Anime & Manga > Saint Seiya
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Autore: shirupandasarunekotenshi    24/08/2016    1 recensioni
"Finché il sole sorgerà e tramonterà,
finché ci saranno il giorno e la notte".
Primavera 1992.
Così poco tempo è passato dalle ultime battaglie. Non sembra mai abbastanza
-
Due divinità si incontrano in un luogo fuori dal tempo, il futuro della terra è incerto. Un'altra dea, per l'ennesima volta, si troverà a dover proteggere questo futuro e giovani guerrieri dovranno di nuovo mettere le proprie vite al servizio di un destino al quale non potranno sottrarsi.
Crossover Saint Seiya e Yoroiden Samurai Troopers
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 5

 

 

Seiji chiuse malamente la porta della stanza che, di solito, condivideva con Touma; si rendeva conto di avere liquidato i tre nakama con ben poca cortesia, ma non poteva farci niente, era nervoso e non aveva altra scelta se non quella di accettare il proprio stato d’animo e fare i conti con esso.

Non l’avrebbe mai ammesso davanti ad alcuno, ma l’assenza di Touma lo scombussolava più di quanto avrebbe mai immaginato. Si lasciò cadere sul letto con uno sbuffo e rimase lì seduto, nervoso.

Perché gli stava accadendo quello? In passato erano stati separati anche per mesi e, per quanto la nostalgia ci fosse, mai fino a quel punto.

“Io non sono morboso, non posso essere morboso” si disse e, le mani sugli occhi, si gettò all’indietro sul materasso, imprecando mentalmente.

“Maledizione, Touma, cosa hai combinato per condizionarmi così?”.

Il volto del nakama gli apparve davanti, un sorriso beffardo sulle labbra.

Seiji afferrò un cuscino e lo lanciò verso l’illusione, con rabbia:

“Smettila di ridere, faccia da schiaffi!”.

Si prendeva pure gioco di lui a distanza adesso? Era mai possibile?

Tornò a sdraiarsi e si massaggiò gli occhi; era stanco, lo studio era particolarmente pesante in quel periodo e, proprio ora che ci sarebbe stato bisogno di un genio a dargli qualche input, tale genio aveva pensato bene di partire.

Ringhiò, si girò su se stesso e si sdraiò a pancia sotto, premendosi il secondo cuscino sulla testa: doveva smetterla di pensare a Touma! Lui, Seiji Date, era una persona indipendente e non aveva bisogno di nessuno!

Certo… un aiutino nello studio avrebbe fatto comodo.

“Panda, sei la mia persecuzione” borbottò, con un ultimo sospiro profondo.

Aveva sonno e il torpore, nonostante la tensione, si stava impadronendo di lui; sarebbe stato un sollievo abbandonarsi al sonno, sempre che dalla stanza accanto non fosse giunto qualche rumore molesto a disturbare i suoi sogni tranquilli.

Eh, no” pensò, “questa notte proprio non vi conviene, miei lussuriosi coinquilini”.

Certo, il sonno rendeva imbarazzanti i suoi pensieri.

Si sentì arrossire, mentre le sue palpebre si facevano sempre più pesanti e i propositi minacciosi svanivano, per lasciare il posto all’abbandono delle membra.

 

La prima sensazione che lo colpì fu il freddo.

Non un freddo normale e sopportabile: quello era il gelo del ghiaccio polare e le sue membra tremavano da capo a piedi, tutto il suo corpo era come un blocco di ghiaccio e faticava a muoversi per la rigidità di cui era preda.

Poi giunse il dolore lancinante agli occhi, così forte da non riuscire ad aprirli.

Quando, dopo un enorme sforzo, riuscì a schiuderli appena, si rese conto che quel dolore era causato dalla luce, troppo forte, troppo abbagliante: la luce del sole che si rifletteva sui ghiacci che plasmavano il territorio intorno, una bellezza straniante e irreale ma, al tempo stesso, pericolosa per chi non era in grado di tollerare un tale clima.

Non era il suo caso.

Lui aveva tollerato di peggio, eppure il senso di disagio non se ne andava: come poteva quella luce essere troppo persino per lui? Perché quel gelo gli penetrava fin nelle ossa e gli impediva di compiere un passo?

Poi lo comprese: la situazione lo aveva colto di sorpresa e aveva annullato ogni sua volontà. Tutto quel che doveva fare era ritrovare dentro di sé quella volontà.

Ma volontà di cosa? Cosa doveva fare lì? Come poteva volere qualcosa di cui non conosceva la natura?

Quando la situazione non è chiara, l’importante è non restare fermi; lo stallo è pericoloso”.

Era la voce della ragione dentro di lui che gli aveva parlato, oppure…

Non gli sembrava proprio la sua stessa voce.

Tuttavia il consiglio che aveva ricevuto gli parve sensato: muoversi… era tutto ciò che poteva fare.

I suoi passi da qualche parte lo avrebbero condotto, dopotutto.

Non gli restava che affrontare e sconfiggere la rigidità degli arti immobilizzati dal freddo. Non prese in considerazione neanche per un attimo la possibilità di non riuscirci, bastava muovere il primo passo e i successivi sarebbero giunti di conseguenza.

Cominciò dalla gamba destra; il movimento naturale gli fu impossibile e dovette strapparla dal suolo con uno strattone che gli provocò un capogiro. Ma fu un attimo e il resto gli venne più facile.

Prima un passo, poi l’altro, gli sembrò che le sue gambe, pian piano, infrangessero lo strato di ghiaccio che, fino a poco prima, le teneva bloccate. Anche il freddo si faceva, man mano, più sopportabile, per quanto sempre intenso, tanto che, dalla superficie di ghiaccio sulla quale camminava, il gelo oltrepassava le scarpe e penetrava dai piedi per attraversare tutto il suo corpo. I suoi occhi ora potevano vedere bene, la luce non era mai stata sua nemica e anche quella che aveva ferito le sue iridi, ora, era amica e gli consentiva di contemplare il luogo incantato nel quale si trovava.

Avrebbe dovuto sentirsi inquieto: non ricordava come fosse capitato lì, continuava a non concepire alcun motivo per cui dovesse trovarsi lì, invece a ogni passo la calma si faceva largo nel suo cuore, insieme alla consapevolezza che, benché il paesaggio, seppur meraviglioso, sembrasse tutto uguale, prima o poi da qualche parte sarebbe giunto. Doveva solo andare avanti e la risposta gli sarebbe venuta incontro, come lui stava andando incontro a essa.

Portò una mano a schermarsi gli occhi quando vennero colpiti da un baluginio più intenso che gli strappò un’esclamazione di stupore.

Le cose non accadevano mai per caso e forse la risposta era davvero vicina, adesso.

Accelerò il passo in una marcia veloce verso il punto da cui il lampo di luce era giunto: adesso era ansioso di sapere, nessuna inquietudine, nessun timore, solo una bizzarra curiosità che gli suggeriva di stare avanzando verso una meta importante, fondamentale.

Si fermò di botto, lasciandosi sfuggire una nuova esclamazione soffocata.

Grande, maestoso, pieno di grazia.

Parevano tocchi decisi di un pennello antico le ali candide dispiegate verso l'infinito.

La testa elegante si tendeva anch'essa verso il cielo.

Ma il becco del cigno era aperto, come in un muto grido di agonia, le membra immobili: la bellezza della creatura era resa eterna dalla trappola di ghiaccio che la circondava.

Seiji non aveva con sé la spada e, in quel momento, l’avrebbe desiderato: un’arma per spezzare quel ghiaccio e permettere che lo splendido cigno tornasse a volare libero.

Provò con le mani: prese a pugni la bara di ghiaccio con tutta la forza che aveva, ma ottenne solo di farsi sanguinare le nocche, mentre lacrime di impotenza comparivano nei suoi occhi: era troppa la pena che provava, troppa la disperazione per non poter fare nulla.

È inutile”.

Fermò un pugno a mezz’aria.

Era triste la voce che tentava di dissuaderlo da una vana impresa e lui sapeva che apparteneva alla creatura nel ghiaccio.

Non posso lasciarti qui” sussurrò, lasciando che una lacrima gli solcasse la guancia.

Non era da lui mostrare debolezze, ma si trovava di fronte a una creatura che meritava tutta la sua comprensione, doveva far sentire al cigno il proprio trasporto.

Quando ci incontreremo, spiccherò il volo”.

 

Aprì gli occhi nella sua stanza, il freddo era scomparso, ma una sensazione di umido lo spinse a sollevare una mano per toccarsi una guancia: la lacrima era lì e dopo di essa ne scese un’altra.

“Era un sogno” mormorò.

Eppure...

Niente accade per caso.

La mano di Seiji scese nuovamente e il ragazzo la posò sul petto, mettendosi seduto e cercando di controllare il proprio respiro fin troppo agitato: lui era la luce, sapeva vedere le cose con fin troppo anticipo a volte, ma un simile dono, in alcune circostanze, poteva trasformarsi in una condanna.

 

 

***

 

La luna si stagliava limpida e perfetta in quella notte senza nuvole. Per quanto i ciliegi fossero in fiore, l'aria era ancora frizzante, a tratti pungente.

Il ragazzo nella stanza temeva poche cose e tra queste non vi era di certo il freddo.

Era stato suo compagno da sempre, da quando ancora viveva protetto nel ventre della propria madre.

Il freddo non faceva paura: riusciva a delineare momenti, paesaggi e pensieri che il calore spesso distorceva o dilatava a volontà.

Ecco, il freddo era chiarezza, prontezza dei sensi, ma anche una terribile culla se lo si lasciava sussurrare troppo a lungo dentro di sé.

Hyoga, in piedi davanti alla finestra, alzò le spalle, scrollandosi di dosso la lontana sensazione di un ricordo intriso di malinconia.

Non voleva caderne vittima, ma quella giornata era stata straniante, fin troppo calma.

La calma prima della tempesta.

Quella giornata era stata sintesi perfetta di quel detto dai risvolti inquietanti.

Seiya e Shun erano riusciti, però, a strappargli più di un sorriso con i loro giochi assurdi: Seiya continuava a sfidare tutti per una rivincita che, puntualmente, andava a lui o a Shun. Sapeva essere rumoroso quando voleva e Shun si univa volentieri alla sua vivacità, per una volta che potevano permettersi di essere... semplicemente ragazzi normali.

Con uno sbuffo e un mezzo sorriso, Hyoga si lasciò cadere sul letto, cercando di mettersi alle spalle quella strana sensazione di inquietudine.

Seiya stesso aveva detto che, spesso, i pensieri negativi portavano negatività con sé.

Forse dovevano solo pensare di essere un po' più felici e il fato avrebbe dato loro ascolto, almeno per una volta.

Hyoga voleva crederci, anche solo per una notte.

Perché quella notte fosse costellata da sogni e pensieri positivi, solo quello.

Affondò con un sospiro nel morbido cuscino, pregustando il riposo che giunse molto presto.

La mente, per una volta, gli aveva dato retta.

 

Vagava incerto nel mezzo di una tempesta di neve che, però, niente aveva del gelo che il suo corpo aveva imparato a conoscere e apprezzare. Il vento pareva sferzare ogni cosa attorno a lui, ma pareva vi fosse un velo protettivo a proteggerlo dalla forza della natura nordica.

Nemmeno si udiva l'ululare della neve, nell'aria: era come se stesse marciando in un altro mondo, simile eppure alieno a quello che l'aveva visto nascere.

Più volte si era fermato, cercando di penetrare quel velo invisibile e giungere là dove infuriavano gli elementi: eppure, ogni volta era come se l'istante si congelasse in un vuoto astratto, dove dolore, freddo, paura... ogni senso perdeva di significato.

Lo Hyoga nel sogno era giunto a pensare di essere all'interno di un sogno, ma per lui era spesso difficile discernere il reale da ciò che era frutto di sola fantasia. Forse perché i suoi sogni erano, fin troppo spesso, terribilmente reali.

Per quanto l'apparenza fosse tranquilla, i suoi sensi erano all'erta, alla ricerca di un nemico o di quello che poteva essere la causa scatenante di quelle ambigue sensazioni.

Poi, tutto d'un tratto, il vento cessò di soffiare e il velo che si era erto a sua difesa si dissolse nel nulla. Il gelo giunse alle sue membra e lui lo accolse come si può accogliere il calore del sole dopo un freddo inverno.

Hyoga sorrise, finalmente nel proprio elemento, rassicurato da una sensazione così familiare.

Forse non vi era pericolo, forse... era solo un suo timore.

All'improvviso un lampo intenso e brillante lo accecò: riuscì a malapena a scorgere una colonna di luce innalzarsi verso il cielo, dissolvendosi in mille lucciole e lasciandosi alle spalle un grande e maestoso pilastro di ghiaccio.

Gli occhi di Hyoga si socchiusero, mentre il corpo si posizionava in difesa, d'istinto: il vento era cessato, la stranezza di quel velo scomparsa, ma...

Quel pilastro... così simile alla bara che molti anni prima l'aveva accolto... quella colonna di luce, una luce così accecante... la loro presenza era quantomeno sospetta.

Non si aspettava di vedere certamente il proprio sensei, no. Ma chissà che altro...

Si avvicinò a piccoli passi, i sensi all'erta, gli occhi che spaziavano attorno a sé, al monolite di ghiaccio e attraverso di esso.

Quando lo sguardo cadde sul suo centro, gli occhi si sbarrarono e il cuore mancò un colpo.

Ma... cosa...?!”.

C'era qualcuno.

I passi lo avvicinarono al ghiaccio, tanto da poter giungere a specchiarsi sulla liscia superficie ghiacciata.

Si specchiava, sì, nel ghiaccio.

Ma si specchiava anche... in chi dormiva in quel ghiaccio.

Qualcuno... un ragazzo... dormiva... o era morto? In quel ghiaccio...

Era così simile... a lui. Non era lui, no.

Non aveva... non aveva quell'aria così dura che il suo viso recava. Non aveva quella cicatrice... pareva un viso nobile, anche se delicato. Non come Shun, ma...

Ghiaccio e luce sono molto simili” disse una voce che proveniva dal... ghiaccio.

Chi sei?!” bisbigliò sgomento Hyoga, arretrando appena dalla colonna.

La luce...” la voce aveva una punta di ironia nel tono, Hyoga ebbe la netta sensazione che lo stesse prendendo in giro.

Hyoga aprì bocca, per rispondere a tono a quell'impudenza, ma il vento tornò a soffiare e, stavolta, nessuna protezione lo avvolse, nessun tepore lo accarezzò.

Solo il gelo che conosceva bene. E la neve che impazzava attorno a lui, impedendogli la vista di alcunché. Cercò di alzare le mani a proteggere il viso per non perdere di vista quella bara di ghiaccio, ma la neve era troppa e si ritrovò in mezzo al bianco, nella solitudine del deserto del Nord.

Ci rivedremo” disse, di nuovo, quella voce.

E, a quel punto, Hyoga si risvegliò.

 

A dispetto del sogno, il risveglio di Hyoga fu in un bagno di sudore: a chi apparteneva quella voce? E chi era quel ragazzo? Era davvero rinchiuso in quella teca di ghiaccio? O era solo la sua paura amplificata nel sogno?

Si passò una mano sugli occhi, osservando i giochi di luce che la luna, penetrando nella camera, disegnava sul pavimento, al lento muoversi della tenda.

La luce e il ghiaccio erano simili... certo, sul ghiaccio la luce riverberava forse nella maniera più forte, brillante.

Forse erano entrambi luce, in una forma completamente diversa.

Il ragazzo scosse la testa, sospirando con stanchezza.

“Ma che pensieri faccio? Che sogni...?”.

Si rotolò sulle lenzuola, nascondendo il viso sul cuscino: avrebbe tentato di riprendere sonno, cacciando certe stranezze dai propri sogni.

Che almeno il sonno lo lasciasse in pace da pensieri inquietanti.

 
  
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