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Autore: Emily Kingston    30/08/2016    0 recensioni
Viviamo in un'eterna rincorsa della felicità.
Ma la felicità è solo una parentesi.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The fleeting touch of a happy time
 


Viviamo in un’eterna rincorsa della felicità.
Ma la felicità è solo una parentesi.
Kasumi aveva passato una vita a chiedersi come raggiungerla, a domandarsi perché, anche con un lavoro soddisfacente e un futuro che si srotolava prospero davanti a lei, non riuscisse a sentirsi felice. Al posto giusto nel momento giusto.
Alla fine era giunta alla conclusione che è tutto una specie di palloncino bucato: se tappi un buco, l’acqua esce sempre da qualche altra parte.
Una mattina ti alzi per andare in ufficio e ti accorgi che ami il tuo lavoro, ti piace, ti appassiona, ma guardando la metà del letto vuota accanto a te non puoi non sentire un po’ di malinconia. A pranzo chiami i tuoi genitori, stanno bene, tuo fratello è appena tornato da scuola, ha preso un buon voto, sono tutti felici, e tu sorridi, ripensando a quando i bei voti da festeggiare erano i tuoi. Un passato recente che sembra però immensamente lontano nel tempo.
E così si susseguivano le giornate di Kasumi, tra un ricordo triste e un tentativo di passare una buona giornata. Non dico felice, ma almeno buona.
Riflettendoci bene, funzionava così da una vita.
Quando aveva avuto un fidanzato, per un lungo periodo era stata in attrito con la sua famiglia. Poi tutto si era appianato, ma appena finita l’università aveva avuto difficoltà a trovare lavoro. E adesso che un lavoro ce l’aveva, il fidanzato l’aveva lasciata per andare altrove, alla ricerca di un perenne altro che lei non riusciva a dare a nessuno.
Kasumi, come tutti gli esseri umani, aveva i suoi demoni.
Paure così profonde che la mangiavano dall’interno, un pezzetto alla volta.
Certi giorni si svegliava e non era sicura più di niente.
Delle scelte che aveva fatto.
Del suo futuro.
Dell’affetto che gli altri provavano per lei.
Si sentiva perennemente fuori posto, esclusa da qualsiasi conversazione, come se tutti parlassero di cose che lei non poteva capire, come se tutti avessero condiviso momenti a cui lei non aveva potuto partecipare.
E allora voleva solo stare sola, per non sentire quell’opprimente senso di non appartenenza. Voleva stare sola, ma soffriva di quella stessa solitudine.
Poi c’erano i giorni buoni.
Quelli in cui si sentiva leggera e a posto con se stessa. Passava delle belle giornate e condivideva bei momenti, ritrovandosi spesso a pensare che allora qualcuno a cui bastare c’era.
Ma tanto i demoni tornano sempre.
Quella non era una giornata buona.
Kasumi si era svegliata con un profondo senso di inadeguatezza e non ce l’aveva fatta ad alzarsi dal letto, non importa quante volte avesse detto alle sue gambe di muoversi. Le gambe non si erano mosse e il suo corpo era rimasto sul materasso, raggomitolato in posizione fetale, come in un letargo dal quale la sua mente non riusciva a svegliarlo.
Fuori pioveva.
Dalla grande finestra che occupava quasi interamente una delle pareti dalla sua stanza, s’intravedevano il cielo grigio e i tetti dei palazzi.
A Kasumi piaceva la pioggia, soprattutto quando era triste. In generale il tempo brutto la incupiva, perciò sentiva sempre di avere una buona scusa. Se pioveva aveva una buona scusa per essere triste e non avere voglia di fare niente.
Perciò aveva chiamato a lavoro e si era data malata, poi aveva trovato le forze di alzarsi dal letto ed era andata a farsi un tè.
Verso metà mattinata le era arrivato un messaggio: era di un tizio che aveva conosciuto al bar davanti al suo posto di lavoro. Un ragazzo carino e gentile che un giorno l’aveva vista giù e aveva deciso di offrirle il caffè.
Kasumi non credeva negli incontri fortuiti dai quali nascono grandi storie d’amore, perché nella vita vera queste cose non succedono. Nella vita vera uno sconosciuto non ti offre il caffè e tu gli dai il tuo numero di telefono. O, se lo fai, poi tanto va storto qualcosa.
Più di tutto, Kasumi non sapeva se credeva ancora nell’amore.
Non sapeva se era ancora in grado di amare qualcuno e di lasciarsi amare.
Non sapeva se poteva.
Perciò rifiutò il suo invito a pranzo educatamente, sperando che non insistesse.
Guardando le chat sul telefono, Kasumi pensò che avrebbe tanto voluto scrivere a qualcuno, ma si rese conto che non aveva assolutamente niente da dire, neanche qualcosa di stupido, perciò bloccò lo schermo con un sospiro e abbandonò il telefono tra le coperte.
Con passi delicati, si avvicinò alla finestra della sua stanza, bagnata dalle gocce di pioggia che cadevano dal cielo. Appoggiò una mano sul vetro freddo e si mise a osservare la città.
Magari domani sarà una buona giornata, pensò.
Non sapeva se ci stava credendo davvero, perché le buone giornate stavano sempre di più diventando un’eccezione. Ma sperava almeno di avere un momento buono in una giornata brutta. Almeno uno.
Sospirò.
Almeno un istante.
Un sorriso.
Uno sguardo.
Almeno.

Viviamo in un’eterna rincorsa della felicità.
Ma la felicità è solo una parentesi.
   
 
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