Anime & Manga > Saint Seiya
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Autore: shirupandasarunekotenshi    27/08/2016    1 recensioni
"Finché il sole sorgerà e tramonterà,
finché ci saranno il giorno e la notte".
Primavera 1992.
Così poco tempo è passato dalle ultime battaglie. Non sembra mai abbastanza
-
Due divinità si incontrano in un luogo fuori dal tempo, il futuro della terra è incerto. Un'altra dea, per l'ennesima volta, si troverà a dover proteggere questo futuro e giovani guerrieri dovranno di nuovo mettere le proprie vite al servizio di un destino al quale non potranno sottrarsi.
Crossover Saint Seiya e Yoroiden Samurai Troopers
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Avevano parlato e 'giocato' fino a ora tarda, fino a quando Shin non aveva messo fine a quel continuo ruzzolare nel letto ricordando a lui e Ryo che gli esami necessitavano di buon sonno per essere superati al meglio.

Strano che riuscisse a metterli al loro posto così facilmente – ma gli esami erano nella mente di ognuno di loro, una presenza molesta ma necessaria.

Dovevano studiare. E dovevano passare quei maledetti esami.

Così Shu, come al solito, si era accoccolato sul lato destro di Shin, Ryo su quello sinistro.

Il samurai della Terra dovette arrendersi a una certa stanchezza, più mentale che fisica, ma pur sempre presente. Si era stretto al fianco del compagno, aveva chiuso gli occhi e aveva vagato con la mente a quella primavera, alla fine degli esami e a una giornata dedicata a loro cinque, al parco Ueno, tra i fiori, un buon bento e solo discorsi piacevoli.

Solo quelli... niente università...

 

Il sogno giunse all'improvviso, come un temporale estivo, quando ti ritrovi nel bel mezzo della campagna senza alcun riparo.

Shu si trovava in un luogo privo di verde, frustato dal vento e cotto dal sole estivo... un sole, però, diverso da quello che conosceva. Sembrava quasi più... sopportabile... di quello orientale.

Il cielo era così azzurro da ferire gli occhi, di tanto in tanto qualche nuvola solcava l'azzurro, lenta e annoiata.

E il vento soffiava e soffiava e, ovunque gli occhi blu di Shu si posassero, non vi era anima viva incontrarlo.

Era uno sogno bizzarro.

Il vento soffiava e sembrava quasi parlare.

Shu sbuffò e tentò di gridare, sperando che la propria voce riuscisse giungere a qualcuno.

Ma fu solo il vento ad aumentare la propria voce.

Sembrava una risata ironica, detestabile.

Shu digrignò i denti e aprì bocca, ma, nuovamente, la voce rimase muta.

Sentì la rabbia prenderlo d'improvviso e, al contempo, percepì la terra tremare sotto i propri piedi.

Oh, finalmente qualcosa che conosceva!

Ghignò, soddisfatto, ma non si aspettò certamente quello che seguì.

La terra si spaccò, si frantumò, si fece sassi e polvere.

E inghiottì Shu.

Nessun appiglio.

Nessuna presa.

Le sue mani scivolarono sul vento, la terra era lontana.

E il cielo, quello diventava sempre più piccolo.

Sempre più lontano.

Stavolta dalle sue labbra la voce uscì, chiara e terrorizzata.

Cercò di richiamare allora la yoroi.

Ma era sorda al suo richiamo.

Allora cercò di proteggere se stesso, incrociando le braccia davanti al viso, come se quello bastasse a frenare una vera e propria caduta libera.

Era tutto inutile e lo sapeva.

E credette di giungere al fondo di quel buco nero, quando, invece, si accorse di affondare dolcemente in un cielo stellato.

Lo guardavano grandi occhi neri che parevano pieni della stessa sorpresa dei propri.

Occhi di un bianco, slanciato e selvaggio cavallo bianco.

Un cavallo... con le ali?!

 

Shu si svegliò di soprassalto, gli occhi sbarrati nel vuoto, il fiato corto.

Ma, almeno, con la voce.

“Cavallo... con le ali?!”.

Era sicuro di aver già visto in qualche libro per bambini – forse in quello dei fratellini – un animale come quello... animale fantastico che... perché mai l'aveva sognato? Non aveva senso... un felino o un pesce... o una foca... qualsiasi altra cosa... ma un cavallo con le ali?!

Una mano sugli occhi, Shu ricadde col capo sul cuscino, mugolando una stanca irritazione.

E dire che non aveva mangiato così pesante...

 

 

***

 

Il cuore di Seiya venne invaso da uno strano senso di solitudine dopo che ebbe salutato i due fratelli con cui si era attardato.

Si erano dati la buonanotte nel corridoio, prima di raggiungere ciascuno la propria stanza, ma Seiya si era fermato dopo aver sentito le porte di Hyoga e Shun che si chiudevano; aveva posato la mano sulla maniglia della propria porta, ma l'aveva tenuta ferma qualche istante per poi allontanarla, con un sospiro.

Si erano divertiti a giocare a carte, ma il motivo per cui avevano fatto tanto tardi era un pensiero condiviso da tutti loro, per quanto non espresso: volevano allontanare il momento in cui si sarebbero separati e sarebbero rimasti soli con se stessi e con i propri pensieri.

Non tutti i giorni erano uguali, non tutti così inquieti, ma ve n'erano alcuni in cui i ricordi si facevano più vivi, opprimenti e, insieme a loro, le paure tornavano con maggior insistenza.

Era, appunto, uno di quei giorni, per quanto nessuno di loro avesse osato ammetterlo chiaramente.

Sbuffò, irritato con se stesso: lui era sempre stato un tipo allegro e ottimista, ma non poteva negare a se stesso che le esperienze passate avevano influenzato il suo modo di essere, facendolo tendere verso sfumature decisamente più malinconiche.

La vicinanza con i fratelli lo aveva anche reso più empatico, lui come gli altri: ormai spesso bastava uno sguardo per capirsi; in realtà capitava sovente che nei loro occhi si riflettessero, reciprocamente, emozioni e stati d’animo.

E quella sera, negli occhi di Hyoga e Shun aveva visto ciò che provava anche lui.

Suggestione?

Non ne era convinto; lo sguardo di Shun, soprattutto, era la conferma, era un libro aperto per chiunque ed era fin troppo facile carpire il suo stato emotivo anche quando lui si sforzava, in tutti i modi, di nasconderlo. E lo stato d’animo di Seiya, quel giorno, era esattamente il medesimo.

Si decise ad aprire la porta e si lasciò cadere sul letto così com’era, in maglietta e jeans, prono e col viso affondato nel cuscino; in realtà non aveva sonno, era stato più che altro un gesto di nervosismo, accompagnato da un rumoroso sbuffo.

Girò la testa di lato, per non soffocare contro il guanciale, lo sguardo rivolto alla finestra; le tende erano rimaste aperte e lasciavano via libera al chiaro di luna.

Attraverso i vetri era possibile scorgere anche qualche ombra di vegetazione, sagome indistinte nel buio, ma Seiya sapeva che, là fuori, nella leggera brezza della notte primaverile, danzavano i rami dei ciliegi lasciando liberi i petali al loro destino.

Proprio come aveva fatto Mitsumasa Kido con loro, un padre che aveva abbandonato i figli ancora piccoli a una morte quasi certa, una sorte infausta alla quale solo pochi di loro erano scampati.

Non era più arrabbiato, adesso che aveva compreso e che una consapevolezza superiore degli eventi lo aveva portato a ritenere che la posizione di Kido non fosse stata semplice… ora sapeva che lui stesso doveva avere sofferto ed era stato vittima di un destino che non aveva chiesto. Da lì a considerarlo un padre, tuttavia, il passo era lungo, troppo…

Abbracciò il cuscino e sospirò: non era più in grado di provare rancore per un mondo crudele e un destino ingrato, era un santo di Athena e servire Athena significava nutrirsi solo d’amore per la vita. Sorrise amaramente: nessuno di loro sarebbe mai stato bravo come Shun a far propri certi ideali, ma ci provava e spesso lottava duramente contro se stesso per combattere i sentimenti negativi.

Seiya non si sentiva certo il più saggio tra i fratelli, tutt’altro: per anni avevano rimproverato la sua eccessiva esuberanza, a volte la sua aggressività, lo stesso Shun, nella sua innocenza, era molto più saggio di lui.

Ma di sicuro era maturato; se guardava al se stesso di un tempo si rimproverava tante, troppe cose, ma se le perdonava anche, come era stato in grado di perdonare tanti altri. Ogni persona incontrata durante il suo cammino aveva sofferto, aveva subito un’esistenza che non aveva richiesto e aveva intrapreso il proprio percorso per trovare risposte, più o meno efficaci.

Perdono, amore, indulgenza, difesa della vita in tutte le sue forme, protezione della Terra dall’oscurità: ciò che il servizio di Athena richiedeva, ciò che tutti loro tentavano, ciascuno a suo modo e con i propri mezzi, di perseguire.

Sorrise ancora: se i suoi fratelli avessero potuto ascoltare il corso dei suoi pensieri ne sarebbero stati increduli, non erano abituati a vederlo così, anche se si erano resi conto dei suoi graduali cambiamenti.

I suoi fratelli… già…

Se c’era una cosa che gli recava conforto, in quei momenti un po’ tormentati, era la presenza di tutti loro lì alla villa; non si stupiva tanto di Shun, di Jabu e degli altri bronze che non si erano realmente mai allontanati dalla personale protezione di Athena; ciò che maggiormente lo colpiva era la rinuncia di Ikki, Hyoga e Shiryu alla loro lontananza da quel luogo.

Pensare a loro, in qualche modo, lo aiutò a rilassarsi. Avevano almeno una certezza: nessuno di loro era solo, avevano qualcuno che poteva comprendere e condividere, più spalle che portavano un medesimo peso aiutava a tollerare il fardello. Chiuse gli occhi, sforzandosi di mantenere integro il proprio sorriso e l’immagine dei fratelli davanti ai propri occhi.

 

I paesaggi di roccia gli risvegliavano tanti ricordi; tante volte aveva combattuto in luoghi come quello, tante volte dalla terra era stato inghiottito per poi risalire a fatica, centimetro dopo centimetro, il corpo già ricoperto di ferite, le unghie sanguinanti e spezzate mentre si arrampicava lungo pareti di nuda pietra, a sostenerlo solo la ferrea volontà, il richiamo dei fratelli, la luce di Athena, la speranza che il cosmo continuasse ad ardere, anche quando il corpo era ridotto a brandelli.

Cosa ci faccio, di nuovo, in un posto come questo?”.

Fino a pochi istanti prima era nella sua stanza, a Villa Kido: non c’erano guerre, nessuna divinità minacciava la terra. Aveva giocato fino a tarda notte con i fratelli, si era immerso nei propri pensieri fino a chiudere gli occhi…

Pochi istanti prima… o una vita prima?

All’improvviso non lo sapeva più, come non sapeva come fosse finito lì, a camminare, a piedi nudi e senza cloth, su rocce aguzze che gli ferivano la pelle ad ogni passo.

Non erano nulla per lui simili ferite, lui che aveva combattuto con le ossa spezzate e il sangue che sgorgava da ogni frammento delle membra doloranti; così non si fermò, perché sentiva che tutto quel che poteva fare era andare avanti.

Solo quando sentì quelle rocce tremare si immobilizzò, si guardò attorno, assumendo una posizione di difesa; l’istinto aveva la meglio in quelle situazioni e in lui era sempre vivo l’istinto del guerriero pronto a reagire a ogni minaccia.

Ma contro quello che accadde la prontezza non gli venne in aiuto: solo all’ultimo istante si accorse della frana, rocce immense che precipitavano verso di lui, come un esercito di giganti di pietra pronto ad aggredire una formichina quale lui era al loro cospetto.

La reazione immediata fu il Ryuuseiken, nella speranza di frantumare quella pioggia di massi, ma, per quanto ci provasse, dal suo pugno non si sprigionò alcuna traccia di cosmo.

Certo, questo posto non è reale, come può funzionare il cosmo?”.

Fu l’ultima riflessione che poté permettersi prima di venire sommerso, con un ultimo grido di sorpresa: l’aver compreso che non c’era nulla di reale non lo aiutò a non provare, intensa e dolorosa, la sensazione delle pietre che lo colpivano e oscuravano ogni traccia di luce.

 

Si risvegliò di colpo, la bocca ancora aperta nell’urlo e, nelle orecchie, una voce:

“Scusami… ho esagerato”.

E nel tono c’era autentica contrizione.

Ovviamente la voce svanì non appena Seiya fu del tutto sveglio e il ragazzo la attribuì all’insieme di sensazioni fin troppo vivide del sogno, un sogno che si era attardato per un attimo, in quella frazione di istante in cui passava dal sonno alla veglia.

“Eh sì, hai esagerato” si trovò a borbottare, dandosi mentalmente del pazzo perché rispondeva a qualcuno che non esisteva.

Con una mano si strofinò il ciuffo che gli ricadeva dalla fronte, poi con un lamento se la portò allo stomaco e guardò in basso, chiedendosi cosa i cuochi di Villa Kido avessero messo nella cena quella sera. Eppure non gli era sembrata tanto pesante da giustificare sogni così realistici e vividi.

Ricadde all’indietro, a fissare un cerchio di luce che la luna imprimeva nel soffitto; era stata una giornata strana e il sogno era, senz’altro, la conseguenza di pensieri troppo pesanti.

  
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