Matt
«Oh,
fantastico!» Esordii, subito dopo aver visto Gwen, rincorsa
da Jessie, andare
verso la spiaggia. «Merda.»
«Serata
rovinata.» Commentò Dom, sospirando.
Rimasi in
silenzio un attimo. Non sapevo cosa fare. Seguirli e intromettermi in
qualcosa
che non mi riguardava o non seguirli e farmi gli affari miei? Guardai
Dominic
in cerca di riposte. Speravo che mi dicesse lui come dovevo
comportarmi, ma al
momento sembrava solo preoccupato dal fatto che anche quella sera fosse
andato
tutto a rotoli con Lola. Si accorse poco dopo del mio sguardo
insistente e mi
fece un cenno del capo come a dire “cosa
c’è?”.
«Cosa faccio?»
Gli domandai.
«A me lo
chiedi?» Stessa risposta che avrei dato io al suo posto.
«Dimmi
qualcosa.» Lo implorai, quasi.
Silenzio.
«Vai.» Disse,
subito dopo.
Appoggiai la bottiglia di birra sul bancone del bar e mi avviai verso
la
spiaggia.
«Non
ammazzarlo!» Mi sentii gridare poi, da dietro le spalle.
Accennai un sorriso divertito, ma senza voltarmi. Non ero incazzato, mi
era
passata. Non avrei messo le mani addosso a nessuno perché,
volente o nolente,
non era un problema mio, quello; ero solo preoccupato per
l’incolumità di
entrambi – ovviamente di più per quella di Gwen,
perché lui un paio di schiaffi,
alla fin fine, se li sarebbe meritati e basta.
Passai vicino a quella che doveva essere la ragazza che se la faceva
con Jessie;
si era fermata dietro un palma. In quell’istante la raggiunse
un’amica e le
sentii parlare.
«Chi cazzo è
quella?!» Esclamò l’altra.
Non mi fermai.
Non era mio compito chiarire la situazione.
Un po’ più
avanti vidi Lola, che aveva deciso di interrompere la sua corsa.
«Seratona, eh?»
Le dissi, una volta raggiunta.
«Cristo santo.»
Fu la sua risposta, alzando le braccia.
Guardai nella
stessa direzione in cui stava guardando lei e li vidi. Saranno stati
avanti una
cinquantina di metri rispetto a noi, non si capiva bene quello che
stavano
dicendo, ma sentivo Gwen urlare, lui invece sembrava rispondere in modo
piuttosto pacato. Ad un tratto, però, riuscii ad udire
distintamente Gwen
gridare la parola «schifo» e, immediatamente dopo,
lanciarsi contro Jessie con
rabbia. Iniziò a colpirlo. Un pugno, due pugni,
tre… Lui non reagiva e lei
sembrava non volersi fermare, così decisi di correre
là per sedare la
situazione.
Presi Gwen da dietro, afferandola per la vita, ma lei cercò
di divincolarsi.
Era piccoletta, ma aveva una forza non indifferente. La sollevai da
terra e la
feci allontanare da Jessie.
«Lasciami
andare!» Urlò, continuando a muoversi.
Non voleva placarsi per niente al mondo. Avrei quasi voluto lasciarla
continuare – lasciarla sfogare non sarebbe stata una brutta
idea –, ma avevo
paura che, prima o poi, Jessie si sarebbe stancato e non avrebbe
esitato a
metterle le mani addosso per farla smettere.
«Gwen!» Dissi, in un tono piuttosto acceso, come
per richiamarla. «Basta!»
Immediatamente
si lasciò andare tra le mie braccia, tutti i muscoli, tirati
fino ad un secondo
prima, si rilassarono e si voltò verso di me, gli occhi
gonfi lacrime.
«Matt.»
Sussurrò. «Che ci fai qui?»
«Ti impedisco
di commetere un omicidio.» Le sorrisi bonariamente.
Lei non
ricambiò il sorriso - non era il momento -, però
infilò il viso tra il mio
collo e la mia spalla e strinse le braccia attorno alla mia vita. La
presi per
la nuca, infilando le mani tra i suoi ricci biondi e con il braccio
libero l’avvolsi
in un abbraccio.
Jessie mi
guardava, ma non disse una parola. Meglio così, pensai,
almeno evito di
mandarlo a quel paese subito.
«Mandalo via.»
Mi disse piano Gwen, nell’orecchio.
«Forse è meglio
che vai, Jay.» Incalzai, lanciadogli
un’occhiataccia. «Parlerete domani.»
Gwen si agitò
tra le mie braccia e si voltò verso di lui.
«No!» Esclamò,
incattivita. «Io non ho più niente da dirti,
quindi per me la cosa può
chiudersi qui.»
Lui scosse la
testa.
«Possiamo
sistemare tutto.» Disse poi, facendo un passo verso Gwen e
allungando una mano.
Vidi che lei era pronta per ripartire alla carica un’altra
volta, così la
strinsi ancora di più, bloccandola tra le mie braccia e
l’anticipai.
«Finiscila di
dire stronzate e non toccarla.» Dissi, con fermezza.
Lo sguardo che gli stavo riserbando avrebbe dovuto fargli capire che
non tirava
una buona aria e che forse sarebbe stato meglio che si facesse da parte
una
volta per tutte.
«Non sono affari tuoi, Matt.» Rispose lui.
Intanto ci aveva raggiunto Lola, che si affiancò a Gwen. Ne
approfittati per
lasciarla a lei e avvicinarmi pericolosamente a Jessie. Lui fece un
passo
indietro.
«Sono affari
miei perché mi stai facendo incazzare e lo sai benissimo che
quando mi incazzo
non sono per niente ragionevole.» Gli feci notare, quando fui
a pochi
centimetri da lui. «Quindi, gentilmente, sparisci.»
Lui rimase in
silenzio, reggendo il mio sguardo per qualche secondo.
«Non ho voglia
di litigare con te.» Disse poi. «Però
non può finire così, Gwen.»
Continuò,
guardando alle mie spalle.
«Va al diavolo,
stronzo!» Gridò lei.
«Porca puttana,
vai via!» Intervenni io, di nuovo. «E lasciala in
pace! Hai voluto fare il
coglione? Ora puoi anche andartene a fanculo.» Mi stava
veramente implorando di
mettergli le mani addosso.
Finalmente si
decise ad abbandonare la battaglia.
«Merda.»
Sussurrò, guardando terra.
Scosse la testa – sembrava la sua attività
preferita, al momento -, poi mi
diede una leggera spinta con la spalla - alla quale mi trattenni dal
prenderlo
per il colletto della camicia che indossava e sbatterlo in mezzo a
cespugli -, indicò
Gwen e le disse di nuovo che non sarebbe finita così. Mi
sembrava che non
finisse mai di raggiungere livelli sempre più alti di
coglionaggine.
Gwen, fortunatamente, evitò di rispondergli e si
girò dall’altra parte, Lola la
prese per mano e la fece allontanare un po’.
«Dai, per
favore, vai.» Gli dissi poi, afferrandogli un braccio.
«Ho sbagliato,
lo so, cosa credi?!» Mi urlò in faccia.
«Guarda che a
me non me ne frega un cazzo se ti sei scopato un’altra, basta
che vai fuori dai
coglioni!»
Mi lanciò
un’occhiata di sbieco e, finalmente, si avviò
verso il locale.
«Ah, guarda che
dovrai spiegare due cosine anche all’altra!» Gli
urlai, sarcastico, quando era
un po’ più avanti.
Come risposta mi beccai solo un “vaffanculo.”
Dei colpi
contro la porta mi svegliarono. Aprii gli occhi e guardai la sveglia.
Le 5.23
di mattina. Mi guardai intorno stralunato, ero andato a letto solo
un’ora prima
e facevo veramente fatica a tenere gli occhi aperti – in
quegli ultimi giorni
stavo dormendo pochissimo e il mio corpo ne risentiva. Avevo fatto
compagnia a
Gwen con Lola e Dom per un po’ di tempo, l’avevamo
riaccompagnata all’hotel, e
lì fatto due passi in spiaggia tutti insieme. Poi
però aveva preferito tornare
in camera con Lola, mentre io e Dom decidemmo di prolungare la serata
andando a
berci ancora qualcosa. Finii così per farmi risucchiare la
faccia dalle labbra di
Amy. Ancora. Ero recidivo e anche ubriaco.
Notai, intanto, che Dom in camera non c’era. Non mi ricordavo
nemmeno se ci
fosse tornato, se io ero tornato da solo o insieme a qualcuno. Vuoto
totale.
Quello che era successo dopo le due di notte sembrava non esistere
nella mia
mente. Mi ricordavo solo di Amy, purtroppo.
Ancora un paio
di colpi e mi decisi a trascinarmi verso la porta per vedere chi fosse,
anche
se una vaga idea ce l’avevo già. Aprii ed ecco che
venne subito confermata.
«Ciao.» Sentii
dirmi da un vocino sottomesso e dolcissimo.
Accennai un
sorriso, dopo il quale però non riuscii a trattenere uno
sbadiglio.
«Scusami, non
volevo disturbarti, è che- posso entrare?»
Continuò Gwen, mangiandosi quasi le
parole, senza alzare lo sguardo da terra.
Mi fece quasi tenerezza, mi sembrava così fragile e
così piccola. Non le avrei
detto di no per niente al mondo, anche se avessi rischiato di
addormentarmi
mentre mi parlava.
«Certo.» Le
risposi e le afferrai la mano per condurla dentro.
Una volta varcata la soglia, gliel’avrei lasciata, ma lei non
sembrò voler
mollare la presa, così feci finta di niente e la portai sul
balcone a prendere
un po’ d’aria fresca – ne avevo bisogno
anche io. La feci sedere sulla sdraio
che c’era lì, mentre io mi appoggiai al muretto.
La mano ancora nella sua.
«Mi piacciono
così tanto le tue mani.» Disse poi, quasi in un
sussuro, fissando le mie dita
intrecciate alle sue.
Provai quasi imbarazzo dopo quel commento e perciò non dissi
nulla. Non sapevo
cosa dire. Non capivo cosa potesse significare, anche se probabilmente
lo aveva
detto con tutta l’innocenza possibile. Mi sembrava quasi che
Gwen non fosse
capace di parlare con malizia. Io invece, a differenza sua, ero molto
malizioso.
Rimase in silenzio anche lei, forse in attesa di una mia risposta che,
però,
non arrivò. Infatti, un secondo dopo, lasciò
andare la mia mano e si coprì il
viso con le sue.
«Scusami.»
Borbottò.
Mi stava
chiedendo scusa per quello che aveva appena detto?
«Scusami se
sono venuta qui a quest’ora.» Si spiegò.
«Solo che Lola probabilmente non ne
poteva più di sopportarmi e poi non smettevo di pensare a te
e a quanto avessi
voglia di un tuo abbraccio.» Continuò, lanciandomi
un’occhiata attraverso le
dita.
Accennai un
sorriso e mi abbassai sulle ginocchia per arrivare alla sua altezza.
Appoggiai
una mano sulla sua gamba e con l’altra le tolsi le sue dal
viso.
«Sono qui.»
Sussurrai, guardandola negli occhi. «Non sono bravo in queste
cose, ma se hai
voglia di parlare…»
«Sei più bravo
di quanto credi.» Mi disse, mordendosi un labbro.
Poi mi mise le
braccia intorno al collo e mi strinse in un abbraccio.
L’equilibrio era un po’
precario, lei era ancora seduta sulla sdraio, io ciondolavo avanti e
indietro,
così decisi di sollevarla e spostarla sul muretto del
balcone. Rise mentre lo
feci.
«Guarda.» Le
dissi, poi. «Sta nascendo il sole.»
All’orizzonte,
oltre l’oceano, si poteva vedere un delicato rosa pesca
sfumare in un arancione
opaco che, pian piano, sarebbe diventato sempre più forte.
Quello spettacolo,
reso ancora più bello dal riflettersi del sole
sull’acqua, mi lasciava a bocca
aperta. Una cosa così semplice, ma così bella, io
non l’avevo mai vista. O
forse sì. Mi voltai impulsivamente verso Gwen.
Sorrisi nel
vederla incantata come ero io fino ad un secondo prima. La luce che
stava
nascendo le aveva messo in risalto l’azzurro chiaro degli
occhi ancora un po’
gonfi di lacrime, aveva le labbra rosa leggermente socchiuse e un
riccio
ribelle che le cadeva sul viso. Era splendida e io la volevo. La volevo
proprio
come un bambino desidera quel dannato giocattolo, che sa che non
potrà mai avere
perché i suoi non possono permetterselo. Ed era sbagliato.
Era sbagliato che io
volessi lei.
«È stupendo.»
Disse, sorridendo.
«Già.»
Un attimo dopo
mi afferrò le gambe con i piedi e mi fece avvicinare a lei.
Puntò gli occhi nei
miei.
«Ho paura.» Chiosò
e io la guardai con aria interrogativa. «Paura di quello che
mi aspetta.»
«Non ne hai
motivo.» Le dissi.
Non capivo seriamente. Perché avere paura? Di cosa, poi?
«Sai… Di ricominciare. Io non sono una che si fa
nuovi amici facilmente. Sono
timida, ho vergogna di tutti. Ci vuole un bel po’ prima che
io mi fidi di
qualcuno.» Spiegò, con voce tremante.
«Nuovi amici?»
«Tutti gli
amici che ho ora, anzi, che avevo, sono amici di Jessie.»
«Lola è la tua
migliore amica, non la sua.» Dissi, piuttosto serio.
«Okay. Lola,
poi?»
«Dom non è mai
andato d’accordo con Jay. E siamo già a
due.» Continuai, con un mezzo sorriso.
«Dom. Sì. Poi basta.»
Mi guardò tristemente.
«Poi ci sono
io.» Dissi, dolcemente. «Prima di essere amico suo,
ti ricordo che sono stato amico
tuo e che lo sono tuttora.»
Mi guardò
sorridente. Io le presi il mentro tra pollice e indice.
«Chi ti ha
visto perdere i primi dentini alle elementari? Chi ti ha insegnato a
giocare a
calcio? Chi ti ha coperto il culo quando sei scappata di casa per due
giorni?
Chi ti ha portato al tuo primo concerto? Chi è qui con te
alle cinque e mezza
di mattina?» Dissi, guardandola negli occhi.
«Tu.» Sussurrò,
una piccola lacrima le si era formata all’angolo degli occhi.
«Sempre e solo tu.»
Annuii e le
diedi un bacio leggerissimo sulla fronte. Quando stavo per tirarmi su,
lei mi
afferrò il colletto della maglietta che indossavo
– ero andato a letto vestito,
a quanto pareva – e
mi tenne lì vicino
ancora per un po’, fronte contro fronte.
«Non lasciarmi, mai e poi mai.» Mi disse, piano,
con le labbra a pochi
centimetri dalle mie.
In quel momento
mi sentii il cuore esplodere. Ebbi quasi paura che potesse sentirlo
anche lei,
talmente batteva forte. Cosa cazzo mi stai facendo, Gwen…,
pensavo.
«Mai.» Le
giurai, in qualche modo, trattenendomi dal posare la mia bocca sulla
sua.
Spinse la sua fronte contro la mia ancora una volta e poi mi
lasciò la
maglietta. Io mi
allontanai. Non avrei retto un secondo di più. Dovevo
seriamente trovare un po’ di
tempo per farmi un esame di coscienza e capire cosa diavolo mi stava
succedendo. Era amore, quello? Mi sembrava così difficile
che lo fosse, ma
quelle strane sensazioni non le avevo provate con nessuna. In quel
momento non
avevo voglia di portarmela a letto, come mi capitava di solito con le
altre,
sentivo solo il forte bisogno di baciarla. E la cosa mi spaventava
alquanto.
Non doveva essere lei. Non dovevo innamorarmi della mia migliore amica.
Perché rovinare
qualcosa di bello e che durava da tanto tempo? Che fosse stato per
amore o per
sesso, ero convinto che avrei dovuto farmela passare. Non si meritava
di essere
ferita ancora, soprattutto non da me.
Mi tastai le
tasche dei pantaloni e ne estrassi il pacchetto di sigarette e
l’accendino.
«Ce n’è rimasta una.» Dissi,
mentre mi sedevo dal lato opposto del balcone rispetto
a lei. «Facciamo a metà?»
«No, grazie.»
Rispose. «Fra poco vado, così dormiamo tutti e
due, perché io ne ho bisogno e
tu, tu forse ne hai più di me.» Mi
lanciò uno sguardo di compassione per lo
stato in cui mi trovavo e sorrise.
Ridacchiai, mi accesi la sigaretta e riposi l’accendino in
tasca. Feci quel primo
tiro con il mal di testa che pulsava sempre di più. Pensai
ai postumi della
sbornia e mi venne in mente Amy.
Quasi come se
fossimo telepatici, Gwen mi chiese di lei - forse per riempire quel
momento di
silenzio.
«Ho paura di
essermela portata a letto anche prima.» Ammisi, buttando
fuori il fumo dalle
narici.
«Sei serio?»
Disse lei, lanciandomi un’occhiata tra il divertito e lo
scettico.
«Purtroppo sì.»
«Non ci credo. Come fai a non ricordarti?»
«Vuoto. Vuoto
completo.»
«Sei pessimo.»
Scosse la testa, ma si vedeva che stava trattenendo una risata.
«Ridi, se
vuoi.» Le dissi, ridendo io per primo.
Allora si
lasciò andare anche lei.
«Oh dio, spero
di non trovarmi mai al suo posto!» Commentò, ma
poi si zittì immediatamente,
come se avesse detto qualcosa di sbagliato.
Ma non era sbagliato, era quello che pensavo anche io, nonostante
provassi
dispiacere nel farlo. Non avrebbe mai dovuto trovarsi al posto di Amy,
tra le
mie lenzuola. Lei non era così.
Posò su di me uno
sguardo indecifrabile, accennò un piccolo sorriso
– sembravano quasi delle
scuse, che nemmeno mi meritavo - e, infine, si voltò verso
l’orizzonte. Non
disse più nulla. Chissà a cosa pensava.
E poi, in silenzio, io la guardai, ancora e
ancora. Mi chiededevo per quanto tempo sarei andato avanti
così, per quanto
tempo avrei pensato che lei era l’unica cosa che desiderassi
avere più di ogni
altra. Perché, contro ogni logica, era così e non
riuscivo a cambiare idea.
Buonasera <3,
questa volta ho aggioranto un pochino più tardi del solito perché, purtroppo, esiste la sessione di esami di settembre.
Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento. Come al solito ringrazio chi segue (ho visto nuovi lettori, ciao carissimi!), chi preferisce (<3) e chi recensisce (Ashwini, 50shadesofLOTS_Always e OnlyHappyWhenItRains non sapete come mi fa fate felice!).
Attendo con ansia qualche commento, sarò contenta di rispondervi.
A presto (se non aggiorno fra pochi giorni non datemi per dispersa, arriverò! :P),
Lady.
P.S. Probabilmente il prossimo capitolo sarà dal POV di Gwen :)