Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: _Blanca_    22/08/2016    3 recensioni
«Mi segue» disse Anna.
«Di che cosa parlate, miss Hawkins? Chi vi sta seguendo?»
«La morte.»

Ottobre 1875. Dalle coste della Nova Scotia, Anna Hawkins si imbarca per l’Inghilterra, dove vivrà con gli zii Woodhams, ricchi borghesi del Kent. Anna sa che vivere nel cuore dell'Impero, tra i bianchi sudditi della regina Vittoria, non sarà semplice. Lei è una Metis. È figlia di un inglese, che ha fatto fortuna come cacciatore di taglie, e di una donna della Prima Nazione. Ma Anna sa anche di non poter tornare indietro. Il suo viaggio è una fuga. Una fuga dalla solitudine, dalle responsabilità, da un destino che la terrorizza. La nuova esistenza nel Kent, tuttavia, si rivelerà diversa da qualsiasi speranza o timore. Anna dovrà affrontare i segreti di una vecchia casa e di una stanza che non deve mai essere aperta; dovrà tenere testa a una zia decisa a odiarla e a uno scrittore di racconti del terrore, capace di dare un’impronta fin troppo realistica agli incubi di carta e inchiostro. E, sullo sfondo del tutto, toccherà a lei risolvere l’enigma di un misterioso suicidio.
Genere: Horror, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
13




XIII. Un messaggio inatteso





Anna uscì dal vestibolo a passo svelto. Lily prima stette a osservarla; poi, pur incerta, la seguì attraverso l'atrio e fino al boudoir. Anna socchiuse i battenti il poco necessario a scivolare nella stanza, tirando dentro anche la cameriera.
«Che stiamo facendo?» domandò Lily, in un sussurro.
Invece di rispondere, Anna riaccostò la porta, attenta a non far cigolare i cardini, e si mosse verso lo scrittoio. Individuò un sottile quaderno dalla ruvida copertina verdastra, accanto al mastodontico manuale di gestione domestica di Mrs. Beeton. Era l’official diary. «Credo di aver capito chi è Mary» disse, a bassa voce.
Lily la raggiunse, strofinando il dorso della mano contro la gonna, con l’insopprimibile bisogno di gettare occhiate spaurite alla porta.
«E chi è?»
«Una domestica.»
Anna aprì l’official diary.
«Che ne sai?»
«La signora Blackwell ne ha parlato usando il nome di battesimo. È qualcuno del suo stesso rango. Giovane, probabilmente: l’ha chiamata ‘povera piccola’. — Tu quando sei stata assunta? Il giorno esatto.»
«Il sette giugno. Era un lunedì. Lo ricordo benissimo.»
«Vediamo chi ha lavorato qui prima di quella data...»
Le pagine era suddivise in colonne; e ogni colonna riempita dalla calligrafia spigolosa della signora Woodhams, che da impeccabile padrona di casa, teneva nota di ogni aspetto del mantenimento, e della vita, di Bon Fleur Place: dalle scorte in dispensa ai giorni del bucato, dalla pulizia delle sale alle potature degli alberi in giardino. Ad Anna bastò leggere le prime due pagine del registro, con le annotazione delle tre settimane iniziali di gennaio, per avere la risposta che cercava.
«C’era una Mary, tra le cameriere.» Picchiettò l’indice sotto a un rigo, sul quale la signora Woodhams aveva annotato: ‘Parlour — sbattere i tappeti — Mary.’ «E c’erano anche una Lucy e un’Abigail.» Anna sfogliò le pagine successive. «Compaiono anche nelle settimane seguenti. Gennaio. Febbraio. Marzo. — E... guarda! Diciassette marzo: ‘Sal. colazione — pulizia vetri finestre — Mary.’ E il giorno dopo...»
«Non è più nell’elenco.»
«E nemmeno in quello dopo...»
Anna girò la pagina, e un’altra, e un’altra ancora. Il nome di Mary non compariva da nessuna parte. Dopo il quindici aprile svaniva anche Abigail. Dal ventitré restavano ‘Mrs. Blackwell’ e qualche rada annotazione sul lavoro di ‘Mr. Blackwell.’
«Saranno state licenziate» azzardò Lily. «O si sono licenziate.»
Anna, dopo un battito di palpebra, aggrottò la fronte e puntò lo sguardo sul profilo di Lily. «Dì un po’, Lily, perché hai bruciato il fazzoletto? Quello che con la M ricamata sopra.»
Le bionde sopracciglia di Lily scattarono verso l’alto.
«Ma che vai dicendo? Io non ho bruciato niente.»
«Ho trovato i resti nel parlour.»
«Io ho rimesso il fazzoletto nel cassetto» insistette Lily. «L’ho fatto quando ti ho dato l’altro. Non lo ricordi?»
«Non ci ho badato» ammise Anna. «In ogni caso, qualcuno l’ha buttato nel fuoco.»
Al che, le sopracciglia di Lily ridiscesero a disegnare una pensierosa v sugli occhi azzurri. «Ehm...» Esitò. «Quella sera — la sera della cena, intendo — ho detto alla signora Blackwell di aver trovato un fazzoletto e di non sapere a chi appartenesse, visto che non c’è nessun ‘M’ in casa.»
«E lei cosa ha detto?»
Lily fece spallucce.
«Ha borbottato che doveva essere qualche vecchio pezzo di biancheria.»
«Che razza di spiegazione è?»
«Non lo so! Io non ho insistito. Era soltanto un fazzoletto. Non credevo fosse una faccenda importante!»
Anna le fece cenno di riabbassare la voce. «Va bene. Va bene — allora deve averlo bruciato la signora Blackwell» concluse, rimettendo il quaderno al proprio posto.
«E perché mai avrebbe dovuto farlo?» ribatté Lily, fronte e bocca contratte in un’espressione a metà tra l’imbronciato e il confuso.
«Il motivo potrebbe essere nella risposta alla domanda: cosa è successo alla povera, piccola Mary?» sospirò Anna. ‘E perché la signora Blackwell ha associato Mary allo zio.’
«Quindi, pensi che il fazzoletto appartenesse a questa Mary?» si accertò Lily.
«O è così. O è tutta una grossa coincidenza» disse Anna, tornando alla porta. Sgusciarono via dal boudoir e Anna, senza spiccicar parola, marciò dritta alla biblioteca, con una Lily dall’aria sempre più mestamente perplessa al seguito.
Dalla biblioteca si spostarono nello studio.
«Che cosa è successo qui dentro?» esclamò Lily, davanti al disordine sullo scrittoio.
«Mi sono guadagnata il divieto di frequentare questa stanza.»
«Allora... non lo stai rispettando.»
«Lo so. Vecchia abitudine. Dura a morire.»
Anna frugava tra taccuini e quaderni e fogli sparsi.
«Non so cosa tu stia cercando, ma credo che adesso dovremmo proprio iniziare a fare quel che ci ha ordinato mad—»
«Eccolo!» Anna sollevò un molle quaderno con la copertina di pelle. «Contabilità.»
«E ora che te ne fai della contabilità?» esalò Lily.
«Voglio controllare entrate e spese, subito prima e subito dopo il diciassette marzo. Sai, a volte, movimenti insoliti di denaro equivalgono a situazioni insolite. A problemi improvvisi. A cambiamenti imprevisti...»
«Mmh, sei la degna erede di tuo padre» commentò Lily, a mezza bocca; e sbirciò il registro.
«Tasse. Tasse. Altre tasse» borbottava Anna. «Un cappotto nuovo. Un porta-tabacco comprato alla merceria Campbell. Spese per i cavalli. Un servizio da tè, da Londra. Non c’è nulla datato il diciassette. Ma...» Arrestò la discesa della mano lungo la colonna di cifre. «Diciannove marzo: quattro sterline e sei scellini versati a un certo ‘P. Sudworth’. — Sudworth. Il cognome non m’è nuovo. Chissà chi è.»
«Non... non è una persona» azzardò Lily. «Non posso metterci la mano sul fuoco, però... potrebbe essere Peter Sudworth’s, in Crieff Street. Ma non è del genere che organizza funerali per persone del rango dei tuoi zii. È per gente di modeste finanze. Molto, molto modeste.»
«Quattro sterline e sei scellini sembrano una cifra ragionevole, per coprire le spese del funerale di una donna che si manteneva come cameriera.»
Lily sussultò. «Oh! Buon Dio, non penserai che sia morta
«Spiegherebbe perché la signora Blackwell ha detto che ‘la Mietitrice è acquattata alla porta.’ E poi, pensaci: il diciassette marzo Mary sparisce dal registro della zia. Due giorni dopo, i miei zii pagano il funerale di un povero.» Anna chiuse il registro. 'E io scommetto che è della cameriera che mia zia impose ai Blackwell di non parlare, per non allarmare la nuova domestica.'
«Anna, fossi in te,  non farei affidamento sulla signora Blackwell» disse Lily, scuotendo il capo. «Non hai sentito quello che ha detto? La casa fa impazzire le persone! Voglio essere onesta, ora che se ne andata: ho sempre pensato che fosse una donnetta un po’ troppo superstiziosa. Crede persino nei cani neri che scorrazzano per le campagne. E una volta è andata in giro lamentando per una settimana che la sua ora era vicina. E sai perché? Perché aveva visto un gufo. Di giorno.»
«E tu non credi in queste cose?»
Lily parve risentita. «Io credo in Dio, e nell’immortalità delle nostre anime, nell’Inferno e nel Paradiso. Sarò pure una cameriera, ma non sono sciocca. La superstizione è peccato. Il Diavolo ha di meglio da fare che  giocare a nascondino qui dentro. E spiriti, goblins e presagi li lascio agli scrittori e ai ciarlatani. — Ora, se vuoi scusarmi, andrò a occuparmi di questioni reali: come preparare il tè per madam. E a te consiglio di iniziare la tua parte di faccende.» Girò i tacchi e uscì dallo studio.
Anna, con un gran sospiro, puntellò i palmi contro lo scrittoio, a braccia tese e mento reclinato; sul collo il peso di un brutto presentimento. A lei non era concesso il privilegio di vedere il mondo con gli occhi di Lily: un mondo dove si poteva asserire con somma certezza che gli spiriti esistevano soltanto per guidare la penna degli scrittori. Raccolse al piccola lente d’ingrandimento, appartenuta allo zio, e se la strinse al petto: si sentiva di nuovo sull’orlo delle lacrime. Ma la tristezza non le impedì di riflettere. L’animo superstizioso dalla signora Blackwell era un dettaglio a favore della possibile morte della cameriera: Anna sapeva che, tra i bianchi, esisteva la convinzione che il conservare in casa un oggetto, appartenuto a un estraneo passato a miglior vita, avrebbe potuto spingere lo spirito del defunto a tornare per tormentarne gli abitanti.

*

La pendola batté l’ultimo di quattro rintocchi e un trillo, all’ingresso, annunciò l’arrivo del signor Delaney: un uomo tozzo, dall’andatura lenta e i movimenti flemmatici, in pantaloni a righe e giacca di velluto verde. Dietro ai piccoli occhiali tondi c’erano occhi altrettanto piccoli e tondi, che parevano fatti apposta per assottigliarsi alla vista di cifre e cavilli burocratici. Nel parlour, in presenza della consorte e della nipote del defunto cliente, il signor Delaney assunse diligentemente al dovere di notaio, comunicando ufficialmente che la Woodhams & Arden passava nelle mani di Mordecai Arden, mentre un quinto del patrimonio sarebbe andato perduto, suddiviso tra lontani parenti in linea collaterale sparsi tra il Kent e il Surrey; il resto, Bon Fleur Place compresa, apparteneva legalmente alla vedova, libera di disporne a proprio piacimento.
«Credevo che il padrone avesse modificato il testamento, per includerti tra gli eredi» commentò Lily, quella sera, in cucina. Tagliava la carne. Sotto al tavolo, Milton spazzava pigramente i mattoni del pavimento con la punta della coda, in attesa di un avanzo di grasso che poteva piovere dall’alto, da un momento all’altro.
«Disse che l’avrebbe fatto prima della fine del mese» ricordò Anna, in tono piatto, davanti alla stufa. Pescò un carbone del secchio e lo gettò nel fuoco, smuovendo le braci con l’attizzatoio. Non le importava di essere praticamente nullatenente, se escludeva il misero gruzzolo portato con sé dalla Nova Scotia; ma le importava capire perché lo zio avesse mentito sulla promessa dell’eredità. Possibile che le avesse mentito di proposito? E a che scopo?
Se, al contrario, le intenzioni di lui erano state sincere, e se aveva da tempo progettato di mettere fine alla propria esistenza durante la cena dagli Hall, allora perché non risolvere prima ogni faccenda in sospeso?
Più Anna ragionava, più diventava diffidente. E non prestava fede alle insinuazioni della zia. Non poteva essere stato soltanto il rimorso per la morte di Violet, fosse anche diventato pesante col passare degli anni, a spingere lo zio al suicidio. Piuttosto, era pronta a credere che la zia tentasse, con quell’idea, di alleggerirsi la coscienza e ripulire la propria reputazione.
Lily interruppe il lavorio del coltello. Graffiava con i denti la piccola bocca carnosa, rivolgendo uno sguardo pregno di ansia al pavimento.
Anna se ne accorse.
«Qualcosa non va?»
Lily espirò. «È che... ecco, mi sembra una tale cattiveria — che ti abbia promesso un’eredità quando non aveva intenzione di cambiare davvero il testamento. Non avrei mai creduto il padrone capace di agire a questo modo. E dire che era sempre gentile e generoso.»
Anna chiuse lo sportello della stufa e si levò in piedi. «Non stare in pensiero per me.» Pulì le mani nel grembiule. «Per quanto mi riguarda, tutto quel denaro la vecchia se lo può portare nella tomba.»  E si voltò, per controllare il melmoso sobbolio del brodo nella pentola.
Ore più tardi, dopo tanto rigirarsi sotto le lenzuola, e un sofferto rimuginare, Anna cedette al sonno. Aveva vissuto cinque giorni senza riposo e adesso dormiva profondamente e placidamente, raggomitolata su un fianco, circondata dall’oscurità totale; le tende erano tirate e la luna era stata inghiottita dalle nubi.
Ma nel buio, qualcosa viveva.
La figura che aveva seguito Anna, la notte del suo arrivo, stava ritta e immobile di fianco al letto.
Sotto al groviglio di capelli neri si intravedeva un fioco baluginio rossastro: come due puntini, simili a due braci morenti nascoste tra i carboni spenti. Con un rumore sordo e debolissimo, simile allo schiocco di una chela, la scheletrica schiena nuda si curvò in avanti. La creatura avvicinò il volto, celato dai capelli, a quello di Anna. Sollevò una mano: le dita si muovevano come zampe di ragno, chiudendosi e stendendosi in moti convulsi. Le lunghe unghie spezzate sfiorarono la guancia di Anna. Un rantolo. Poi, un altro schiocco e la creatura ripiegò il collo all’indietro, in un movimento innaturale, quasi fosse attratta dal soffitto. Rannicchiò le braccia al petto e arretrò fino alla parete. E nella parete scomparve.
Anna si voltò dall’altro lato e continuò a dormire.

*

Anna lucidava con foga i candelabri, in fondo al salone da pranzo. Quel giorno la signora Woodhams aveva ordinato che non venisse acceso alcun camino, eccezion fatta per la cucina e il boudoir. Con dicembre alle porte, e la villa al freddo, mettersi d’impegno nei lavori domestici era l’unico modo per scaldarsi. Nemmeno quando udì il familiare scampanellio all’ingresso, Anna mise giù lo strofinaccio. Né si prese la briga di avvicinarsi alla finestra a bovindo della facciata. La porta del salone era spalancata e lei poté udire subito i passetti lesti di Lily, nell’atrio; poi, un parlottio nel vestibolo; infine, la voce autoritaria della signora Woodhams, che doveva aver fatto lo sforzo di mettere il naso fuori dal boudoir.

«Lillian, chi era?»
«Solo un medicante, madam. L’ho mandato via.»
«Molto bene. Ricorda che non riceverò visite, quest’oggi. Chiunque dovesse presentarsi per le condoglianze, fa lasciare i biglietti e dì loro di non tornare prima di dieci giorni.»
«Sì, madam.»
E il silenzio ricadde in ogni angolo della villa.
Trascorsero cinque minuti, scanditi dalla lugubre pendola e dai ticchettii dell’orologio sopra la mensola del camino.
Poi, dal nulla, Anna si sentì bussare sulla spalla.
Era Lily, entrata silenziosa come un gatto, i passi attutiti dal tappeto. La cameriera cavò fuori una lettera da sotto la cintura del grembiule e la porse ad Anna.

Miss. A. Hawkins
Bon Fleur Place
Maidstone, Kent

Anna soffiò via da davanti gli occhi una ciocca, sfuggita alla treccia. «Allora, non era un medicante» mormorò.
Lily scosse la testa. «Ti prego, non dirle che le ho mentito.» E lasciò la lettera tra le mani di Anna, che apprezzò l’intuitiva prudenza: se la zia avesse saputo che riceveva posta, gliela avrebbe strappata di mano. Lily uscì dal salone e Anna abbandonò lo strofinaccio sul tavolo. Spiegò il foglio riconoscendosi, suo malgrado, in preda a un timido e inopportuno moto di speranza.
Ma la speranza venne scalzata dalla sorpresa.
Il mittente non era William Hall.
Era Merrik, il giornalista.

Iniziava col chiederle 'perdono e comprensione' per il gesto 'sfacciato' di scriverle. Seguivano due di paragrafi di condoglianze e di interesse per il suo stato di salute, fisico ed emotivo.
Infine:

Scrivo con la certezza che la vostra sensibilità vi salverà dall’errore di scambiere la franchezza per villania.
La posizione che ricopro mi impone l’amaro dovere di comunicarvi che, qui in città, molte parole son state scritte, e altrettante bisbigliate, in merito alla dipartita del vostro caro parente. La malignità alberga in fin troppi individui e costoro si nutrono della notizia con voracità, gettando infamia sul ricordo del signor Woodhams, indifferenti al dolore vostro e a quello di vostra zia.
Ebbene se, in futuro, sul riserbo che abita la vostra delicata anima si aprirà uno spiraglio d’ardore, se verrete spronata da un legittimo desiderio di combattere le malelingue, sappiate che la mia penna è e sempre rimarrà al vostro servizio.

Anna rilesse l'ultima frase tre volte di fila.
E le sovvenne un’idea.
Ma necessitava di una giustificazione per metterla in pratica.
Sorprendentemente, fu la signora Woodhams a fornirne una quando, quindici minuti più tardi, nel tinello dei domestici, il campanello del boudoir iniziò a scuotersi come un disperato.
Anna accorse. Trovò la zia tranquillamente seduta allo scrittoio. Scriveva. Non alzò lo sguardo ma indicò il caminetto, con un molle gesto della mano armata di pennino.
Il fuoco languiva e nella cesta di vimini non c’era più legna.
«Per oggi, passi la distrazione. Ma non devo essere io a chiamarti. I camini vanno controllati ogni mezz’ora.»
Anna avrebbe voluto domandarle se temeva di consumarsi i preziosi polpastrelli, a forza di tirare il cordone del campanello. Ma tenne la bocca chiusa e le gambe in movimento: scese nel seminterrato, si fece carico di una bracciata di ciocchi e, risalite le scale, tornò nel boudoir. Ravvivò il fuoco con deliberata lentezza per approfittare del calore.
La signora Woodhams, intanto, continuava a scrivere.
Quando il fuoco fu vivo e scoppiettante, Anna si levò in piedi e, strofinando le mani sul grembiule macchiato di cenere, allungò un’occhiata da sopra la spalla della zia. «Scrivete gli annunci per il nuovo personale» constatò. «Se volete, li consegnerò io. Posso andare oggi stesso.»
La zia puntò gli occhi su Anna.
E Anna temette che potesse indovinare cosa le frullava per il capo. «Se ho be capito» continuò, «una vedova non dovrebbe farsi vedere in città, a breve tempo dal lutto. Io ero solamente la nipote acquisita. Da me non si ci aspetta troppa rigidità. E poi, volete che mi renda utile, oppure no?»
«Una giovane non deve frequentare strade e negozi da sola. E io non posso privarmi di Lillian per fornire a te un’accompagnatrice.»
Anna prese un respiro. «Signora, siamo sincere.» Venne avanti di un passo e intrecciò la mani davanti al grembiule. «Lo zio era l’unico a credere che fosse possibile maritarmi. La mia reputazione è svanita prima ancora di nascere.»
«Eppure, nel tuo tono non odo rimpianti, né dispiacere.»
«Preferisco guadagnarmi da vivere, con le mie mani, che vivere del denaro di un uomo sposato con l’inganno.»
La signora Woodhams mise via il pennino e si adagiò contro l’imbottitura dello schienale. Stette in silenzio per una manciata di attimi; i pensieri arginati dietro una maschera impassibile, il pollice sotto il mento e il gomito contro il bracciolo. «Andrai a Maidstone subito dopo pranzo» decise. «Adesso, va’! Basta star qui a oziare. ― E raddrizza il fiocco del grembiule. E sistemati la treccia. Sei tutta scapigliata. Marito o meno, la sciatteria è imperdonabile.»








   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: _Blanca_