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Autore: pandamito    02/09/2016    0 recensioni
Mentre da una parte nel mondo Andrea e Giuliano incontrarono Licia per caso, in un’altra parte sempre molto super random qualcuno mi chiese mi raccontare una storia. Sinceramente non ne avevo proprio voglia, però sapete com’è, non avevo niente di meglio da fare mentre il torrent finiva di scaricarsi e poi ho realizzato: quello era il mio momento. Il Destino, il Fato, un cavallo, qualcosa di mistico e onnipresente che governava le forze dell’universo mi stava dando l’opportunità che avevo sempre aspettato per risplendere ancor di più, per infangare ancora il nome di qualche persona e bearmi delle loro sventure.
E così una testolina riccia e nera trotterellava tranquilla per strada, intento nel tornare a casa da-
No, aspettate, non è così che inizia la storia.
Torniamo indietro. Rewind.

-
Basically: gente molto random e scapestrata abita in un condominio dove succede di tutto e di più e fanno cose.
Ovvero chiamata "la storia che nessuno aveva bisogno che io scrivessi".
Genere: Commedia, Demenziale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash, Crack Pairing
Note: Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Threesome
Capitoli:
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In quel momento Anthony Orwell era un ammasso di sorpresa con il braccio destro rotto. Sarebbe stata più o meno questa la descrizione sulla sua lapide se fosse morto di lì a cinque secondi. Gli occhi azzurri squadravano il ragazzo dai capelli castano chiaro che gli stava davanti, quasi indifferente all’intera faccenda. Alquanto strano, poiché era lui la causa principale dell’incredulità di Tony.
 
Mi scoccia un po’, detto sinceramente, spiegare l’intera questione, ma la storia necessita di un breve riepilogo per spiegare i fatti.
Perché Anthony Orwell aveva la bocca a “o”?
 
Ira Marque, tipo losco dell’appartamento numero due al secondo piano del condominio, nonché occasionale compagno di pugilato di Tony e chissà che altro, si era misteriosamente presentato alla porta di “casa” Orwell – aveva addirittura stranamente bussato – e si era proposto dal nulla di sostituire Tony a lavoro senza nulla in cambio.
Questo era il perché della bocca a “o”.
 
«Perché?» chiese Tony, ancora incredulo. I capelli neri erano sciolti e gli sfioravano le spalle e il braccio destro era ancora fasciato.
Ira inclinò la testa. «Cosa?»
«Perché mai vorresti farlo?»
Ira si finse confuso e un po’ dispiaciuto. «Ehi, tu mi hai sempre aiutato e poi devo sdebit-»
Tony lo interruppe alla svelta. «Ira, un conto è prestare del disinfettante al tuo compagno di boxe se si fa male, un altro è lavorare al posto suo… gratis? Di certo Becky non lo farebbe e non so quanto tu sia messo meglio.»
 
Ora, fermi di nuovo tutti. Chi era Becky?
Becky Sanchez abitava l’appartamento numero sei al secondo piano e- oh, beh, un giorno vi parlerò di lei, ora sinceramente perderei il filo.
 
La verità era che Ira sarebbe potuto stare meglio, ma per alcuni problemi, che fondamentalmente provenivano solo dalle sue pare mentali, non era così.
Becky Sanchez faceva circa tre lavori per mantenere lei, l’appartamento e suo nipote. Ira aveva un lavoro e un hobby-lavoro ed entrambi erano illegali.
Kyle Cruz, un amico di Becky, gestiva una palestra qualche isolato più in là, il che era una faccenda abbastanza comoda. La sera, però, si trasformava.
Se Ira non andava lì a fare scommesse e gareggiare contro qualcuno, allora era per strada a svendersi e se non era per strada a svendersi, allora era lì a fare scommesse e gareggiare contro qualcuno.
Insomma, la notte andava sempre così in casa Marque.
Ma in realtà mi sono perso nel discorso, il succo è che grazie a Becky sia Ira che Anthony poterono permettersi un posto dove sfogarsi e spesso accadeva che i tre si ritrovassero nella palestra di Kyle negli stessi orari. Fine.
Ciò che si sapeva di Ira, però, a differenza degli altri, era sì che aveva un lavoro, ma non si facevano domande su quale fosse. Sebbene in quel condominio fossero sempre stati tutti molto pettegoli, vigeva una muta legge del non fare domande sconvenienti, semplicemente perché a tutti conveniva che rimanesse il silenzio. Tranne che per alcuni casi che un giorno v’illustrerò.
 
Ira tentennò, serrando le labbra; era ovvio non si sentisse a suo agio, ma per fortuna qualcosa – o meglio, qualcuno – venne in suo aiuto.
«E chi se ne frega!»
Una voce provenne dall’interno dell’appartamento numero dodici. Tony si sporse per vedere Theodore stravaccato sul divano che continuava a cambiare canale, mentre ai suoi piedi, sdraiato sul tappeto, c’era Philip intento a leggere non si sa cosa.
«Non troverai mai nessuno che ti salvi il culo in questa maniera, bro, accontentati. Chi se e frega perché lo fa.»
«Esiste la solidarietà!» trillò Phil, senza staccare gli occhi dal libro e Theodore si morse la lingua per non dar voce a qualche commento sarcastico.
In realtà Theo aveva capito fin da subito che quel ragazzo non stava facendo nulla senza qualcosa in cambio, ma era troppo stufo di quella faccenda tirata troppo per le lunghe per non intervenire. L’unica cosa che gli interessava in quel momento era che Ira Marque in qualche modo fosse in debito con lui.
Tony sospirò, rassegnato, mentre Ira aveva iniziato a indietreggiare piano per svignarsela. «Allora poi ti dico per i turni, ok? Anzi, puoi dire già da ora a Rafael e Marvyn che ci sarà una serata karaoke al locale?»
«No!» una voce obiettò, facendo rizzare tutti gli altri. La tenda che separava la zona notte – ovvero semplicemente i letti a castello dove dormivano gli Orwell – dalla zona giorno – ergo tutto il resto dell’unica stanza dell’appartamento – si scostò, facendo apparire una Peggy non molto felice. E quando mai. «Dì a quella testa di cazzo che domani è il mio giorno libero e che deve alzare il culo e andare a lavorare!» predicò verso Ira, che corrucciò le sopracciglia.
Theo roteò gli occhi, seppur non degnandola di uno sguardo. «È difficile stabilire di quale testa di cazzo tu stia parlando.»
«Marvyn! Marvyn Foster!» continuò la ragazza, avanzando a grandi falcate verso Tony e il vicino. «Se pensa che scambierò il mio turno col suo, non ha capito nulla!»
Ira alzò le mani in aria. «Va bene, riferirò a Rafael…» lanciò un’occhiata a Peggy, «e a Marvyn.» Tornò a rivolgersi verso l’Orwell maggiore e infortunato. «Però non so, sinceramente, dipende se Becky lavora, di solito le tiene il bambino.»
«Il bambino?» ripeté Philip ancora sdraiato a terra, alzando solo il capo incuriosito.
«Il nipote, quello che è» tagliò corto Ira, scocciato.
«Per un momento ho creduto che Becky fosse rimasta incinta» spiegò.
Peggy sbuffò e roteò gli occhi, ritornandosene da dove era venuta. «Ci manca solo questo.»
 
Quando facevo il mio solito giro quotidiano nei giorni sì, mi divertivo ad andare a spiare Anthony a lavoro, per vedere se accadeva qualcosa degno di nota e anche per sperare che qualcuno mi offrisse qualcosa.
Anthony Orwell aveva passato tutta la mattina a spiegare a Ira cosa dovesse fare. Stranamente il ragazzo dell’appartamento quattro si era presentato più o meno in orario, sebbene con la maglia un po’ sgualcita e i capelli scompigliati, ma era nella norma. In realtà aveva fatto cinque minuti di ritardo, ma li faceva sempre anche Tony, quindi a malapena se ne accorse.
Tony finì quasi subito di spiegargli le mansioni, ripeté pure per sicurezza e si sentì un enorme idiota nel farlo. C’era una parte di lui che gli diceva di rilassarsi, che tanto era comunque un lavoro da poracci, che non ne valeva la pena e che tanto aveva sempre saputo che prima o poi l’avrebbero sbattuto fuori; ma dall’altra parte inspiegabilmente ci teneva, non voleva tornare ad avere una vita priva di senso e piena di nullafacenza e… e… e insomma tante altre piccole cose si sovrapponevano l’una sopra l’altra nella sua mente, tanto che finì per restare al coffee shop tutta la mattina, seduto in un angolino a fissare Ira e a mangiarsi le unghie fino a sanguinare.
Alexandre dovette venire a ripescarlo fino a lì, ordinò un caffè da portar via, scambiò un’occhiata con Ira, diede un bacio sulla guancia a Tony e neanche fosse sua madre lo costrinse ad alzarsi e ad andare a casa.
«Non dovevi parlare con Heather?» gli ricordò.
«Sì, ma-» ma Alexandre non ammise nessun "ma". Ma, ma, ma, ma, quanti ma ci son qua.
«So che sei nervoso» gli confessò, tentando di confortarlo. «Lo capisco. Però in fondo non è tutto questo gran casino, almeno per ora hai ancora un lavoro e pian piano il braccio ti ritornerà come nuovo. Anzi, in realtà non so se sia una buona idea che tu vada stasera.»
«Impossibile!» obiettò prontamente il moro.
 
E leggermente poco più motivato, Tony bussò alla porta dell’appartamento numero quattordici.
Ve la ricordate Heather, giusto? Decisamente non magra, leggermente più alta della media, capelli biondi sempre curati, sorriso stampato in faccia, occhi verdi che appaiono sempre più grandi del normale per via degli ombretti glitter con cui ama truccarsi. Sì, insomma, quella che in poche parole aveva sfondato il soffitto del piano di sotto con la sua ex impalcatura.
Quando aprì la porta e si ritrovò di fronte l’Orwell, sorrise ancor di più e lo stritolò in un abbraccio. No, sul serio, Tony dovette pregarla di lasciarlo andare perché altrimenti si sarebbe dovuto rifare un gesso nuovo al braccio.
«Vuoi pranzare?» gli propose subito Heather, cordiale. «Al turno di oggi devo attaccare un po’ prima, quindi mi tocca mangiare a quest’ora» spiegò.
«Oh, no, ma grazie tante» dismise l’altro, gentile, aggiustandosi un po’ la maglia stropicciata. «Piuttosto… ti ricordi che per stasera ti avevo chiesto…»
«Oh, non preoccuparti, tesoro» lo tranquillizzò la bionda, facendogli l’occhiolino e dandogli una pacca più forte del solito sulla spalla. «Ci penso io a rompere il ghiaccio per la serata. Vedrai, alla chiusura ci saranno ancora le persone che spingeranno per cantare e ballare. Sto anche continuando a spammare su twitter.»
«Oh, fico! Grazie!» esclamò il moro, sorridendole.
I due continuarono a fissarsi sorridendo, fino a che detto sinceramente la situazione non divenne imbarazzante, no sul serio, mi stavo sotterrando io.
Heather si guardò attorno e poi ritornò a prestare attenzione al ragazzo nell’atrio.
«Anthony, sai che ti voglio bene, vero?» chiese.
«Ehm… sì, credo qualcosa del genere» rispose l’interrogato, un po’ incerto.
«Bene, allora continua a ricordartelo perché, se non vuoi pranzare con me, allora ho un piatto che mi attende, non ho molto tempo prima di attaccare a lavoro e, sai com’è, tra te e il mio cibo…»
«Oh!» si lasciò sfuggire l’altro, scoppiando poi in una risata. «Giusto, certo, nessun problema. A stasera!» la salutò, allontanandosi verso le scale.
«A stasera, tesy!» ricambiò Heather, chiudendosi la porta alle spalle.
Tony scese le scale per ritornare nel suo appartamento, quando notò la testa rossa di Ernest che spuntava dalla porta dell’appartamento di fianco.
«Ehi» lo salutò, sperando che gli fosse passata l’arrabbiatura per la storia della porta… e del soffitto… «stasera vieni a-»
«No» lo interruppe bruscamente il rosso e chiuse la porta in malo modo.
Ok, probabilmente non gli era passata.
 
 
Il problema di quella sera? Tony non era ancora del tutto convinto dell’intera storia. Si ritrovò al bancone a ordinare cicchetti su cicchetti a Ira, che serviva, e nessuno aveva capito se avesse preso la scusa di bere per monitorare il ragazzo che lo sostituiva o… stava semplicemente bevendo per disperazione nei confronti delle sfortunate pieghe che la sua vita ogni volta sembrava divertirsi a prendere.
Il moro si prese la testa tra le mani, mentre una presenza si sedette al suo fianco su uno sgabello. Il secondogenito degli Orwell si voltò e riconobbe la chioma bionda, tirata all’indietro e un po’ scompigliata, di Alexandre, che tentò di sorridergli gentilmente, mentre i suoi occhi azzurri tradivano un po’ qualcos’altro.
E ad Anthony guardarlo gli fece male perché non poteva fare a meno di considerarlo meraviglioso ogni cosa che facesse, anche la più piccola.
«Lascia stare il bancone e vieni con me» gli propose il minore.
«A te neanche piace ballare» rispose l’altro.
«Non dico di ballare» precisò Xandre. «Solo… stai con me. Sei più cordiale da sobrio.»
«In realtà penso sia il contrario» obiettò Anthony. «Quando bevo sono una macchinetta a parlare, non mi ferma nessuno. Davvero, sono molto più di compagnia. Pensi dovrei fare l’escort?»
Il sarcasmo del moro lasciò andare Alexandre in una risata genuina, che strappò un sorriso anche al suo ragazzo, il quale però sembrava non voler cedere e ordinò un altro cicchetto.
Alexandre assottigliò lo sguardo. «Tony» lo richiamò, cercando di farsi serio.
L’altro lo guardò negli occhi e qualcosa reagì in lui. Ghignò. «Ira, anzi, fammene tre.»
«Tony!» continuò Alexandre, indignato. «Giuro che mi metto a bere pure io se fai il bambino.»
«Fermati, non reggi l’alcol» brontolò il maggiore, improvvisamente serio.
Alexandre lo guardò negli occhi, uno sguardo di sfida, e Tony provò a sostenerlo, sebbene con fatica e un’eccessiva preoccupazione nei suoi confronti.
«Tre» proferì alla fine il biondo verso il barman di turno, dopo una lunga pausa.
«Tre cosa?» si alterò Tony, in realtà estremamente preoccupato. Le sue labbra divennero una linea sottile e guardò l’altro duramente. «Anch’io. Cinque.»
Aveva accettato la sfida.
«Sette» ribatté il biondo.
«Fermati!» esclamò il maggiore. Voleva farlo ragionare, eppure non voleva cedere. «Dieci!»
«Quindici!»
«No!» esclamò il moro.
Xandre batté una banconota sopra il bancone, continuando a guardare fisso il proprio ragazzo.
Ira la prese e la osservò, scrutando poi i due clienti. «Posso tenermi il resto come mancia?»
Alexandre gli lanciò un’occhiata per niente amichevole. «No.»
Ira alzò le spalle. «Io ci ho provato.»
«Ok, allora posso tenermelo io il resto?» domandò una voce poco lontana. Il biondo si voltò e riconobbe Wade Orwell poco più in là.
«No!» ripeté il biondo.
Il primogenito della famiglia fece spallucce. «Io ci ho provato» disse, tornando poi a ballare con alcune ragazze.
Tony ne approfittò per prendere le mani del biondo e abbassare la voce, sebbene mediamente visto il volume della musica presente nel locale. «Ti prego, Xan, lascia perdere. Sappiamo tutti come andrà a finire e domani te ne pentirai. Io… io sto bene, ok?»
Alexandre strinse ancor più la presa sulle mani del ragazzo e gli concesse un veloce bacio, per poi sorridergli rassicurante. «So che non è la soluzione più giusta» confessò, accarezzandoli una guancia. «Ma io non ti lascio.»
E per un attimo Anthony si sentì avvolto da una sensazione di tepore, sostituita poi con la preoccupazione che le cose si sarebbero messe male.
 


 
Rafael Perez – ricordiamo: alto, impostato, capelli scuri e mossi e ricrescita di barba fin troppo lasciata andare a se stessa – stava scendendo le scale dal tetto saltellando i gradini due a due, mentre sulle spalle teneva un bambino dalla pelle mulatta, i capelli ricci e folti sul castano, gli occhi scuri; poteva avere… che ne so, tre anni? Quattro? Ne dimostrava decisamente di meno. Era il nipote di Becky Sanchez a cui Rafael ogni tanto – ok, diciamo spesso, ma perché lui amava starci assieme – badava e il suo nome era Cris, bambino abbastanza tranquillo, dobbiamo ammetterlo.
Nel condominio non c’era quasi nessuno quella sera, tutte le luci erano spente, fino a quando non arrivò al terzo piano e dagli spifferi della porta del numero otto vide trapelare una luce. Ricordava che in quell’appartamento abitavano tre ragazze… studentesse? Forse.
Bussò, incuriosito, non poté farne a meno e mentre aspettava fischiettò la canzoncina della pubblicità di un budino che Cris prese a canticchiare.
La porta finalmente si aprì e ne uscì Tempest Brennan al posto delle sue coinquiline. Ok, ve la ricordate Tempest, vero? Non molto alta, neanche tanto magra, capelli scuri, frangetta, occhi chiari… Oh, giusto, non l’avevamo ancora introdotta col suo nome. Sì, insomma, Tempest era la ragazzina inquietante che Peggy ha cercato di ignorare e che l’ha incitata per andare a picchiare Rafael.
Situazione imbarazzante ritrovarselo di fronte.
Ma guardiamo il lato positivo: almeno era una di quelle poche volte in cui era vestito! ... Cioè, diciamo che non aveva il solito asciugamano attaccato alla vita ma un paio di bermuda e una camicia dai motivi colorati totalmente aperta e inutile.
«Ehi, cosa ci fai ancora qui? Sono tutti al locale» parlò Rafael per primo, mentre Cris aveva preso a giocare con i suoi capelli.
Tempest gli lanciò un’occhiata, passando subito sulla difensiva. «Non ti è passato per la testa che potrei essere malata?» rispose, decisamente acida.
Il moro la squadrò per un attimo. «Non sei malata» constatò.
La ragazza roteò gli occhi. «E anche se non volessi semplicemente andarci?»
Rafael rifletté per un attimo e poi fece spallucce, noncurante. «Ok, allora mi tieni Cris?»
«Cosa?» si lasciò sfuggire la castana, sgomenta.
«Io vado alla serata, se tu rimani qui puoi tenere il bambino fino a quando torno» spiegò.
«Non puoi pulirti le mani così e poi ho da fare!» obiettò feroce l’altra. «Chiedilo al tuo coinquilino!»
«Marvyn deve lavorare in pizzeria pure questa sera. La stronza del numero dodici ha detto che questa volta non gli scambia il turno. Hai presente?» disse, riferendosi a Peggy Orwell. Tempest non gli rispose, si limitò solo ad alzare un sopracciglio e a guardarlo male, come al solito. Rafael alzò di nuovo le spalle e fece per andarsene con Cris. «Va be’, ci si vede.»
«Aspetta, hai intenzione di portarti il bambino alla festa?» chiese allarmata la ragazza, sporgendosi dall’uscio del suo appartamento.
Il moro si fermò e ritornò a guardarla. «Non posso fare altrimenti. Tu non me lo tieni.»
«Certo che puoi, potresti rimanere a casa come qualsiasi persona con un minimo di criterio!» protestò l’altra.
«Sì ma oramai gli ho già detto che ci andiamo, vero Cris?» chiese al bambino, sollevando di poco il capo e quello fece cenno con la testa, dando poi qualche piccolo colpo sulla fronte di Rafael. «Vedi, poi si dispiacerà e poi deve crescere, i bambini di oggi sono precoci. Gli altri bambini probabilmente andranno a una serata del genere a cinque anni di questi tempi e lui potrà vantarsi di esserci già andato.»
«Ma ho quattro anni e mezzo» precisò il bambino, che finalmente parlò.
«Vedi? In anticipo di mezzo anno. Avrai tutte le pollastre ai tuoi piedi, amico, te lo dico io» lo rassicurò l’altro.
«Non ti permetterò di portartelo!» obiettò nuovamente la castana.
Rafael scoppiò in una risata e riprese a scendere velocemente le scale. «Prova a fermarmi!»
Tempest digrignò i denti e, frustrata, corse a prendere la giacca per uscire.
 
Nel frattempo nella Fantabolosa Foresta Incantata entrarono due figure a braccetto, entrambe avevano capelli neri, occhi azzurri e sguardo di sufficienza. Ok, avete capito che la Foresta Incantata in realtà è il pub, vero? Comunque sia, Peggy Orwell abbraccio il fratello Robin, che le diede un bacio sulla guancia, mentre lei scattava prontamente un selfie da postare su instagram.
La minore prese a mormorare: «Hashtag party, hashtag bro, hashtag dov’è la droga datemela, hashtag… hashtag…?»
«Hashtag ma che è 'sto schifo» concluse il fratello riccioluto per lei.
La corvina gli diede una gomitata scherzosa e poi detto sinceramente non ce ne frega più di loro, cambiamo scena dove c’è qualcosa di più divertente.
Heather Jasper
 che probabilmente aveva svaligiato il catalogo di PlayBoy per quanto poco era vestita e specialmente con che cosa  si stava allontanando dal piccolo palco dove aveva finito di cantare la millesima canzone per quella sera; aveva iniziato lei a rompere il ghiaccio sperando che qualcuno controbattesse con qualche altra canzone e movimentasse la serata, ma la verità era che le piaceva decisamente troppo sfidare la gente per divertirsi e vedere che tasso alcolico avevano raggiunto gli altri da quante note stonavano. Si fece largo tra la folla danzante, facendosi trasportare un po’ dalla musica e ridacchiando, mentre alla fine della pista c’era una persona che le stava facendo di avvicinarsi.
Era una ragazza bruna e dagli occhi scuri, con un ampio sorriso e due cocktail in mano. Ne porse uno alla bionda appena si avvicinò, fecero cin-cin e poi presero un grande sorso.
«Jaden!» trillò Heather.
«Heather!» trillò Jaden.
E poi si abbracciarono, ridendo.
Heather si guardò attorno e la sua espressione divenne più confusa. «Dov’è il tuo fidanzato?» domandò.
Jaden scrollò le spalle. «Roy non è potuto venire, l’avevano chiamato a lavoro per una cosa urgente stasera. Non immagini quanto abbia predicato prima di andarsene» spiegò, scoppiando poi in una risata che non riuscì a trattenere.
«Ovviamente» le diede corda la bionda.
Avevamo già parlato di Jaden e Roy, sebbene non esplicitamente. Ricordate la coppia da cui Peggy voleva intrufolarsi? Ecco, l’appartamento era il loro; ma, se vogliamo essere più precisi, Jaden Reed e il suo fidanzato usavano quell’appartamento come seconda casa dove ammucchiare la loro roba, visto che avevano praticamente le mani bucate, e risiedevano principalmente al piano superiore e di fatti proprio per questo, sebbene fossero una buona compagnia la maggior parte del tempo, non erano visti di buon occhio da gran parte del restante condominio.
Poi un angelo si avvicinò al tavolo occupato dalle due, i grandi occhi azzurri, i capelli ricci e illuminati dalla luce divina- ok, probabilmente erano semplicemente le luci del locale che lo stavano colpendo in pieno, ma sta di fatto che Philip Orwell potrebbe benissimo avere le chiavi del paradiso nel suo mazzo attaccate al peluche di un Pikachu o qualcosa del genere e nessuno ne dubiterebbe.
«Ehi, Philip!» esclamò Jaden appena lo vide avvicinarsi.
Heather gli scompigliò i capelli, al che il riccio rise allegramente, e gli domandò: «Ti offro qualcosa?»
Phil ci pensò su, in un primo momento deciso a rifiutare, ma poi notando che effettivamente aveva una certa voglia: «Oh, sì, grazie. Qualsiasi cosa con fragola, alcol e ghiaccio andrà bene.»
«Torno subito, tesoro» lo rassicurò la bionda, allontanandosi.
«Ehi, Phil, io e Heather è da un po’ che stavamo pensando a una cosa» disse l’altra.
Philip si sedette al tavolo, incuriosito. «Uh, cosa?»
«Che ne dici se un giorno ci organizziamo e lo passiamo interamente a cucinare?» propose, facendogli l’occhiolino. «Potremmo fare anche un buffet, sai, con tutti. Vorremmo che venissi anche tu.»
«Oh, fico!» rispose il corvino.
«Ci stai?»
«Sì!»
Jaden si avvicinò un po’ di più al minore, sebbene non si preoccupò di abbassare la voce. «E poi abbiamo notato che Rafael ti porta il latte migliore da quando è successa la storia dei soufflé.»
«Davvero?» chiese, sgranando gli occhi. «Oh, ma che gentile! Ma non doveva! Appena lo vedo devo ringraziarlo» disse sorpreso e con un sincero sorriso sulle labbra. Come se i sorrisi di Philip Orwell fossero mai falsi.
Jaden ridacchiò, divertita dalla semplicità del ragazzo.
 
Nel frattempo, quando si parla del diavolo, o in questo caso del lattaio, Rafael Perez era arrivato da poco e se ne stava per un po’ in disparte scrutando per bene il locale, con ancora Cris sulle spalle e Tempest che gli stava alle calcagna, alquanto a disagio e imbarazzata tra quella folla.
«Balli?» domandò all’improvviso il moro.
Tempest gli lanciò un’occhiataccia. «No» rispose, secca.
Rafael alzò le braccia e prese Cris per la vita per metterlo con i piedi per terra. «Allora tieni Cris.»
«No!» protestò prontamente la ragazza, inorridita. «Se volevi andarti a divertire perché ti sei offerto di badargli?»
«Guarda che se non lo tieni tu, me lo porto in pista» rispose l’altro. «E comunque Becky è mia amica e ha un lavoro notturno e ha tutto il diritto di andare a divertirsi, solo che non può spendere soldi in babysitter se vuole mettere da parte qualcosa per farlo. E poi Cris mi piace» spiegò con un fervore che convinse Tempest che fosse serio, ma detto questo le voltò le spalle e andò a ballare assieme agli altri.
Tempest sospirò, frustrata e incapace di rassegnarsi pienamente.
«Brandy» fece una vocina.
La ragazza strabuzzò gli occhi, credendo di aver capito male, e si rivolse al bambino con cui era stata lasciata. «Cosa?»
«Mi compri un brandy?» domandò Cris.
Tempest inorridì. «Cosa? No! Non puoi berlo! E come diavolo sai cos’è il brandy?»
«Ma ho sete!» protestò Cris, battendo il piede per terre e cacciando il labro.
Tempest prese un respiro profondo, cercando di non cadere ancora più nel panico. «Ok, ti compro qualcosa, ma il brandy no.»
«Rum? Gin?» propose l’altro.
La castana alzò gli occhi al cielo e prese la mano del minore per condurlo al bancone. «Oh cielo, ma che ti danno questi… Devono pur avere qualche succo, proviamo con quelli.»
 
Heather tornò al tavolo, con un bis del suo cocktail e quello per Philip.
«Heather» cantilenò Jaden, «indovina chi si unirà a noi per la nostra Giornata Cucina™?»
Heather mandò un urletto eccitato e batté le mani, quando poi improvvisamente la sua attenzione fu catturata da qualcos’altro e il suo sorriso, se possibile, si allargò ancor di più. «Rafael!» chiamò, prendendo ad agitare un braccio.
L’uomo, che era facile individuare persino tra la folla per via della sua altezza imponente, sentendosi chiamare, si voltò e sorrise soddisfatto non appena vide l’amica. Si fece largo e, una volta al tavolo, lasciò un sonoro bacio sulla guancia di Heather e abbracciò calorosamente Philip lì vicino, per poi sedersi e salutare anche Jaden, felice di vederlo.
«Rafael, dopo devi cantare una canzone con me, promettimelo» gli ordinò Heather, decisa.
«Oh, ma non avresti possibilità con me, tesoro» scherzò il cubano. «Ma prima devo trovare tuo fratello» puntò il dito verso Philip.
«Quale dei tanti?» chiese l’Orwell, un po’ confuso.
«Ho una gara di shots in sospeso» continuò.
«Ok, deve essere decisamente Wade» affermò l’altro.
Parlando di Orwell, Anthony si avvicinò al tavolo, prendendo posto, mentre in mano teneva un drink e il volto gli si era un po’ arrossato da inizio serata.
«Ehilà, gente, che si dice?» salutò tutti, legandosi i capelli per il caldo con una molletta che teneva al polso e poi sorseggiando nuovamente qualsiasi intruglio si fosse preso.
«Ehi, Tony» lo salutò Jaden di rimando. «Certo che non sapevo che il tuo ragazzo avesse una voce del genere, dovresti portarlo più spesso alle serate.»
Tony continuò a bere, sollevando poi un sopracciglio e lanciandole un’occhiata confusa. «Cosa?» chiese, credendo di aver capito male.
La bruna corrugò la fronte, anch’essa perplessa. «Ma come, non è il tuo ragazzo quello sul palco? Saranno forse cinque canzoni che fa di seguito e non vuole lasciare il microfono a nessuno. Però è davvero bravo, non l’avrei mai detto» spiegò, indicando il ragazzo biondo che effettivamente stava sul palco.
Alexandre Grandpré stava cantando a squarciagola, la camicia tutta stropicciata, alcuni bottoni aperti a caso, i capelli tutti scompigliati e le guance arrossate per via dell’alcol.
D’improvviso parlò: «E questa la dedico al mio ragazzo preferito- no, cioè, non che ne abbia più di uno. Al mio ragazzo, sì, al mio ragazzo, che è anche il mio barman preferito, questo sì. All’amore della mia vita, alla mia anima gemella, al mio futuro marito, a quello a cui a volte devo ricordare di allacciarsi le scarpe perché sennò inciampa, non m’importa se non ne hai voglia… sì, insomma, avete capito. La dedico a lui perché almeno spero che così non ci fraintendiamo come al solito» e detto questo riprese a cantare, cercando di sbottonarsi la camicia ma invado e accarezzando l’asta del microfono, per poi iniziare a muovere il bacino.
«Che cosa sta facendo?» chiese Philip, perplesso.
«Cose» risposero gli altri tre al tavolo all’unisono.
Tony si strozzò e sputò il suo drink addosso agli altri, tentando di prendere aria.
Venti minuti dopo c’era l’ambulanza di fronte al locale.




 


p a n d a bitch.
EEEEEH MACARENA!
Sono morta, sono risorta, rimorirò di nuovo a breve. Yay.
L'html di sto capitolo non s'ha voleva da fare e vbb.
Mi sa che mi si sono pure crashate alcune immagini nei capitoli precedenti quindi fatemi sapere se non le vedere perché is a big big big problem, bruh.
Aggiornamenti nella mia vita? Ho tipo un fake, tipo. In realtà il mio real è un fake, anzi io sono un fake vivente; ciemmequ è questo ma sinceramente gradirei che per messaggi e quant'altro, scambi di opninioni, etc... mi scriveste sulla mia pagina Come una bestemmia., mentre per qualsiasi altro social network dove potete contattarmi e seguirmi, sono pandamito. Potete trovarmi anche nei link dei cuori nel mio profilo, anche se effettivamente dovrei aggiornarlo ma ok.
Che altro? Uh, sì, ora ho iniziato a pubblicare anche su Wattpad, anche se con più calma, quindi vi lascio il link. La copertina l'ho fatta randomissima ma mi è uscita pretty figa quindi bao.
Baci e panda, Mito.
   
 
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