Storie originali > Soprannaturale > Maghi e Streghe
Segui la storia  |       
Autore: Miss Halfway    31/08/2016    2 recensioni
REVISIONATA FINO AL CAPITOLO 5
«All'improvviso sentii un soffio gelido spirarmi sul collo, mentre una mano, altrettanto gelida, mi accarezzava i capelli e coi polpastrelli mi sfiorava la pelle. O forse no: quella mano dal tocco glaciale in realtà non mi stava affatto accarezzando i capelli ma me li stava semplicemente spostando delicatamente dal collo per scoprirmi la carotide, sfiorandomi appena. Continuavo a percepire un venticello fresco, nonostante ricordassi chiaramente di aver chiuso la finestra quella notte per via dei lupi che ululavano alla luna e gli spifferi di corrente andavano diffondendo nell'aria un profumo che avevo già sentito e che ormai conoscevo bene.» (cap. 11)
Streghe, vampiri, licantropi... Saranno solo vecchie leggende e sciocche superstizioni? O la realtà, in fondo, cela qualcosa di sovrannaturale? Cosa nasconde la biblioteca scolastica? Chi è il ragazzo misterioso e qual è il suo segreto?
In seguito alla morte della nonna materna, la quale lascia in eredità l'antica Villa dei Morgan, Meredith insieme alla sua famiglia allargata farà ritorno a Salem, sua città natale. Lì comincerà per lei una nuova vita alle prese con un potere sovrannaturale, sogni premonitori, bizzarre amicizie e il coinvolgimento in uno strano triangolo amoroso...
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Incest, Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
6) Il ragazzo misterioso.


      La mattina dopo dimenticai per un attimo i miei interessi paranormali e le varie peripezie sovrannaturali svegliandomi più presto del solito con l'intento di rendermi più presentabile agli occhi di Heric, il ragazzo eletto Re del Ballo di Primavera, in caso l'avessi rivisto a scuola. Mi aveva ipnotizzata per questo mi stavo costruendo così tanti castelli per aria su su di lui anche perché, ad esser del tutto onesta e secondo il mio personale parere e soggettivo parere, aveva ben pochi rivali alla Salem High School. Non so perché ci sperassi o perché ne fossi già così ossessionata, ma mi piaceva ogni tanto provare interesse verso qualcuno, immaginarmi un qualche lieto fine, insomma avere un diversivo su cui fantasticare e poi, in una scuola piccola come quella di Salem, sarebbe stato difficile trovare altri bei ragazzi da osservare.
    Rindossai il maglioncino che mi aveva prestato Ashley per il primo giorno di scuola a Salem e di cui mi ero ormai appropriata (tanto lui non era presente quel giorno, non me l'aveva visto e non avrebbe pensato che mi mancasse dell'inventiva nel vestirmi) e stavolta, seguendo il consiglio della mia sorellastra, lo misi senza la canottiera sotto e lo abbinai ad una gonna nera piuttosto corta e attillata, un paio di anfibi e un filo di trucco. Era il massimo che potessi fare.
    Scesi a fare colazione: Ashley stava seduta a bere una tazza di latte e mi squadrava dalla testa ai piedi. Jeremy invece era ancora in camera sua.
    «Wow!- esclamò incredula spalancando gli occhi -sembri proprio la groupie di un gruppetto di metallari! Però apprezzo lo sforzo, sei più decente del solito, beh ovvio quelli sono i miei vecchi vestiti, e cavolo! Ti sei pure truccata! Su chi vuoi fare colpo?» mi apostrofò mettendomi in ridicolo.
    «Non sembro una groupie! E poi non è che se mi trucco debba necessariamente piacermi qualcuno» risposi scocciata. Tutti in famiglia erano abituati a vedermi quasi sempre conciata come un maschiaccio o senza troppo impegno, per questo sia lei sia mia madre si meravigliarono. Io stessa mi sentivo a disagio, peggio della sera del ballo, in cui almeno avevo un motivo per essere tutta in ghingheri. 
    Jeremy entrò in cucina e sentendo i suoi passi mi voltai per dargli il buongiorno. Rimase fermo sulla porta della cucina e mi guardò stranito: scoppiò a ridere fragorosamente, a ridere di me. Prese il caffè dalla moka versandoselo in una tazza e, dopo averlo bevuto tutto in un sorso, fece cenno a me e ad Ashley di muoverci, soffocando un’altra risata. Insomma, un po’ di trucco, un maglioncino scollato ed una gonna non mi davano poi tutta quest’aria ridicola e speravo, in caso avessi incontrato Heric, di non provocargli lo stesso identico effetto di ilarità.
     Quando arrivammo a scuola, sentii quasi tutte le ragazze parlare del Re e della Reginetta del ballo, di quanto fossero belli, di quanto lui fosse bello. Non avevo fatto molto caso alla ragazza che venne eletta, ma iniziavo ad esser curiosa di vedere anche lei.
     Alla prima ora avevo matematica insieme a Jeremy. Lui scelse un posto molto lontano dal mio, nonostante ci fossero ben tre banchi liberi accanto a me: ai lati e davanti. Non ne capii il motivo ma lui si sedette da tutt'altra parte.
    A un certo punto i miei occhi si illuminarono come due lanterne: entrò Heric, il bellissimo ragazzo del ballo, il Re del Ballo di Primavera della Salem High School, che mi aveva colpita fin dal primo momento con il solo sguardo. 
    Heric entrò in classe con aria indifferente e posata senza guardarsi troppo intorno, portava un paio di jeans scuri ed una maglione nero con lo scollo a V. D'un tratto si voltò verso di me, mi fissò un attimo e continuò a camminare. Non riuscivo proprio a distogliere lo sguardo dalla sua figura.Sebbene ci fossero anche altri posti liberi, lui si sedette proprio nel banco accanto al mio, alla mia destra. Mi sentivo fortunata ed allo stesso tempo a disagio e tenevo gli occhi bassi sul quaderno rimanendo immobile ma con la coda dell'occhio notavo che mi stesse scrutando come sabato. Mi girai verso Jeremy dall’altra parte dell’aula per lanciargli un’occhiata complice ma vidi che stringeva il pugno e che mi guardava male, anzi ci guardava male. Mi sentivo al centro dei loro sguardi ed anche questo mi metteva parecchio in soggezione. 
    Quando il professor Richardson entrò in aula tutti scattammo sull'attenti.
    «Guarda guarda chi si ripresenta a scuola dopo sole due settimane di assenza. Ben tornato Vostra Maestà Signor Browning, siete ben riposato? O le mansioni reali vi hanno distolto troppo dagli impegni scolastici?» lo calzonò ironicamente l'insegnante di matematica.
    Heric alzò lo sguardo e gli fece un sorriso beffardo.
    «Saprà dirmi qualcosa sul seno e coseno di 30°?» Heric rispose scuotendo la testa e ignorò il professore che, indignato, iniziò a fare l'appello.
    Continuò a fissarmi senza seguire la lezione. Non mi piaceva molto questo suo atteggiamento irriverente e poco rispettoso ma la sua bellezza e il suo essere tremendamente attraemente sopraffacevano di gran lunga questi suoi modi rudi.
    «Signor Browing, capisco che il fascino della signorina Spencer sia disarmante, ma segua la lezione» lo rimproverò nuovamente il professore.
    Tutti iniziarono a ridere, Jeremy scosse la testa in segno di disapprovazione e io diventai viola dalla vergona. Anche il professore si era accorto che Heric non la smetteva di fissarmi e per via di quella battuta lo fulminò con lo sguardo. Il professore, quasi intimorito, fece poi finta di nulla zittendo gli altri studenti e proseguì con la lezione sulla dimostrazione di un teorema.
    Quell’ora sembrava non finire mai, così appena squillò la campanella mi affrettai ad uscire. Ma la mia stessa goffaggine mi ingannò: incimpai dalla fretta e feci cadere tutte le mie cose a terra. Mi chinai velocemente facendo finta di niente sperando che nessuno mi avesse vista per cacciare tutto dentro la borsa e scappare più in fretta che potessi.
    «Hey!» qualcuno mi diede una leggera pacca sul braccio per richiamare ulteriormente la mia attenzione. Sollevai un poco la testa dal pavimento e...Heric stava di fronte a me, chinato con il suo viso a cinque centimetri dal mio. Rimasi incantata ad osservarlo imbambolata come un'allocca: non avevo mai visto degli occhi così belli, così azzurri, così profondi e intensi, e non mi ero mai sentita così maldestra e imbarazzata.
    «Ti è caduto anche questo» disse porgendomi una penna e sorridendomi maliziosamente. Anche il suo sorriso meritava altrettanti complimenti: denti bianchissimi e perfettamente lineari, labbra carnose ma non troppo, viso un po' ossuto ma né troppo smagrito né troppo paffuto. In una parola: bellissimo.
    Restammo chinati per un po’ e poi ci alzammo in piedi simultaneamente continuando a guardarci negli occhi senza distogliere lo sguardo di dosso l'uno dall'altra. Per quanto mi sentissi impacciata e in soggezione non riuscivo a non guardarlo. Poi spostò lo sguardo verso il ciondolo che portavo al collo e fece un’espressione strana, quasi turbata e vidi le sue iridi diventare di un azzurro più intenso. Ebbi quasi l'impressione che si stessero scurendo. 
    «Tutto bene?» chiesi strizzando gli occhi per mettere meglio a fuoco ciò che avevo notato. 
    «Sì. Devo andare, Meredith.»
    Mi aveva chiamata per nome, mi aveva chiamata M-e-r-e-d-i-t-h. Ero strabiliata! Il fatto che conoscesse il mio nome mi fece sentire quasi importante. E poi il nome  Meredith  pronunciato dalle sue labbra assumeva quasi una musicalità piacevole, diversamente dagli striduli di mia madre la mattina e dalle prese in giro di Jeremy e Ashley. 
    Rimasi ancora imbambolata qualche secondo a fissarlo mentre usciva dalla classe così sicuro di sè e con passo svelto.
    La sensazione di qualcosa di gelido vicino allo sterno mi fece tornare coi piedi per terra. Il ciondolo, anzi la pietra incastonata all’interno del cerchio di metallo, era diventata più fredda così tanto che addirittura l'oro che che la conteneva si era raffreddato.
    «Che strano» pensai tra me e me mentre lo rigiravo tra le dita.
    Jeremy mi passò affianco mentre contemplavo il ciondolo e avvertii come un’energia negativa non appena mi sfiorò accidentalmente. Sembrava quasi geloso: geloso di Nicholas che mi aveva invitata al ballo, geloso di Heric che mi guardava. Ma non poteva essere geloso, era mio fratello! Vabbè fratellastro come sottolineava sempre lui. Comunque in quel momento non pensavo a lui, avevo in mente solo Heric: per questo decisi dunque di stare un po’ lontana dal mio irascibile fratellastro e, durante la pausa pranzo, vedendo Alexis seduta da sola, mi unii a mangiare insieme a lei. Appena mi vide sedermi al suo tavolo mi salutò freddamente perché probabilmente ce l’aveva a morte anche con me per via di Jeremy e per ciò che aveva fatto la sera del ballo.
    «Lo so che mio fratello è un vero stronzo, maleducato e privo di sentimenti, ma potremmo essere amiche anche se lui...» non sapevo come continuare la frase, forse stronzo, maleducato e privo di sentimenti rendevano bene l'idea. Lei mi guardò sbigottita in attesa che terminassi la frase:«...è un idiota». Lo apostrofai con semplicemente così sebbene gli si addicessero appellativi più coloriti. Alexis annuì ma non disse una parola e il suo silenzio iniziava a mettermi alle strette perchéstavo per terminare le frasi di circostanza volte a tirarla su di morale.
    
«Io con lui non ho parlato. Se hai voglia, puoi raccontarmi quello che è successo, puoi fidarti di me. Lui non si confiderà mai con me, ma magari posso aiutarti se mi dirai cos'è successo» la rincuorai con quelle parole e davvero volevo aiutarla e consolarla ma, ovviamente, ero anche tremendamente curiosa. Alexis sospirò e diede un altro morso al suo panino. Ero convinta che non avesse intenzione di confidarsi ma non fu così.
    «Quando sei andata a prendere da bere con Matt, mi ha detto francamente ciò che pensa, cioè che io non gli piaccio e continuare a fare la gentile e la carina usando il pretesto che fosse appena arrivato era patetico. Credimi che io sono una persona particolarmente estroversa e schietta quindi ho apprezzato molto la sua sincerità. Poi però dopo un'oretta scarsa è venuto in pista mi ha sussurrato se volessi concedergli "l'onore di questo ballo", mi ha abbracciata e abbiamo iniziato a ballare insieme. Infine mi ha baciata. Poi è sparito di nuovo correndo verso di te. Oggi non mi ha neanche guardata. Io non lo capisco... Ma credimi, Meredith, non ce l’ho con te però è stato veramente uno stronzo.»
    
Alexis non si metteva problemi a dire ciò che pensava ma un po' mi aveva pesato il fatto che avesse definito Jeremy uno stronzo. Da parte mia credevo che potessero stare bene insieme: lui così timido e riservato e lei così estroversa e diretta. Ero ancora dell'idea innocente che gli opposti si attraessero e ci vedevo un qualcosa di romantico in loro dunque tutta questa scortesia da parte di Jeremy non la capivo e non ero nemmeno più intenzionata a farlo. 
    «Il fatto è che, non so, boh... mi piace» confessò.
    «Mmh, in questo caso proverò a parlargli.»
    «No no ti prego! Mi sento già abbastanza umiliata.»
    Nel mentre che parlavamo notai che in qualche tavolo dietro Alexis, un po' isolato, stava seduto Heric, da solo così tentai di cambiare discorso.
    «Conosci quel tipo seduto lì?» le dissi facendole cenno di girarsi. 
    Lui alzò lo sguardo verso di noi come se mi avesse sentita e io continuai a mangiare facendo finta di niente.
    «Sì, tutti lo conoscono. È il Re del ballo. Cavoli, è proprio bello!» disse Alexis.
    Già, proprio bello. 
    Volevo saperne di più e le feci qualche domanda discreta, tipo dove abitasse o che corso seguisse, senza far trapelare la mia precoce fissazione.
    Alexis era piuttosto informata, lavorava nella redazione del giornalino della scuola: era gli occhi e le orecchie della Salem High School. Questo era tutto ciò che sapeva: Heric William Browning, diciassette anni compiuti a gennaio, frequentava il terzo anno, non faceva sport e non era coinvolto in nessuna attività extrascolastica e viveva con sua cugina Madeline, la Reginetta del Ballo, in una villa poco fuori Salem. Si erano trasferiti a settembre di quell'anno scolastico. Della sua famiglia invece nessuno sapeva nulla: circolavano voci sul fatto se vivessero o meno coi genitori, o se uno dei due fosse stato adottato dalla famiglia dell'altro o viceversa o se vivessero soli, giravano dicerie anche su presunti rapporti incestuosi o che non fossero realmente cugini.
    Suonò di nuovo la campana, la pausa pranzo era terminata. Avevo educazione fisica e andai in palestra riuscendo ad evitare Jeremy anche per quell’ora.
    Entrambi, sia Heric sia Jeremy, erano in palestra. Heric era ancora più bello in tuta e non riuscivo proprio a smetterla di fissarlo.
    Al termine dell'ora di educazione fisica mi accostai all’uscita ad aspettare Jeremy, in fondo non mi andava di tornare a piedi fino a casa.
    Un brivido, di nuovo, mi attraversò la schiena e sentii un soffio freddo sul collo. La sensazione era la stessa che provai quando vidi per la prima volta Heric lì al Ballo di Primavera.
    «Tu non hai idea di chi io sia, vero?» rimasi immobile e poi mi voltai lentamente. Avevo riconosciuto la sua voce.
    «S-s-sì, sei Heric, giusto? Stamattina...» mi interruppe.
    «Hai un buon profumo» sussurrò inspirando profondamente. 
    Rimasi senza parole. 
    «A domani» soggiunse. Poi, sorridendomi, si allontanò dirigendosi verso la sua macchina, una cabriolet nera. Doveva appartenere senz'altro ad una famiglia agiata. Lo si notava anche da come si comportava. Nessun figlio di operai o cassiere poteva permettersi quell'auto o poteva ostentare tale sicurezza di sé.
    Riflettei poi su ciò che mi aveva detto e quella frase continuò a risuonarmi in mente: «Tu non hai idea di chi io sia, vero?» sembrava quasi un chiaro riferimento alla lettera della nonna in cui mi avvertiva che nessuno era realmente come appariva ai miei occhi.
    «Meredith! Dannazione, muoviti!»
    «Arrivo!» corsi verso l’auto e chiesi scusa a Jeremy e Ashley per il ritardo.
    «Mi stavi evitando per caso?» chiese, scocciato.
    «No. Stai diventando anche presuntuoso oltre che antipatico?»
    «Mer, quel ragazzo con cui stavi parlando non è forse il Re del ballo? Wow! Ora capisco. Cioè è assurdo» mi schernì Ashley.
    «Sì, seguiamo alcuni corsi uguali. E poi scusa non stai uscendo con Nicholas?» ribattei infastidita.
    «Ah già, Nicholas...Quindi aveva ragione Jer a dire che lo avevi già accalappiato tu. Peccato» pronunciò il nome di Nicholas quasi con stupore come se uscire insieme a qualcuno fosse una cosa dimenticabile e fosse già pronta a passare al prossimo ragazzo. Ma Ashley era così, frivola e superficiale, passava da un ragazzo all'altro senza troppe preoccupazioni. Non mi importava che Nick stesse uscendo con qualcun’altra, mi dava fastidio però che uscisse proprio con la mia sorellastra, per principio. Ma con Heric non doveva assolutamente provarci. Nella mia testa lui era già mio. Non mi capitava dalla prima superiore, lì al liceo di Coral Spring, di provare questa sensazione del cosiddetto colpo di fulmine. Mi presi una cotta sin dal primo giorno per un ragazzo del mio corso di arte, Jackson Turner, che era però due anni più grande di me. Era bello, non come Heric, ma possedeva il suo fascino da ragazzo ribelle. Era più grande e rivendicava sempre il suo voler essere uno spirito libero. Dopo essere usciti per qualche tempo ci fidanzammo e innamorammo, o per lo meno io me ne innamorai. Fu sospeso perché aveva fatto a botte con uno dei giocatori della squadra di football il quale, a differenza sua, era figlio di papà. Rischiò guai seri perché aveva già sedici anni ed era perseguibile penalmente. Non lo rividi più perché lasciò la scuola e andò a lavorare in un'altra città. Poi, dopo qualche tempo, all'inizio del penultimo anno al liceo di Coral Spring incontrai Mark Grey, il ragazzo che mi vomitò sul vestito la sera del ballo. Non ero veramente interessata a lui, pensavo ancora a Jackson in realtà, ma Mark era divertente e simpatico ed era un ottimo diversivo. Anche lui però, dopo l'incidente all'Homecoming, scomparì. Il mio excurs di ex ragazzi o semplici ragazzi che avevo frequentato o che mi erano piaciuti era tragico e demoralizzante. Chissà come sarebbe andata a finire con Heric?! Nella mia fantasia già risuonavano le campane nuziali, sempre se anche lui non sarebbe scappato via. Continuavo a pensarci e ripensarci, senza conoscere nient’altro che il suo nome e qualche infondato pettegolezzo. Sapere che lui a sua volta non sapeva minimamente chi fossi e nemmeno mi pensava come stavo facendo io, era deprimente. Deprimente e patetico. Però sapeva il mio nome e avevamo già parlato per ben due volte. Per ora era abbastanza. Per ora, mi bastava. Che felicità!

***

    Tornati a casa mi rinchiusi in camera ma nulla, continuavo a pensarci, non riuscivo nemmeno a studiare. Cercai di stalkerarlo su Facebooke vari social network ma di lui neanche l'ombra. Forse si era cancellato dalle troppe richieste? Forse aveva un nome fasullo per evitare di esser appunto vittima di stalking da parte di ragazzine sciocche come me? Purtroppo era diventato il mio pensiero fisso, che stupida.
    «Posso parlarti un attimo?» disse Jeremy bussando la porta della mia stanza e aprendola allo stesso tempo disturbando i miei sciocchi pensieri. 
    «Non ti ho detto di entrare. Cosa c’è?» chiusi svelta il mio portatile per evitare che Jeremy vedesse ciò che stessi facendo.
    «Quel tipo, il ragazzo misterioso, non mi piace.»
    «Me lo auguro!»
    «Non in quel senso, stupida!»
    «Non deve mica piacere a te, in nessun senso.»
    «Ma quanto sei scema? Non dovresti vederlo.»
    «Chi sei mio padre? La mia guardia del corpo?»
    «Eh...»
    «Mmh?»
    «Stai attenta.»
    Questi suoi continui avvertimenti iniziavano a darmi sui nervi. Odiavo essere controllata e tenuta d'occhio, soprattutto da qualcuno più piccolo di me. Avevamo qualche mese di differenza, ma delle volte parevano anni talmente si comportava da immaturo. Inoltre, tra lui ed Heric non sapevo proprio chi fosse il vero ragazzo misterioso. Forse proprio Jeremy, anzi, più che misterioso era incomprensibile.
    A cena non gli rivolsi la parola sebbene in questo modo stessimo mettendo in tensione tutta la famiglia. La nostra ostilità nell'aria era tangibile.
    «Che strano ciondolo! Dove lo hai preso?» mi domandò Ashley.
    «Ma non era della nonna? Dove l’hai trovato?» chiese invece mia mamma con tono incredulo.
    «Su in soffitta, in un baule» mugugnò qualcosa che non riuscii a comprendere. Probabilmente non capiva perché lo indossassi io o perchè fossi andata a frugare in soffitta tra le vecchie cose della nonna.
    Finito di cenare, seguii Jeremy fino in camera sua. Dovevo parlargli io stavolta.
    Chiusi la porta e mi sedetti sul suo letto mentre lui osservava tutti i miei movimenti poggiato alla finestra con le spalle verso l'esterno. 
    «Ieri alla fine non abbiamo parlato. Perché ti sei comportato così con Alexis?»
    «Non lo so. Ero ubriaco.»
    «Ma non dire cavolate! Non hai bevuto niente!»
    Rise di gusto e fece spallucce.
    «Tu perché stai facendo l'oca con quel tipo?»
    «Che cosa? Come ti permetti? E poi non è di me che stiamo parlando adesso!»
    Ridacchiò di nuovo e si voltò togliendosi la maglietta.
    «Ma che fai?»
    «Mi cambio. Sono stanco e voglio dormire» disse liquidandomi a torso nudo.
    Prima di chiudere la porta lo pregai, di nuovo, di comportarsi bene e di non fare l'idiota con Alexis. Di tutta risposta mi mandò a quel paese dicendomi di farmi gli affari miei.
    Erano affari miei eccome.   

    Andai nuovamente a dormire con l'umore nero sempre per colpa di Jeremy. I suoi avvertimenti però cominciavano ad insospettirmi e volevo capirne la ragione così mi scervellai tutta la nottata fino a che non caddi in un sonno profondo. 
    Quella notte inoltre sognai di nuovo.

    Stavolta mi trovavo nella biblioteca della scuola. Il silenzio regnava sovrano in tutto l'edificio, i corridoi erano vuoti e le luci ovunque erano spente, solo quella di emergenza posta sopra la porta d'accesso alla biblioteca rilasciava un fioco fascio luminoso verde mentre la candela posta sopra un piccolo tavolo rialzato illuminava l'intera sala lettura. Io ero in piedi dando le spalle alla porta d'ingesso alla biblioteca e stavo sopra la pedana che sorreggeva quella sorta di podio, intenta a leggere il libro che vi era posato, un libro simile a quello che c’era su in soffitta, vecchio, con la copertina rigida e le pagine consunte di cui non riuscivo a decodificarne le parole. Era un grimorio, scritto in una strana lingua, probabilmente in latino. Nell'aria si percepiva un'atmosfera strana, inquietante e ostile. Ero talmente concentrata a capire cosa vi fosse scritto in quelle pagine, che non mi accorsi che nella biblioteca era giunta una presenza estranea.
    «È pericoloso stare qui» disse la persona alle mie spalle con voce pragmatica. Non aveva pronunciato quella frase con tono preoccupato anzi percepii una nota di ironia e sarcasmo e suonava quasi come un avvertimento che in realtà il pericolo fosse lui. 
    «Heric» non mi voltai. Sapevo per certo che era lui, la sua voce era inconfondibile e la sua presenza eterea palpabile.
    Sentii i suoi passi leggeri percorrere un tratto per avvicinarsi a me. Io non mi voltai mai per guardare verso di lui, mi sentivo quasi come se fossi Orfeo: se mi fossi girata, l'avrei perso per sempre. Herci si abbassò leggermente per sussurrarmi qualcosa all'orecchio appoggiando la mano sul tavolo per sostenersi dove io stavo sfogliando quello strano libro e mi sembrò di sentire lo stesso soffio gelido sul collo di quando Heric mi aveva chiesto se sapessi chi fosse quella mattina. Lesse ad alta voce una manciata di frasi, l'unica che poi mi ricordai appena sveglia e che mi appuntai su un foglio di carta fu: «Timeo daemones et res adversae ferentes»*.
    Sospirò pesantemente spirando il suo alito freddo sulla mia nuca..  
    «Ma tu non mi temi, non è vero?»
    «Numquăm»* risposi io. Il perché parlassi nella stessa lingua in cui era scritto il grimorio, non lo sapevo ma nel sogno ero cosciente di saper leggere e comprendere quelle pagine.
    «Vieni con me» disse con voce suadente Heric, e non era una domanda o un invito, ma un obbligo. Sapevo che fosse Heric ma allo stesso tempo non era in lui e non era lui, quello che mi parlava in quella maniera non era la sua persona. E di questo fui dubbiosa poiché, nonostante la voce inconfondibile, non mi voltai mai per osservarlo in viso e lui rimase tutto il tempo alle mie spalle. Si scostò un po' in modo che avessi lo spazio per scendere da quel piccolo altare e gli andai vicino, pronta a seguirlo.
    «Meredith no!» Jeremy apparve nel sogno all'improvviso, per salvarmi da non so cosa e mi afferrò il braccio per trattenermi. 
    Come l’altra notte mi svegliai verso le tre del mattino tremante e impaurita. Che mi stesse davvero succedendo qualcosa di strano? Che fossero vere tutte quelle leggende?
    Strinsi il ciondolo tra le mani come se potesse darmi risposte e conforto. Era freddissimo. Chissà quale sorta di marchingegno gli faceva cambiare temperatura!
    Scesi in cucina a bere qualcosa per rilassarmi un po' e tornai in camera per leggere il diario della nonna. Nella lettera aveva scritto di leggerlo perché mi avrebbe aiutata a capire. Lo sfogliai dall'inizio alla fine e con la coda dell'occhio trovai una pagina intitolata Sogni, di cui scrisse però pochissime righe quando aveva circa quindici anni, ossia più o meno la mia età.


16 aprile 1953

Sogni.

«Inizio a fare sogni strani. Alcuni mi inquietano altri mi eccitano facendomi sentire un enorme potere tra le mie mani altri ancora mi lasciano dubbi e perplessità sul loro significato reale.
La nonna ha detto che i sogni di una strega alle prime armi non sono mai del tutto attendibili, sono confusi, spesso in ambientazioni irreali e rappresentan
o ciò che la strega vorrebbe succedesse o mostrano alla strega ciò che dovrebbe vedere nella realtà ma che in realtà, appunto, non riesce a vedere. Spesso, dice sempre nonna Elvira, soprattutto all'inizio, il vero significato di questi sogni è celato da circostanze differenti che ne possono alterare in parte la veridicità e dunque ingannare la coscienza di una giovane apprendista. 
Una strega esperta non ha bisogno di dormire per vedere il futuro, ma nei sogni troverà sempre un qualcosa in più. Un indizio.
I primi segnali che fanno presagire la comparsa del Dono sono rappresentati proprio dal susseguirsi di stati alterati della coscienza: sogni, visioni, premonizioni. Così ho letto da qualche parte nel Grimorio dei Morgan. Con la costanza e la disciplina si arriverà ad avere il totale controllo del proprio potere di veggenza che sarà poi del tutto attendibile.
E così, almeno, ci ripete sempre nonna Elvira.»



    Non ero una strega. I miei sogni non avevano alcun significato, né erano un desiderio inconscio, e, a parte Jeremy che rovinava sempre tutto, non c'erano altri particolari relativi alla realtà.
    La mia razionalità stava cedendo il posto alla follia. 




Angolo autrice.
*«Timeo deamones et res adversae ferentes»: è un adattamento della frase latina contenuta nell'Eneide di Virgilio e significa:«Temo i demoni e le sventure che portano». L'originale è «Timeo Danaos et dona ferentes» ovvero «Temo i greci anche quando portano i doni» Mi sono affidata a wikipedia che indicava entrambe le traduzioni anche se sottolinea che la tradizione «Temo i greci e i doni che portano» sia grammaticalmente inesatta. Non ho trovato il corrispettivo latino di vampiri per cui ho usato il sostantivo deamon-is ovvero demone-i del tardo latino il quale è però abbastanza recente. C'era anche strix-strigis cioè uccelli rapaci che succhiano il sangue ma non mi piaceva molto in quanto "suona" di più come riferito ad una strega.
*«Numquam»: mai in latino.

P.S.: il mio latino è particolarmente arrugginito. Non esitate a farmi notare errori vari.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Maghi e Streghe / Vai alla pagina dell'autore: Miss Halfway