turisti si spaventarono e allungarono in collo verso il mare in cerca di quel povero ragazzo mentre la gente del posto rimase ferma e tranquillo: erano abituati ai lunghi tempi di apnea di Ocean. I più anziani raccontavano a tutti che su quell’isola c’era sempre stato un giovane in grado di rimanere nelle profondità dell’Oceano più a lungo di chiunque altro.

Dopo qualche minuto, Ocean riemerse. Lentamente. Prima gli occhi, poi la punta del naso, la bocca e poi via, via il resto. Con la tavola da surf sottobraccio andò verso la sorella, che gli diede dell’idiota.

“Ciao Hope!” salutò Ocean.

“Ciao Ocean” rispose Hope.

Ocean era alto esattamente come la sorella anche se l’unica cosa che avevano in comune erano gli occhi; entrambi avevano gli occhi verdi. Ocean era biondo e riccio. Quando era in spiaggia teneva i capelli legati creando un piccolo codino. Con tutte le ore passate al Sole era molto abbronzato e grazie al surf aveva un fisico atletico, che molte donne e ragazze avevano avuto modo di notare al loro passaggio.

Hope ridacchiò osservando il suo costume verde a tartarughine. Lui sorrise e le mostrò con orgoglio l’ennesimo tatuaggio, fatto di fresco, sul polpaccio destro.

“Cosa ne pensi, cugina? Ti piace?”.

Era una sirena su uno scoglio.

“Carino” ammise Hope.

“Qual buon vento ti porta da queste parti, piccola pazza?”.

 “Inguaribile pazza, mi ha definito Baudelaire in una poesia. Comunque sono qui perché mi era stato detto che vostro padre stava male e quindi volevo dare una mano, fare qualcosa. Ma dato che lo zio non è qui, dovrò trovare un altro modo per rendermi utile…”.

“Mamma lo ha portato nell’Isola di Kai, in Indonesia. Dice che là sta più tranquillo”.

“E voi due non li volete raggiungere?”.

“No. Sono stati loro ad andar via. Potevano restare qui e li avremmo aiutati!”.

Nel tono di voce di Ocean si notava tutto il suo disappunto e il suo fastidio.

Anche Umy era contrariata, specie dopo il viaggio che aveva affrontato dal Sud Africa per giungere fino lì.

Hope li guardò con rimprovero.

“Non dovreste comportarvi così” iniziò ad ammonirli “In fondo sono i vostri genitori e fino a poco tempo fa avevano frequenti contatti con voi. Ora probabilmente vostra madre ha deciso di trovare un posto più tranquillo per suo marito che non sta bene, ma non per questo dovete ignorarli!”.

“Io sono giunta fin qui per loro” protestò Umy “Se restavano, io aiutavo!”.

“Perché non li raggiungete? Probabilmente voglio solo questo…”.

“E tu perché non vai da tuo padre?” sibilò Ocean.

Hope rimase in silenzio, accigliandosi, e sbuffò.

“Io cerco sempre di mettermi in contatto con lui!” tentò di giustificarsi “Ma lui preferisce parlare al computer con degli sconosciuti e, soprattutto, aspetta che il suo adorato figlio maschio lo chiami e gli stia vicino”.

“E lui dov’è? Dov’è tuo fratello?” volle sapere Ocean.

“Hai presente l’Annapurna?” sibilò Hope.

“Ma tuo padre non ha dei problemi…non ha bisogno di nessuno” azzardò Umy.

“Sicura? L’ultima volta che ha risposto ad una mia chiamata stava cantando "Jerusalem" e ora vive in Città del Vaticano…sicura che stia bene? Per me mica tanto…”.

Ocean scoppiò a ridere.

“Tuo padre a Città del Vaticano?!” iniziò, continuando a ridere “Lo zio che vive accanto al papa?! QUELLO zio che vive accanto al papa?! Ha avuto un improvviso attacco mistico? E tuo fratello?! Che ci và a fare su un monte di più di 8000 metri?! Hai ragione! Ci sono davvero dei problemi in questa famiglia!”.

“Non sarebbe bello porvi un rimedio?” parlò Hope, guardando il vuoto dell’orizzonte.

“Forse hanno entrambi reagito in questo modo così strano dopo la morte di tua madre…” ipotizzò Umy, con aria triste “Immagino che non sia facile né per tuo fratello né per tuo padre”.

“Neanche per me è facile ma non do di matto!” ribatté Hope.

“Forse tu hai un carattere più forte…”.

“Più forte di mio padre?! Ocean! È di mio padre che stiamo parlando! Hai forse dimenticato ciò che ha fatto in passato?! O devo raccontarti tutta la storia?!”:

“La conosco la storia, Hope. Ma ho sempre pensato che tuo padre, nel profondo, fosse fragile e solo. In tua madre vedeva un’ancora. Una persona speciale in grado di capirlo. Con la sua morte, non sa a chi rivolgersi per essere compreso”.

“A me! Può rivolgersi a me!” si lamentò Hope “Ma non lo fa mai! Per lui esiste solo il suo prezioso figlio maschio, destinato a grandi cose. Io sono inutile e non programmata, secondo il suo punto di vista. Se mi chiamasse io lo ascolterei, se mi rispondesse io lo sosterrei. Ma non esisto per lui. Credetemi se dico che faccio del mio meglio…”.

“Ti crediamo” disse Umy.

“Forse una soluzione c’è…per entrambe le cose…” iniziò Ocean, con aria meditabonda “Ricapitoliamo: tu, Hope, vuoi riunire la famiglia e sei preoccupata per tuo padre. Noi siamo preoccupati per il nostro e vorremmo veramente un sostegno collettivo. Forse lo zio ci può aiutare…”.

“Quale zio?”.

“L’unico che non ha problemi, almeno all’apparenza. Lo Zio con la Z maiuscola! Quello che si esalta ti essere al di sopra di tutto. Dato che, se da lui parte un ordine, tutta la famiglia è riunita, credo sia la cosa più giusta andare a parlarci. Convinciamo tutti a ritrovarci nello stesso punto. Tutti quanti. Una volta tutti assieme sono sicuro che una soluzione almeno a qualcosa si trova”.

“Sono d’accordo Ocean, ma c’è un problema…io non so dove si trovi lo zio adesso” ammise Hope.

“Ma io so dove sta Kriss, suo figlio!” esclamò Ocean.

“Quello è facile. È da anni ormai che passa tutto febbraio a Rio de Janeiro per guardar le sfilate di carnevale…” ridacchiò Umy.

“E dopo siamo noi quelli con i problemi…spero che almeno lo zio sano che ci resta non si sia dato alla droga, all’alcol, agli spogliarelli di gruppo o ad altre cose strane!” rise Hope.

“Se voi siete d’accordo io vorrei fare un tentativo. Dividiamoci. Tu, Hope, và da tuo padre e prova a convincerlo a venir da noi in Indonesia…”.

Hope annuì, pur poco convinta.

Ocean continuò “…io andrò da Kriss. So dove abita e so come convincerlo, almeno credo! Quando mi avrà detto dove si trova suo padre, decideremo chi andrà da lui a parlarci. Tu, sorellina, potresti andare dalla mamma per aiutarla. Sono sicuro che lo gradirà”.

Umy fece un cenno. E si dimostrò disponibile a raggiungere i genitori.

“Ad ogni modo lo scopo finale di tutto questo sarà ritrovarci tutti assieme in Indonesia. Anche se non ho una gran voglia di farlo, sono piuttosto preoccupato per il fatto che stiamo dando tutti i numeri!” concluse Ocean, con l’aria seria e altezzosa di chi è convinto di essere il solo in grado di salvare la situazione e risolvere i problemi.

Hope sorrise. Era esattamente la soluzione a cui sperava di arrivare. Tranne per il fatto di dover andare a cercare suo padre in quello strano posto in centro Italia.

Disse di dover andare a casa a prenotare il biglietto d’aereo.

“Perché prendi l’aereo, cugina?” domandò Ocean.

“Hai un alternativa migliore?” sorrise lei.

“Vola! Sei la Speranza…vola! Senza strani aggeggi rumorosi”.

I due scoppiarono a ridere.

“Ricordati che è inverno in Italia. Fa freddo!” le ricordò Umy.

“Lo so! Vengo dall’Irlanda dove, credetemi, fa molto più freddo!”.

“Non ti preoccupare più di tanto, cuginetta Hope! Ricorda che la speranza è l’ultima a morire!”.

“Ma prima o poi muore, Ocean!” sorrise Hope, alzandosi da sotto l’ombrellone.

I tre si allontanarono dalla riva e tornarono in casa.

“Peccato cuginetta. Sei appena arrivata e già devi ripartire. Peccato. Ti avrei portato a fare un giro. Un’immersione o magari una gita nell’entroterra Australiano, fra canguri, Koala e conigli, tanti conigli morbidi e fucilabili. Sì, insomma, capisci quello che intendo”.

“Sarà per la prossima volta cugino. Ho tutta la vita davanti!”

“Che ore sono in Brasile?” domandò Ocean, guardando l’orologio appeso alla parete a forma di armadillo con un piccolo coccodrillo verde come lancetta dei secondi “Posso chiamare Kriss o dorme?” si chiese, dubbioso.

“Tanto non risponde mai” gli fece notare la sorella “Ha la testa sempre fra le nuvole!”.

“Confermo” mormorò Hope.

Ocean ripose il cellulare rassegnato e cominciò a cercare qualcosa di pulito fra la marea di vestiti sparsi sul pavimento della casa. Mise una camicia a fiori e dei pantaloncini blu.

Hope costatò che non serviva disfare le valigie. Si chiese se sarebbe mai riuscita a dormire ma poi arrivò alla conclusione che per un giorno poteva anche farne a meno.

Umy era quella che avrebbe dovuto affrontare il viaggio più breve e quindi era di buon umore e rilassata. Preparò la valigia con estrema calma.

Ocean odiava l’aereo e quindi era più nervoso all’idea di dover affrontare tante ore di volo per poi cercare un cugino che chissà dove stava con la testa. Ma ormai era deciso. Si chiese se, magari, chiedendo ai delfini, avrebbe evitato inutili controlli antiterrorismo e simili amenità da aeroporto. Si consolò pensando alle belle ragazze di Rio. Chissà…magari Kriss ne conosceva qualcuna da presentargli!

Uscendo, Ocean salutò il suo dingo, più selvatico che domestico come animale, e che quindi non avrebbe sofferto per la mancanza del ragazzo. Gli raccomandò di far la guardia alla casa ma la sorella scoppiò a ridere dicendo che tanto non c’era pericolo: non c’era niente da rubare salvo cretinate di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Ocean si offese. Lui adorava ogni sua singola cretinata e gli sarebbe dispiaciuto separarsene!

Partirono, chi con entusiasmo e chi meno, e si separarono con la promessa di rincontrarsi il più presto possibile, e questa volta con la famiglia al completo.

   
 
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