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Autore: Belarus    02/09/2016    3 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law; Heart pirates.
Note: Nuovo aggiornamento e straordinariamente nei tempi da me prospettati, con un movimento di fondo latente che invece mi avvia all’epilogo di questa lunghissima storia per cui sono già soddisfatta per essere giunta sin qui. L’atmosfera greve dello scorso capitolo non si è ancora diradata del tutto e gli animi non sono dei più gioviali, ma ognuno dei protagonisti dei POV ha un ruolo specifico che non è da ignorare, nemmeno Killer al quale ho concesso l’onore di parlar da sé come di rado è accaduto qui. Vedo già all’orizzonte profilarsi l’isola dei miracoli, ma prima dell’approdo c’è qualche punto che, mio malgrado, dovrò risolvere tra Aya e Kidd per cui badate bene a quei due… e badate bene anche alle noticine che tuttavia contengono un piccolo spoiler per chi non segue gli aggiornamenti dell’originale in merito a Kidd. Per il resto beh, ammetto che avrei molte altre cose da dire e che il mio cuoricino melanconico dovrà tener per sé dato che spoilerare spudoratamente va a mio discapito. Per cui mi limiterò a ringraziare chi compiendo un atto di coraggio dopo così tanti capitoli fa sentire la sua voce nelle recensioni incoraggiandomi, chi imperterrito si aggiunge ai seguaci (ben 78 a tutt’oggi che non so dove siano rintanati perché mi pare impossibile credere all’esistenza di una tale moltitudine) e chi passa soltanto per poi salpare nuovamente. Siete, insieme alla mia cocciutaggine, il motivo che mi spinge a continuare per cui grazie infinite davvero per esserci ancora!
Alla prossima, spero presto, mes amis!






CAPITOLO LXX






All’ombra di un edificio dalle pareti tinteggiate di fresco e dietro alle cui finestre dondolavano piante esotiche dalle foglie a forma di volti sorridenti, Iwa controllò un’ultima volta la strada gremita di gente cercando di carpire dalle loro espressioni se qualcuno aveva sospettato anche solo per un istante. Gli abitanti di Marijoa tuttavia proseguirono imperterriti nelle loro passeggiate, chi chiacchierando, chi stando seduto ad un café o in un giardino davanti alla propria abitazione, gai e appagati non si curarono minimamente delle loro figure nel vicolo e lo stesso poté dirsi di quei pochi marines di passaggio in quel momento. Solo a pericolo scampato suo fratello si volse a fronteggiarlo, esibendo un’aria di rimprovero persino più greve di quella che di consueto aveva ottenuto dalla sfortunata piega assunta dal suo naso da qualche anno e che poi aveva avuto sin da bambino.
«Potevano riconoscerti. Nella tua posizione ti spedirebbero immediatamente ad Impel Down o al patibolo.» gli rammentò, mentre Shizaru si privava della fascia con cui aveva camuffato per metà viso e capelli.
Passare i serrati controlli ai cancelli d’accesso della capitale era stata un’impresa riuscita solamente grazie al permesso dei due cuochi cui si era accompagnato, ma una volta dentro aveva pensato che non sarebbe stato impossibile nascondersi a sguardi indiscreti. Quella di Marijoa era una società ristretta, un mondo in miniatura cui i restanti uomini non potevano aspirare né tantomeno gliene veniva data la speranza. I Nobili mondiali erano critici e selettivi nei confronti di coloro che gli erano pari, il resto della gente però toccava di rado il loro interesse né poteva dirsi che i rimanenti abitanti si curassero di qualcuno di passaggio. Aveva prestato attenzione nell’evitare la zona in cui sorgeva il palazzo del Governo mondiale, marines a lui noti e non, strade o piazze particolarmente affollate ed era andato tutto per il meglio finché lo sguardo di Iwa, a decine di metri di distanza, non lo aveva riconosciuto nonostante il travestimento.
«Devo tornare dall’altra parte, l’imbarcazione che mi sono procurato non reggerebbe la discesa sino all’isola degli uomini-pesce.» spiegò in un sospiro greve, passandosi distratto una mano dietro il collo.
Aveva pagato la piroga a motore una grossa cifra e l’aveva acquistata appositamente per la sua manegevolezza, ma tolti i pregi restava in ogni caso una piroga e aveva già i suoi dubbi in merito a come avrebbe retto nell’inoltrarsi nel Nuovo Mondo. In verità quando aveva pianificato quella ricerca non aveva messo in conto molti degli imprevisti che stavano saltando fuori, a partire da quel ritorno frettoloso sui propri passi.
Seccato dalla mancanza d’interesse per la propria incolumità che la frase appena rivoltagli aveva fatto trasparire, aggrottò ancor più la fronte serrando le braccia al petto.
«Smetti di cercarla, è inutile ormai. Trova piuttosto un posto in cui nasconderti e restaci.» gli ordinò quasi con una lunga occhiata, per quanto commosso però da quella premura Shizaru non poté fare a meno di concentrarsi sulla mancata informazione che era stata lasciato in sospeso.
«Cosa vuol dire inutile, cos’è successo? L’avete presa? È per questo che siete qui?!» volle sapere, irrigidendosi al solo pensiero che per una pista sbagliata avesse potuto mandare tutto in fumo davvero.
Nel vederlo tanto allarmato Iwa gli puntò gli occhi scuri contro, studiandolo in un silenzio greve.
Perdonarsi d’averla lasciata a sé stessa proprio quando più aveva bisogno di qualcuno accanto sarebbe stato impossibile per Shizaru. Si sarebbe sentito complice di quella ingiustizia, colpevole per aver scelto il modo sbagliato d’agire, non avrebbe potuto sopportare di saperla chiusa sul fondo d’Impel Down o peggio morta, mentre lui era ancora libero. Era compito della Marina proteggere e benché non avesse mai desiderato davvero farne parte, aveva comunque imparato da suo padre e da essa a non abbandonare chi aveva bisogno d’aiuto e se si parlava poi di qualcuno che veniva accusato ingiustamente e che lo aveva anche salvato, quella storia raggiungeva risvolti intollerabili per la sua coscienza da ignorare.
«Sono solo, dovevo discutere di una condanna con il viceammiraglio Momousagi. Quella Nobile è ancora libera, ma Kikazaru ha ricevuto un comunicato, è scoppiata una guerriglia ad Egle nel Regno di Myramera ed è stato avvistato Eustass Capitano Kidd… hai fatto quello che reputavi giusto, ma era solo questione di tempo.» si decise a rivelargli schietto dopo un po’.
Iwa non era mai stato un uomo né un bambino di molte parole, si era convinto ad aprir bocca alla veneranda età di cinque anni dopo che tutti in famiglia lo avevano creduto muto e con una frase impeccabile di senso compiuto che non aveva voluto essere nulla di più di ciò che era. Shizaru sapeva che se gli aveva passato quell’informazione confidenziale era soltanto per affetto nei suoi confronti e perché a suo modo fare i conti con la dura verità avrebbe potuto salvarlo dalla rovina. Eppure più che delusione o sconforto, ciò che stava provando in quel momento era incredulità e confusione.
«Ha attaccato il paese della sua famiglia?» domandò a mezza voce, abbassando lo sguardo sul lastricato della via con la mente già altrove.
«Shi.» lo richiamò suo fratello, non riconoscendo in quella reazione ciò che sperava.
Capovolgere uno dei Regni fondatori del Governo e per di più l’unica pedina di valore che recasse impresso il nome dei Mononobe con un attacco diretto e tanto spudorato era un’azione di cui sarebbe stata capace l’Armata Rivoluzionaria e sì di certo anche un Drago Celeste ribelle, ma Shizaru stentava a credere che fosse possibile almeno in quel momento e con quelle condizioni. Se realmente, come temevano i Gorosei e i pochi a conoscenza della verità sulla faccenda, quella ragazza era stata forviata dall’odio della schiava che l’aveva cresciuta per l’Ordine stabilito e la vicinanza ai pirati l’aveva ormai condotta su una via senza ritorno, rivoltare Myramera non poteva essere la sua prima azione contro il Governo. Sarebbe stato come gettarsi a capofitto da una scogliera non avendo mai nemmeno saltato su una pozzanghera, non era verosimile e fattibile né si poteva tenere in considerazione come precedente il confuso episodio sull’isola di Arumi. Più Shizaru pensava a quanto gli era appena stato detto più quella storia gli appariva confusa e la soluzione per chiarire il dilemma una soltanto.
«La catturerò io se davvero si rivelerà la responsabile e la porterò qui.» stabilì alla fine, tornando a sistemare la fascia su viso e capelli per prepararsi a ripartire.
Aveva scelto quella via con tutte le sue difficoltà senza esitazioni perché aveva voluto comportarsi secondo giustizia e non si sarebbe certo tirato indietro, seppur con rammarico, nel caso in cui il suo giudizio fosse stato errato. Prima però aveva bisogno di chiarire tutto, finché così non fosse stato non avrebbe accettato di restare ad assistere, mentre gli eventi facevano il loro corso.
«Non sai niente di lei, non le hai quasi parlato.» lo fermò Iwa, scoccandogli una lunga occhiata greve.
«L’ho guardata.» eruppe, aggrottando la fronte pur senza rabbia prima di bisbigliare una raccomandazione e sparire lungo il vicolo.
Forse le sue impressioni lo avevano ingannato e un giorno, neanche troppo lontano magari, si sarebbe pentito d’aver voluto riporre fiducia in quella ragazza, ma ciò che aveva visto nella cabina della sua nave quando l’avevano sottratta ai pirati per ricondurla a casa era stato tutto fuorché un mostro.



Quando riaprì gli occhi, sdraiato sul fondo della propria piroga, la solitudine in cui si scoprì circondato lo spinse ad ingoiare persino il lamento di dolore che gli premeva in gola pur di uscire liberatorio, mentre si alzava.
Avvolta da una luce bluastra Serranilla era ridotta ad una cascata lontana battuta dalla pioggia, attorno a lui e alla sua imbarcazione squassata dalle onde del mare burrascoso c’erano solo leghe e leghe di acqua vuota e cupa sotto cui nuotavano pesci grandi come mostri marini. Tra pioggia e nubi nere che si gonfiavano l’une sulle altre la visibilità non era delle migliori, specie nella sua bassa posizione, ma della nave di Eustass Capitano Kidd non c’era traccia nemmeno all’orizzonte.
Lasciando vagabondare lo sguardo attorno a sé, premette la manica strappata del giaccone sul foro di proiettile simile a un fiore insanguinato che gli macchiava la spalla sinistra, finchè non stabilì che non ci fosse proprio nulla da avvistare, abbandonandosi spossato sull’unico posto disponibile a bordo per riposare un pò.
La Marina e il Governo non si sarebbero arresi. Dopo quel buco nell’acqua forse avrebbero tolto l’incarico ai suoi fratelli per affidarlo a qualcun altro di maggior fiducia, ma per Shizaru quella prospettiva era meno auspicabile di quanto invece apparisse. Doveva trovarla e convincerla una volta per tutte a sparire per la sua sicurezza. Doveva trovarla sì, il problema adesso però era scoprire da che parte cercarla.



La sabbia era fine, la spiaggia vuota e piuttosto stretta in quella baia. Una scogliera non troppo alta serpeggiava a nordest subito sopra la spiaggia, ma non si riusciva a capire per quanto proseguisse da lì o se quello fosse l’unico punto d’attracco possibile dato che la foresta la inghiottiva curvando lungo la linea stessa dell’isola. C’era verde un po’ ovunque, alberi sparuti o in gruppo dai tronchi imponenti che s’inerpicavano in ogni zona e speroni di roccia giallastra che emergevano dalla terra in montagnole dalle dimensioni più svariate. L’aria era limpida, quasi pungente e il mare lì attorno nemmeno troppo ostico se si faceva eccezione per la corrente fredda a due, tre leghe di distanza. Era un’isola dalle dimensioni ridotte di quello si erano accorti già ad una prima occhiata, ciò che gli era sfuggito invece era stato l’imponente castello grigio che silenzioso si era rivelato loro alle spalle della montagna più alta solo quando ormai erano troppo vicini per allontanarsi. Al loro arrivo non era giunto nessun allarme o guardia armata, malgrado fosse impossibile non avvistare una nave da quella posizione di vantaggio, ma Killer non aveva mai nutrito fiducia in certe apparenze né sentiva di poter rischiare proprio in quei giorni.
Con gli occhi di buona parte dell’equipaggio puntati addosso dal ponte della nave, avanzò in linea retta inoltrandosi tra la vegetazione alla ricerca di Heat e Wire andati in avanscoperta con un gruppetto ristretto sino a raggiungere la base dell’edificio. Dai fori della propria maschera osservò con sguardo allenato i dintorni, scoprendo i propri compagni riemergere pochi secondi dopo da un portale diroccato ancora integri.
«Abbiamo controllato dappertutto, l’isola è disabitata.» annunciò con la consueta espressione piatta Wire.
«Non ci sono nemmeno bestie pericolose o tracce di approdi recenti, siamo i primi che ci mettono piede da un bel po’.» gli fece subito eco Heat annuendogli.
Quelle erano notizie decisamente positive. Era capitato loro da quando si trovavano nello Shinsekai di approdare su parecchie isole prive di popolazione, tuttavia certe mancanze erano solitamente dovute ai motivi più disparati: da bestie con cui era quasi impossibile convivere e che si sbranavano a vicenda sino a climi intollerabili. Pareva però che quella volta si fossero imbattuti in un luogo che doveva essere stato abbandonato per uno migliore, nel Nuovo Mondo non era una sorpresa, quella parte del mondo non era ospitale né a misura d’uomo.
«Questo castello?» domandò comunque, cercando d’individuare dai pochi indizi il motivo per cui qualcuno si fosse speso nel costruire lì per poi abbandonarlo.
«È tutto pieno di polvere o marcito e ci sono torri di vedetta, ma nessun lumacofono. Forse era un presidio della Marina, ci sono delle celle nei sotterranei e un po’ di apparecchiature arrugginite.» ipotizzò Heat con un’alzata di spalle, girandosi a guardare la struttura che avevano appena lasciato.
Da quanto sapeva il Governo in passato, all’epoca di Gol D. Roger, aveva edificato parecchie basi un po’ ovunque lì nello Shinsekai nella speranza che almeno una di esse potesse dare per tempo informazioni sugli spostamenti del Re dei Pirati. Quello però non aveva l’aspetto di un presidio, forse era stato sfruttato per qualche tempo, ma di certo quando era stato costruito non era stata quella la prima intenzione. Era più probabile che si trattasse di un avamposto di qualche paese vicino o di qualcosa del genere.
«Possiamo usarlo per sistemarci?» volle sapere, decidendo che alla fine ciò che importava per il momento fosse la mancanza di altri oltre a loro su quell’isola.
«La struttura è per metà crollata in quella zona, le fondamenta però dovrebbero reggere ancora per parecchio. Dà l’impressione d’essere ancora piuttosto solido.» lo informò uno degli uomini che spesso dava una mano al carpentiere di bordo.
«Ci si può stare anche comodi, ci sarebbe posto per tre volte tutti noi. È stata una gran fortuna trovarlo!» concluse intromettendosi uno dei mozzi con il sorriso e Killer non si spese nemmeno nell’annuire.
Avevano viaggiato per tre giorni consecutivi incrociando ben cinque isole, in nessuna però avevano potuto fermarsi a causa dei centri abitati. Sarebbe stato utile avere un luogo in cui potersi garantire dei rifornimenti, ma un solo allarme da parte della popolazione e la Marina sarebbe nuovamente stata sulle loro tracce. Con Kidd ancora in stato d’incoscienza e Aya braccata dal Governo, non gli sarebbe affatto giovato ritrovarsi in una situazione come quella di Serranilla né tantomeno rischiare d’incrociare altre ciurme che avrebbero potuto approfittare per attaccarli. Attendere che le cose si risolvessero o quantomeno migliorassero in un luogo sicuro era tutto ciò che potevano permettersi di sperare in quel momento.
In silenzio fissò con sguardo greve l’edificio in ogni anfratto visibile, sentendo attorno a sé calare i rumori pesanti di un luogo che per chissà quanti anni non aveva visto alcun uomo sulla sua terra e solo dopo aver inghiottito il groppo che aveva alla gola si convinse a parlare, avanzando per lasciarsi tutti dietro.
«Bene, allora approfittiamone. Lo useremo come covo finché Kidd non si sarà ripreso. Heat fa sistemare la nave nella baia e bada che rimanga comunque sempre qualcuno a bordo. Dobbiamo rimettere in attivo anche le torri di vedetta, ci torneranno utili per controllare che nessuno si avvicini troppo e dare una ripulita.» stabilì infine con voce metallica senza attendere alcuna risposta e superò il varco di una parete, agirandosi per uno dei cortili sino ad imboccare una ripida scala che lo conducesse dentro.
Aveva intrapreso quel viaggio con Kidd dal Mare Meridionale con la promessa di non fermarsi se non una volta che lui avesse realizzato il suo sogno e aveva giurato da vicecapitano di non consentire a nulla di ostacolarlo o frapporglisi, ma aveva fallito permettendo che un’imprudenza lo relegasse sul fondo di un letto. Si era reso conto però che disperare o rassegnarsi sarebbe stato come calpestare la fiducia che aveva riposto nel proprio capitano ed amico e quella era davvero l’unica cosa che Killer non avrebbe mai potuto perdonarsi. Da vice avrebbe tirato avanti invece sobbarcandosi ogni peso e responsabilità finché Kidd non si sarebbe ripreso e se farlo avrebbe comportato rimanere lì, piegandosi alla loro prima volontà, allora a malincuore lo avrebbe fatto per il bene di tutti.
Come un’ombra silenziosa vagabondò per un po’ tra i corridoi umidi respirando l’aria stantia che imperniava le pareti di pietra grezza, sino a che l’oscurità non lo inghiottì nei meandri abbandonati del fondo di quel castello.
Kidd avrebbe fatto tremare mezzo mondo con le sue urla all’idea di starsene rinchiuso in un castello come una principessina da tenere lontana dai pericoli, ma in fondo era sempre toccato a Killer essere la voce della ragione tra loro.



Benché avesse trascorso buona parte del suo soggiorno sull’isola degli uomini-pesce defilato, spendendo un po’ delle giornate al Centro di cultura ittica e l’altra a vagabondare con il supporto degli efficenti fishbus anche per ingannare un po’ i pensieri in merito al futuro che lo attendeva, non era riuscito a sottrarsi a quel concerto. Lasciare che il suo equipaggio entrasse al Mermaid Cafè era stato l’inizio: avevano familiarizzato con la maggior parte delle cameriere dando sfoggio delle loro doti da corteggiatori a tal punto, nelle visite seguenti, da meritare dei posti a sedere – introvabili da mesi a quanto si diceva – per una spettacolare performance di Maria Napole, cantante di fama indiscussa lì nel Regno del Palazzo del Drago. Sebbene Law non fosse un appassionato di musica, doveva ammettere che il concerto non era stato poi la tortura che temeva anche se non di rado aveva finito per distrarsi cercando tra il personale quell’amica di Mugiwara-ya di nome Kayme che pare lavorasse lì. Lo aveva fatto più per curiosità nello scoprire se la sua spensieratezza ritrovata fosse perenne o occasionale, ma ciò di cui era venuto a conoscenza alla fine non aveva avuto nulla a che vedere con lei.
«Jimbe-san si è unito alla loro ciurma, sembra stiano andando via proprio ora.» confermò Penguin, raggiungendoli all’esterno del Mermaid Café dopo aver fatto qualche domanda alle sirene.
Per tutta la serata era serpeggiata tra il pubblico euforico la voce che i pirati di Big Mom, nuova protettrice dell’isola degli uomini-pesce dopo la morte del vecchio Newgate, stessero ripartendo per lo Shinsekai dopo mesi di presidio fisso al loro nuovo territorio. Alla radice dell’indebolimento della presa ferrea che avevano imposto c’era stato a quanto pareva il pronto arruolamento di un membro di spicco della comunità degli uomini-pesce come il Cavaliere del Mare. Ennesimo guadagnato senza dubbio a favore dell’Imperatrice ed ennesimo affronto alla Marina, dato che un loro ex Shicibukai passava impunito alle file di una sua implacabile nemica.
«Sono felice che stia bene, era un tipo gentile.» ammise Bepo, esibendosi in un piccolo sorriso.
Non si vedevano da quando lui e Mugiwara-ya erano stati loro ospiti a seguito della guerra di Marineford. A differenza di quel rumoroso ragazzino Jimbe-ya era stato fuori combattimento soltanto per qualche ora, la sua ferita morale e fisica non era stata poi così grave e quando si era ripreso avevano avuto modo di testarsi un po’. La sua presenza, seppur greve e silenziosa data l’occasione, non era stata sgradita a nessuno e Law serbava ancora il ricordo della sua figura accovacciata a vegliare su Mugiwara-ya quando passava di fronte all’infermeria dove lo aveva curato. Un giorno forse, se avessero avuto modo di incrociare di nuovo le loro strade, lo avrebbe ringraziato, in fondo era in debito con lui per avergli fornito l’occasione di poter diventare uno Shicibukai.
«Certo che è strano però… ci aveva raccontato che gli pesava già lavorare per la Marina e adesso si mette alle direttive di quella donna? Forse non sono tutte vere, ma girano voci spaventose sul suo conto.» rifletté Shachi, mentre si dirigevano nuovamente al sottomarino per la notte.
Le strade sabbiose non brulicavano più di vita a quell’ora quanto durante il giorno e fatta eccezione per le più vicine al Mermaid Café o quelle che conducevano a luoghi di nicchia come il Gyobari Hiruzu, tutte si erano svuotate rimanendo buie e silenziose a tal punto da far udire alcuni suoni ovattati proveniente dall’esterno della bolla.
«Si è sacrificato per il bene dell’isola. Se fa parte della ciurma di Big Mom agli uomini-pesce verrà garantito un trattamento di favore e un po’ di pace in più.» spiegò sovrappensiero, abbassando per un istante lo sguardo all’ombra del cappello.
Non c’era molta differenza tra ciò che Law sperava di fare grazie al titolo che la Marina stava ancora meditando di concedergli e ciò che Jimbe aveva fatto arruolandosi con Charlotte Linlin. Cambiavano i destinatari della protezione che veniva garantita e la percentuale di libertà che si guadagnava, ma entrambi sarebbero stati al servizio di esseri ignobili ed entrambi si stavano arrecando un danno volontario.
A quelle parole un silenzio quasi colpevole investì in pieno il suo equipaggio e Trafalgar si ritrovò a sollevare nuovamente lo sguardo, sbirciando per un attimo le loro espressioni prima di meditare un modo per distrarli.
Non era sua intenzione che si sentissero responsabili di quella scelta o rei di non essere stati all’altezza delle sue aspettative. La sua era stata una decisione in parte egoista che nulla aveva a che spartire con loro e in parte dettata per contro dal suo essere un capitano. Aveva perso troppo in passato per poter tollerare di perdere anche la sua ciurma, quella che era diventata la sua nuova famiglia. Se doveva sacrificare il proprio orgoglio, piegarsi a coloro che gli avevano rovinato la vita pur di fare il loro bene, lo avrebbe fatto.
Al tentativo di sviare l’attenzione dei suoi compagni ancor prima che a Law potesse venire qualcosa in mente riuscì tuttavia con successo la figura di un uomo-pesce, sbottando in un borbottio di disapprovazione dal buio della parete cui si era poggiato a braccia incrociate.
«Sciocchezze da umani, Jimbe si è fatto contagiare dalla vostra nullità. A noi uomini-pesce non serve nessuna protezione, specie da parte di uno di voi, siamo per natura più forti e resistenti.» precisò con arrogante disprezzo, spingendoli a fermarsi nel mezzo della via.
Come primo approccio, gli insulti e il tono furono abbastanza in quell’incontro casuale da destare anche l’attenzione di Trafalgar che rimase in silenzio a studiarlo, mentre avanzava di qualche passo con un ghigno che molti lasciava intravedere dei denti aguzzi che gli riempivano la bocca.
«Siete pirati… venite dalla superficie per andare dall’altra parte.» giudicò con un’occhiata, squadrandoli con il sostegno di un ristretto numero di compagni altrettanto poco amichevoli riemersi dai vicoli vicini.
«Perspicace da parte tua.» confermò sarcastico, non lasciandosi impressionare dalla pessima atmosfera che si respirava ormai lì attorno.
La sua risposta dovette suonare alle orecchie dell’uomo-pesce come di troppo e nei suoi occhi passò un lampo d’offesa per quell’insolenza, spingendolo ad avanzare ancora con il lungo collo giallastro un po’ piegato per osservarli con saccente rancore.
«E magari ve ne andate in giro sperando anche di catturare qualche sirena per guadagnare un po’.» ipotizzò, ma le sue parole parvero piuttosto un accusa in piena regola per cui alle sue spalle i suoi uomini si animarono immediatamente.
«Non faremmo mai una cosa del genere.» assicurò Shachi, beccandosi un versaccio in risposta non appena ebbe terminato di parlare che chiarì a pieno quanto quella gente fosse disposta a credergli.
Poteva sembrare una diatriba punitiva quella priva di qualsiasi fondamento dato che da quando erano approdati laggiù non avevano avuto occasione nemmeno di scontrarsi con qualche ciurma di passaggio, rimanendo per tutto il tempo dei semplici visitatori occasionali, ma era facile dedurre che alla spalle vi fosse dell’altro. Quegli uomini-pesce li stavano accusando per pura discriminazione, erano pirati in fondo e quello garantiva loro una cattiva fama a prescindere dal luogo in cui si trovassero, soprattutto però Trafalgar aveva appreso dalle parole di quel tipo che si comportassero a quel modo perché loro erano umani. Pareva che come in superficie gli uomini avessero ancora per la maggior parte cattiva fama degli uomini-pesce, lì vi fossero uomini-pesce che sospettavano degli uomini per la loro cattiva fama e non era difficile nemmeno immaginare il motivo. Da anni quella gente veniva venduta ed esibita con il benestare tacito del Governo mondiale nonostante vi fosse un accordo con il Regno del Palazzo del Drago e le catture erano spesso eseguite da pirati.
«Tu… ti ho visto sui fishbus. Cercavi posti isolati in cui nessuno potesse intralciare i tuoi affari eh.» lo puntò l’uomo-pesce, fermandosi a pochi metri da Law per fronteggiarlo con superbo astio.
«Mi piace passeggiare indisturbato. Lo facevo anche prima che tu arrivassi.» lo provocò, vedendo il suo sguardo infiammarsi subito prima che esplodesse in una risata sguaiata.
Aveva programmato di tornarsene nella propria cabina e provare a riposare almeno per qualche ora, ma l’occasione ormai si era presentata e un po’ d’esercizio non gli avrebbe fatto male data l’apatia dei giorni precedenti.
«Hammond hammond hammond! Beh non lo farai più!» sbottò il suo avversario, retrocedendo in fretta di un passo per estrarre un fucile a rete dalle proprie spalle e puntarglielo contro.
Il primo lancio finì tuttavia per chiudersi attorno al vuoto, quando Trafalgar lo scartò svelto, mentre i suoi uomini si occupavano di tenere a bada il resto dei loro occasionali disturbatori e il secondo non ebbe sorte certo diversa agguantando un corallo cresciuto al lato della strada. Approfittando di quel momento, estrasse la nodachi dal proprio fodero tranciando la rete, ma il suo gesto disarmò l’uomo-pesce solamente per qualche istante dato che pronto a quell’eventualità ricaricò subito la propria arma impedendogli di avanzare a causa dei continui lanci. Uno dei compagni finì rovinosamente per volargli davanti grazie ad un buffetto affatto amichevole di Jean Bart, accerchiato da avversari e Law sfruttò il momento per avvicinarsi in fretta afferrando il proprio avversario per la camicia. Memore dello scontro avuto con Jelles Rokk e che gli era quasi costato la vita, decise che non fosse il caso di correre rischi di valutazione optando per la soluzione più efficace.
«Counter Shock.» mormorò, rilasciando una scarica elettrica sul suo petto che fu abbastanza forte da tramortirlo all’istante strappandogli un lamento di dolore che solo per metà gli uscì di gola.
Osservò i suoi occhi rivoltarsi nel perdere i sensi e solo non appena sentì il peso del suo corpo gravare per intero mollò la presa, permettendo che cadesse sul terreno sabbioso stordito respirando a fatica. Rimase a scrutarlo per un secondo riconoscendo d’aver forse esagerato nel rivolgergli un attacco del genere e fece per voltarsi per occuparsi di quelli che restavano, ma scoprì con piacere che il suo equipaggio aveva già fatto piazza pulita nei metri più in là riempiendo la strada con una decina di uomini-pesce svenuti.
«Perché ultimamente incontriamo solo gente che vuole toglierci di mezzo?» chiese retorico Shachi con un po’ di fiatone, quando Bepo ebbe atterrato con un calcio al volo l’ultimo avversario.
«Ne incontriamo da quando siamo partiti.» gli fece notare Penguin, sistemando con cura la zazzera sfuggita di nuovo sotto il cappello.
«Aye, ma la frequenza è aumentata.» insistette, ricevendo un grugnito d’assenso da parte di Jean Bart la cui divisa era stata strappata sulla parte superiore del braccio destro dove uno degli uomini-pesce aveva provato a trafiggerlo con una katana nemmeno troppo affilata.
«Siamo alle porte del Nuovo Mondo.» rammentò a tutti con la sua voce pesante e Trafalgar tornò a poggiare la kikoku sulla propria spalla sbirciando la porzione di mare cupo visibile dall’interno della bolla solo quando ormai era notte.
«Ed è ora di vederlo, preparate il sottomarino.» ordinò deciso, intascando le mani all’interno della felpa.
Il Logpose aveva registrato da un giorno e mezzo il magnetismo dell’isola, l’unico motivo che li aveva trattenuti – oltre al non aver alcuna fretta come le restanti ciurme operative – era stato il non voler correre il rischio di riemergere dall’altra parte senza la copertura della Marina. Non sapevano cosa si sarebbero trovati davanti, non sapevano in che genere di mare si stavano inoltrando o quali sarebbero state le condizioni ad accoglierli. Le voci che giravano sullo Shinsekai erano molte, tutte avevano in comune però di non descriverlo come un luogo idilliaco in cui era semplice agirarsi e sapere di avere un nemico in meno di cui occuparsi avrebbe aiutato molto. Considerando ciò che però era appena accaduto in quella strada poteva anche darsi che rimanere troppo tempo lì sull’isola li avrebbe portati ad avere contro altri uomini-pesce e Trafalgar non aveva alcuna voglia al momento di scoprire quanto Big Mom tenesse agli abitanti di un regno sotto la sua protezione. Non erano ancora quelli i giorni in cui avrebbe preso di mira un Imperatore, prima aveva qualcos’altro da portare a termine.



La carta era ingiallita, vagamente ammuffita sul retro a causa del contatto con il fondo del cassetto. Poche parole erano state scritte con dell’inchiostro ormai sbiadito insieme ad alcune cifre da versare per uno scambio tenutosi presso un luogo il cui nome era Tosa. Aveva rinvenuto quel biglietto accartocciato nell’angolo di una vecchia cassettiera di legno massiccio, che si trovava in quella che era diventata la camera di Kidd, mentre finiva di riporre parte dei suoi vestiti trasportati lassù dalla nave.
Lo contemplò una volta ancora, rigirandolo tra le dita sottili masticando la propria colazione e non poté fare a meno di domandarsi che fine avesse fatto la persona che l’aveva scritto dato che quel castello sembrava abbandonato ormai da più di qualche decennio. L’ennesimo cigolio macabro provocato da una folata più vigorosa delle altre però la spinse a voltarsi indietro, fissando la vetrata di una delle finestre della camera aprirsi sul terrazzo seguita a ruota da un bubbolio che si sollevava dal cortiletto in fondo alla ripida scalinata.
Lo stato in cui versava l’edificio giustificava a pieno tutti quegli spifferi, scricchiolii e suoni d’altromondo, ma ad Aya sembrava più tristemente che si trattasse della guerra impossibile che una moltitudine di yanari infastiditi stava muovendo contro i pirati usurpatori della loro dimora. Aveva sistemato un piattino di riso sul davanzale del patio per rabbonirli quando li aveva uditi la prima volta, il giorno seguente però i suoni erano proseguiti malgrado l’offerta fosse sparita e aveva preso atto del proprio fallito tentativo di farsi ben volere da quegli spiritelli.
A quel ricordo lontano appena qualche decina d’ore la sua mente balzò all’equipaggio e tornò a voltarsi incupita, intascando il foglietto nel giaccone color miele per andare a richiudere l’imposta affinché Kidd, all’interno ancora a letto, non prendesse freddo. Nel farlo il suo sguardo scivolò dalla base dell’edificio fino alla spiaggia dove l’intera ciurma si affaccendava sin dall’approdo nel trasportare effetti personali e sistemare ciò che la fortuna gli aveva messo a disposizione lì nell’edificio.
Dopo il terribile pericolo in cui aveva messo tutti a Serranilla aveva rinunciato definitivamente a stringere con loro un qualsiasi rapporto che differisse dalla tolleranza forzata. Le spiaceva terribilmente per ciò che era accaduto, le spiaceva aver bruciato quella scarsa confidenza che era riuscita ad ottenere in tre faticosi anni di convivenza a bordo, le spiaceva essersi dimostrata un peso una volta di troppo. Più di tutto però le gravava la consapevolezza di aver rischiato di rovinare le loro vite per il proprio egoismo, esattamente come aveva fatto all’inizio del suo viaggio con Ko. Sapeva bene che il Governo non avrebbe rinunciato all’opportunità di catturare Kidd e per quel motivo non si era comportata diversamente, ma l’era venuto il dubbio standosene in quell’isola remota che forse le cose sarebbero potute andare in maniera diversa se si fosse fatta catturare. Non voleva che qualcuno pagasse al posto suo di nuovo, non avrebbe sopportato l’idea di farli braccare per una sua colpa.
Immersa in quello spiacevole pensiero finì per trovare di troppo persino la propria osservazione dell’equipaggio indaffarato nel trasloco e rientrò nella camera, intenzionata a tenersi occupata con qualche lavoretto lì dentro. Un rumore di fondo simile ad un borbottio la accompagnò all’interno, ma non vi badò più di tanto convinta che si trattasse dell’ennesima intimidazione degli yanari finché non riconobbe un’intonazione familiare, girandosi di scatto verso il letto.
«Kidd!» lo chiamò abbandonandosi a un sorriso nello scoprirlo guardarla con l’unico occhio libero dalle bende.
Finalmente sveglio dopo più di una settimana di profondo torpore e con il volto ancora contratto in una smorfia, Aya lo fissò reclinare il capo sul cuscino richiudendo per un attimo le palpebre, mentre lei gli si fiondava accanto. Quando le riaprì le parve persino più lucido e non seppe trattenersi dal rivolgergli un’occhiata raddolcita.
«Hai dormito un po’ troppo, stavo cominciando a preoccuparmi.» scherzò, spingendolo a fissarla in silenzio.
Era stata certa che quel sonno sarebbe terminato dal primo istante, non c’era stato giorno o secondo in cui le fosse passato per la mente anche di sfuggita che quell’incidente avesse potuto abbatterlo del tutto. Non vederlo più immobile come un cadavere però le aveva nonostante le certezze tolto un grosso peso dalle spalle, specie in quel momento e dopo ciò che era successo con la Marina.
«… dove siamo?» le chiese con voce roca per il troppo silenzio, muovendosi nel tentativo di mettersi a sedere.
I muscoli dell’addome si contrassero subito a quel gesto accompagnandolo, ma la mancanza del braccio sinistro finì per squilibrarlo su un lato minacciando di farlo ricadere indietro. Senza badarci più di tanto Aya tornò a sollevarsi dalla sedia, passandogli le braccia attorno al torace affinché gli potessero essere d’aiuto tirandolo per le spalle senz’altro con meno difficoltà di quando lei e Killer lo avevano trascinato a bordo tramortito.
«Non ha un nome che io sappia, la ciurma l’ha scelto come covo provvisorio.» spiegò, sistemando i cuscini dietro di lui perché gli facessero da schienale.
Ad operazione terminata gli rivolse un nuovo sorriso a pochi centimetri dal viso ancora stravolto, ma Kidd non accennò nemmeno un mezzo ghigno in risposta, limitandosi piuttosto a girarsi dalla parte opposta per guardare la porzione di panorama che s’intravedeva tra le pesanti tende che coprivano le imposte.
«Avevamo bisogno di un covo…» evidenziò con tono greve, quasi derisorio, ma ad Aya venne il dubbio che quella particolare intonazione di voce fosse dovuta allo scarso utilizzo dell’ultima settimana.
S’alzò quindi incurante di quella piega per aprire la finestra nella parete accanto al letto affinché l’altro potesse osservare una prima porzione dell’isola per poi dirigersi al tavolo che era stato sistemato accanto al caminetto.
«Molti pirati ne hanno uno, il tuo è un po’ lugubre e malandato, ma si può sempre rimediare.» auspicò in un’alzata di spalle, mentre versava un bicchiere d’acqua per fargli schiarire la voce.
La prima impressione che aveva avuto di quel luogo mettendoci piede non era stata delle migliori. Wire doveva averlo intuito forse dalla sua espressione quel giorno e le aveva rivelato che data l’abbondanza di camere anche lei ne avrebbe potuta avere una – una persino con un bagno tutto suo aveva specificato –, ma l’impressione non era cambiata di molto. Non che volesse essere puntigliosa e lamentevole, negli ultimi tre anni aveva dormito dietro delle casse e su un materasso che non aveva nulla per essere definito tale.
«Io non dovevo essere uno dei tanti.» sbottò con amarezza rabbiosa Kidd di colpo e Aya interruppe il filo dei propri pensieri, voltandosi quasi meccanicamente a fissarlo con il bicchiere tra le mani.
Le era parso che quella piega di tono fosse dovuta al torpore, solo adesso però si accorgeva d’essersi sbagliata e quella strana, spiacevole scoperta la lasciò per un secondo immobile e ammutolita.
«Non lo sei infatti.» gli ricordò dopo un attimo seria, non riuscendo a togliersi dalla gola del tutto quella vena raddolcita che le era scaturita d’istinto nello scoprirlo finalmente di nuovo sveglio.
Incupito da una incrinazione nella sua sicurezza che lei non avrebbe mai creduto possibile, Kidd non credette forse che stesse parlando sul serio e tornò a guardarla con i tratti del volto induriti.
«Mi sono fatto allettare da una stronza al servizio di Big Mom.» le fece notare, sollevando l’unico braccio rimastogli in un gesto d’ovvietà che le piacque ancor meno delle parole che aveva pronunciato.
Pur intuendo la piega che quella conversazione stava prendendo, Aya si limitò a piegare il capo avvicinandoglisi di nuovo con il bicchiere stretto tra le dita per tornare a sedersi di fianco all’enorme letto.
«Era una sottoposta di un Imperatore, dicono siano gente dalle potenzialità inimmaginabili e poi capita di sbattere contro un muro a volte, ciò non vuol dire che non si possa proseguire cambiando strada.» considerò.
Insieme agli Shicibukai e la Marina con gli Ammiragli, gli Imperatori erano i responsabili di una parte degli equilibri mondiali. Non sapeva molto di loro se non ciò che diceva la gente, ma Killer le aveva spiegato con chiarezza che i loro poteri e i territori che occupavano erano più di qualcosa d’effimero da poter prendere sotto gamba. Malgrado non fosse qualcosa di cui s’intendesse non pensava poi così umiliante perdere una battaglia contro uno di loro, anche se non si era trattato di uno scontro diretto, ma soltanto con un ufficiale. Le sembrava piuttosto che ciò di cui si sarebbe dovuto preoccupare Kidd fosse come cambiare strategia per non cozzare di nuovo il muso, dato che quella non era stata una sconfitta in piena regola.
«Ho perso un braccio.» lo udì scandire con pesantezza, mentre la puntava collerico e ricambiò la sua occhiata con calma nella speranza che vederla comportarsi a quel modo gli facesse intendere che quello non fosse affatto il problema, specie perché era ancora vivo e piuttosto lucido.
«Lo so, ti ho cambiato io le bende in questi giorni.» lo mise al corrente, porgendogli il bicchiere.
«Ho perso un braccio e tu mi parli di “cambiare strada”?! Cosa cazzo vuoi saperne tu? Sai solo abboccare a storielle per bambini, nemmeno dopo tutto questo tempo ti è entrato in testa che questo non è un fottuto gioco!» le ringhiò addosso squadrandola Kidd, dopo averlo infranto con un gesto infastidito sul pavimento della camera.
Trasalita da quella reazione tanto rabbiosa retrocedette con la schiena sulla propria seduta, fissandolo ad occhi sgranati per dei lunghi secondi finché il non vederlo desistere da quell’espressione di animale ferito non la rabbuiò più di tutti gli spiacevoli insulti che le aveva appena sputato contro.
Sapeva chi era e sebbene Serranilla non fosse stata che l’ennesima dimostrazione di quanta strada avesse ancora da fare per non dover gravare su chi le stava a cuore, era altrettanto certa che quelle parole Kidd gliele avesse rivolte per il puro gusto di ferirla. Lo conosceva, aveva ascoltato la sua storia e aveva imparato a convivere con le sue cattive, pessime abitudini tra le quali spiccava non ultima quella d’attaccare per qualsiasi cosa risultasse per lui un primo attacco a sé stesso. Benché avrebbe dovuto sortire l’effetto inverso, non si sentiva offesa da quell’invettiva, ciò che la rammaricava davvero era scoprirlo in quello stato d’animo e constatare che credesse d’essere commiserato proprio da lei.
Facendo ricorso alla propria pazienza – allenata in anni di più di qualche bicchiere rotto o insulto a Marijoa – tornò a poggiare le mani sulle gambe con l’intenzione di farlo ragionare nonostante il pessimo risveglio avuto.
«So che hai ancora tutte e due le gambe, la testa e il braccio destro, quindi sì. Dovresti.» insistette pacata, ma l’espressione sul volto di Kidd parve persino peggiorare.
«Fuori.» ordinò torvo, scoccandole un’occhiataccia più preoccupante del tono con cui le aveva parlato.
«Non è una parte indispensabil-» provò a continuare ancora senza farsi intimidire, finì tuttavia per mozzare il resto del proprio discorso quando percepì l’atmosfera nella camera diventare quasi elettrica.
«Fuori ho detto! Sparisci!» le urlò contro furioso, attivando forse d’istinto il potere del proprio frutto.
Ogni oggetto di metallo nei dintorni, dai porta torce ai chiodi della cassettiera, prese a vibrare pericolosamente minacciando di sfuggire alle proprie posizioni per piombarle addosso e sebbene Aya non avesse la benché minima intenzione di lasciarlo solo in quello stato, non poté più trattenersi oltre. Si sollevò in silenzio dirigendosi a grandi passi verso la porta che conduceva alla saletta accanto e da lì al corridoio, fermandosi soltanto quando la luce fioca e rossastra delle torce proiettò la sua ombra tremula sulle pietre scure del pavimento. Rimase immobile e sola tuttavia appena qualche manciata di secondi, prima che il suono di passi frettolosi le annunciasse il pronto arrivo del navigatore, il quale doveva aver udito l’urlo dalla camera in cima alla torretta che sovrastrava quell’ala dell’edificio dove aveva sistemato la sua vasta raccolta di carte nautiche.
«Era la voce del Capitano?» le domandò trasecolato appena la raggiunse, fermandosi con una mano sull’addome coperto malamente dalla camicia rossa svolazzante.
Dispiaciuta dall’atmosfera minacciosa che l’aveva obbligata ad andarsene e dal dubbio di aver esagerato si limitò ad annuire, concedendosi ancora un secondo prima di alzare lo sguardo sull’uomo.
«E come sta?» s’informò subito, esibendo un sincero sorriso di felicità alla notizia.
Male, avrebbe dovuto e voluto replicare, ma l’entusiasmo che l’altro stava mostrando e che lei stessa aveva provato scoprendo Kidd sveglio la frenò dall’essere troppo schietta.
«Di cattivo umore.» rispose attenuando di un po’ la realtà e il navigatore le annuì con inaspettato acume.
«Scoprirsi in quelle condizioni e a letto qui per lui non dev’essere semplice. Vado ad avvertire Killer e gli altri!» rifletté comprensivo prima di abbandonarla lì e correre dalla parte opposta di gran fretta.
Sorpresa da quelle parole benché non fossero poi chissà quale rivelazione indugiò a guardare il punto buio in cui era sparito per un lungo minuto, rimanendo nuovamente sola nel mezzo del corridoio umido.
Aveva sempre saputo inconsciamente che il risveglio per Kidd non sarebbe stata un’esperienza facile. Si sarebbe ritrovato accudito, battuto senza nemmeno un vero scontro e privo di un braccio, lui che non digeriva di buon grado neanche le attenzioni del suo vice e odiava l’idea di poter risultare un debole. Aya lo aveva sempre saputo e a suo modo aveva provato ad aiutarlo a superare la cosa tentando di farlo ragionare, ma Kidd non era il genere d’uomo da convincere con qualche evidenza o rassicurazione. Con Kidd servivano altri metodi.
Rimproverandosi per essere uscita da quella camera e per essersi fatta mettere alle strette da una minaccia che era certa non avrebbe mai e poi mai messo davvero in atto, si volse indietro per ritornare sui propri passi decisa, spalancando con noncuranza la porta della camera dove il rosso se ne stava ancora a letto.
«Alzati da bravo.» gli intimò, ignorando lo sguardo che dalla sorpresa presto mutò in rabbia sul viso di Kidd.
«Ti avevo detto di uscire. Non voglio vederti, sparisci subito.» ripetè in un ringhio, mentre Aya dondolava i riccioli in segno di assoluto diniego.
«Non me ne starò fuori ad aspettare, mentre tu elabori la cosa. Su, mettiti in piedi. Sei monco non morto.» soffiò fuori piatta senza mezzi termini, scorgendo un lampo attraversargli lo sguardo a quell’ultima frase.
«Non osare-» sibilò furente con i muscoli tesi per il nervosismo e la vene visibili che pulsavano.
Sin da quando lo aveva conosciuto le era stato chiaro che stuzzicarlo troppo sarebbe stato più o meno come lanciarsi tra le fauci aperte di un Re del Mare sperando di poterne uscire per una nuotata e per questo aveva senza alcuna eccezione badato a non tirare troppo la corda anche quando i suoi di nervi erano al limite. Quella però era un’occasione eccezionale, che trascendeva il suo bene e che richiedeva un affronto in piena regola all’orgoglio di Kidd affinché la situazione mutasse. Era un rischio, un terribile e pericoloso rischio, ma Aya si fidava di lui e del tempo che ci aveva trascorso insieme.
«Cosa di grazia? È la verità e minacciarmi nel tuo stato è un’operazione che manca di qualsiasi intimidazione.» lo provocò candida, vedendolo irrigidirsi a tal punto per quell’insolenza da fermare persino il respiro.
Durò però appena un effimero istante prima che l’orgoglio e il disprezzo per esser stato compatito lo spronassero a tal punto da tirarlo giù dal letto a passo di carica, facendogli divorare lo spazio che li separava anche con equilibrio non proprio stabile e ridurre Aya contro la porta.
«Non credere di potermi trattare come ti pare adesso.» la avvertì con una smorfia di rabbia, afferrandole malamente il viso con l’unica mano rimastagli.
E sebbene le facesse già male la mandibola per quella presa, non si trattenne dall’abbandonarsi a un sorriso di felice soddisfazione per aver avuto ragione nell’utilizzare quel metodo poco ortodosso.
«Dovevo pur fare qualcosa per smuoverti, no? Non avresti retto alla visita degli altri al tuo capezzale.» borbottò sorridente, posandogli la mano sul polso e lo vide tirare indietro il capo per la confusione, prima di mollare la presa e accorgersi d’essersi alzato senza nemmeno badarci non trattenendo un’imprecazione.





















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Note dell’autrice:
Ho avuto l’impressione leggiucchiando le noticine passate che questo mio angoletto abbia delle strane similarità con le SBS di Odacchi… non perché io e lui abbiamo qualcosa in comune, io sono una mera dilettante anche se compenso con il non scrivere con mutande in testa(che sia reale o no poi non ci tengo a saperlo), ma credo piuttosto per la cavillosità delle informazioni e la basilare inutilità in fondo. Ammettiamolo, è così.

- Piante con volti: Yo-hohoho queste non dimenticatele perché torneranno presto, ma sappiate per il momento che si tratta di un noto yokai della mitologia giapponese che infesta alberi e piante dando alle loro foglie forme di visi sorridenti.
- Momousagi: parlavo poco fa di SBS, ebbene si tratta di un viceammiraglio che realmente fa parte della Marina in One Piece e che tuttavia non è mai comparsa, poiché è stata creata da un fan e ufficializzata dallo stesso Oda in uno dei suoi siparietti delle SBS. È una donna dai lunghi capelli scuri che tiene acconciati e che porta il rossetto, ha fatto carriera dopo la guerra di Marineford e il suo nome significa “Coniglio rosa”.
- Arresto: Iwa parla di un arresto con Shizaru di cui non specifica nulla nel POV, sappiate se non ci siete arrivati da soli che si tratta dell’incarcerazione di Yoshi il quale si era rifiutato ad Arumi di tradire Aya durante l’interrogatorio con Kikazaru. Il nostro poveretto ora è quindi libero, un po’ di giustizia ogni tanto non guasta.
- Maria Napole: Cantante di grande successo sull’isola degli uomini-pesce la cui invenzione non spetta a me, ma ad Oda. Si tratta dell’intrattenitrice che allieta anche la festa dei Mugiwara dopo la vittoria su Hody Jones.
- Gyobari Hiruzu: Law afferma che sia un luogo di nicchia ed in effetti si tratta di quello che nel manga e nell’anime italiano i traduttori hanno chiamato “Pescerly Hills”. Ora, siccome a me detto tra noi questa traduzione non piace proprio per niente, mi sono presa la libertà di non trasporlo nemmeno in inglese e mantenere la denominazione orinale nipponica.
- Hammond: Oda ha affermato che un mese prima dell’arrivo dei Mugiwara nel Regno del Palazzo del Drago la ciurma dei Nuovi Pirati Uomini-Pesce aveva cominciato a catturare pirati umani come schiavi. Sappiamo però che già da molti anni le loro azioni erano volte a colpirli, sin dall’accordo stipulato da Otohime, e ho pensato che una parte possano averla avuta anche nel soggiorno di Trafalgar che certo non passa inosservato. L’uomo-pesce che lo attacca infatti è Hammond, il simpaticone che fermerà poi i Mugiwara all’esterno della bolla obbligandoli ad introdursi illegalmente nel Regno dopo averli minacciati.
- Yanari: La magione di Kidd ne è infestata da buon castello qual è e Aya non poteva mancare di adocchiarli anche se si celano dietro l’apparenza di spifferi. Si tratta di spiritelli, per lo più innocui e che tuttavia pare abbiano parecchio successo nel loro piccolo, che infestano le vecchie dimore in Giappone. Spesso si manifestano con scricchiolii macabri di assi di legno, porte che cigolano, spifferi delle finestre, zampettii simili a quelli di topi o insetti, insomma qualsiasi deterioramento architettonico di una casa in realtà cela uno di loro. Le rimostranze sono dovute al fatto che con il trascorrere degli anni essi si mettano ad occupare le abitazioni e da quel momento in poi è quasi impossibile mandarli via, anche se li si può rabbonire con qualche offerta come il piattino di riso che sistema in terrazza Aya.
- Kidd: L’ho lasciato per ultimo perché volevo chiarire un po’ la mia scelta di deprimerlo. Kidd è apparso sin ora come un tipo che difende le proprie scelte a qualsiasi costo e non accetta di venir deriso, negli ultimi aggiornamenti dall’originale però si è scoperto che qualche sconfitta l’ha subita e la sta patendo benché fino a quel momento fosse stato il più accreditato tra le Supernove. Ora immagino sia strano pensare che possa buttarsi giù con la tonnellata d’orgoglio con cui va a braccetto, ma nella mia personale visione di lui credo sia meno ottuso e insensibile di quanto appaia ai più. Per questo ho pensato che per lui sia stato un bruttissimo colpo perdere il braccio e altrettanto farsi momentaneamente prendere a calci dai subordinati di Big Mom, si sarà sentito un illuso, un dilettante incapace di mantenere le sue stesse parole e si sarà arrabbiato con sé stesso. Dettò ciò, specifico anche che sono dell’idea che Aya non abbia avuto nella sua ripresa chissà quale ruolo, diciamo che ha velocizzato i tempi, perché suvvia Kidd non è tipo che si arrende per una ferita.





  
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