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Autore: Maledetta    28/08/2016    1 recensioni
Chester Bennington ha diciassette anni ed è probabilmente il perdente più perdente degli Stati Uniti: i suoi genitori si sono lasciati quando era piccolo e da allora gliene sono successe di tutti i colori.
Si droga, si taglia ed è il bersaglio preferito dei bulli di mezza città. L'unico alleato che ha è probabilmente la musica: l'unica amica che non lo abbandonerà mai.
Mike Shinoda ha sedici anni e si è appena trasferito in Lincoln Street assieme alla sua famiglia. È un ragazzo piuttosto normale: simpatico, con la passione per il disegno e per la musica, forse solo un po' troppo emotivo.
Cosa succederebbe se Mike e Chester diventassero amici?
Cosa succederebbe se la loro amicizia diventasse qualcosa di più?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chester Bennington, Mike Shinoda, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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[Mike]

Perché i professori di letteratura inglese dovevano sempre dilungarsi in inutili sproloqui sulla vita dei poeti? Mike non l'aveva mai capito e probabilmente avrebbe continuato a non capirlo per il resto della sua vita. 
Avrebbero dovuto scriverci un libro: Il mistero dei misteri dell'universo: perché i professori perdono sempre tempo in cazzate che non interessano a nessuno? Sarebbe stato un successo senza precedenti e sarebbe diventato un cult tipo Hitchhiker's Guide To The Galaxy . Lui lo avrebbe comprato, poco ma sicuro.
Quel giorno, ad esempio: se ne stava seduto in quell'aula di letteratura da quasi un'ora, con la testa fra le nuvole e una matita in bocca che continuava a masticare anche se aveva un sapore orrendo. 
Gesù, perché si ostinava a masticare matite quando sapeva benissimo quanto facevano schifo? Altra domanda senza risposta. Forse era la prova definitiva che era stupido. Però forse era meglio smetterla di farsi domande idiote e pensare alle cose importanti.
Be', importanti per modo di dire, ma quello era soltanto un dettaglio.
Abbassò sconsolato lo sguardo sul foglio davanti a lui.
Appunto: era una cosa importante per modo di dire, però gli sfuggiva qualcosa, qualcosa di assolutamente fondamentale che avrebbe dovuto esserci eppure non c'era, ed era decisamente, incredibilmente irritante.
Nemmeno si ricordava perché l'avessero fatta, quella stupida scommessa.
Insomma, era una cosa profondamente idiota, persino per lui e Joe.
Ok, sì: il prof di letteratura era talmente bravo a catturare l'attenzione dei propri studenti che avrebbe potuto far addormentare un sasso con l'insogna nel giro di tre secondi, ma quello... andiamo, un duello di disegno? Era decisamente troppo idiota, persino per lui e Joe.
La cosa divertente, o forse inquietante, era che all'inizio gli era sembrata persino una bella idea. Gli era sembrata un'ottima scusa per sopravvivere alla morte per narcolessia indotta alla quale sembravano destinati ad andare incontro se continuavano ad ascoltare quel maledetto d'un professore, ma più rimaneva a non fissare quel dettaglio che mancava più gli salivano i nervi e più pensava che in realtà fosse stata un'idea imbecille.
Un duello di disegno... Gesù, esisteva qualcosa di più dannatamente infantile di quello? Mike non ci avrebbe scommesso l'anima, e neppure due dollari, a dire il vero. Era anche vero però che ormai c'era dentro fino al collo e che non era il tipo che si arrendeva, quindi doveva solo capire cosa mancasse a quel maledetto soldato e farla finita. 
Aveva, per l'appunto, la fastidiosa sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato, e cominciava veramente a dargli sui nervi, soprattutto perché a prima vista quel dannato coso gli sembrava perfetto.
Era una specie di soldato, tipo graffito, che correva verso l'osservatore con uno stendardo fra le mani e diavolo, era venuto bene: le linee erano ben definite, la texture a china era fatta con cura e poteva decisamente dirsi soddisfatto di come era venuto il chiaroscuro, ma restava il fatto che ci mancava qualcosa e che questo lo irritava non poco.
Alzò gli occhi dal foglio, soffocando la voglia di sbattere la penna a china sul banco e di mandare tutto a quel paese e si guardò attorno, sforzandosi di farsi venire in mente qualcosa: un dettaglio, un colore... qualsiasi cosa che potesse aver dimenticato o che potesse in qualche modo dare un aspetto meno incompleto a quel cavolo di disegno ed evitargli così un aneurisma.
Niente. Non gli veniva in mente un maledetto cavolo di niente.
Provò vagamente a riportare alla mente la scena a cui aveva assistito un paio di giorni prima alla fermata dell'autobus e di proiettare nella propria testa il viso di Chester Bennington, lo sfigato. 
Non sapeva esattamente perché, e a dire il vero quasi si vergognava a quel pensiero che suonava decisamente da stalker e anche un po' inquietante, ma si era ispirato a lui per quel disegno: forse a lui poteva essere ispirata anche la risposta.
Lo rivide a cercare di restituire i pugni che gli si infrangevano addosso. Lo rivide rifiutarsi di cedere. Era stato quello a colpirlo più di tutto: Chester non le aveva prese e basta. Aveva combattuto, per quanto inutilmente, e si era rifiutato di lasciarsi spaccare la faccia e basta anche se non sembrava stupido e probabilmente sapeva perfettamente che così ne avrebbe soltanto prese di più. Era caduto a terra, ma solo fisicamente. Era stato come se il suo spirito fosse rimasto in piedi a prendere l'altro a cazzotti.
-Shinoda, vorresti per favore esporre alla classe il tema centrale di Fiori e insetti, qualche uccello e un paio di ragni ?- 
Mike ci mise un attimo a rendersi conto che il professore ce l'aveva con lui. Che diavolo... Fiori e insetti che? Ma Gesù, quella sottospecie di coso non aveva fatto altro che parlare a vanvera per gli ultimi quarantasette minuti, proprio in quel momento doveva decidere di mettersi a rompere le scatole? Non lo vedeva che era impegnato? 
Tra parentesi: che cavolo era Fiori e insetti, qualche uccello e un paio di ragni? Doveva essere tipo un libro di poesie, o giù di lì... insomma, doveva essere per forza qualcosa del genere, dato che si parlava di letteratura, no? 
-Shinoda, sto aspettando.-
Diamine... di cosa diavolo parlava quel maledetto libro? Non se lo ricordava proprio. Tra l'altro: era veramente un libro? Per quanto ne sapeva poteva benissimo essere una poema di Shakespeare... no, era un titolo troppo idiota per Shakespeare, doveva essere di qualcun'altro. Magari c'era qualcuno che lo sapeva...
Si girò verso i propri compagni, nella speranzosa ricerca disperata di un qualunque tipo d'aiuto, ma fu inutile: gli altri guardavano per aria fingendo di non aver sentito... forse perché effettivamente la maggior parte di loro era persa da qualche parte nella propria testa, come lo era stato lui fino a un attimo prima e non aveva veramente sentito.
Cominciò ad andare in panico. Di cosa diavolo stava parlando quel tre volte dannato professore? 
Mike si ritrovò a lottare contro il proprio cervello per cercare di ricordare qualcosa. Vuoto. Completamente vuoto, a parte una cosa come un milione di testi di canzoni attualmente piuttosto inutili che gli si affollavano nel retro della mente, come succedeva sempre quando era agitato. In parole povere stava combattendo contro l'impulso di mettersi a canticchiare Old Yellow Bricks
-Mike, le libellule... c'erano le libellule.- gli suggerì Joe. 
A malapena un sussurro confuso che veniva dall'altra parte del banco. Libellule... continuava a non avere la più pallida idea di cose fosse quel qualunque cosa fosse con quel titolo lungo chilometri, ma era già qualcosa. Avrebbe dovuto ringraziare Joe, più tardi. E magari ucciderlo per non averglielo detto prima.
-Be'...- cominciò -Mi ricordo che c'erano le libellule...- 
Libellule. Perché aveva l'impressione che significassero qualcosa? 
Libellule... libellule... e poi? Il suo sguardo vagò sul banco, alla ricerca di un qualunque dannato dettaglio che potesse aiutarlo: un libro aperto casualmente alla pagina giusta, come se la fortuna potesse girare dalla sua parte per una volta tanto... figuriamoci... davvero, gli sarebbe andato bene qualunque cosa, anche un appunto... poi vide il disegno ed ebbe un'illuminazione: ecco cosa mancava. Aveva un senso un po' contorto, per non dire che non ne aveva proprio, ma poteva funzionare. Più o meno. Forse.
-Le ali di libellula...- borbottò fra sé e sé -Le ali di libellula! Prof lei è un maledettissimo genio!-
A onor del vero, va detto che in realtà Mike si pentì praticamente subito della pessima scelta di parole, ma non poté fare a meno di fregarsene, perché aveva praticamente la vittoria in tasca. Un soldato con le ali di libellula. Perché combatteva, ma non cadeva mai davvero. Era geniale: a volte per non cadere bisogna essere capaci di volare e per volare... be', a meno di essere su Dragon Ball o su qualche altro anime strano in linea di massima per volare bisogna avere le ali. Il fatto poi che fossero proprio ali di libellula dava un tocco surreale e toglieva un po' della violenza e della rabbia che il soldato in sé trasmetteva. 
Se quel disegno fosse stato musica, sarebbe stato qualcosa di rabbioso e urlato, ma anche strano, probabilmente abbastanza triste e, in qualche modo assurdo al quale non voleva nemmeno pensare, melodico. 
E poi, per quanto continuasse a sembrargli una cosa da stalker, riusciva a vedere in Chester un che della libellula. Non aveva idea di cosa, ma era abbastanza sicuro che ce l'avesse: forse la profondità dello sguardo, o il fatto che fosse magro come un chiodo o... qualcosa del genere.
-Di cosa stai parlando Shinoda?- 
Mike era decisamente troppo gasato per pensare davvero a come rispondere. Quando disse Non sono affari suoi nemmeno se ne accorse.
In parole povere nel giro di quattro secondi e tre decimi si ritrovò a chiedersi perché lo stessero fissando tutti come un lebbroso. Non poteva mica averlo detto ad alta voce, no? Per circa un attimo si rannicchiò in quella convinzione che hanno i bambini di poter cambiare la realtà solo credendoci, ma l'espressione stranita e offesa del professore gli ricordarono che quel metodo idiota non funzionava nemmeno quando aveva tre anni, figurarsi se poteva funzionare a sedici...
-Fuori dalla mia classe Shinoda. Ora.- 
Il tono del prof era gelido.
Per poco a Mike non venne un brivido.
Senza una parola radunò le sue cose e uscì dalla stanza, cercando di ignorare la lama dello sguardo di quella sottospecie di balena in completo di tweed che si sentiva piantata nella schiena. Sua madre non gli aveva insegnato che fissare la gente non era educato? 
Si ritrovò in corridoio senza la più pallida idea di dove dovesse, potesse o volesse andare: che diavolo, era in quella scuola soltanto da pochi giorni, mica si poteva pretendere che la conoscesse già.
A dirla tutta, aveva a malapena una vaga idea di dove si trovasse: non era nemmeno troppo immensa, come scuola, ma lui non era mai stato noto per il suo senso dell'orientamento... più che altro il suo senso dell'orientamento faceva notoriamente schifo. 
In parole povere senza Joe a fargli da guida di sentiva perso come un pulcino mollato in mezzo ad un maledetto deserto. Però forse, molto forse, poteva farcela: era quasi sicuro di potercela fare. 
Ad esempio: dov'era la biblioteca? Gli sembrava di ricordare che fosse da qualche parte vicino alla mensa, e alla mensa ci sapeva arrivare... figurarsi: sarebbe morto di fame altrimenti. Visto? Era facile. 
Poteva provare ad arrivare alla mensa, tanto per cominciare. Al resto ci avrebbe pensato poi, sempre che ci fosse arrivato vivo.
Evidentemente però il suo senso dell'orientamento schifoso faceva ancora piú schifo di quello che credeva, perché nel giro di cinque minuti anche quella vaga idea che aveva a proposito della propria posizione se n'era andata a farsi benedire.
Dopo quello, girò completamente a vuoto: sbagliò quella che credeva essere la strada per la mensa almeno un centinaio di volte prima di arrendersi, e alla fine fu costretto a fermarsi per fare mente locale. Si sentiva come se qualcuno l'avesse messo in un frullatore e poi lo avesse frullato senza pietà per una decina di minuti: gira a destra, poi a sinistra, poi torna indietro, poi gira a sinistra di nuovo... non ci capiva più niente. 
Senza avere la più pallida idea né del come né tantomeno del perché, fini per ritrovarsi vicino al cortile. 
In effetti non ci sarebbe stato male prendere un po' d'aria.
Non dovette nemmeno deciderlo che già le sue gambe si stavano muovendo verso la porta a vetri che dava sull'esterno. 
Non era nemmeno sicuro che si potesse uscire durante le ore di lezione, ma probabilmente andare in giro allegramente per la scuola completamente allo sbaraglio quando in teoria sarebbe dovuto essere in classe ad annoiarsi andava già contro un paio di regole: se proprio doveva mettersi nei guai tanto valeva farlo bene. 
Appena l'aria autunnale gli sfiorò il viso gli venne voglia di girarsi e mandare a quel paese quella sottospecie di Inferno di cemento che la gente chiamava scuola.
Faceva un po' freddino per i suoi gusti e l'aria era densa di umidità, ma qualunque cosa era meglio dell'atmosfera che c'era dentro: non ricordava di essere mai stato in una scuola più calda. Non che avesse molta esperienza: non ne aveva cambiate poi così tante, ma quella restava comunque la più maledettamente calda. Un altro po' e nei corridoi sarebbero spuntati i cactus e avrebbero cominciato a vedersi balle di erba secca aggirarsi nelle classi sospinte dal vento del deserto. Forse dipendeva dal fatto che da quelle parti pioveva sempre.
Fece un respiro profondo e chiuse gli occhi, godendosi per un attimo la luce sul viso. Non c'era il sole, anzi: minacciava pioggia, tanto per cambiare, ma era pur sempre meglio di niente.
Riaprì gli occhi e si guardò attorno: quel cortile era di una tristezza madornale, cementato dall'inizio alla fine, senza nemmeno mezza pianta a ravvivare un po' l'ambiente.
L'idiota che aveva progettato quella scuola sarebbe stato da impiccare.

[Chester]

Chester alzò il volume della musica.
Era po' come la morfina, in ospedale.
Bastava premere un pulsante.
Ti ritrovavi con una bella dose di oppiacei sparati dritti in vena.

Bastava chiudere gli occhi.
Bastava non pensare.

Finiva sempre per ritrovarsi da qualche parte dentro la sua testa, quando succedeva.

Un posto dove andava tutto fottutamente bene.
Un posto dove i suoi stavano ancora insieme.
Un posto dove lui non era un drogato di merda.

Bastava premere un pulsante.
Con la musica era uguale.

Bastava premere un pulsante.
Alzare il volume.
Aumentare la dose.

Bastava chiudere gli occhi.
Dimenticare tutto lo schifo che c'era fuori.

La musica è meglio della droga, a volte.

Chester chiuse gli occhi.
Abbandono la testa contro il muro del cortile a cui era appoggiato.
Non si accorgeva di star canticchiando una canzone finché non finiva.
Quella roba era troppo vecchia per lui.
D'altronde era l'mp3 preistorico di suo padre, quello che aveva fottuto.
Non si poteva pretendere granché.
Non con il cellulare disperso.

Quella roba era troppo vecchia per lui.
Ma in fondo andava fottutamente bene.
Bastava che gli impedisse di pensare a qualcosa di sensato.
Non si poteva pretendere granché.
Non con il suo cellulare disperso.

Doveva averlo perso un paio di giorni prima
Quando quel ragazzo

Mike

lo aveva aiutato.

Non devo pensare a lui. 
Dovrei essere ad algebra.
Dovrei pensare all'algebra.


Ma non era ad algebra. 
Era in cortile a fumarsi una dannata sigaretta.
Era in cortile a prendere un po' d'aria.
Era in cortile a fare qualunque fottutissima cosa gli impedisse di avere rapporti umani.

Non era psicologicamente in grado.
Non quel giorno.
E nemmeno quello prima.

Mike l'aveva aiutato.
Perché cazzo Mike l'aveva aiutato?
Non si conoscevano.
Lo aveva visto in autobus.
Non si conoscevano.
Perché cazzo Mike l'aveva aiutato?

È assurdo.
Per tutta la mia vita se ne sono sempre fregati tutti di me.
Adesso arriva questo e così dal nulla mette a cuccia uno dei miei Habitué.
È assurdo.


Perché cazzo Mike lo aveva aiutato?

Cosa cazzo dovrei fare adesso?
È strano (bello?) che a qualcuno freghi qualcosa di me.
Non voglio la sua pietà.
La pietà non è mai gratis.
Oppure non è pietà.
Divertente.


Era divertente.
La pietà tendeva ad avere come scopo praticamente qualunque cosa.
Tranne, ovviamente, il bene del prossimo.

La pietà è una colpa.
Perché chi la mostra è quasi sempre un ipocrita.
Perché chi la riceve ne approfitta.
Io non la voglio la sua pietà.


Si tolse una cuffia.

I rumori della realtà si fusero con la musica.

Batteria e chitarra mischiati con il cinguettare frastornante degli uccelli che migravano a sud.
Voce del cantante mischiata con un'altra.

Perché ce n'era un'altra?
Era sbagliato.
Non doveva essercene un'altra.

Era solo.
Sempre.

Non doveva essercene un'altra.

-Hey, mi senti?-

La voce però se ne fotteva altamente, del fatto di non doverci essere.
E parlava.

-Che c'è?-

Chester sbuffò.
Riaprì gli occhi.
Si ritrovò davanti una sagoma scura proprio davanti al sole.

Da quando c'é il sole?
Chi diavolo è questo tipo?
Conosco questa voce?
Conosco questa voce.


Non vedeva un maledetto cazzo di niente.
Una sagoma scura.
Con una crepa al centro.
Proprio davanti al sole.

Sole in fronte.
Occhiali rotti.
Pessima combinazione.

Strizzò gli occhi per vederci meglio.

Due possibilità:
1)    Non sta accadendo davvero.
2)    É matto.
Fottutamente matto.


Era Mike.
Quel maledetto, stranissimo Mike.
Che lo aiutava senza conoscerlo.

Non può ignorarmi e basta? 
Lo fanno tutti.


-Niente. Ho solo pensato che potessi rivolere questo.- 

Chester riuscì a vederlo sorridere.
Porgeva qualcosa di piccolo e nero.

Il suo fottuto cellulare.

-Ma che...- 

Lo prese in mano stupito.

Lo schermo era più graffiato di prima.
Fino a prima non lo avrebbe creduto possibile.
Sembrava a posto.

Non la voglio la sua pietà.

-L'ho trovato l'altro giorno dopo che te ne sei andato. Ho pensato di rincorrerti, ma sono nuovo e non ho un gran senso dell'orientamento...-

Assurdo...

Quel cretino tentava di fare conversazione.
Con lui.

Assurdo.

-Non sei molto socievole, eh?-

Si vede proprio che è nuovo...

-Non te l'ha ancora detto nessuno?-

Chester prese a guardarlo fisso.

Mike prese a sorridere.
Imbarazzato.

Chester piegò la testa di lato.

Perché è imbarazzato?

-Detto cosa?-

Nessuno gli ha ancora spiegato come funziona...
Che cazzo.
Mai una volta che l'umanità si renda utile.
Devo sempre fare tutto da solo.
Che cazzo.


-Di stare lontano da me, che sono uno stronzo... eccetera,eccetera, eccetera.-

-Ah, quello. A dire il vero me lo avevano accennato.-

Due possibilità:
1)    È stupido.
2)    Ha battuto la testa da piccolo.


-Senti... Michael.-

Chester strizzò gli occhi.

Cristo, non vedo un cazzo.
Togliti dal sole, figlio di puttana.


-Mike.-

Cazzo.
Seriamente?


-Ok. Mike. Se sei uno di quelli a cui non piace odiare senza motivo, o se hai fatto una scommessa, o se semplicemente ti faccio pena, puoi anche lasciar perdere. Ok? Ti assicuro che hanno tutti i loro motivi per non sopportarmi e per dire che sono strano. Quindi se ne serve uno anche a te puoi già cominciare ad andartene a fanculo.-

Mike lo guardò.
Sorrise.
Si sedette acconto a lui.

Ho cominciato a parlare arabo e non me ne sono accorto?

-Ok.- 

Mike sorrise.

-Ma perché?-

-Non credo proprio che siano fottuti affari tuoi.- 

Che cazzo di problemi ha? 
Non può ignorarmi e basta?
Lo fanno tutti.


-Ok.- 

Sa dire soltanto ok?

-C'è niente che possa dire per farti decidere che forse valgo la pena di un minimo di socializzazione?-

-Non credo pro...-

-E dai, ci dev'essere qualcosa.-

Chester lo guardò fisso.
La crepa nel bel mezzo della lente sinistra cadeva giusta giusta sull'occhio destro di Mike.

-No, non c'è, e sta zitto quando parlo con te.- 

Aveva una voglia matta di urlare, ma non urlava.

Quel ragazzo.
Quel cretino.

Gli faceva venire voglia di mandare a fanculo tutto quanto.
Gli faceva venire voglia di buttare fuori tutto quanto.
Gli faceva venire voglia di liberarsi i polmoni da quel peso insopportabile che li schiacciava da sempre.

Aveva una voglia matta di urlare, ma non urlava.

-Non c'è niente che tu possa dire. Niente che non sia già stato provato da qualcun'altro. Dite sempre tutti le stesse cose e io non riesco più a sopportarlo. Parole senza senso. Sto per crollare e mi portano sempre più vicino al limite. Un passo alla volta. Sto per impazzire. Vorrei solo poter respirare. O poter scomparire. Voi non ve ne accorgete mai. Non vi accorgete mai di niente. Parlate, parlate, parlate. Andate avanti a raffica quando cerco di rifugiarmi nel silenzio. Quando cerco risposte però, è sempre tutto un fottuto casino. Dite solo cose che non hanno un cazzo di senso, ma di quello che dite niente sembra mai andare via. Quindi, ancora una volta, Mike Shinoda, o come cazzo ti chiami: no, non c'è niente che tu possa dire. E sta zitto quando parlo con te.-

Chester respirò a fondo.
Era senza fiato.

Aveva urlato.
Perché aveva urlato?
Non voleva urlare.
Non doveva urlare.

Perché aveva urlato?

Non aveva potuto fare un bel cazzo di niente.
Non era riuscito a tenere tutto dentro.
Non come sempre.
Era quasi inquietante.

Mike lo guardava.
Smarrito.
Forse si era spaventato anche lui.

Chester sorrise.
Senza sapere perché.

-Ok- 

Mike ricambiò il sorriso.

-Vorrà dire che ora me ne resterò qui, tu parlerai, e io me starò zitto.-

Questo non capisce proprio un cazzo.

-Oh, ma vaffanculo.- 

Chester si alzò.
Si rimise le cuffie.
Se ne andò.

Non sapeva nemmeno dove.
Ovunque.
Bastava che quel dannato ragazzino non ci fosse.




ANGOLINO NERO PER UN'ANIMA NERA
Eccoci qua con la pubblicazione del terzo capitolo, dedicato a One Step Closer. Questa volta si tratta di una delle mie canzoni preferite, che ha per me un valore sentimentale per un motivo assolutamente idiota: quando ho cominciato ad ascoltare i Linkin Park mi terrorizzava. Non la sopportavo perché ero ancora abbastanza piccola e Chester che screammava senza pietà mi spaventava. Se ci ripenso mi viene ancora da ridere, soprattutto perché adesso ascoltarla mi tranquillizza.
In questo caso ho inserito il testo in un dialogo, e spero che non risulti troppo forzato. 
Questo capitolo è un po' più di passaggio rispetto a quelli prima e quando è nato faceva abbastanza schifo, ma ha recentemente subito un bel restauro e adesso riesce quasi a piacermi, pur non essendo uno dei miei preferiti. Ok, credo sia tutto: statemi bene, ci leggiamo... Quando riuscirò a pubblicare il prossimo capitolo.

Baci,
Maledetta
   
 
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