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Autore: Monijoy1990    23/08/2016    0 recensioni
Questo racconto rappresenta il proseguimento di "Love story". Quindi invito chiunque non lo abbia letto a farlo prima di iniziare.
Roberto è un ragazzo arguto e intelligente con un futuro già scritto a lettere cubitali nel suo destino e un sogno in minuscole chiuso in un cassetto. Avvocato, dottore o ingegnere questo ciò che vorrebbero i suoi genitori per lui. Ma cosa vuole davvero Roberto? Diventare un cantante. Così il Giappone diventerà la sua strada e la Kings Record la sua meta. Durante il suo viaggio verso il successo il destino gli tenderà tante sorprese improvvise. Riuscirà grazie alla sua arguzia e al suo buon cuore a superare le sue insicurezze? Tra triangoli amorosi e amicizie inaspettate, sarà in grado di realizzare il suo sogno? Troverà la sua strada?
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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CAPITOLO 38
UNA RIVELAZIONE SORPRENDERNTE

 
Mentre Toshi tornava alla Kings Record e Kei, Shin e Roberto discutevano nello studio di Rio del loro futuro come gruppo, Jona si muoveva verso il solito bar nel centro di Tokyo, dove, vista l’ora tarda, era sicuro di trovare al lavoro il non più giovane proprietario e sua figlia.
Sceso dal taxi diede un ultimo sguardo al suo orologio da polso prima di chiedere gentilmente al tassista di attendere il suo ritorno. Nella tasca del suo soprabito aveva il suo carnet d’assegni. Finalmente, avuto il suo primo stipendio, avrebbe potuto sdebitarsi con quell’uomo che lo aveva salvato mesi prima. L’idea di poter finalmente ricambiare quella gentilezza lo fece sentire fiero di sé stesso seppure una parte di lui soffrisse all’idea che una volta firmato quell’assegno avrebbe dovuto dire loro addio. Tra le mani stringeva un libro abbastanza logoro. Doveva avere almeno la metà dei suoi anni. All’interno del bar, come ebbe modo di constatare dalla vetrina trasparente, c’era solo la figura di Otto, il padre di Hana, che ripuliva meticolosamente i bicchieri di vetro sul bancone riposizionandoli con cura nella credenza alle sue spalle. Jona, rincuorato dal fatto che Hana non fosse in giro a quell’ora, avanzò a passo spedito verso l’ingresso. Non aveva molto tempo. Il suo volo sarebbe partito a breve.
Come al solito le campanelle che introducevano i vari clienti all’interno del bar, riscossero l’attenzione dell’uomo dietro il bancone.
Lo stesso, non appena vide Jona avanzare nella sua direzione, sfoderò prontamente uno dei sui stanchi e goffi sorrisi.
«Ehi, ragazzo! Quale buon vento ti porta da queste parti?»lo salutò l'uomo. Jona prese posto su uno degli sgabelli.
«Passavo da queste parti…» si mantenne sul vago.
«Se cerchi Hana, è appena salita in camera sua. Oggi non si sentiva particolarmente bene…»
«No, a dire il vero era lei che stavo cercando» gli rivelò posizionando il libro logoro sul bancone tirato a lucido.
«Come mai proprio me?» gli chiese stupito l’uomo poggiando lo straccio umido sul piano davanti a lui.
Jona tirò fuori dalla tasca interna del suo soprabito il carnet d’assegni
«Sono venuto qui per sdebitarmi della sua gentilezza…»
L’uomo sembrava sull’orlo della disperazione.
«Non farlo, ti prego…» disse allontanando il carnet d’assegni di Jona, poi reclinò il capo per non farsi vedere in viso.
Il ragazzo rimase in silenzio con il carnet tra le mani. Non sapeva cosa fare. L’uomo davanti ai suoi occhi sembrava stesse per piangere.
«Jona non lasciarla …» proseguì il padre di Hana tornando a fissare il ragazzo dritto negli occhi. Jona poggiò la sua mano destra su una delle due mani dell’uomo chiuse a pugno sul bancone.
«Non ho scelta… entrambi sapevamo che sarebbe arrivato questo momento. Lei sa chi sono, ma Hana non deve saperlo per forza. Mi piacerebbe che almeno sua figlia mi ricordasse per il ragazzo che ha conosciuto e non per l’immagine che il mondo conosce di me…».
«Non tornerai più?».
Jona acconsentì con un movimento della testa.
«Hana è la prima persona ad avermi dato la consapevolezza di valere più di quello che credevo. Lei è stata l’unica capace di farmi vedere i miei difetti e di spingermi a cambiarli, e per questo le sarò immensamente grato … Adesso però è arrivato il momento di andare via dalla sua vita. Il mio aereo partirà tra meno di un’ora… Spero che abbia avuto ragione anche su quanto sto per fare».
«Intendi sui tuoi genitori?» gli domandò l’uomo.
«Si, su di loro. Nonostante tutto penso che sua figlia sia davvero fortunata, ha un padre che la ama così tanto da mettere da parte se stesso per lei… io non so se ho e avrò mai la stessa fortuna. Sa, Hana mi ha insegnato che prima di condannare gli altri bisogna considerare anche le proprie colpe. Fino ad oggi mi sono comportato come una vittima e non ho mai chiesto motivazioni ai miei sulle loro continue assenze. Adesso sono stanco di comportarmi da vigliacco. Li affronterò e dirò loro tutto quello che penso. E lo farò non per rabbia, o per rinfacciare loro quello che non sono mai stati per me, ma perché non voglio perderli. Dopotutto sono i miei genitori e nessun genitore abbandonerebbe il proprio figlio senza un motivo valido. Hana mi ha dato il coraggio di partire per scoprire questo motivo e magari provare a recuperare il loro rapporto. Ho bisogno dei miei genitori e una parte di me sente e spera che anche loro abbiano ancora bisogno di me. Proprio come lei ha bisogno del sorriso di sua figlia, anche io, per quanto lo abbia negato,  ho bisogno del sostegno dei miei genitori. Prima di conoscere Hana ero pieno d’odio, di presunzione e orgoglio personale, ma adesso credo di aver trasformato tutti questi sentimenti in umiltà, comprensione e coraggio. Da adesso non mi lamenterò o farò la vittima, questa volta voglio affrontare i miei mostri. Spero lo faccia anche Hana un giorno.» Con gli occhi lucidi Jona tirò fuori una penna e iniziò a compilare l’assegno. «Si prenda cura di lei e non trascuri neanche se stesso. Con questi non dovrebbe avere più bisogno di lavorare fino a tardi e potrà prendersi cura di sua figlia. Qui c’è il numero di un ottimo chirurgo. Andate pure a nome mio. Vi auguro buona fortuna e chissà, magari può essere che la prossima volta che ci incontreremo sarà a una mostra fotografica di Hana. Mi piacerebbe che accada in questo modo. La incoraggi a continuare anche da parte mia» adagiato l’assegno sul bancone e il foglio di carta con il nome del chirurgo, Jona si sollevò dallo sgabello muovendosi verso l’uscita.
«Jona…» lo trattenne l’uomo «se vuoi almeno andare a salutarla sappi che puoi farlo. Non avere paura, credo stia dormendo già da un pezzo ormai. Pensaci, almeno così potrai dirle addio…». Il ragazzo esitò davanti alla rampa di scale che portava all’appartamento sovrastante.
«Le lascerò solo questo e poi andrò via» si fece convincere alla fine mostrando all’uomo il libro logoro tra le sue mani. L’uomo acconsentì con un sorriso tirato. Jona salì quei gradini, uno alla volta, senza fretta, fino a raggiungere la stanza di Hana. Con delicatezza abbassò la maniglia aprendo la porta. Prima di entrare controllò che Hana fosse nel letto e dormisse. Proprio come gli aveva riferito Otto, Hana era nel suo letto che respirava profondamente.
La raggiunse. Vederla mentre dormiva gli faceva quasi venir voglia di non partire. Rimirarla tra quelle candide lenzuola che facevano contrasto con i suoi capelli neri e lucidi, gli trasmise uno strano senso di serenità.
Jona, notò che Hana aveva il viso leggermente imperlato di sudore. Stava sognando muovendosi irrequieta sotto le coperte. Con un fazzolettino gli tamponò il viso delicatamente. Non pensava che lasciare andare una persona sarebbe stato così difficile. Nonostante quel loro primo incontro burrascoso, Hana era diventata preziosa per lui. Ma che futuro avrebbe mai potuto scrivere per loro? Lui era una persona difficile da gestire, soprattutto considerando la sua vera identità, inoltre Hana aveva bisogno di qualcuno che potesse starle vicino sempre e senza complicazioni, ed era evidente che lui non sarebbe mai potuto essere quella persona. L’unica cosa che avrebbe potuto fare per lei era donarle la possibilità di ricostruirsi una vita, anche a costo di perdere la loro amicizia. Era strano, aveva conosciuto tante ragazze, ma lei era diversa. Aveva visto qualcosa in lui che nessun’altra era stata capace di notare.
 
 “Oh… Hana… Come ci sei riuscita? Nessuno mi aveva mai visto davvero seppure lo desiderassi con tutto me stesso. Eppure tu che non sei in grado di vedere mi hai visto e mi hai trovato quando io stesso credevo di essermi perso senza alcuna speranza. Mi hai visto quando per il resto del mondo ero invisibile. Hai visto quello che gli occhi non avrebbero potuto mai vedere. Il tuo cuore, ecco con cosa mi hai trovato. Non sottovalutarlo non tutti possono vantarsi di avere questo dono.  È proprio vero, L'essenziale è invisibile agli occhi”.
Prese il libro e lo adagiò sul comodino. Stava per voltarsi e andarsene quando si sentì trattenere dal cappotto. Si voltò e notò Hana che lo stringeva nella mano destra il suo soprabito.
«Jona…? sei tu?» chiese fissando nel vuoto con i suoi occhi grigi e profondi.
Jona tornò verso di lei.
«Dormi, sono venuto solo per salutarti prima di partire… ».
A quelle parole il viso di Hana si riempì di un tenue sorriso.
«Partirai allora?»
«Si, te l’ho promesso. Nonostante tutto penso tu abbia ragione… deve esserci un motivo se i miei mi hanno messo da parte, e voglio scoprirlo…», lei di risposta acconsentì soddisfatta della decisione presa dall’amico.
«Quando tornerai?».
Jona deglutì trattenendo le lacrime. Sapeva che trattenerle era una premura inutile visto che Hana non le avrebbe neanche viste cadere, ma quello sforzo serviva principalmente a lui per non perdere la determinazione.
«Presto, non temere…» mentì. Lei di tutta risposta mosse nell’aria la sua mano alla ricerca di qualcosa poi finalmente trovò quello che stava cercando. Prese nella sua la mano di Jona.
«Spero che tu risolva la situazione con i tuoi genitori…» Jona strinse a sua volta la mano di Hana nella sua. Lasciarla andare adesso era davvero difficile.
«Lo spero anche io…».
«Comunque, cosa mi hai lasciato sul comodino?» gli chiese lei.
«Un libro… »
«Me lo leggerai quando tornerai?»
Jona questa volta non riuscì a trattenere quell’unica lacrima che gli scivolò furtiva via dall’occhio sinistro.
«Certo che lo leggeremo insieme…».
Stava mentendo ma in quel momento non aveva la forza per dirle la verità.
«Di che libro si tratta?»
«Il Piccolo Principe. Mi fu regalato da mio padre quando ero molto piccolo. Me lo diede prima di partire per uno dei suoi tanti viaggi di lavoro».
«Non l'ho mai letto» gli rivelò Hana con stupore.
«Parla di una storia d’amicizia. Mio padre mi disse che quel principe mi assomigliava parecchio. Se vuoi te ne leggo un pezzo prima di andarmene…».
Hana acconsentì. Jona preso il volume gli si sedette accanto sul materasso e iniziò a leggerle la parte in cui il Piccolo Principe incontra la volpe. Completata la prima pagina chiuse il volume riponendolo sul comodino.
Hana a quel punto si mise seduta appoggiandosi allo schienale del letto.
Aveva sul viso una strana espressione interrogativa.
«Ma alla  fine il Piccolo Principe riesce ad addomesticare la volpe?»
Jona sorrise debolmente.
«Dovrai continuare a leggere per scoprirlo... »
«Vuoi dire che dovrò aspettare il tuo ritorno per scoprirlo? Ma è così ingiusto! Uffa! Beh, se ci penso però, considerando quello che diceva tuo padre, se quel Piccolo Principe ti assomiglia, allora ci sarà riuscito sicuramente».
«E cosa ti da tutta questa sicurezza?» gli domandò Jona interessato.
«Beh, se tu sei riuscito ad addomesticare me allora anche il Piccolo Principe sarà riuscito ad addomesticare la volpe»
«Sono riuscito ad addomesticarti?» le domandò sorpreso Jona.
 Hana si fece rossa in viso.
«Si,  forse... ». A quelle parole Jona si intenerì. Dopo aver dato un rapido sguardo all’orologio sul comodino si rese conto di essere in terribile ritardo.
«Hana adesso devo proprio andare, altrimenti perderò l’aereo». Stava per sollevarsi dal materasso quando la stessa si avvinghiò a lui disperatamente. Jona rimase immobile e impreparato mentre lei lo abbracciava.
«Jona,  non lascerai la tua volpe ad aspettarti in vano, vero?». Lui ricambiò quella stretta con forza.
«Hana…». A quel punto la ragazza riprese le distanze da lui e con le mani dolcemente tastò prima i capelli poi la fronte il naso le sopracciglia e poi le labbra di Jona.
«Non mi dimenticherò di questo volto, ho appena scattato la tua fotografia nel mio cuore… ». Jona prese le mani di Hana e le staccò dal proprio viso. Poi iniziò ad avvicinarsi a lei fino a far sfiorare i loro due nasi.
«Neanche io mi dimenticherò di te… » poi chiusi gli occhi Jona prese tra le sue le labbra di Hana. Hana percepì quel gesto come un addio silenzioso. Non c’erano parole di contorno ma lei sentiva che in quel momento Jona gli stava dicendo addio.
Le loro labbra si cercavano avide, avide come quel tempo che era stato tiranno. Una volta riprese le distanze Jona le cinse la testa con le mani e dopo averle dato un ultimo bacio sulla fronte si sollevò dal letto. Rimboccatole le coperte la salutò. Era finalmente pronto a uscire per sempre dalla sua vita.
Sceso al piano di sotto salutò Otto per l’ultima volta prima di avviarsi verso il taxi che lo aveva aspettato pazientemente per quasi mezz’ora.
Nel suo letto Hana pianse affondando il proprio viso nel cuscino del suo letto.
“Devi tornare…  devo ancora dirti quello che provo”.
Pensando questo, dopo aver pianto per parecchio tempo, Hana crollò addormentata con la sensazione di quelle labbra ancora impresse sulla sua fronte e nel suo cuore
 
 
 
 
 
 
 
Roberto, Shin, Toshi e Kei erano fuori dallo studio di Rio. Quella che sarebbe dovuta essere una serata positiva capace di decretare un nuovo inizio per il gruppo e per la Kings Record si era trasformata in un’inaspettata doccia fredda per tutti. Roberto aveva davanti ai suoi occhi due amare sconfitte: quella di Marika e quella di Take. Allo stesso modo anche Toshi in quella stessa giornata aveva dovuto dire addio al suo primo amore e adesso anche a uno dei suoi più cari amici. Aveva fallito come leader e come uomo visto che alla fine non era riuscito a tenere unito il gruppo ne a trattenere la donna che amava. Tra loro Kei e Shin reggevano l’amara atmosfera del momento senza dire una parola. I quattro giunsero in silenzio fino al piano terra. Uno dei responsabili della sicurezza  all’ingresso della casa discografica si avvicinò loro lasciando un biglietto a Kei.
«Una donna mi ha chiesto di consegnarglielo» gli disse sottovoce prima di tornare alla sua posizione.
Nessuno dei tre ci fece troppo caso. Avevano i pensieri rivolti altrove in quel momento. Kei lo prese aprendolo. Dentro c’era un messaggio per lui scritto in inglese.
Era da parte di Marika.
“Cosa vuole da me questa tipa?”
 
So che non ci conosciamo, ma ho bisogno di parlare con te. È importante. Raggiungimi il prima possibile al bar qui fuori. Io aspetterò.
Marika.                
 
Kei dopo aver raggiunto  i suoi amici, fuori dall’edificio, improvvisò una scusa plausibile per allontanarsi e raggiungere Marika al bar lì vicino. Senza muovere obiezioni tutti lasciarono che si allontanasse.
Kei raggiunse il bar che erano le nove di sera. Entrò e si guardò un po' intorno alla ricerca di una chioma biondastra. Finalmente, cinque tavoli più in là di dove si trovava, intravide la giovane stilista della One Million.  
Con sicurezza si mosse nella sua direzione. Sugli occhi delle lenti scure e in tesa un berretto sportivo Kei prese posto al tavolo senza rivolgerle la parola. Non nutriva una grande simpatia per lei. Dopotutto era colpa sua se la donna che amava stava soffrendo tanto, e inoltre non gli era piaciuta affatto la scena a cui aveva dovuto assistere poco prima nei corridoi della Kings Record. Non era stato carino quello che aveva detto a Roberto. La ragazza sembrava felice di vederlo.
«Quasi non ci speravo più…» ammise lei richiamando una cameriera muovendo la sua mano per aria. La cameriera non doveva avere più di sedici anni. Dopo aver agguantato due menù da un tavolo lì vicino li raggiunse.
«Avete bisogno dei menù o sapete già cosa ordinare?» chiese squadrando i due ragazzi con interesse. Kei si strinse su se stesso reclinando il berretto sul viso. Di essere riconosciuto in quel momento proprio non gli andava.
«Io prendo un succo alla mela, tu?» chiese Marika al ragazzo seduto di fronte a lei.
«Io una birra» concluse sintetico l’altro girando dall’altra parte la testa.
«Perfetto arrivo subito» concluse la giovane cameriera stringendosi allo stomaco i due menù.
Una volta andata via la sedicenne dal tavolo Marika prese in mano la conversazione.
«Non temere sarò breve».
«Me lo auguro, ho ben altro a cui pensare in questo momento, e non ho di certo molto tempo da perdere in cose inutili…». Kei infatti per tutta la sera non aveva fatto altro che pensare a Nami. Non vedeva l’ora di tornare al dormitorio per verificare che stesse bene.
Marika sorvolò sull’atteggiamento burbero del ragazzo. Era più che comprensibile che non si fosse costruita una bella immagine stando agli ultimi eventi. Incurante di questo proseguì.
«Ho notato che sei amico di Nami e poco dopo che hai raggiunto anche Roberto. Penso tu sia un buon amico di entrambi o sbaglio?», Kei storse il muso.
«Diciamo che potrei definirmi simile ad un amico per entrambi… ma non capisco cosa centri questo adesso…».
La cameriera si intromise ancora una volta portando a entrambi la loro ordinazione dileguandosi subito dopo sorridendo sorniona. Kei aveva il presentimento di essere stato scoperto.
«Beh, questo è in realtà il motivo per cui ti ho chiesto di venire» riprese Marika sorseggiando dal bicchiere trasparente tra le sue mani il succo verdognolo.
«Se devo dirti la verità ero intenzionato a non venire... Non lo dico per prendere le difese di Roberto, ma quello che hai fatto... ».
«Lasciami spiegare ti prego, se ti ho chiamato è per chiederti un favore». Kei bevve un sorso di birra prima di proseguire.
«Un favore?»
«Si, so che non mi conosci e che in fondo non ho alcun diritto di avanzare una richiesta simile, ma non lo farei se non fosse per il bene di Nami, di Roberto e del gruppo. Almeno per loro pensi di riuscire ad accontentarmi?» Kei finì tutto d’un sorso la birra nel bicchiere asciugandosi con la manica sinistra le labbra umide.
«Di cosa si tratta?»
«Ho bisogno che tu convinca Roberto a dimenticarmi».
Il ragazzo sorrise malignamente.
«A questo penso tu ci abbia pensato già da sola . Adesso se non ti dispiace... » concluse sollevandosi dalla sedia. Marika lo trattenne prendendolo per un polso.
«Non capisci. Non conosci Roberto, lui non si rassegnerà così facilmente».
Kei si liberò dalla presa della ragazza.
«Non vedo come questo centri con me…»
«Tu non capisci, c'è in ballo il futuro del gruppo... La sua e la vostra carriera. Se lui venisse a cercarmi a quel punto non saprei come nascondergli la verità».
Kei tornò a sedersi mentre il suo sguardo sotto le lenti oscurate si faceva più interessato.
«Di che verità stai parlando? Non sarà che... » in lui un vago sospetto iniziò a emergere latente. Con un dito indicò il ventre di Marika.
«Si, quella che aspetto è sua figlia».
Kei si tolse il berretto dalla testa stringendolo nervosamente tra le mani.
«Vuoi dirmi che Thomas... ». Marika lo interruppe.
«Lui sa tutto e ha accettato di sposarmi nonostante questo. Non fraintendere non è che io non voglia dirlo a Roberto, ma ho troppa paura che la notizia possa trapelare e creare dei problemi a tutti voi. Questo è stato un mio errore e nessuno a parte me deve pagare per questo. Ecco perché sono qui a chiederti questo favore».
Marika a quel punto tirò fuori  dalla sua borsa una lettera porgendola a Kei.
«Ho bisogno che tu la conservi e che la dia a Roberto solo quando avrete raggiunto un fase stabile della vostra carriera. Io non voglio essere un peso per lui né un intralcio per voi. Quindi questo è l'unico favore che ti chiedo. Custodisci questo segreto fino a quel giorno».
 Kei senza esitare prese la lettera.
«Tu starai bene?» le chiese in tono ammorbidito. In quel momento aveva rivalutato completamente Marika. Forse iniziava a capire per quale motivo Roberto l’amasse tanto e perché non riuscisse a rassegnarsi all’idea di perderla. Lei dalla sua gli sorrise dolcemente.
«Me la caverò, non preoccuparti. Sono felice che Nami e Roberto possano contare su un amico come te. Sono fortunati. Io dalla mia cercherò di essere una buona madre e farò l’impossibile per non far sentire alla mia carotina la mancanza di suo padre. Per lei farei di tutto».
«Anche fingere di essere felice accanto a una persona che non ami?» gli domandò a bruciapelo Kei. Marika rimase impreparata a una domanda simile. Seppure se lo fosse domandato tante volte nella sua testa, adesso sentire quella domanda uscire dalla bocca di un'altra persona le faceva uno strano effetto. Senza dargli una risposta gli sorrise dissolvendo quell’espressione preoccupata e triste dal viso. «Adesso vado. Ci si vede in giro Kei» detto questo si sollevò dalla sedia. Stava prendendo il suo portafoglio quando Kei intervenne.
«Lascia, questo giro lo offro io».
«Grazie». Richiusa la propria borsa Marika si avviò all’uscita.
Kei si voltò per guardarla mentre si muoveva barcollando con il suo pancione tra i tavoli fino a quando scomparve oltre la porta del locale.
In quel momento Marika le riportò alla memoria sua madre. Anche la donna che lo aveva abbandonato dopo averlo messo al mondo, doveva essersi sentita sola e impotente dopo aver rinunciato all’uomo che amava, ma a differenza sua, Marika doveva avere avuto più fortuna o più semplicemente doveva avere un carattere più forte. Per entrambe non doveva essere stato facile arrendersi alla realtà dei fatti. Solo che a differenza di sua madre quella ragazza che poco prima era stata seduta davanti a lui, aveva trovato da qualche parte la forza di andare avanti.  La bambina nel suo grembo, ecco l’origine della sua forza e della sua determinazione. Con forza Kei strinse i suoi pugni. Nonostante tutto lui non doveva essere riuscito ad essere quel motivo di vita per sua madre. Da un lato commiserava quella donna che lo aveva messo al mondo. Dopo tutti quegli anni non era rimasto più spazio nel suo cuore per l’odio ma solo tanta compassione.  Stava per alzarsi quando notò un uomo insolito sulla cinquantina che leggeva solitario un giornale due tavoli più in là del suo. Aveva un’aria sospetta. Kei non indugiò oltre e raggiunse la cassa. Pagò rapidamente uscendo dal bar. Per tutto il tragitto fino alla fermata del taxi ebbe la strana sensazione di essere seguito. Quella sensazione scomparve non appena salì sulla vettura bianca che sfrecciò rapida tra le vie di Tokyo. Tra le mani quella lettera. La storia si stava complicando. Non poteva rischiare che Roberto conoscesse quella storia, in tal caso era sicuro che avrebbe deciso di abbandonare il gruppo e, conoscendo i fatti, Kei non  avrebbe potuto biasimarlo. Inoltre il più scorbutico degli Hope non poteva assolutamente correre il rischio che qualcun'altro a parte lui scoprisse la verità. A quel punto gli Hope sarebbero stati distrutti completamente. Da figlio però non faceva che pensare alla creatura nel grembo di Marika e al fatto che pur senza colpe, sarebbe cresciuta lontana da suo padre. Un padre che a differenza del suo non sapeva nulla di lei e che sicuramente l’avrebbe amata con tutto il suo cuore. Quella gli sembrò una vera ingiustizia. 
   
 
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