Gwen
La musica mi
rimbombava nelle orecchie, nel torace, sotto i piedi e
l’alcol cominciava già a
fare effetto. Mi sembrava tutto più bello, tutto
più facile, mi sentivo più
leggera ed era una sensazione meravigliosa. Chiusi gli occhi e
continuai a
muovermi. Non mi importava di quello che pensavano gli altri, del modo
in cui stavo
ballando, se ero bella da vedere o no, se facevo solo ridere o se
magari mi
trovavano attraente, se Jessie mi amava ancora o era insieme ad
un’altra, se
ero semplicemente la più cretina sulla faccia della Terra o
avevo fatto bene a
non lasciarlo… Per una volta, in quel momento, me ne stavo
davvero fregando di
tutto e di tutti e non pensavo a niente.
E mi piaceva da morire quella sensazione.
D’un tratto mi
sentii afferrare per il braccio.
Non seppi bene
se era per colpa dell’alcol che mi scorreva nelle vene, ma
anche quello che
vidi subito dopo essermi voltata mi piacque da morire. Un moro stupendo
e due
occhi azzurri come il cielo mi guardavano dritto nei miei. Quelli erano
davvero
gli occhi più belli del mondo, lo pensavo da sempre e avrei
continuato a farlo.
E, di quello ero certa, non era colpa di nessun cocktail bevuto di
rigore.
Sorrisi a quei
due magneti azzurri, che non volevano mollare il mio sguardo, e mi
schiacciai
contro il loro proprietario. Una risata cristallina risuonò
nell’aria.
«Tu sei già
sbronza.» Mi disse Matt, afferrandomi per un fianco: okay,
barcollavo un po’,
ma non mollavo mica.
«Nah.» Gli risposi,
forse un po’ troppo vicina al suo viso.
Non ero per niente credibile. Dovevo anche essere piuttosto divertente
da
vedere da fuori, perché il mio migliore amico aveva
un’espressione compiaciuta
stampata in faccia.
«Ah, e allora
come mai non ti reggi in piedi?» Mi chiese, ridacchiando.
Stavo
benissimo, a parte l’equilibrio un po’ precario, mi
sentivo davvero bene.
«Forse un
pochino, okay? Ma va tutto bene.» Cercai di tranquillizzarlo,
ma scossi il capo
con troppa convinzione e decisamente un po’ troppe volte,
tant’è che mi girò la
testa per un attimo.
Ed ero così spensierata che misi in mano a Matt il mio
bicchiere vuoto e
cominciai a muovermi contro di lui.
Non avevamo mai ballato così. Cioè, non insieme,
perlomeno, non io e lui. In tutti
quegli anni passati
insieme l’avevo sempre visto ballare insieme ad altre
– tante altre –, ma non
l’avevamo mai fatto insieme, nemmeno quando non stavo ancora
con quel cretino
di Jessie, nonostante fosse una cosa stupida e, perché no,
anche innocente. Lui
non mi aveva mai guardata con occhi diversi da quelli
dell’amicizia, non aveva
mai provato a toccarmi in un modo che non fosse appropriato a quello di
due
buoni amici – era successo solo una volta, una notte, due
anni prima, ma era ubriaco
e probabilmente non si ricordava nemmeno più; mentre io, da
povera ragazzina
illusa, avevo passato anni e anni a morirgli dietro. Cotta e stracotta
del mio
migliore amico, come nei peggiori teen movies. Lo vedevo come una meta
impossibile da raggiungere, sempre circondato da sgualdrinelle varie,
sempre
chiuso nel suo guscio di cinismo e orgoglio, mai una volta che
trasgredisse le
sue strane regole sulle relazioni. Di certo non era rimasta a guardare,
avevo
avuto anche io le mie esperienze, ma mai al livello delle sue.
Poi si era fatto avanti Jessie, nostro amico da diverso tempo, e, forse
perché
avevo voglia di una relazione seria, forse perché volevo
togliermi dalla testa
quello stronzo di Matt, mi ero lasciata andare con lui. Mi ero
innamorata, certo,
ci stavo bene insieme. Però mi capitava spesso di pensare a
come sarebbe stato
se al suo posto ci fosse stato lui. Se
invece di preparare il letto per gli ospiti a Jessie,
l’avessi preparato per
Matt; se invece di andare al cinema con Jessie, ci fossi andata con
Matt; se
invece di baciare le labbra scure di Jessie, avessi potuto baciare
quelle
chiare di Matt; se invece di fare l’amore per la prima volta
con Jessie,
l’avessi fatto con Matt, il mio migliore amico.
Era davvero
cattivo pensare tutte quelle cose, me ne rendevo conto, ma non riuscivo
a
impedire al mio cervello di farlo. Forse me l’ero meritato di
essere
cornificata, però, restava il fatto, che quando avrei potuto
avere Matt per me,
intendo quella notte, due anni prima, ci avevo rinunciato.
Perché c’era Jessie.
Perché gli volevo bene. Perché nessuno si merita
di venir preso in giro così.
Ma, a quanto
pareva, la fedeltà e la fiducia non erano anche nei primi
interessi di Jessie,
quindi era andata così. Speravo che fosse stata solo una
sbandata. Tenevo a
lui. E, sinceramente, avevo paura di ritrovarmi da sola, di dover
ricominciare
da capo, con qualcun altro, in un altro modo. Più di tutto,
avevo paura di
ricadere nel baratro, di ritrovarmi, nei miei momenti più
bui, a pensare ancora
“o Matt o nessun altro”.
Quella sera,
però, ero io a muovermi addosso a lui, non tutte le altre,
ero io. Cercai perciò di
essere il più
sinuosa e sicura possibile, avevo voglia di provocarlo un
po’, avevo aspettato
quel momento da troppi, troppi anni. Per tutta risposta, lui rimase
lì
impalato.
«Stasera hai mangiato qualcosa almeno?» Mi chiese,
ad un tratto.
Ma ti sembra il
momento di farmi domande così stupide?, pensai.
Dov’era finita
tutta la sua spavalderia?
«Ma chi sei?
Mio padre? Comunque no, non mi andava.» Risposi con una
risatina, sperando di
chiudere lì l’inutile discorso che aveva tirato in
ballo.
«Scommettiamo.
Fra quanto tiri su l’anima? Un’oretta?»
Mi disse, vicino all’orecchio.
Evidentemente non
aveva intenzione di smetterla di dire stronzate. Così mi
voltai e - come se non
fossi nemmeno io a controllarla - la mia mano si avvicinò
alle sua bocca, il
mio indice sfiorò il suo labbro inferiore e, in
quell’istante, come una scossa
elettrica mi attraversò il corpo.
«Scommettiamo.
Fra quant’è che chiudi questa boccaccia e balli
con me?» Gli dissi, sfoderando
il migliore dei miei sorrisi e cercando di mostrarmi sicura di quello
che
facevo.
Non ero sicura di esserci riuscita, ma lui, scuotendo la testa, mi
lanciò
un’occhiata e ricambiò il mio sorriso birichino
con uno da svenimento. Finì la
birra in pochi sorsi, mentre io guardavo come incantata il suo pomo
d’Adamo
fare su e giù e poi se ne liberò insieme al mio
bicchiere vuoto. Iniziò così a
muoversi insieme a me.
Non volevo spingermi troppo in là, nonostante
l’alcol mi stesse praticamente
privando di ogni inizibizione, volevo solo che provasse quello che
provavo io.
Come se fosse possibile. Forse mi illudevo. Volevo solo che, per una
volta,
ballasse con me come faceva con le altre, senza pensare a come
comportarsi, a
dove mettere le mani. Volevo sentire ancora il mio corpo contro il suo,
proprio
come la sera prima, quando mi aveva buttato in acqua e poi ero caduta
sopra di
lui. Non c’era Jessie nei miei pensieri, in quel momento, era
come se fosse
stato spazzato via. E probabilmente era sbagliato, ma lui mi aveva
tradita con
un’altra, mentre io non lo stavo facendo.
Ballammo per un
po’ e per tutto il tempo provai una strana sensazione alla
bocca dello stomaco,
forse ansia, forse farfalle, so solo che si acuì appena si
decise a mettermi le
mani sui fianchi.
Ad un certo
punto sentii le voci di Lola e Dominic vicine e li vidi di fianco a noi.
«Se sei venuto
per fare l’idiota con quella, potevi anche startene in
hotel!» Chiosò la mia
amica, dando una leggera gomitata al biondo, che, per tutta risposta,
alzò gli
occhi al cielo.
Ah, la gelosia!,
pensai. Mi facevano morire dal ridere quei due. Erano fatti per stare
insieme,
ma preferivano tenersi sulle spine. Forse era più divertente
così.
Lola mi si
avvicinò all’orecchio e mi prese una mano.
«Mi accompagni
in bagno? Se no finisco per ucciderlo.» Un sorriso maligno si
dipinse sul suo
viso, mentre uno divertito si faceva strada sul mio.
«Okay.»
Ridacchiai. «Sappi che tengo alla tua vita.» Feci
poi a Dom, che mi guardò
stranito.
Feci un sorriso
a Matt, che ricambiò subito, e mi allontanai con la mia
migliore amica. Mi
girava ancora un po’ la testa, ma andava già
meglio rispetto a poco prima.
Appena fummo
lontane, il senso di colpa si fece sentire. Perché mi ero
comportata così?
Non sapevo se dire a Lola quello che provavo o far finta di niente. In
fondo
non è successo nulla, pensavo, cercando di convincermi,
abbiamo solo ballato.
Ma sapevo comunque che quella che poteva sembrare un’idiozia
aveva riportato a
galla cose, sentimenti e sensazioni che pensavo di aver –
bene o male –
seppellito e dimenticato.
Optai infine per
non dirle nulla e le chiesi di lei e Dom.
«Quindi?»
Esordì.
«Quindi cosa?»
Disse lei, mentre entrava in bagno.
«Dom?»
«Tienimi la
porta, qui non c’è la chiave.»
«Non era la
risposta che volevo, però okay.» Risi.
Mi appoggiai
alla porta e tornai all’attacco.
«Pensi di
dirglielo che ti piace o lo tieni ancora lì sul filo del
rasoio?» Dissi.
Lei sbuffò. Mi
immaginai la sua espressione contrariata.
«Sto facendo
pipì, non mi va di parlarne.»
«Uscirai di lì,
sai?» Come risposta ebbi solo il rumore dello sciacquone.
Poco dopo venne
fuori, mi lanciava occhiate divertite dallo specchio mentre si
sciacquava le
mani nel lavandino. Io me la ridevo sotto i baffi.
«Lo sanno tutti
che non vedete l’ora di scopare.» Dissi, maliziosa.
Lei mi guardò
con un’espressione di finto sgomento mista a divertimento sul
viso.
«Gwen! Questo
linguaggio non ti si addice per niente!» Mi agitò
il dito davanti alla faccia.
«E a te non ti
si addice il ruolo di santarellina!» Risi, dandole un
pizzicotto sul sedere.
«Quindi fatevi il favore di smetterla di fare gli
idioti!»
«Signor sì,
signore!» Disse lei, facendomi il saluto militare.
«Cretina.» Sussurrai.
Le misi un braccio intorno al collo e così uscimmo dal
bagno. Ci stavamo
avviando verso il bar, dove Lola aveva intravisto i nostri due
accompagnatori,
quando il mio sguardo cadde su Amy.
Cosa ci faceva
lì? Guardai meglio, dietro di lei c’era Eric
insieme ad Alex, dietro di loro: Jessie.
Avvinghiata a lui, come un bellissimo e sinuosissimo polipo, una
ragazza alta e
mora – il mio esatto opposto –, ovviamente, la
stessa con cui l’avevo beccato la
sera prima.
Il mio cuore si fermò; il mio stomaco si rivoltò
su sé stesso; una vampata di
calore mi arrivò fino alla testa, ma le lacrime, purtroppo,
non riuscii a
fermarle. In quel momento, però, sentii che la rabbia era
decisamente più forte
del dolore, così, d’impulso, attraversai la calca
di gente che ci divideva e mi
abbattei contro di loro. La strappai dalle sue braccia, dalle sue
labbra -
dalle mie labbra - e tirai uno
schiaffo
in faccia a lui. Per un attimo mi guardò interdetto, come se
fosse successo
tutto talmente in fretta da non riuscire capire, poi si accorse di chi
ero, di
cosa aveva appena fatto davanti ai miei occhi e fece subito per
afferarmi il
braccio, ma mi allontanai di corsa. Puntai verso il mare, dove
c’era meno
casino, dove avrei potuto urlargli in faccia quanto mi faceva schifo
senza
avere troppi spettatori.
Urlò il mio
nome diverse volte prima che decisi di fermarmi, lo feci appena sentii
che non
riuscivo davvero più a trattenere gli insulti. Quando
mi voltai me lo
ritrovai subito davanti, aveva uno sguardo quasi indecifrabile.
«Cazzo, Gwen!»
Disse, afferrandomi per un polso.
«Vaffanculo!»
Gli gridai contro, strappando via la mia mano dalla sua presa.
«Io- io non
volevo lo scoprissi così…» Mi prese per
le spalle, cercando di tirarmi vicino a
lui.
Mi divincolai e
lo spinsi via.
«Toccami ancora
e ti tiro un altro schiaffo!» Gli intimai. «Sei un
pezzo di merda!»
«Lo s-»
«Come cazzo hai
potuto?!» Urlai, interrompendolo prima che finisse la frase.
«Dopo tutto questo
tempo!» Continuai, le lacrime intanto scendevano, non
riuscivo a controllarle.
«Credimi, non
volevo farti del male.» Disse, quasi sussurando.
Allungò la mano verso il mio viso, fece in tempo a sfiorarmi
la guancia con il
pollice per fermarmi una lacrima, ma io gli tirai un pugno sulla spalla
sinistra. Non voleva farmi del male? Gliene avrei fatto io.
«Cristo santo.»
Dissi. «Ti senti quando parli? Non volevi farmi del male? Mi
prendi per il
culo?»
«Te lo avrei detto.»
Cercò di giustificarsi, mentre si massaggiava la spalla.
«Ah, sì? Beh,
grazie della cortesia allora!» Risposi, sarcastica.
Ci fu un attimo
di silenzio. Io presi un respiro, lui si mise le mani fra i capelli e
guardò
verso il mare.
Intravidi Lola che si era fermata un po’ più
indietro rispetto a noi.
«Da quanto?» Gli
chiesi, poi.
«Da una
settimana.» Rispose, senza guardarmi in faccia.
Fantastico.
Eravamo lì in vacanza da due settimane e lui da una si
sbatteva un’altra,
appena conosciuta per di più.
«Chi è.» Dissi,
non era nemmeno una domanda.
«Non è di qui, è
in vacanza anche lei.»
«Magari col
fidanzato?» Non riuscii a trattenermi dal dirlo.
«No.»
«Ah beh, almeno
te ne sei trovato una coscienziosa…» Commentai.
«Smettila di
fare così.» Mi disse, questa volta riuscendo a
guardarmi negli occhi.
«Di fare cosa,
scusa?!» Alzai la voce.
«Di rispondermi
come se mi stessi prendendo per il culo.»
«Tu l’hai fatto
fino ad ora con me!» Gli feci notare. «Ti rispondo
come voglio, non devo stare
di certo a pesare le parole con te!» Gli diedi
un’altra spinta. «Sei
incredibile.» Aggiunsi.
«Ho sbagliato,
okay?! Mi dispiace, Gwen.» Si lamentò.
«Mi dispiace sul serio, mi sono
comportato da stronzo, è vero, ma pensavo fosse solo una
cosa momentanea, che
una volta tornati a casa sarebbe tornato tutto come prima.»
Lo guardavo
incredula. Una cosa momentanea? Più cercava di spiegarsi e
più mi chiedevo come
avevo fatto a stare con un imbecille del genere per tutti quegli anni,
ma,
soprattuto, come avevo anche solo pensato di lasciar correre quello che
era
successo.
«Tutto come
prima? Ma mi prendi in giro?!» Gridai.
«Intendo che
avrei voluto stare solo con te, come prima.» Disse piano.
«Cioè, lasciami
capire. Tu pensavi di riuscire tranquillamente a stare insieme a me, a
passare
le giornate con me, a fare tutte le cose che facevamo prima, a venire a letto con me, dopo esserti
scopato un’altra?! E per di più sotto i miei
occhi?!» Gli dissi, mentre gli
puntavo il dito contro il petto. «Mi fai veramente
schifo!»
Mi lanciai contro di lui, iniziai a spingerlo, a dargli pugni sulle
spalle, sul
torace, non capivo più niente. Mi sentivo ferita, mi aveva
presa in giro. Mi chiedevo
se fosse capitato anche altre volte e picchiavo più forte.
Mi immaginavo ancora
la scena della sera prima e picchiavo più forte. Volevo
fargli male, volevo
spaccargli la faccia, volevo che provasse il dolore che stavo provando
io.
All’improvviso
mi sentii afferrare per la vita, qualcuno, che non era Jessie, mi stava
sollevando da terra. Gridai di lasciarmi andare con tutta la forza che
avevo,
ma quando sentii quella voce dire
il
mio nome, mi bloccai.
Ancora grazie a chi segue, a chi recensisce e a chi l'ha messa fra le
preferite.
Fatemi sapere, aspetto qualche nuovo commento.
Ne
sarei felice.
Lady.