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Autore: Testechevolano    01/09/2016    3 recensioni
Una bambina viene abbandonata misteriosamente sulla porta di un monastero con una croce che sembra portare il peso di quell'azione. Viene chiamata Suryan, come il sole che sembra portare dentro.
Sembrava che quella croce le volesse cadere addosso ma era solo un'incisione, non poteva. Ma la donna sapeva che se avesse potuto l'avrebbe già schiacciata[...]Se lo meritava.
Ella viene allevata dalle suore del convento e segue le loro orme insieme alla sua inseparabile amica Judit.
Judit, nonostante fosse contro le regole, aiutò Suryan a sistemarsi. Sapevano che la vera arma per mantenere un segreto era quella di non farne parola nemmeno fra di loro.
Il passato di Suryan però non ha niente di più lontano dalla chiesa, anzi. Il suo passato parla di perseguitazioni, di superstizione, mistero ma soprattutto di una profezia.
Beatrix fece volare il bicchiere con un solo gesto e lo face finire in grembo al cugino, che sorridendo lo fece fluttuare alzando semplicemente lo sguardo. Il contenuto del bicchiere tremò. I due cugini si guardarono negli occhi.
Bombe. Spari. Urla.
-Benvenuto all'inferno, cugino.

Coppie principali femslash ed het.
Genere: Guerra, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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I


La neve si poggiava leggera sul suolo marmoreo, imbiancandolo nel modo in cui i pasticceri di Osternia solevano glassare la panna sulle gustose opere atte a soddisfare il bisogno di dolci dei tanti abitanti di quella città.
Le ville più lussuose facevano bella mostra di sé per mezzo del materiale modellato con cui i padroni avevano fatto rivestire i muri, allora indice di ricchezza. Quegli stessi nobili, per la verità, non erano trai cittadini più umili e caritatevoli, ma conoscevano il modo di fare per guadagnare appoggio e simpatia dai veri signori di Osternia, coloro che abitavano e gestivano il monastero più antico e grande della valle, situato su un'altura poco distante dai primi centri abitati.
Il monastero suscitava ai più un misto di curiosità ed inquietudine per via del suo vetusto aspetto, destando nei turisti il sospetto che potesse non reggere a lungo. La struttura era tuttavia forte e resistente, costruita su solide basi cento anni prima della fondazione della città, che allora non aveva nome ed era talmente piccola da essere poco popolosa, tanto che gli abitanti potevano dirsi poveri e poco istruiti; si lasciavano infatti trasportare dalla corrente prodotta dalle mille voci che giravano intorno a quei luoghi, identificandoli come tanti, piccoli rifugi di streghe.
La presenza del monastero era fondamentale e il suo ruolo, prima ancora di istruire giovani suore prima che esse venissero mandate nei conventi, era quietare l'animo degli abitanti di quei misteriosi luoghi, tenendo lontano le presenze maligne tanto decantate tramite le suppliche e le preghiere di chi lo abitava.
Suryan aveva provato più e più volte a percorrere tutto il perimetro del monastero in un giorno, crollando ogni volta ad un passo dalla fine. L'arredamento non era stato cambiato dalla fondazione e risentiva ancora di quel poco che metteva a loro agio le giovani: un ambiente caldo e accogliente, con pareti chiare e i divani beige sopra cui giacevano morbidi cuscini. La distrazione è peccato, diceva sempre la Superiora, aspirare ad avere di più di ciò che si ha rende le persone vuote e chiuse, oltre che viziate.
Suryan non aveva mai aspirato a niente né aveva mai pensato ad un cammino diverso da quello tracciato dal Signore per lei; Gli era grata e devota. Un tetto era un lusso che molti non potevano permettersi in tempi di carestia, ragion per cui la mattina, quando sistemava accuratamente i capelli castani nel velo, ringraziava per tutto ciò che aveva e che mai avrebbe voluto perdere.
Un pomeriggio di inverno inoltrato, si ritrovò a passeggiare per il dormitorio in direzione della sua stanza un'ora prima della sua solita entrata.
Natale era vicino e per il monastero iniziavano a diffondersi cori di voci soavi, appartenenti alle suore che si esercitavano prima del tradizionale concerto di Natale. Suryan, nonostante le continue pressioni di Judit, non si era minimamente interessata alle attività del coro, continuando a pregare per conto proprio, chiedendo un felice e sereno Natale.
Quando aprì la porta che dava accesso alla sua camera, vide la suddetta amica sventolare per aria mantelli neri e marroni con la solita aria impacciata. Come ella varcò la soglia, gli occhi grigi della diciottenne Judit si posarono su di lei, supplichevoli.
- Suryan, prendimi il manto nero.
Il suo tono, tuttavia, aveva ben poco di supplichevole. Suryan conosceva bene l'amica e sapeva quanto fosse goffa ed impacciata, difetti che sembravano futili quando iniziava a cantare. Le due condividevano la stessa stanza, sebbene Suryan fosse più piccola di tre anni; si volevano molto bene, contavano l'una sull'altra, pregavano sempre allo stesso orario, si scambiavano rosari e consigli spirituali. Erano cresciute insieme e insieme avevano affrontato quello che era il massimo pericolo all'interno del monastero: l'ammonimento della Superiora, che faceva sentire il suo peso quando Judit ne combinava una delle sue e si trascinava dietro Suryan.
Sorridendo mentre pensava a quanto fosse fortunata ad avere nella sua vita una persona come lei, la bruna si sporse e inclinò la testa verso l'alto per prendere il giaccone dell'amica, facendo cadere il velo scoprendo così i suoi capelli castano scuro. Subito raccolse il velo per coprirsi, si sentì nuda.
- Judit, tieni - le porse il cappotto mentre armeggiava col velo.
Judit, nonostante fosse contro le regole, aiutò Suryan a sistemarsi. Nessuna delle due proferì parola: sapevano che la vera arma per mantenere un segreto era quella di non farne addirittura parola neanche fra di loro.
- Sicura di non voler venire, Suryan? - le chiese appena ebbe finito di sistemarla.
- Ecco, preferirei non varcare le porte del monastero, non mi piace, odio stare fuori da qui - e aprì le braccia goffamente come a voler racchiudere l'intera struttura.
- Lo capisco, ma credo che la nostra presenza per le strade potrebbe spingere altre ragazze a venire da noi, a dichiararsi a Dio.
Suryan soppesò le parole e poi disse: - Hai ragione, Judit. Vengo con te.
Le due si scambiarono un'occhiata complice aggiungendo lo sfregamento di naso. Fuori da quella porta dovevano chiamarsi Suor Judit e Suor Suryan.
Suor Judit e Suor Suryan uscirono con calma dal monastero dopo aver avuto il permesso della Maggiore Elisabeth. Superate le abitazioni modeste che davano accesso alla parte più bella della città, avanzarono in silenzio verso la meta, situata al centro di Osternia, in una piazza ove la statua di un angelo con le braccia aperte come ad abbracciare la chiesa modesta induceva i passanti a fermarsi per ammirarla.
Le due si lasciarono alle spalle un gruppo di fanciulle che esclamava a gran voce quanto la città fosse loro grata.
- Non è a noi che dovete la vostra gratitudine - aveva detto Judit poco prima.
Quando arrivarono di fronte alla statua, Suryan disse: - Hai carisma.
L'altra continuò a guardare avanti, prima di prendere parola: - È un dono lasciatomi dal Signore.
Per la verità, a Suryan quelle erano sempre sembrate parole vuote, non pronunciate con sentimento, come se ogni giorno Judit recitasse una poesia per impararla a memoria e imprimerla a fuoco nella mente. Stava per aprir bocca, ma la venuta di Padre John, il pastore, le impedì di pronunciare quelle parole piene di dubbio.
Il campanile della chiesa dominava la piazza e i suoi rintocchi allo scoccare dell'ora erano sublimi richiami alla vita. Il tempo era la vita stessa e quei rintocchi ne erano i suoi richiami. La piazza si riempì proprio di quei rintocchi, quando egli giunse di fronte a loro. Era un uomo bassino e con qualche ruga al confine del volto ma abbastanza giovane. Era sempre vivace e allegro; egli diceva che era Dio che l'aveva reso felice e lo ringraziava ogni giorno alla fine della Messa, dicendo: "Grazie Dio per me, per essere me". Era un uomo carismatico e sapeva trasportare i presenti con la sua vivacità, non per questo la sua chiesa era una delle più frequentate. Egli organizzava pure viaggi per i ragazzi della chiesa e attività pomeridiane; aveva molto a cuore soprattutto i giovani.
- Padre John! - Suor Judit gli corse incontro felice. Il Padre l'accolse con altrettanto entusiasmo tra le sue braccia. Suryan più cauta e sulle sue gli strinse la mano sorridendo.
- Ragazze mie! Non facevo che pensarvi in questi giorni. Ho un'attività che farebbe al caso vostro: sto organizzando una visita guidata per le cattedrali più grandi del mondo con un sacco di ragazzi della vostra età, che ne pensate? - la sua voce colma di gioia ed entusiasmo fece ridere Suor Judit di cuore.
Suor Suryan la fulminò con lo sguardo e poi si rivolse a Padre John: - Ci dispiace tanto dover dirle di no, dopo aver visto il suo entusiasmo, ma dobbiamo farlo, siamo delle suore troppo giovani per lasciare il monastero, non credo sia conveniente.
Padre John si torturò il mento e poi si illuminò: - Parlerò io con la vostra Superiora, la convincerò. Suor Suryan, in questo viaggio non c'è niente di sconveniente, anzi, potrebbe solo giovare alla vostra cultura cattolica.
Suryan scosse la testa e stava per aprire la bocca quando Suor Judit la interruppe: - Ci faccia sapere la risposta. Noi domani saremo libere da ogni impegno, veda lei. Grazie, Padre. - Lo abbracciò e si tirò Suryan senza aspettare risposta.
Piccoli fiocchi di neve discendevano fino al suolo, tanto da abbassare la temperatura già compromessa dal giorno in cui iniziò a tuonare così rapidamente da non lasciar dubbio alla gente che l'inverno fosse giunto come un angelo vendicativo brucia la Terra senza che gli abitanti abbiano il tempo di realizzare ciò.
- Ma che ti salta per la testa? - la voce di Suryan era stizzita. Passeggiavano per le stradine sotto gli occhi vigili dei paesani, che le guardavano in segno di dispiacere. Pensavano forse che avevano una vita segnata e piena di vuoto?
- Tu non capisci, sarà un'esperienza fantastica!
Suor Judit esclamò a voce troppo alta e delle donne dai capelli corti con delle lunghe gonne colorate sghignazzarono, avevano di fianco dei bambini di circa sei anni che le tiravano e piagnucolavano stanchi. A Suryan non sfuggì lo sguardo divertito di un ragazzo dai capelli rossi in direzione della mano di Judit che stringeva la manica del suo giaccone.
- Non comportarti come una semplice ragazzina stupida! - sbraitò inferocita per le parole dell'amica. Lei non capiva niente? Lei capiva fin troppo, Judit si sarebbe persa con quel viaggio, era già un po' fuori di testa. E non poteva permetterlo.
- Qui la stupida sei solo tu! - la voce di Suor Judit tremò, mentre svoltarono l'angolo quasi davanti al monastero. Le veniva da piangere ma non poteva farlo.
Judit. La ragazzina che aveva insistito, anni prima, che a Suryan venisse assegnata la camera che avrebbe condiviso con lei; e che poi osservava sempre, di nascosto, la notte mentre con un gesto violento si strappava il velo di dosso gettandolo per terra, scoprendo i boccoli mori; che rimirava il paesaggio innevato fuori dalla finestra come se si aspettasse che qualcuno la venisse a prendere.
L'indole ribelle della compagna non era una novità per Suryan, che la studiava spesso, di nascosto. Riteneva che se voleva andare avanti in quel monastero e in quella vita non doveva costruire castelli di sabbia aspettandosi che rimanessero laddove li aveva costruiti per sempre. Perché la sabbia il vento se la porta via e si sgretola alla sua forza.
- Bene, la Superiora non ci concederà nessun permesso, problema risolto.
Judit la guardò con tristezza e con gli occhi lucidi si voltò verso il basso e tra di loro non volò più una parola. Nemmeno al rientro al monastero, la sera, si diedero la buonanotte, come loro abitudine.
Avevano fatto il loro ingresso silenziosamente nella camera che condividevano e si erano semplicemente preparate per la notte.
Suryan non riuscì a chiudere occhio fino all'alba, quando la fioca luce che penetrava dai piccoli squarci di nuvole arrivò a dare colore all'ambiente circostante. Non aveva nemmeno assistito al gesto ricorrente di Judit, che quella notte non si era nemmeno voltata; chiunque avrebbe pensato che fosse placidamente addormentata, chiunque che non fosse Suryan.
Chiuse gli occhi solo quando i pensieri si arrestarono e la mente fu libera di vagare, proiettando immagini di luoghi sconosciuti e permettendo che ella udisse voci poco cristalline, tante in un un'eco lontana, dove solo una, tra due lingue di fuoco, seppe emergere dandole chiara visione.
"Hidden!"
Gli occhi di Suryan si spalancarono sul soffitto bianco e il corpo fu percorso da brividi. Avvertì un lieve dolore alle cosce e ai piedi, si rese conto di respirare affannosamente.
Si tirò a sedere massaggiandosi la fronte, appena sopra le sopracciglia scure, e si sentì strozzare. La schiena fortunatamente non le doleva, ma un leggero mal di testa peggiorava la condizione in cui si trovava. Si tolse rapidamente il velo scoprendo i filami castani sudati ed incollati in parte al collo, dove era situato l'atlante.
Sospirò e si rimise supina, chiudendo gli occhi. Cosa aveva detto, quella voce? Non riusciva a ricordare la parola proferita, ma la disperazione nel tono che il suo possessore aveva messo non l'avrebbe mai scordata. Cadde in un sonno senza sogni.

- Suor Judit, Suor Suryan, svegliatevi - la voce pacata di Suor Caroline svegliò le ragazze che la guardarono con aria interrogativa, erano le sei del mattino.
- È successo forse qualcosa? - Suor Suryan scostò le lenzuola bianche e si alzò in piedi, facendo strisciare la sua lunghissima camicia da notte azzurro chiaro.
Aveva dormito mezz'ora soltanto, brutto proposito per iniziare la giornata.
- Non saprei, Suor Suryan. La Madre Superiora vi vuole nel suo studio.
Le due si vestirono di fretta sotto lo sguardo vigile di Suor Caroline.
Portava l'abito sacro in modo elegante e serio, Suryan ne invidiava la dolce serietà che metteva in tutte le cose. Era stata Suor Caroline a trovarla abbandonata dietro il portone del monastero. L'aveva sentita piangere e l'aveva presa con sé. Questo è quello che le raccontava ogni volta che ella avesse un attimo di curiosità del "prima".
Judit sembrava ben riposata, nonostante Suryan avesse ben capito che non aveva dormito nemmeno la sua compagna. Quella ragazza era piena di misteri.
Arrivarono davanti la porta dello studio, stanza che veniva utilizzata per i colloqui per le adozioni, interazioni varie con il monastero e molto altro.
- Avanti, entrate.
Le due ragazze fecero un cenno col capo in segno di saluto e si accomodarono sulle sedioline poste davanti la scrivania, anch'essa in legno.
La Superiora stava dall'altra parte della scrivania, le mani congiunte e la schiena dritta. Appena poche ciocche bionde sfuggivano dalla gabbia che era il velo.
- Ieri sera, sul tardi, ho ricevuto una chiamata - scrutò le ragazze, in cerca di colpevolezza. Non ne trovò.
Annuì soddisfatta e disse: - Partirete insieme al Padre John.
Suryan aprì la bocca per replicare il suo disappunto ma poi si volse verso l'amica e vide la gioia nei suoi occhi grigi.
- Credo.. sia un'ottima idea. - Suryan si sforzò di esserne entusiasta e nel frattempo mostrando serietà. Era una gita seria, i divertimenti non erano ammessi.
La Superiora annuì e invitò Judit ad esprimere la propria.
- Io.. sì, è un'ottima esperienza. - Tremava ed era disorientata. Chissà per cosa, per la reazione di Suryan o per il permesso accordato dalla Superiora?
- Andrà bene, Suor Judit, stia tranquilla - la Superiora prese la sua reazione per incertezza, equivocandone la stessa.
Suryan annuì ed entrambe si alzarono all'uniscono per poi lasciare la stanza, solo dopo dieci minuti di colloquio.

Il vento aveva smesso di ululare quando Beatrix era entrata, coperta di neve dalle ginocchia al copricapo, mentre l'orologio aveva battuto mezzogiorno.
Si ritrovò seduta dalla parte esposta del bancone con in mano un bicchiere in cui era stato versato, minuti prima, il suo amato e venerato whisky. Liberò i capelli corvini dal cappello di stoffa e lo gettò su uno sgabello poco distante, marcando il territorio. Jalice, dall'altro lato del bancone, osservò quel gesto con espressione curiosa e divertita, puntando gli occhi chiari in quelli scuri di lei. Adorava osservarla. Lo faceva ormai da anni.
- C'è qualcosa che vorresti dirmi, 'Lice? - sorseggiò il whisky in tutta calma, aspettando la sua risposta.
Era la solita domanda che Bea rivolgeva all'amica, quando ella la guardava, era ormai un rituale per loro.
La rossa ridacchiò prima di posare il bicchiere che era intenta a strofinare con un panno umido, dandole non esattamente una risposta: - Dovresti guardarti allo specchio: hai delle occhiaie spaventose!
La corvina, tanto per cambiare, non seguì il suo consiglio e continuò a bere. Jalice era la figlia del proprietario di quello che chiamavano "Pub", sebbene delle volte venissero serviti piatti che in un normale pub gli allegri buongustai si sarebbero sognati e fosse aperto anche di giorno. Quella baracca malmessa stava in piedi grazie a non si sa quale magia e Beatrix non mancava di ricordare all'amica che avrebbe dovuto far pressione al padre che facesse radere al suolo quel postaccio ed infine aprire un'attività più sicura e che prevedesse meno bicchieri frantumati.
Se solo la famiglia di Jalice non fosse stata tanto affezionata a quel discutibile luogo, i suoi consigli sarebbero stati ben accetti.
La padroncina si portò una ciocca rossa dietro i capelli e i suoi occhi azzurri si persero oltre il bicchiere che aveva davanti. - Tuo cugino non è più venuto, sta forse male?
Il bicchiere che Beatrix teneva in mano venne violentemente sbattuto sul legno. L'artefice di quel gesto lanciò uno sguardo iroso all'amica, che tuttavia non cambiò espressione.
I cuoricini e le stelline che penzolavano dal soffitto presero a muoversi, annunciando l'arrivo di un cliente. A conferma della presenza di un nuovo ospite, la porta d'ingresso venne sbattuta violentemente e una voce si levò al di sopra delle altre: - Un altro attacco, questa volta in Migher!
L'intero pub si volse verso l'uomo che aveva gridato, basso e pure brutto, a parer di Jalice.
Beatrix ordinò un altro bicchiere, quando il tipo ricominciò a parlare, seguito da sussurri e mormorii increduli: - Non era un esercito compatto, i soldati erano sparsi intorno ai confini della città. Duecento morti, quarantatre feriti.
A Jalice cadde la caraffa dalle mani. Il pub si riempì di voci alterate, disgustate e terrorizzate.
- Stanno venendo qui!
- Chiameranno anche noi alle armi!
- Noi non siamo come loro, chi ci vuole?!
- Volevano un pretesto per ucciderci, eccolo qua!
- Bea! - esclamò Jalice vedendo l'amica alzarsi ed afferrare cappotto e cappello.
L'altra non si scompose al richiamo dell'amica e avanzò verso la porta facendosi strada trai corpi scossi da brividi d'orrore delle persone presenti.
Chiuse la porta alle spalle e avanzò nella neve, affondando le mani nelle tasche.

- Suryan, non abbiamo tutto il giorno - le ricordò Judit, oltre la soglia della loro stanza.
Suryan era ferma davanti al letto, sembrava incerta. L'idea di uscire dal monastero non le era piaciuta prima e non le sarebbe piaciuta dopo.
Guardò in direzione dell'amica, scoprendo che la sua espressione era quella di una tipica ragazza impaziente. Tirò un sospiro, memore della solita condotta di Judit, e pregò che tenesse un atteggiamento decoroso quantomeno dinanzi i più giovani.
Judit si grattò il naso con le unghie rigorosamente corte, prima di allontanarsi dal luogo ove rischiava di far radici aspettando la fin troppo riflessiva amica. Si fermò di fronte alla grande vetrata che dava sul cortile interno, ammirando il vetro blu e quello rosso che da terra arrivavano a toccare le ali di un angelo dorato.
Quella notte aveva fatto un altro incubo. Era il terzo in una settimana e non prometteva bene. Il primo l'aveva scossa, ma non preoccupata, in quanto aveva creduto che fosse stata la proiezione di un pensiero brutto ma che mai sarebbe divenuto realtà. Ella era in piedi, al centro di una stanza buia, i capelli liberi dal velo e i vestiti stropicciati e rovinati in alcuni punti; la pelle candida era macchiata di sangue e stringeva un pugnale con la mano destra; un'ombra le parlava, dall'angolo della stanza.
"Non tornare."
Si massaggiò la fronte e guardò il viso dell'angelo. Sembrava ridere di lei.
Il secondo sogno l'aveva inquietata maggiormente: premuta contro una parete lurida dal corpo di una donna, la lama di un coltello puntata alla sua gola e il dolore che si spandeva per il corpo.
"Dove sono quella puttana e quel verme?!"
Si lasciò sfuggire un sospiro. Quella notte aveva dormito poco e le era bastato, ma avrebbe di certo preferito stare sveglia alla sorpresa che la notte le aveva preservato.
La statua dell'angelo che si trovava al centro della piazza bruciava trascinando al suolo l'intera città; il cielo notturno era coperto da nubi di fumo ed urla di terrore fracassavano i suoi timpani; un solo corpo di uomo si trovava in piedi di fronte a lei e lo sguardo era fermo sul suo, di corpo, accasciato per terra.
Occhi azzurri e taglienti come lame del cielo, armi del Paradiso in grado di perforare un diamante.
"Vieni con me all'Inferno."
- Andiamo?
Al richiamo di Suryan, Judit sobbalzò, rendendosi conto di aver trattenuto il respiro.
L'amica la guardava con aria interrogativa, gli occhi cangianti che quel giorno avevano abbandonato il grigio scuro, in confronto a quello chiaro dell'amica, e avevano iniziato a luccicare di verde.
- Nel caso te lo stia chiedendo, e so che te lo stai chiedendo, non stavo pensando a nulla di osceno né tantomeno di riprovevole o frivolo!
Suryan in modo un po' ostile rispose: - Io non ti ho chiesto di rivelarmi i tuoi pensieri.
Mossa dall'acidità dell'amica Judit parlò: - Perché l'hai fatto?
Suryan fece finta di non capire. Non voleva mostrare a Judit quanto valesse il loro rapporto per lei, né che cosa era disposta a rinunciare per fare pace. Sembrava un ragionamento così infantile e sentimentale che fece sentire Suryan a disagio.
- Perché non hai detto che non volevi andare? - incalzò Judit, fermandosi in mezzo al corridoio deserto. Era troppo presto per vedere anche solo qualcuno alzato; la sveglia era per tutti alle sette, tranne per la Superiora Elisabeh e la sua fedele suora Caroline, che si svegliavano alle cinque.
- Ho cambiato idea, so poco dei monasteri.
Non la guardò nemmeno e proseguì spedita, iniziando a macinare distanza da Judit. Ma non per questo, girando l'angolo, non vide l'espressione di delusione sul viso pallido della stessa.
Quando Judit si riscosse, tornò a guardare la figura della compagna che si allontanava: il passo deciso che la conduceva verso la meta e il velo sfiorato dai lievi raggi del sole che celava la chioma castana.
"Vieni con me all'Inferno."

   
 
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