Per uno come Stefano, abituato a
immortalare l’attimo, una sola notte potrebbe non essere sufficiente per
lanciarsi.
L’esito di quell’ultima sera ruota
esclusivamente attorno a Elisa che, come una fotografia del suo autore
preferito, ha impedito al ragazzo di imparare a ignorarla.
– In
un metro e mezzo –
All’apparenza
non c’era nulla di diverso rispetto alle sere precedenti. Il cielo scuro,
limpido, era rischiarato qua e là dalle molteplici luci che brillavano in tutta
l’area della festa, sollevandosi dai ristoranti, dalle piste da ballo e
sportive, dalle bancarelle, dai bar e dagli stand. Le persone, moltitudini di
persone, affollavano ogni angolo riempendolo di chiacchiere, risate e opinioni.
Stefano
si faceva largo fra tutto ciò per l’ennesima volta, come aveva fatto ogni sera
precedente nelle ultime tre settimane. Quella, però, sarebbe stata l’ultima
volta. Il festival – enorme – che lo aveva assunto insieme a Giorgio, suo
collega e migliore amico con il quale aveva aperto una piccola attività di
fotografia, era giunto all’ultima sera. Ed era proprio questo a cambiare
l’atmosfera, a renderla diversa, malinconica, a chi come lui aspettava,
lavorava e amava quella grande festa che ogni anno, per tre settimane, rendeva
la città in cui era nato e cresciuto viva e magica. Dentro di sé il ragazzo
aveva un leggera inquietudine, un misto di preoccupazione e voglia di fare, che
cresceva mano a mano che si avvicinava a passo sicuro verso l’arena concerti,
il pass da fotografo al collo e il braccialetto con il nome della band, per
poter entrare, al polso destro. L’ultimo giorno di festa non significava solo
la fine di quel miscuglio di persone, profumi, suoni e colori, ma anche che non
avrebbe più visto tutti quei volti che aveva ritrovato o conosciuto proprio lì.
Fra tutti quei nomi e quei visi, uno più degli altri spiccava: quello di Elisa.
Lei
era uno di quei fotografi sempre presenti sotto palco, che ogni sera,
indipendentemente dall’artista, scattava con la sua reflex. Lavorava come
volontaria per il bar gestito dai giovani che riforniva di birra e panini il
pubblico dei live, fotografando con la stessa passione sia le persone sopra lo
stage, che quelle sotto e quelle che dietro il bancone dispensavano bere di
ogni genere. Si erano conosciuti lì, sotto quel palco, in quel metro e mezzo di
larghezza in cui ogni sera almeno sette fotografi si dovevano muovere in una
danza ben orchestrata, nel tentativo di non intralciarsi a vicenda ma cercando
comunque di ottenere degli scatti migliori degli altri.
Quella
strana sensazione nel petto sia allargò ulteriormente appena vide stagliarsi
oltre le porte d’ingresso, ancora chiuse al pubblico, la sagoma del palco su
cui rodie e fonici stavano sistemando la strumentazione per la prima delle tre
band. Avvicinandosi cercò con lo sguardo la figura ormai conosciuta della
ragazza e la trovò appoggiata a una transenna, intenta a conversare con un
addetto alla sicurezza. Ora sì che quell’inquietudine gli esplodeva dentro, misteriosa,
ma al tempo stesso chiara. Non gli servivano chissà quali spiegazioni per
capire cosa significava, era fin troppo palese; era stato palese da subito e
aveva continuato a esserlo per tutte le sere successive. Anche se, in realtà, non
l’aveva vista per tre intere settimane, ma per un giorno in meno. La prima sera
in assoluto, all’inaugurazione della festa, lei non c’era. Quando Stefano aveva
lasciato l’arena concerti per andare a post-produrre le fotografie in lui era
tutto normale. Aveva rivisto vecchi amici, aveva incrociato sguardi nuovi, ma
niente che lo avesse affascinato più di quanto meritava.
Tuttavia
il secondo giorno lei era là. La vide perché era impossibile non vederla,
specie per uno con il suo spirito di osservazione. Era seduta in terra, sul
calpestabile in legno impolverato e scheggiato in quel metro e mezzo che
separava le transenne dietro cui la gente si accalcava per la prima fila, dal
palco. Era seduta lì, la schiena appoggiata ai subwoofer impilati uno
sull’altro, le gambe strette al petto e la reflex appoggiata sulle ginocchia,
protetta e coccolata fra le sue mani. Avrebbe voluto farle una foto perché la
trovò bellissima. Non solo era bellissima quell’immagine, ma per lui anche lei
lo era. I capelli castani, lunghi fin sotto le spalle, le ricadevano avvolgendosi
su se stessi in leggeri e accennati boccoli. I lineamenti precisi del viso
accentuavano gli occhi luminosi e leggermente allungati. Con le dita
affusolate, molte delle quali con sottili anelli argentati, tamburellava sul
corpo della macchina fotografica mentre faceva oscillare la testa di qua e di
là seguendo il ritmo della canzone che stavano passando in attesa della band,
le labbra che ricamavano appena le parole del testo. Lei era un fotogramma di
quella musica, uno scatto perfetto, quello da diaframma aperto e da sfondo
sfocato. Stefano non l’aveva fotografata, ma si era impresso quell’immagine in
mente con una tale forza che chiudendo gli occhi avrebbe potuto vederla in
qualsiasi momento. Elisa aveva avuto su di lui un effetto che nessun’altra gli
aveva mai fatto e la cosa era incredibile e sorprendente al tempo stesso.
Il
giorno dopo, il terzo, si erano rivisti sotto allo stesso palco, sullo stesso
calpestabile. Durante il concerto, mentre scattavano ciascuno le proprie fotografie,
Stefano l’aveva accidentalmente urtata. Quel contatto debole, la morbidezza
della pelle di lei, avevano fatto scattare nel ragazzo qualcosa. Quando si era
scusato e lei aveva risposto sorridendogli per fargli capire che non era
successo niente, qualcosa in lui gli impose di conoscerla.
Le
aveva rivolto la parola alla scadenza del quarto giorno. L’aveva avvicinata
prima che il concerto principale iniziasse, chiedendole qualche informazione
sulla band anche se non ne aveva bisogno. Era rimasto affascinato dalle sue
iridi color cioccolato, che riverberavano di blu per colpa delle luci dello
stage, e l’aveva ascoltata con attenzione. Dal modo spigliato in cui gli aveva
risposto, guardandolo, sorridendo e arricchendo le frasi di dettagli, Stefano
aveva intuito che avrebbe potuto tranquillamente instaurare una conversazione
con lei.
E
avvenne. Ogni sera facevano amicizia un po’ di più e ogni sera il ragazzo
raggiungeva il palco prima, così da avere più minuti, secondi, da trascorrere
con lei.
Tuttavia
una sera era comparso Giorgio. Aveva visto l’amico chiacchierare con Elisa e si
era intromesso. Con il suo modo di fare alla mano sembrava aver affascinato la
ragazza in quei pochi minuti molto più di quanto Stefano era riuscito a fare in
sei sere.
In
uno strano miscuglio di gelosia, invidia e desiderio la verità era venuta a
galla praticamente subito e per opera dello stesso Gio.
Stefano lo ricordava ancora alla perfezione. Si ricordava la sua ricerca della
macchina fotografica, del suo dirigersi dal corridoio al piccolo studio che
condivideva con l’amico e in cui lavoravano insieme.
«Gio, hai visto la mia reflex?» aveva chiesto.
«È
qui. Ho scaricato le foto proprio ora.»
In
quel momento il tempo che si fermava non aveva avuto suono nelle orecchie di
Stefano, era stato come il battito d’ali di una farfalla. Aveva raggiunto l’altro
e lo aveva trovato davanti al pc, a fare quello che non avrebbe dovuto fare:
guardare le sue foto. Non c’era niente di male in realtà, Gio
guardava sempre le foto Stefano e anche lui guardava quelle di Gio. Tuttavia, proprio la sera precedente, il ragazzo aveva
fotografato Elisa. Non c’era stato un motivo particolare, lo aveva fatto perché
voleva farlo, perché lei era distratta e completamente rapita da altro. Perché
era bellissima e lui non aveva saputo trattenersi per l’ennesima volta. La
trovava intrisa d’arte, farcita di una naturalezza di cui le sue fotografie
erano avide di nutrirsi.
Era
rimasto impietrito a guardare Gio che faceva scorrere
una dopo l’altra le due, tre, quattro foto di lei sullo schermo del pc, finché
l’amico non aveva spezzato il silenzio.
«Ma
questa è Elisa» aveva detto, con un tono lievemente sorpreso. Il lungo silenzio
che ne era seguito valeva quanto una risposta. Giorgio si era voltato verso
Stefano – metà sulla porta, metà nel corridoio – l’aveva analizzato con un
sopracciglio inarcato e aveva detto: «Ti piace, per caso?»
Il
balbettio costellato di “beh”, “ehm”, “no, è solo che” di Stefano era stato un’ammissione
più che sufficiente.
Da
quella mattina, però, le cose si erano semplificate. I due amici si erano
accordati per permettere a Stefano di passare quanto più tempo possibile con la
ragazza. Invece che alternarsi sotto il palco, delle foto dei concerti si
sarebbe occupato soltanto Stefano, mentre Giorgio avrebbe approfittato di quel
lasso di tempo per andare a immortalare le persone in giro per la festa.
Tutto
ciò aveva permesso a Stefano di poter trascorrere diverso tempo ogni sera
insieme a Elisa, nella speranza di riuscire a ottenere qualcosa.
A
conti fatti, arrivato all’ultima sera aveva la sua amicizia su Facebook e una moltitudine di cuori su Instagram,
cosa che poteva essere sia positiva che negativa in base al punto di vista.
Fatto
sta che ora lei era là, ancora appoggiata alle transenne, ancora intenta a
conversare con l’addetto alla sicurezza. Lui, invece, era immobile, semi
nascosto dalla penombra, continuando a guardarla con quella sensazione nel
petto – quel misto di preoccupazione e voglia di fare – che stava andando
ingigantendosi. Si lisciò la barba passandovi le mani un paio di volte, poi,
come sovrappensiero, prese ad arricciare una corta ciocca di capelli intorno
all’indice che, appena venne liberata, tornò liscia esattamente com’era prima. Infine
si sistemò la camicia, la sua camicia preferita che aveva indossato senza
neanche rendersi conto. Si era ritrovato vestito, con in dosso quel capo e il
suo subconscio che gli diceva che quella era la cosa giusta da indossare, che
se uno come lui, se Stefano, voleva ottenere qualcosa in una sola sera, non
avrebbe dovuto indossare nient’altro se non quella
camicia. Indipendentemente da come sarebbe andata a finire si impose di
registrare nella sua mente quante più immagini possibili della ragazza, nel
caso non l’avesse più vista. Alcune le aveva già immagazzinate in quel caos di
luci, colori e fotogrammi che era il suo cervello, come il modo in cui lei
impugnava la reflex, avvolgendosi la tracolla al polso anziché al collo, come
si alzava in punta di piedi per scattare alcune foto, o il modo in cui si
scostava i capelli quando voleva rivedere ciò che aveva appena scattato.
Comunque
sia non avrebbe combinato nulla stando immobile al centro del prato su cui si ergeva
il palco, soprattutto perché quello non era il suo posto. Si fece forza e
riprese a camminare, dirigendosi verso lo stage, verso Elisa.
*
Rientrando
nell’arena concerti tutto appariva desolato. Era passata l’una di notte ormai e
in giro erano rimaste poche persone, che sciamavano a piccoli gruppi dal prato
al bar e dal bar alle uscite. Sul prato davanti al palco centinaia di bicchieri
vuoti e bottigliette erano sparsi sull’erba, come i caduti di una lunga
battaglia. Sopra al palco, invece, gli unici rumori provenienti erano ora
quelli dei rodie che smontavano, spostavano e si davano indicazioni per
smantellare ciò che per tre settimane aveva fornito musica di qualità a volumi
altissimi. Stefano scrutò con gli occhi fra i pochi presenti, in cerca di
Elisa.
Si
erano lasciati al termine delle prime tre canzoni – su richiesta della band
stessa che non voleva avere fotografi oltre quei pochi pezzi. Avevano lasciato
insieme quel metro e mezzo di calpestabile, fra palco e pubblico in cui si
erano conosciuti, per l’ultima volta, rimanendo a parlare ancora un po’ fuori
dal backstage, le rispettive macchine fotografiche strette fra le mani. Alla
fine, però, il senso del dovere di Stefano aveva avuto la meglio e lui,
scusandosi, aveva detto alla ragazza di dover andare, raggiungere Giorgio e
immortalare le ultime ore di quella grande festa conclusiva. Era già convinto
che non avrebbe rivisto la ragazza tanto presto che lei aveva annuito con il
capo, dicendo semplicemente: «Beh, allora se mai ci vediamo dopo. Stasera mi
fermo fino alla chiusura.»
Rinvigorito
da quella frase, appena le persone erano calate in giro per la festa, Stefano
si era incamminato nuovamente verso l’arena e arrivato lì, davanti al
dispiacere che solo la fine di un concerto sapeva provocargli, si era messo a
cercare con gli occhi Elisa.
La
trovò seduta sul prato, le gambe incrociate, la schiena dritta, lo zaino rosso
posato accanto a sé. Se avesse tracciato una linea si sarebbe reso conto che la
ragazza era seduta esattamente in corrispondenza del centro del palco, immobile
come una bambola a fissare i roadie che si muovevano sotto i fari di luce
gialla.
La
raggiunse. Quando Elisa sollevò lo sguardo per identificarlo sorrise subito.
«Hai
fatto delle belle foto?» gli chiese.
«Qualcuna,
forse» rispose lui mentre si sedeva sull’erba alla destra di lei. Si tolse di
spalla lo zaino contenente la sua attrezzatura e distese le gambe.
Accanto
a lui la ragazza sospirò. «Mi dispiace che sia finito. Ogni anno non vedo l’ora
che inizi e poi,» indicò in direzione del palco, «è già tutto finito.»
«Vale
anche per me» rispose lui.
«Oltretutto
dopodomani devo anche riprendere con il tirocinio» sbuffò. «Mi mancano due
settimane ma non ho più voglia di andare là ogni giorno.»
«Quando
hai finito cosa pensi di fare?»
La
domanda gli uscì prima che potesse pensarci. Il suo subconscio aveva agito
nuovamente da solo. Gli era chiaro che il quesito fosse direttamente collegato
alla speranza di incontrare di nuovo Elisa in qualche modo, in qualche posto.
La vide stringersi nelle spalle.
«Non
so di preciso. Immagino che ricomincerò a cercarmi un lavoro. Uno vero, con lo
stipendio, non un tirocinio che fa curriculum» marcò le ultime parole con una
nota di stizza.
«Cercherai
come fotografa?»
Non
era sicuro di sapere in che direzione stava portando la conversazione. Attese
la risposta della ragazza quasi contando i secondi.
«Può
darsi» disse lei, con tono pensieroso. Si bloccò, voltandosi a guardare Stefano
attentamente. Lui si sentì colto in flagrante, sollevò le sopracciglia e
rispose allo sguardo di Elisa.
«Cos’è,
tu e Giorgio avete bisogno di un tirocinante?»
La
sua domanda traboccava di quella sottile vena sarcastica che lui, in pochi giorni,
aveva imparato a riconoscere e ad apprezzare ogni volta che usciva dalle sue
labbra. Si mise a ridere e subito dopo lo fece anche lei.
«Non
intendevo questo» si corresse lui. «È solo che sei molto brava a fare
fotografie e secondo me dovresti farlo di mestiere.»
Lo
pensava davvero.
Lei
sorrise. «Beh, se mai ci penso su. Detto da te è un bel complimento.»
«Non
esagerare.»
«No,
non esagero. Insomma, vogliamo parlare delle foto che hai fatto ai Two Door Cinema Club? Spettacolari, davvero. E anche
Giorgio non è da meno. Ci credo che la vostra attività sta andando a gonfie
vele.»
Le
parole di Elisa scatenarono in lui una sensazione frizzante. Una lattina ben
agitata era appena stata aperta in un punto imprecisato dentro di sé. La ringraziò
per il complimento e la naturalezza con cui lei gli disse che era convinta
fosse la verità rese tutto ancora più semplice. Cominciarono a parlare dei
giorni trascorsi in festa, delle persone che avevano incrociato, delle band
fotografate in quello stretto metro e mezzo al di sotto del palco. Per la prima
volta riuscirono a conversare senza doversi urlare reciprocamente nelle
orecchie, senza dover ripetere le cose più volte, senza che fossero gli sguardi
a doversi far capire più delle parole. Davanti a loro il palco si svuotava
lentamente, i roadie continuavano a fare avanti e indietro e le poche persone ancora
presenti divennero sempre meno. I due rimasero seduti sul prato a chiacchierare
ancora, salutando gli addetti alla sicurezza che se ne andavano per il cambio
di turno, sdraiandosi e rimettendosi a sedere, mentre le luci intorno a loro
venivano abbassate o spente.
Le
ore trascorsero in fila, una dietro l’altra. Il ragazzo le sentiva scorrere via
con una fretta innaturale, come se fossero in fuga dal tempo. Era consapevole
che avrebbe fatto meglio ad andare, che doveva lavorare per il mattino,
sistemare le foto che aveva scattato in quell’ultima sera e pubblicarle in
fretta sulle pagine Facebook della festa.
Non
ci riuscì. Prima di allontanarsi da Elisa voleva avere la certezza che quello
non sarebbe stato il loro ultimo incontro, che avrebbe potuto rivederla da
qualche parte, in qualche posto. In fondo vivevano vicini. Solo, lui in città e
lei in provincia. Forse era proprio quello a impedirgli di alzarsi e salutarla.
Il dubbio, in quel momento, era più forte del senso del dovere.
Sopra
di loro il passaggio del tempo veniva scandito dal chiarore del cielo, che in
quel finire di agosto cominciava a farsi timidamente largo ancora troppo
presto. Quando il blu scuro della notte cominciò a sfaldarsi sulle loro teste,
quando le ore trascorse uno accanto all’altra divennero palesi, quasi palpabili,
le parole da dirsi vennero meno. Si fecero più rade, calarono ulteriormente e
alla fine, i due, si zittirono dopo un’intera notte di frasi.
Fu
allora che accadde. Accadde che nel silenzio sospeso che si era formato fra loro,
mentre si guardavano senza parlare, si avvicinarono fino a baciarsi. Lo fecero
insieme, senza che nessuno dei due si sporgesse per primo. Tuttavia in entrambi
si istillò fin da subito la preoccupazione di essere respinti ed entrambi si
concentrarono per assaporare il primo momento, quello che anticipa tutto,
l’antipasto.
In
quel lunghissimo primo momento Elisa si ritrovò curiosamente a ringraziare di
non aver fatto mettere le cipolle nel kebab che aveva mangiato a cena, di non
aver bevuto troppa birra e di aver masticato così tante chewingum
da essere certa di poter avere l’alito profumato di menta per giorni. Stefano
aveva ancora addosso il leggero profumo di pulito della sua camicia, che in
quelle ore si era mescolato all’odore della sera e a quello delle sigarette
fumate da altri. La sua bocca sapeva di liquirizia e la cosa era per lei insolitamente
piacevole. Non aveva mai baciato un ragazzo con la barba; uno con un accenno di
barba, quella di due, tre giorni sì, ma non uno che avesse una bella barba come
quella di Stefano. Era morbida e le solleticava il mento e le guance. Nella
posizione in cui si trovavano fu lui il primo a spostarsi perché fossero più
comodi. Torse il busto, puntellandosi sull’erba con la mano sinistra. Anche
nella sua mente si accavallavano le sfumature di lei, come la leggera nota
d’arancia nascosta fra la menta che aveva sulle labbra, o il profumo dei suoi
capelli, sempre il solito e sempre buonissimo. Fece scorrere la mano destra
fino alla nuca di Elisa, cominciando ad avvolgersi intorno alle dita i suoi
capelli, accarezzandole la testa mentre intrecciava alla mano lunghe ciocche
morbide. Elisa venne scossa dai brividi a quel gesto, li sentì scivolare lungo
la schiena, ricongiungendosi a quelli provocati dal contatto delle sue labbra
con quelle di Stefano. Decise di muovere il proprio braccio destro, rimasto
sollevato a mezz’aria da prima. Con la mano raggiunse il mento del ragazzo, affondò
le dita nella sua barba fino a sentirne la pelle e lì cominciò a disegnare
piccoli cerchi leggeri. Stefano ebbe un fremito; assurdamente immaginò che
dovesse sentirsi così il suo cane quando lui lo grattava dietro l’orecchio e
nei suoi occhi si leggeva perfettamente quel piacere e quella speranza che non
finisse mai.
Nessuno
dei due sapeva dire da quanto era iniziato quel bacio, ma una volta superato il
primo momento, superata la paura di vedersi respingere, fecero in modo di farlo
durare il più a lungo possibile.
Quando
si separarono lei sorrise, dolcemente, come a dirgli di non preoccuparsi, che,
sì, era accaduto e che andava benissimo così. Lui avrebbe voluto fotografarlo
quel sorriso, imbrigliarlo a sé, registrarlo così da poterlo conservare per
sempre, anche se una loro ipotetica storia fosse finita per il verso sbagliato.
«Che
ore sono?» chiese Elisa, alzando gli occhi sul cielo tenue. Attese paziente il
breve istante in cui Stefano si riprese dal leggero stupore per la domanda
inattesa.
«Le
sei meno dieci» fu la risposta.
Lei
arricciò le labbra, guardò il ragazzo e domandò: «Ti va di andare a fare
colazione? Ho troppa fame.»
Lui
sorrise divertito da quella domanda così naturale, resa ancora più speciale per
via del momento in cui venne pronunciata. Acconsentì e i due si alzarono,
diretti verso l’uscita del festival, insieme. Stefano sapeva perfettamente che
aveva altro da fare, che doveva sistemare le foto per quella stessa mattina e
che Giorgio lo aveva cercato più volte quella notte, facendo vibrare il suo
cellulare anche nei momenti meno opportuni. Ma Gio
avrebbe capito, lo sapeva; glielo avrebbe spiegato appena avuta l’occasione,
appena Elisa sarebbe stata distratta da qualcosa o momentaneamente assente.
Avrebbe detto tutto a Gio, lo avrebbe fatto, così
come sapeva che lui sarebbe stato contento e che lo avrebbe perdonato, dopotutto.
In fin dei conti era quella l’amicizia e, non a caso, Giorgio era il suo
migliore amico.