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Autore: Rohhh    28/08/2016    2 recensioni
A chi non è mai capitato di sentirsi troppo diverso da qualcuno e non provare ad andare oltre quelle apparenze? Ashley ha 21 anni, è una studentessa universitaria seria e posata, ha due sorellastre e una madre che sente troppo diversa da lei. In vacanza dal padre conosce Matt, il figlio della sua nuova compagna, ribelle e criptico, lui con la propria madre ci parla appena. Quell'incontro cambierà il modo di vedere le cose di entrambi e farà capire loro che non è mai troppo tardi per recuperare un rapporto o per stringerne di nuovi con chi non ci aspettavamo.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ciao a tutte, questo capitolo doveva ricomprendere più scene, ma è venuto più lungo del previsto e alla fine ne riguarderà solo una che però ritenevo importante. Spero che per questo non risulti noioso. Ringrazio come sempre coloro che hanno aggiunto la storia alle preferite o seguite e che continuano ad aumentare inaspettatamente! Alla prossima!


Capitolo 17

 

Matt non aveva assolutamente idea dell'esistenza o meno di un qualche studio, trattato o libro che stabilisse quando era giusto poter ammettere di amare una persona.

Insomma, in un'era in cui ogni aspetto della vita, della natura, della tecnologia era oggetto di ricerca quasi ossessiva ed esisteva spiegazione per ormai qualunque fenomeno, qualcuno doveva essersi occupato anche di quello, magari uno di quegli psicologi tanto convinti di conoscere alla perfezione i meandri della mente umana, al punto da pretendere di poter insegnare a una persona come vivere la propria vita o come uscire da problemi di cui non sanno un accidente. Oppure qualche scienziato, che avrebbe potuto analizzare la questione da un punto di vista oggettivo, uno di quelli non proprio importanti, non così geniale da trattare di astrofisica o diavolerie nucleari, ma determinato a dare il proprio nome a una qualche ricerca, seppur di minore importanza.

Sempre se il capire di amare qualcuno potesse essere considerato problema di poco conto.

A lui non sembrava così, anzi, immaginava che individuare un algoritmo o una legge scientifica che, una volta per tutte, avrebbe consentito di stabilire con certezza che tipo di sentimento ci si sentiva in corpo, sarebbe stata una scoperta eccezionale.

Quanti dolori, struggimenti, dubbi atroci e notti insonni avrebbe risparmiato a milioni di anime. Magari, a quel punto, sarebbero esistiti meno poesie, meno libri, meno canzoni, meno opere d'arte, che si sa, nei drammi amorosi hanno sempre trovato terreno fertile fin dalla notte dei tempi, ma di sicuro anche meno vite infelici.

Probabilmente. In realtà non era sicuro nemmeno di quello.

Non era molto informato sull'argomento, tutte le sue conoscenze in merito si riducevano al semplice ragionamento logico per cui, non essendo stato cresciuto con amore e non avendolo conosciuto, era incapace di provarlo o di riconoscerlo. Anche perchè, fino ad allora, non è che si fosse sentito scosso da qualcosa che anche lontanamente avrebbe potuto assimilare all'amore. Non aveva stretto legami forti e resistenti nè coi suoi genitori, nè con altre persone, tranne forse per qualche amico ed era abituato a interagire con gli altri senza una vera e propria intenzione di instaurare una relazione che andasse oltre la mera facciata della conversazione superficiale.

Allora, perchè poco prima aveva usato quelle parole per parlare di Ashley a Jenny?

Aveva provato l'istinto di urlarlo e una liberazione piacevole subito dopo. Era sempre stato un tipo istintuale e diretto lui, poco incline a riflettere prima di agire.

Che avesse funzionato male l'apparato del suo corpo addetto a tradurre in parole le emozioni?

Inoltre, una ventina scarsa di giorni non era troppo poco per provare amore?

Qual era il termine minimo ragionevole, passato il quale era legittimo poter dire di amare qualcuno?

Forse venti giorni erano troppo pochi, o forse erano più che sufficienti o forse ne sarebbe bastata anche solo la metà. Chi aveva l'autorità per poter dire quando era il momento giusto?

Osservò Ashley, sdraiata a pancia in sù accanto a lui, su un telo che avevano steso sul pavimento del terrazzo con qualche cuscino per stare un po' più comodi. Guardava il cielo nero sopra di loro ma le sue labbra erano leggermente piegate in un sorriso sereno e le mani morbidamente intrecciate sotto il suo seno. Le sembrò felice e rilassata.

Desiderò fortemente essere lui la causa della sua felicità.

Prima, quando aveva aperto la porta della sua stanza, aveva avuto l'impressione che i suoi occhi fossero rossi di pianto. Ne era stata sempre lui la causa?

Quel pensiero lo turbò. No, non voleva farla soffrire, non voleva che si innamorasse di lui per poi subirne le conseguenze. Era troppo tardi forse, non sapeva cosa Ashley provasse per lui, anche se riusciva a immaginarlo e la gioia irrazionale che gli procurava pensare i suoi sentimenti ricambiati, veniva smorzata senza pietà dalla paura di una relazione senza futuro.

Avrebbe dovuto impedirglielo prima, avrebbe dovuto starle lontano fin quando poteva, ma la verità era che non ci era riuscito perchè non aveva potuto prevedere che il loro rapporto si evolvesse in quella direzione.

Continuò a guardarla e Ashley dovette sentire il peso dei suoi occhi su di lei perchè si voltò e gli sorrise ancora di più, distruggendo tutte le sue difese, i suoi pensieri negativi e quelle domande idiote, il cuore gli balzò nel petto come fosse in gabbia, ogni centimetro del suo corpo vibrò di desiderio. Anche prima, aveva sentito voglia di fare l'amore con lei, ma non come gli succedeva di solito, per il bisogno egoistico di appagarsi, voleva unirsi a lei per sentirla sua, per provare piacere contemporaneamente e reciprocamente, insieme contro tutto anche se per un istante solo.

Se non era amore quello, cosa poteva essere?

Affetto, attrazione, interesse?

Nessuno di quei termini era capace di ricomprendere le sensazioni che lo pervadevano da giorni.

Probabilmente l'amore era paragonabile al mistero sull'origine dell'universo: destinato a essere oggetto di teorie, studi, opinioni, senza arrivare mai alla certezza matematica.

E quindi era meglio non pensarci troppo in fondo e lasciare spazio ad un po' di sana anarchia.

Per quella notte aveva già riflettuto abbastanza, anche più di quanto normalmente fosse abituato a fare e tutte quelle domande senza risposta gli stavano cominciando ad annebbiare il cervello.

Le scacciò via giusto in tempo per assaporarsi il bacio che Ashley gli regalò, prima di rigirarsi e puntare gli occhi nuovamente in alto.

Il pavimento era duro sotto di loro e non bastava di certo un telo ad ammortizzarlo, le loro schiene l'indomani ne avrebbero pianto le conseguenze, ma adesso non c'era spazio per pensare a cose inutili come la salute delle vertebre.

Prese a guardare anche lui l'enorme manto nero che era il cielo notturno, punteggiato qua e là da qualche manciata di stelle, solo che invece di instillargli serenità, come pareva succedere ad Ashley, ebbe l'effetto di iniettargli oscurità e pessimismo.

«Quindi, quand'è che torni a casa tua?» chiese di getto. I suoi occhi si erano chiusi, adesso non vedeva più nemmeno le minuscole luci delle stelle. Solo nero.

Ashley non si aspettava quella domanda, a dire il vero per un attimo fu costretta persino ad analizzarla, come se non ne avesse colto del tutto il significato, molto semplice a dire il vero.

Casa sua.

La casa in cui viveva per il resto dell'anno, la casa in cui c'erano i suoi affetti, il posto a cui apparteneva.

La cosa buffa era che, pur sapendo benissimo di dovervi fare ritorno, pur avendo pensato quasi tutti i giorni a sua madre, a come migliorare il loro rapporto, grazie anche alle parole di Matt, a Tyler e a come anche con lui avesse una questione in sospeso da chiarire, a Phoebe e a quanto era curiosa di vedere la sua casa completata, nello stesso tempo si stava comportando come se questo giorno fosse in realtà astratto, inesistente o comunque molto, ma molto lontano nel tempo.

Si era talmente fatta trascinare dalle vicende che gli stavano capitando da illudersi che la sua quotidianità fosse ormai quella, svegliarsi nella sua stanza da sola, incontrare suo padre, scambiare qualche occhiata con Monica, osservare il mare, vedere Matt, aspettare un suo gesto, emozionarsi con lui, passare le serate in terrazza, stretti a chiacchierare.

Come se quella fosse la sua vita in realtà, come se si trovasse sospesa in una dimensione parallela e il tempo si fosse fermato.

Ma non era così, il tempo scorreva, eccome.

Rabbrividì e il sorriso le morì in viso.

Fu come se quella domanda l'avesse svegliata da un sogno bruscamente, riportandola alla realtà prima che potesse metabolizzarla.

Si inumidì le labbra e fissò il cielo, senza alcuna espressione.

«L' 8 Settembre» ripetè meccanicamente.

Quel giorno lo ricordava benissimo ma, per qualche oscuro motivo, l'aveva momentaneamente rimosso dai suoi pensieri e solo adesso che si era destata da quell'illusione le era sovvenuto nitido nella mente.

Aveva scelto quella data con cura prima di partire: quell'estate voleva trascorrere più tempo con suo padre visto che, per via dello studio intenso e degli impegni universitari, non aveva potuto fare delle capatine occasionali da lui, come faceva di solito ogni tanto durante i weekend e così aveva deciso di rimanere anche per la prima settimana di Settembre, ma non oltre. A partire dalla fine di quel mese, infatti, avrebbe avuto gli esami e voleva rientrare con un anticipo congruo da permetterle di riprendere i suoi ritmi a casa e prepararsi con tranquillità.

Ciò significava che mancavano meno di venti giorni al suo rientro, al suo abbandono di quella vita che l'aveva talmente assorbita da farle dimenticare di essere solo la sua parentesi estiva.

Meno di venti giorni alla separazione da Matt.

Ma anche lui non apparteneva a quel luogo, anche per lui ci sarebbe stato un ritorno in un'altra città, ancora più lontana dalla sua, e d'improvviso Ashley venne colta dall' ansia perchè in tutto quel tempo non si era mai chiesta quando sarebbe successo e poteva essere anche una data anteriore alla sua.

«E tu?» gli domandò, voltandosi a guardarlo atterrita, pregando con tutta sè stessa che almeno non fosse troppo presto.

«Io rientro il 13 Settembre» rispose Matt con apparente tranquillità, mentre si accendeva una sigaretta, rimanendo sdraiato.

La sua domanda era sembrata totalmente casuale ma non lo era stata affatto.

A differenza di Ashley, Matt ci aveva pensato al fatto che l'estate stava finendo e che a breve sia lui che lei avrebbero fatto ritorno nelle loro rispettive città. Non erano delle distanze allucinanti, si trattava di poco più di tre ore di auto, ma il punto era che entrambi avevano le proprie vite e i propri impegni e iniziare una eventuale relazione, di cui tra l'altro non avevano ancora parlato, suonava come un suicidio, perchè per quanto ci potessero essere i sentimenti, questi avrebbero avuto bisogno di essere coltivati, di consolidarsi e di certo cominciare già con una relazione a distanza non era il massimo. Fallivano persino i fidanzamenti storici per colpa della distanza, figurarsi una storia neonata.

Era per quel motivo che Matt non osava intraprendere l'argomento con Ashley, sbilanciarsi con i sentimenti o dichiararsi. L'attrazione per lei non era stato capace di frenarla, aveva agito d'impulso, fregandosene del dopo e godendosi ogni istante, alle prese con un carpe diem malefico, solo che man mano che quelle sensazioni si erano tramutate in qualcosa di più, in qualcosa che a lui era estraneo e che non sapeva come gestire al meglio, ne aveva avuto paura.

Sapeva che la cosa migliore e più saggia da fare era allontanarsi da lei, ignorarla o comunque evitare qualunque contatto fisico, in modo da distaccarsene gradualmente e tagliare lì la cosa.

Ma quant'è difficile staccare la spina quando ti senti finalmente bene, quando quel legame ti coinvolge, riscalda il tuo essere! Come una droga non riusciva a smettere, spegnendo il cervello e riattivandolo solo dopo, quando ormai il misfatto era compiuto.

Ashley sospirò di sollievo, un sollievo amaro. Matt sarebbe andato via dopo di lei, non era che una piccola consolazione. Due settimane o poco più volavano in un soffio, soprattutto adesso che ne era consapevole.

E dopo, che ne sarebbe stato di loro?

Faceva così male osservarsi adesso, così vicini che le loro spalle si sfioravano e pensare che sarebbe arrivato il giorno in cui la sua assenza sarebbe diventata la normalità.

E da lontani, il loro rapporto senza nome si sarebbe dissolto, inevitabilmente. Una storiella estiva, ecco come l'avrebbero ricordata, una di quelle storie che si raccontano ai figli quando sono adolescenti, magari per metterli in guardia dall'iniziare relazioni che sembrano stupende ma che si riveleranno difficili. Niente più di quello, niente più di un ricordo sbiadito.

Non era nuova alle relazioni a distanza, anche Richard l'aveva conosciuto in vacanza, ma con lui non aveva provato quell'angoscia al sapersi lontani, si erano fidanzati quasi subito e accordati sempre minuziosamente sul come, dove e quando vedersi. Erano stati anche mesi senza potersi incontrare, ma Ashley non aveva mai percepito quella lontananza come dolorosa, in un certo senso ognuno si faceva i fatti propri e la cosa andava avanti per inerzia. Ma la loro storia non aveva mai brillato per passione o forte attaccamento ed era finita presto, com'era prevedibile.

Con Matt era diverso, il solo pensiero di stargli lontana e di non vederlo le creava un dolore al petto e un'ansia mai provata. Il loro rapporto si alimentava di attimi, di gesti, di contatti e senza nessuna di queste cose sarebbe servita un'intesa e un impegno enormi e lui, l'avrebbe mai accettato?

La vedeva davvero dura, sempre se avessero optato per stare insieme, e anche lì, nessuno ne parlava e adesso intuiva il perchè. Forse Matt ci aveva già pensato e si guardava bene dal legarsi a lei in maniera più esplicita.

«Cosa farai tornata a casa?» continuò Matt, sembrava davvero deciso a farle più male.

Ashley esitò, in quel momento non capiva più nemmeno chi fosse o che progetti avesse, completamente annullata da quella nebbia di brutti presagi. Poi riordinò le idee lentamente.

«Beh, dovrò studiare per gli esami e poi riprendere a viaggiare per seguire le lezioni all'università – elencò con voce incerta – e teoricamente iniziare un tirocinio, ma questo solo se sarò abbastanza brava».

Già, quell'anno sarebbe stato addirittura più impegnativo del solito per lei, doveva mantenere una media alta per accedere a un importante stage e probabilmente non avrebbe avuto nemmeno tanto tempo per uscire con gli amici o per riservarsi dei giorni di totale libertà. Prima di partire quella prospettiva la entusiasmava e la vedeva come unico obiettivo a cui mirare, il suo successo professionale per il suo futuro. Un futuro in cui non era compreso il ragazzo accanto a lei e che le apparì meno ridente del previsto.

«Ce la farai di sicuro, sei praticamente un genio!» la incoraggiò Matt, ma questo non la fece sentire meglio, anzi.

«Poi avrò da fare per aiutare Phoebe col trasloco, visto che a breve si trasferirà col suo ragazzo nella casa che hanno comprato» ecco un altro evento che contribuiva ad aumentare la stretta in gola.

Sua sorella Phoebe se ne sarebbe andata via poco dopo il suo ritorno, casa sua era quasi pronta e probabilmente al suo rientro avrebbe trovato le sue cose già infilate nelle scatole, pronte ad uscire. Pure sua sorella la stava abbandonando, non avrebbe avuto nemmeno il suo conforto e la sua aria strafottente, che spesso non sopportava, a tirarla sù di morale.

Certo, ci sarebbe stata sua madre, e questa era l'unica nota positiva, sempre se fosse riuscita a risanare il rapporto con lei, cosa che adesso, piena di pensieri negativi, le riusciva anche difficile credere, nonostante il coraggio che le aveva infuso Matt.

La vide che era diventata triste e nemmeno si impegnava per nasconderlo. Era dura, ma era la realtà ed avrebbe fatto meglio ad accettarla in fretta.

«Ti mancherà tua sorella, vero? - chiese, mentre soffiava il fumo fuori dai polmoni – deve essere bello avere dei fratelli, io sono stato solo e ho sempre pensato che, se avessi avuto un fratello o una sorella, avrei condiviso le difficoltà con qualcuno e magari mi sarebbero pesate di meno» affermò con malinconia.

«In realtà da piccola provavo gelosia nei confronti di Phoebe, lei era bellissima, sembrava una bambola e tutti le facevano i complimenti, era solare e vispa, spigliata e disinvolta, mentre io mi nascondevo il viso tra i capelli perchè pensavo di essere brutta paragonata a lei e odiavo stare in mezzo alle persone e sorridere» precisò Ashley, persa nei ricordi.

«Ti ci vedo proprio, sai, piccola e imbronciata a evitare tutti!» commentò Matt con un sorriso.

Ashley rise, era incredibile come anche in un momento simile riuscisse a sdrammatizzare e a farla stare meglio.

«Già, però poi questa fase mi è passata e siamo diventate unite come migliori amiche, anche se ciascuna col proprio carattere e non sono mai mancati dei sani battibecchi. Quando è nata July le abbiamo fatto un po' da mamme insieme ed è stato davvero un bel periodo, ora che ci penso, anche se non abbiamo gli stessi padri, ci siamo sempre volute bene come sorelle a tutti gli effetti» disse Ashley con occhi pieni di affetto. Le sue sorelle erano una delle poche cose positive che le fossero capitate e non poteva negare che il pensiero di svegliarsi e non venire stordita dal buongiorno fragoroso di Phoebe le metteva tanta tristezza.

Matt portò una mano sulla sua e la strinse, per farle sentire che c'era, che per adesso era lì con lei. Ashley la afferrò, forte.

«E che farai con tua madre?» continuò a chiederle.

Ashley ci pensò sù un attimo poi sospirò «Voglio provarci a ricominciare con lei, non voglio più chiudermi e vivere col rimpianto di non averci tentato – poi si rivolse a lui – parlare con te mi ha illuminato e per questo non finirò mai di ringraziarti» gli sorrise.

«Non ho fatto niente io – si sminuì Matt, poi tornò un attimo serio, c'era una cosa che aveva il bisogno di dirle – mia madre, invece, lei è venuta da me oggi»

Ashley sussultò, stentava a crederci, Monica aveva finalmente fatto un passo verso suo figlio, era andata a cercarlo. Allora le sue parole non erano state vane, era riuscita a fare qualcosa nel suo piccolo per loro. Si sentì il cuore pieno di gioia, ma capì che aveva esultato troppo presto, quando Matt continuò a parlare.

«Mi ha chiesto scusa per le sue mancanze in questi anni e altre stronzate, ma dopo tutto questo tempo che valore potevano mai avere le sue scuse? L'ho rifiutata, era ridicolo fingere di fare la madre e il figlio e non me la sono sentita» concluse freddo, spegnendo la sigaretta contro il pavimento.

«Ma come? - domandò delusa Ashley – perchè?» chiese, rizzandosi da terra con le braccia per guardarlo meglio in volto. Matt posò lo sguardo sul suo viso, poi si voltò dalla parte opposta, con aria apatica.

«Te l'ho detto, non mi è andato e basta, sinceramente non so nemmeno da dove le sia venuto di presentarsi in camera mia»

Matt non sapeva delle conversazioni precedenti tra lei e Monica ed Ashley, aveva evitato di dirglielo per il timore che lui non avrebbe approvato.

«Ma Matt, tu puoi darle una possibilità, perchè non le parli e le dici quello che provi, come ti sei sentito in questi anni, mi hai detto tu stesso che bisogna tirar fuori ciò che ci ostiniamo a tenere nascosto!» provò a convincerlo.

«Ma l'ho fatto Ashley, l'ho fatto in passato, poi mi sono rotto e ci ho rinunciato e adesso è troppo tardi, non ne ho più voglia. Discorso chiuso» terminò, lasciando intuire che non avrebbe accettato altri commenti sulla questione.

Ashley si incupì e tornò a poggiare la testa sul cuscino, spargendovi disordinatamente i suoi capelli corti, respirando profondamente. Matt la osservò di soppiatto, notando la delusione sulla sua faccia. Ma non poteva farci niente, ormai aveva deciso, non voleva più soffrire per sua madre.

«E tu invece, che farai una volta ritornato in città?» chiese a Matt, dopo qualche minuto di silenzio, ormai la notte aveva preso una piega a dir poco devastante, tanto valeva distruggersi una volta per tutte.

Il ragazzo incrociò le braccia dietro la testa, pensieroso.

Al contrario di Ashley lui non aveva dei progetti in corso o degli obiettivi ben precisi. Viveva sempre un po' alla giornata e non riusciva per nulla a immaginare cosa avrebbe combinato nei mesi a venire, figuriamoci negli anni.

«A dire il vero non so, credo che riprenderò quello che stavo facendo prima di approdare qua, ricomincerò l'università con i miei soliti ritmi, aiuterò mio padre col suo lavoro di fotografo quando ne avrà bisogno e forse sarà il caso che cominci a cercare qualche lavoretto part time per mantenermi, a Ottobre faccio 23 anni e non mi va di dipendere da qualcuno ancora per molto.» rispose Matt, descrivendo tutto quello che, verosimilmente, sarebbero stati i suoi piani per l'autunno.

«Sarai molto impegnato anche tu, allora» esclamò Ashley, con un sorriso amaro.

Matt non rispose, si limitò a fare un cenno con la testa. Era umano anche lui e il futuro lo spaventava come tutti. Si chiedeva sempre se avrebbe mai combinato qualcosa di buono o se, al contrario, sarebbe stato un fallimento su qualunque fronte. La delusione, i rimpianti, quelli lo terrorizzavano a morte, il ritrovarsi tra molti anni a fare la conta di tutti gli errori, quelli inevitabili e quelli, ancora peggio, evitabili.

«E tuo padre com'è? Mi hai detto solo che fa il fotografo» chiese Ashley, incuriosita, girandosi di fianco, nella sua direzione.

«Mio padre è il classico tipo sulle nuvole, spirito libero, amante delle novità, dei viaggi, sinceramente faccio fatica a immaginare come sia stato possibile che la storia con mia madre sia durata così tanto, sono così diversi, direi proprio gli opposti»

Ashley trasalì: anche loro due erano molto diversi e le statistiche insegnavano che gli opposti si attraggono ma nemmeno più di tanto, era necessario sempre quel punto d'incontro impercettibile che riusciva a tenere salda una coppia. Chissà se loro ce l'avevano quell'anello in comune, si chiese. Ma, alla fine, che senso aveva domandarselo, non erano nemmeno una coppia.

«Lui per me è come un amico, in fondo. Anche dopo il divorzio è stato presente e dopo mi ha accolto da adolescente e non mi ha fatto mancare mai niente, ma il nostro rapporto è più come quello tra due amici che tra padre e figlio, lo chiamo persino per nome e non papà» continuò a raccontare.

«Davvero?» rise Ashley, meravigliata per quel particolare bizzarro. Probabilmente non avrebbe mai conosciuto il padre di Matt, ma intuiva che dovesse essere un tipo fuori dagli schemi, un po' come lui.

Nei minuti a seguire rimasero a fissare il cielo nero, sopra di loro. Era maestoso e sembrava inglobare qualunque cosa attorno, sembrava inghiottire anche loro due in quell'immensità scura.

Adesso che si erano raccontati i progetti, i propositi o semplicemente le idee approssimate che entrambi avevano per l'autunno, ora che li avevano detti a voce alta l'uno all'altra, apparì chiaro e cristallino che quelle vite esistevano davvero al di fuori di quella bolla meravigliosa all'interno della quale si trovavano, ma che ben presto sarebbe scoppiata, catapultandoli fuori senza pietà, distanti, dispersi, da soli ad affrontare le scelte cruciali di un futuro che adesso faceva più paura.

Le loro vite separate, lontane ma reali, piene di cose da realizzare, di orari da rispettare, di impegni che avrebbero ridotto il loro tempo libero, com'era anche giusto che fosse. C'era l'università, le lezioni, lo studio, i tirocini, lavoretti da fare e le giornate avrebbero avuto bisogno di ore in più per bastare. A quell'età bisognava costruire le basi per il proprio avvenire e non ci si poteva permettere distrazioni o perdite di tempo e occasioni. Era dura, davvero tanto.

Ed Ashley non faceva parte della vita di Matt, nè lui della sua.

Doveva accettarlo, era così, sarebbe successo. Adesso sembravano così vicini e indistruttibili, nonostante i mille dubbi, abituati a vedersi ogni mattina e ogni sera, in una dolce routine che sembrava ormai la quotidianità, ma a breve sarebbe finito tutto, ci sarebbero stati di mezzo chilometri, impedimenti, e molto probabilmente si sarebbero rivisti dopo un anno, sempre d'estate, e si sa, in un anno può cambiare qualunque cosa, irrimediabilmente.

«Scommetto che Tyler sarà contento di rivederti» disse beffardo Matt, con un tono agrodolce e anche piuttosto geloso. Non poteva nascondere il fastidio al pensiero che qualcuno gliela potesse portare via, anche se sapeva che sarebbe stata la cosa migliore per lei.

Ashley scattò a sedere, come un fulmine. Aveva accumulato troppa tensione e ansia con tutti quei discorsi che l'avevano scaraventata in una prospettiva futura che fino a quel momento aveva annullato nella sua testa, portandogliela davanti agli occhi di botto, senza potersi abituare gradualmente. Aveva uno squarcio nel petto, ora che realizzava crudelmente la loro appartenenza a due realtà lontane. La gola le faceva male per un nodo che via via era diventato troppo stretto. E ora si ci metteva anche lui, ricordandole di Tyler, di cui non le importava niente, perchè l'unico che voleva era lui e pareva fare di tutto per non capirlo.

Gli occhi le divennero inevitabilmente lucidi, rivelando la sua sofferenza interiore.

«Tyler non mi interessa!»– sbottò con voce spezzata, gli occhi ormai pieni di lacrime. Non riusciva più a contenerle, che figura che avrebbe fatto a farsi vedere così debole in un momento delicato, e stavolta se ne vergognava perchè quei sentimenti riguardavano proprio il ragazzo biondo accanto a lei e tutto ciò che aveva sempre programmato con attenzione si stava andando a far benedire.

Tutte le certezze che aveva avuto finora sul suo percorso, sulla sua carriera, sulle sue emozioni, tutto sembrò vacillare come un castello di sabbia.

Anche Matt si sollevò a sedere e si avvicinò a lei, addolcendo l'espressione dei suoi occhi.

«Vieni qua» la invitò dolcemente, allargando le sue braccia e mostrandole il petto per offrirglielo nuovamente come rifugio, per quello che poteva servire.

Ashley vi si gettò e lui la strinse forte per l'ennesima volta, baciandole la fronte teneramente.

«Se vuoi piangere, fallo, non avere vergogna» la esortò, anche lui avrebbe voluto sfogarsi per una miriade di motivi, ma ormai quel lusso non se lo concedeva più, erano anni che nessuna lacrima gli rigava il volto.

Ashley singhiozzò lievemente, mentre desiderava non staccarsi mai più da quell'abbraccio e da lui. Ma non era possibile, adesso lo sapeva.

«Ho paura – disse flebilmente tra un singhiozzo e l'altro – pensavo di avere tutto sotto controllo, la mia vita, il mio futuro e invece adesso, non so se ce la farò, non so cosa mi aspetta, non so se sarò in grado» pianse.

«Lo so, ti capisco – cercò di confortarla Matt, usando il tono di voce più calmante che conoscesse, poi portò le labbra vicino al suo orecchio – muoio di paura anche io, non sai quanto. Ma in un modo o nell'altro bisogna andare avanti» le sussurrò, stringendosela di più, un gesto che voleva essere protettivo per lei, ma che servì da conforto anche a lui. Avrebbe voluto dirle che le sarebbe mancata da morire, che sembrava affrettato forse, ma sentiva di amarla e che potevano provarci, darle un barlume di certezza, ma non osò fare promesse che non credeva di poter mantenere. Socchiuse gli occhi e rimase immobile lì con lei. Ashley doveva tornare a casa sua e riprendere la sua vita serena, senza casini, senza pensieri, lei era intelligente, aveva un futuro davanti pieno di successi e lui non poteva rovinarglielo. Avrebbero vissuto appieno gli ultimi giorni, tanto ormai il danno era fatto e indietro non si tornava, e poi sarebbe sparito, era la cosa giusta da fare.

Non seppe capire se il cuore era meglio averlo anestetizzato e immune alla delusione o vivo e dolorante.

Probabilmente, al momento, propendeva comunque per la seconda, nonostante tutto.

 

 

 

  
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