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Autore: Vago    02/09/2016    3 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 Seila si guardò intorno spaesata. I suoi compagni sapevano sempre cosa fare, l’avevano sempre saputo da quando erano partiti.
Jasno guardava il terreno da sotto il cappuccio, con lo sguardo adombrato e il labbro inferiore torturato dagli incisivi superiori.
Nirghe guardava Mea, con una scintilla speranzosa negli occhi, lei in tutta risposta continuava a rigirarsi la ciocca blu di capelli tra le dita esili.
Hile faceva scorrere il suo sguardo tra i compagni, spostando ripetutamente il peso del corpo da una gamba all’altra.
Keria continuava a tendere e rilasciare la corda dell’arco scaricando su quell’oggetto la sua tensione.
La domanda di Jasno aveva avuto un effetto spropositato sul gruppo e i secondi passavano inesorabilmente lenti.
Il serpentello cominciò a girare attorno alle caviglie dell’erborista, fremente. Fu in quel momento che l’elfa bionda ebbe come un’illuminazione. Non era come nella setta, non stava ricordando cose studiate a memoria, era invece qualcosa di molto simile a una visione durata meno di un secondo.
Ordine, ecco qual era il potere all’interno del suo compagno. Le aveva donato la possibilità di rendersi utile. Per una volta poteva davvero aiutare gli altri.
- Ehm… - iniziò la ragazza incerta – E se andassimo sull’isola dei monaci? Dopotutto, se fossi un dio e volessi nascondere qualcosa, lo metterei in un posto del genere… -
Ci fu un momento di silenzio ancor più pesante. Nessuno poteva credere che quelle parole fossero uscite dalla bocca di Seila.
Nirghe fu il primo a riprendersi dallo sconcerto. – Lupastro, nello studio di Vago c’era una cartina. Vero che l’isola dei monaci era stata evidenziata? –
- Si… Si, l’aveva cerchiata più volte. Credi che possa essere quella la nostra prossima meta? – gli rispose l’altro di rimando.
- Bene. Visto che non abbiamo idee migliori direi che è deciso. Prepariamoci e partiamo. – chiuse il discorso il Gatto, borbottando un “bel lavoro, Seila” mentre si allontanava.
L’erborista si sentì al settimo cielo, l’avevano ringraziata! Aveva fatto qualcosa di utile! Aveva deciso, non sarebbe più stata un peso.

Maledetti dei. Ho capito cos’avete in mente e lasciate che vi dica che siete degli esseri orribili.
Capisco tutto, non eravate sicuri né se avreste scelto i prescelti giusti, né su quando il demone sarebbe ricomparso, ma questo non vi sembra esagerato?
Ora capisco perché li avete presi così giovani, poveri ragazzi.
E voi non preoccupatevi, continuate pure a leggere e dimenticatevi di questa parentesi, avrò tempo per spiegarvi tutto dopo… molto tempo.

Il gruppo si concesse due giorni di riposo prima di ripartire. Ora che avevano deciso la loro meta successiva non restava altro a cui pensare se non il mezzo che gli avrebbe permesso di attraversare quella fascia di mare che si frapponeva tra le Terre e l’Isola dei monaci.
La mappa che la setta aveva affidato agli assassini tornò alla luce dopo mesi segregata chiusa in una bottiglia di vetro.
Mea rimase china sulla carta sgualcita per più di un minuto, intenta a studiare ogni segno tracciato da quell’inchiostro scuro. Infine la mezzelfa si decise a rompere il silenzio.
- Guardate qui. La strada migliore per raggiungere l’isola sarebbe questa. – Il dito affusolato della maga tracciò una linea lungo la catena dei Monti Muraglia, per poi fermarsi su un pallino nero sulla costa meridionale. – La città portuale di Norua sarebbe il migliore punto di partenza, però... c’è un problema. –
Il Corvo ripiegò accuratamente la mappa, intanto una ciocca di capelli blu le ricadde sulla fronte tesa.
- Qual è il problema, questa volta? – chiese Keria scocciata.
- Vedete, questa zona del mare è stretta tra due promontori lunghi decine di chilometri. I venti si incanalano e queste acque sono costantemente scosse da cavalloni che distruggerebbero qualsiasi imbarcazione di piccole dimensioni. –
- Quindi siamo punto e a capo. – disse Hile facendo qualche passo in direzione del versante occidentale per scaricare la frustrazione accumulata.
- No. Abbiamo ancora una possibilità. Non dobbiamo per forza fare tutto da soli. – La mappa passò nelle mani di Nirghe e, da lì, nella sua sacca. Mea quindi si voltò in direzione del Lupo – In fondo è una città portuale e, anche non ci fossero degli Stambecchi in zona, abbiamo ancora dei soldi da parte, potremmo semplicemente affittare una barca con un minimo di equipaggio e toglierci così il problema delle correnti.
Piedi e zampe si rimisero in marcia verso sud, calpestando i terrosi sentieri che costellavano il fianco del Flentu Gar e dei massicci vicini, intanto, in cielo, due figure scure volteggiavano lente, avvicinate ogni tanto da uno scintillio diamantino.

Vi lascio immaginare quali incredibili avventure costellarono questo viaggio, denso di incontri con terribili marmotte e, sporadicamente, qualche stambecco dalle lunghe corna.
Una noia, soprattutto sommata al fatto che con ben tre cuccioli di animali divini in cielo le correnti mi erano precluse per non farmi scoprire. Quindi sono tornato al buon vecchio sasso nella borsa.
In ogni caso, quella là davanti, in fondo a questa maledetta valle, è Norua. Basta dare uno sguardo a quei meravigliosi fumi grigi che fuoriescono dalle ciminiere, per capire quanto sia gettonata come meta turistica.

Il gruppo di assassini si accampò poco fuori le mura cittadine, in un boschetto sopravvissuto alla pesante deforestazione che aveva colpito tutte le colline attorno, che ne portavano ancora i segni.
Il ghiaccio delle cupole assunse una tonalità verdastra, per renderle meno visibili nella vegetazione.
I ragazzi si avviarono quindi in direzione dell’alta cinta in muratura, il cui unico accesso dalla terraferma era un maestoso arco sovrastato da una spessa grata in ferro pronta a calare per isolare la cittadina.
Dalla guardiola una guardia cittadina controllava annoiata i pochi gruppi in ingresso. Ogni tanto una fiaschetta scintillante bagnava le labbra dell’uomo, spandendo un odore forte nella piccola costruzione in assi scure.
- Ora? Come ci muoviamo? – chiese Jasno sistemandosi il cappello largo sulla fronte.
- Dividiamoci. – gli rispose il Corvo – Abbiamo quasi finito le provviste e dobbiamo fare un sopralluogo sul porto. Senza contare il fatto che dobbiamo cominciare a cercare uno Stambecco della zona. –
- Ci penso io alle provviste. – disse l’Aquila allontanandosi di un passo dal resto del gruppo.
- Io posso aggregarmi a Jasno. Magari mentre giriamo per la città riusciremo anche a trovare un affiliato della Setta. Che ne dici Seila? Vieni con noi? – disse Keria sistemandosi sulla schiena l’arco e la faretra.
- Si… Si, certo… - le rispose insicura l’elfa bionda.
Hile alzò guardò in direzione dell’arciere, stupito da quel comportamento così insolito. Lo sguardo che ricevette come risposta chiarì i suoi dubbi. Gli occhi verdi della ragazza sembrarono voler dire “La tengo d’occhio io”.
Il Lupo si grattò distrattamente il capo, assorto nei suoi pensieri. Tutti i suoi compagni erano cambiati da quando si erano salutati prima delle prove, ma Seila era migliorata parecchio. Forse l’incontro con gli dei le aveva dato una scossa, in senso buono.
La voce di Mea riportò il lanciatore di coltelli alla realtà. – Bene. Noi tre quindi andiamo al molo. Ci ritroviamo questa sera alle cupole. –
- Trovate una nave decente! – disse ancora Keria mentre si allontanava, con una mano sollevata in segno di saluto.
A ben pensarci, si disse il Lupo, anche Mea e Keria erano cambiate dalla prova. La maga si era fatta più fredda e calcolatrice, al contrario il Drago aveva una luce diversa negli occhi, sembrava più sicura di sé e non solo perché poteva contare sulla protezione di un cucciolo di drago.

L’aria nella zona meridionale di Norua era pregna di salsedine, ma dell’odore di pescato che appestava Sarnasj non c’era traccia.
La banchina piastrellata si allungava per un centinaio di metri, da questa si allungavano moli in legno ai quali erano ormeggiate diverse imbarcazioni di media stazza.
Il porto era stretto tra due alti promontori, in punta ai quali, da entrambi i lati, si alzavano due alti fari in mattoni.
Hile si guardò intorno spaesato, in cerca di un appiglio nella loro ricerca.
Un gruppo di marinai abbronzati entrò rumorosamente nello stabile dei carpentieri.
- Andiamo a controllare lì? – chiese Nirghe passando lo sguardo sui tetti delle abitazioni circostanti.
All’interno della struttura decine di uomini lavoravano attorno allo scheletro di un’imbarcazione a due alberi. L’aria era satura del rumore delle seghe sulle assi e del ritmico battere dei martelli sulle teste dei chiodi.
I tre assassini si diressero a passo svelto verso tre uomini che tranquilli parlottavano incuranti del frastuono.
- Scusate, avremmo bisogno di alcune informazioni riguardo a delle barche. Possiamo chiedere a voi? – chiese Mea sfoggiando un’aria innocente.
Uno dei tre uomini nerboruti borbottò un “ci penso io”, avvicinandosi ai ragazzi per ascoltare le loro richieste.
- Avete bisogno di una barca, dite? Andiamo fuori a parlare. –
Quando il rumore assordante che accompagnava la costruzione di una nave si fu placato l’uomo si fermò.
- Mi sembrate un po’ troppo giovani per potervi permettere una di queste. –
Hile decise di prendere parola. Lo infastidiva dover rimanere all’ombra di Mea. – Certo, ma… vede, non è per noi la nave. Non proprio, almeno. Siamo gli apprendisti di un fabbro di Gerala e vede… lui crede che costruendo una fucina sull’isola dei monaci i suoi lavori avrebbero una fattura nettamente migliore, sa, senza tutto il trambusto cittadino. –
- Un fabbro, dite? –
- Si, certo. Queste sono due delle sue ultime spade. – continuò il Lupo mostrando con un gesto i due foderi alla vita di Nirghe. – Vede, noi abbiamo solo un problema… ci ha mandati qui per due ragioni, la prima è informaci se in città ci siano navi sufficientemente grandi per poter trasportare tutti i suoi attrezzi, la seconda… lui vorrebbe che noi andassimo a fare un primo sopralluogo sull’isola. Sa, per controllare che non ci siano problemi di nessun tipo. –
- Quindi cosa volete da me, ora? – chiese con il volto corrucciato l’uomo, incrociando le braccia sul petto largo.
- Abbiamo bisogno di un’andata e un ritorno per l’isola dei monaci, per una decina di persone. – gli rispose seccamente Nirghe.
- Per così poche persone, senza merci, per giunta, nessuno scomoderebbe un battello a vapore. La vostra unica possibilità è la Lancia delle Onde, quella laggiù. Ma vi verrà a costare sulle dieci Laire d’oro, a testa. Non credo che abbiate così tanto denaro con voi. –
L’uomo rientrò nel capanno a passi pesanti, lasciando i tre assassini ammutoliti sulla banchina a fissare l’alto albero maestro dell’imbarcazione ondeggiare.
- Speriamo che gli altri abbiano avuto più fortuna. – borbottò Nirghe, incamminandosi a passo svelto verso l’interno della città, lanciando solo un breve sguardo alla ripida scalinata che alla sua sinistra s’inerpicava sulla roccia per proseguire come sentiero fino alla fine del promontorio.

I sei ragazzi si riunirono davanti alle cupole di ghiaccio poco prima del tramonto. Le provviste erano state sistemate in un angolo, pronte per essere smistate, mentre un fuoco scoppiettava in una bassa buca nel terreno.
- Com’è andata? – chiese Keria buttando un altro ramo preso dalla fascina tra le fiamme.
- Malissimo. – le rispose la maga – Non riusciremmo in nessun modo a prendere una di quelle barche come delle persone normali. –
- Beh, allora le uniche buone notizie le abbiamo noi. – riprese l’arciere – Seila ha trovato su una porta in fronte alla piazza principale un battente esagonale con il simbolo degli Stambecchi. Purtroppo la casa era chiusa e non siamo riusciti a parlare con nessuno, ma potrebbe esserci qualcuno che può aiutarci lì… -

Maledizione.
Sapevo che sarebbe stato meglio eliminare quel maledetto affare. Non ci sono più inviati della Setta in questa città da anni e, probabilmente, quel battente arriva da una bancarella sudicia di qualche stramaledetto mercato.
Ora è tardi per preoccuparsi di questo. Ci metterò una toppa più avanti.

Buio drizzò le orecchie, scoprendo leggermente i denti affilati. In quel preciso istante Hile sentì una strana sensazione. Il suo corpo si era messo in allerta, esaminando ogni ombra che si muoveva nella vegetazione attorno e ogni minimo suono. Il cuore accelerò i suoi battiti e le mani corsero ai coltelli più vicini.
- Io vado a controllare una cosa. – disse solamente, per poi alzarsi e spostarsi silenzioso nella direzione indicatagli dall’istinto.
Il corvo di Mea volò sopra al ragazzo, appollaiandosi su un ramo in alto per scrutare nel buio appena calato.
I sensi di Hile si fecero acuti e, in quella condizione, il bosco parve illuminarsi di una strana luce.
Passi, più di due persone sicuramente e un fruscio alle sue spalle simile a quello prodotto da un piccolo animale. Nulla di cui preoccuparsi.
Buio rizzò i peli sul dorso, snudando la dentatura candida.
Fu allora che sei uomini comparvero dalla vegetazione, circondando l’assassino e avvicinandosi lentamente con catene e piedi di porco stretti tra le mani.
Non erano né combattenti esperti, né tantomeno addestrati, ma la loro stazza poteva sopperire a questa mancanza.
Quattro coltelli partirono rapidi, ma solo uno si riuscì a piantare nel collo taurino di un uomo, senza nemmeno fermarlo.
Hile scattò in avanti, saltando sul petto dell’aggressore più vicino e conficcando due pugnali sotto la mascella.
Colante di sangue l’uomo riuscì ancora a stringere nella mano callosa il collo del Lupo e a scaraventarlo a terra, poi Buio chiuse la mascella sulla gola già martoriata e il corpo imponente cadde a terra tra rantolii e zampilli di sangue.
La dimostrazione di forza parve non colpire il resto della banda. In men che non si dica un secondo uomo si era gettato sul corpo del ragazzo, premendo con una gamba sullo stomaco dell’avversario a terra mentre era intento a cercare di calare il pezzo di ferro che teneva tra le mani sulla testa dell’assassino.
Hile sentì la sua fronte imperlarsi di sudore. Avvertiva dentro di sé che il suo compagno non poteva raggiungerlo. In quel momento c’erano solo lui, quell’uomo e il piede di porco che cercava di rompere la barriera delle sue braccia per raggiungere la sua testa.
Nessun coltello poteva essergli utile, nessuno si era conficcato in modo tale che, se richiamato, potesse affondare nelle carni dell’aggressore.
L’asta di ferro guadagnò ancora qualche centimetro.
Una freccia fischiò nell’aria, finendo poi per trapassare da tempia a tempia la testa dell’aggressore, che cadde pesantemente sul torace del Lupo.
Da un cespuglio vicino, senza produrre il benché minimo rumore, comparve Nirghe con le spade sguainate, che si tinsero di rosso quando attraversarono il torace di un terzo uomo.
Jasno saltò da un ramo a una quindicina di metri di altezza, atterrando sulle spalle di un quarto bandito, che cadde a terra con il collo già torto.
Tre aghi avvelenati si conficcarono sul collo del penultimo uomo, che in otto secondi cadde in ginocchio in cerca d’aria.
L’ultimo bandito cercò di allontanarsi dalla bolgia frettolosamente.
- Renèz. – disse digrignando i denti Hile, compiacendosi quando avvertì la lama che affondava nel polmone destro dell’uomo.
Le spade gemelle del Gatto si chiusero attorno al collo del sopravvissuto, facendo fiottare il sangue vermiglio sull’erba scura.
- Meno male che eravamo noi Gatti quelli impulsivi. – disse lapidario Nirghe pulendo le lame nella camicia dell’ultimo uomo ucciso.
- Grazie… per tutto questo. – gli rispose il Lupo con lo sguardo basso, mentre richiamava a sé i coltelli.
- Non ringraziare me, piuttosto tieni le tue parole per Mea. –
- Perché? –
Seila sbucò da dietro un tronco con la cerbottana stretta in pugno.
Il Gatto la guardò con un’ombra di noia negli occhi, poi tornò a concentrarsi su Hile. – Per fortuna lei ti ha visto e ha visto loro, altrimenti non saremmo mai arrivati in tempo. –
- In che senso visto? –
Il Gatto indicò con un dito un ramo, sopra al quale un corvo gracchiò. – A quanto pare lei può vedere attraverso quegli occhi.

Il gruppo si riunì nuovamente intorno al falò. Il lanciatore di coltelli non riusciva ad alzare lo sguardo sui volti dei compagni.
- Scusatemi. – riuscì a pronunciare con le labbra secche.
- Questo dimostra che questi animali non sono qui solo per farci compagnia. – disse Mea. – Stiamo cambiando. Hile, tu perché te ne sei andato, prima? –
- Non lo so. Ho sentito come… la frenesia della caccia. Riuscivo a percepire i passi di quegli uomini, potevo quasi vederli. Ma non so come mai abbia deciso di andare da solo… -
- Questo non è successo solo a te. – gli disse con un sorriso tenero Keria posandogli le mani sulle spalle. – A quanto pare il nostro legame con i compagni è molto più profondo. Mea vedeva attraverso gli occhi del suo corvo, Nirghe non si è mosso nel più assoluto dei silenzi e poi guardalo, non l’ho mai visto così annoiato e sonnecchiante, sta diventando come uno di quei grassi gatti da salotto, Jasno non ho idea di come abbia fatto a non ammazzarsi saltando da quel ramo e… Seila ci ha detto che sul Flentu Gar l’intuizione che la nostra prossima meta fosse l’isola dei monaci ce l’ha avuta all’improvviso, inoltre il veleno che ha utilizzato prima non è una mistura di erbe. Era la sua saliva. Luce mi aveva detto che i nostri compagni nascondono un potere, il mio non l’ho ancora scoperto, a meno che non sia questo braccio, ma questi sono sicuramente i vostri. –

Non mi piace.
Non intendo il discorso, sia chiaro. Quello l’ha fatto per bene.
Non mi piace questa controindicazione dei compagni. Avanti, sonnolenza, manie di controllo, perdita dell’autocontrollo, questi sono tutti effetti indesiderati. Probabilmente dovuti al fatto che ragazzo e compagno stanno cominciando a sincronizzarsi.
No. Non credo che siano questi i poteri che gli hanno promesso. Direi piuttosto che sono un altro ostacolo sul mio percorso, perché dovranno imparare a tenerli a bada.

- Va bene. – disse dopo qualche secondo di silenzio Hile sollevando il capo. – Il piano per domani, quindi, qual è? – 

   
 
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