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Autore: Eowyn_SEE    04/09/2016    2 recensioni
Mi chiamo Amelia Stefani, e questa è la mia storia. Non vi voglio convincere a leggerla. Dopotutto, forse voi state cercando una storia romantica. Beh, vi anticipo subito che questa non lo è: io non sono una persona romantica, mai stata. E lui lo sapeva. Non per cinismo o qualche altra fesseria del genere, solo che non sono capace, mi scappa da ridere. Quindi no, niente romanticismo.
Questa è soltanto la storia di un'inaspettata amicizia. Inaspettata perché mi prese alla sprovvista. Non ebbi neanche il tempo di vederla arrivare che già mi era impossibile separarmene, se non molto dolorosamente. Non è una storia romantica, è una storia di vita, che a volte è felice, e poi non lo è più. E ci può essere passione, ma anche quella non dura per sempre. Ma la vita è l'unica cosa che conosco, e l'unica che posso raccontare.
"Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate." (Una citazione di Dante ci sta sempre)
Tom HiddlestonX Nuovo Personaggio
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Chapter Thirteen

 

N.A.: Buongiorno, lettrici! Rieccomi con un capitolo appena sfornato pronto per voi. Spero che sia divertente da leggere quanto lo è stato da scrivere. Fatemi sapere!

 

 

E alla fine il 30 dicembre arrivò. I miei genitori, ancora sconvolti dal fatto che qualcuno mi avesse per davvero regalato dei biglietti aerei (come me d'altronde), mi accompagnarono in macchina all'aeroporto di Caselle. Avevo il volo alle 19.05, perciò eravamo dovuti partire di casa alle 16.30 per poter arrivare con un po' di anticipo rispetto alla chiusura dell'imbarco. Un viaggio in aereo era sempre un'Odissea!

Dopo tutte le varie raccomandazioni di rito (“Scrivici quando atterri”, “Scrivici quando arrivi a casa”, “Metti la maglia di lana”) li salutai e superai i controlli, solo per poi venire fermata all'ispezione: mi ero dimenticata di togliermi il fermaglio per capelli. Di nuovo.

Dopo essersi assicurati che non fossi una terrorista ma solo una povera imbecille con problemi di memoria a breve termine mi lasciarono andare, ed entrai nel duty free. Come al solito neanche mi guardai attorno. Se c'è una cosa che non capirò mai, è perché una persona sana di mente dovrebbe aspettare di essere in aeroporto per comprarsi una valigia di Prada, pagandola pure il doppio. Boh. Illuminatemi!

Arrivata finalmente alla fine dei negozi chic, cercai però un bar per comprarmi una bottiglia d'acqua e qualcosa da mangiare poi in aereo. Compiuta la missione cibo, non persi altro tempo e mi avviai verso il gate, dove mi sedetti, e aspettai. E aspettai. E aspettai.

Dopo mezz'ora ci annunciarono: -C'è stato un piccolo imprevisto che ha causato 30 minuti di ritardo...- Ma dai! Non ce ne eravamo accorti! -L'imbarco sta per iniziare. Vi preghiamo di formare una fila ordinata in attesa del controllo. Ci scusiamo per il disagio.

Alla fine, con 40 minuti di ritardo rispetto all'orario previsto, l'aereo decollò.

Ero d'accordo con Thomas che, dato che lui quella sera lavorava, il suo agente Luke, anche se a quel punto io l'avrei chiamato il suo “tuttofare”, sarebbe venuto a prendermi alla stazione di Baker Street. Tom aveva provato a convincermi a farmi venire a prendere direttamente in aeroporto, ma io avevo obbiettato che non avrei mai costretto un povero innocente a farsi tre ore di macchina (una e mezza andare e altrettante a tornare) solo perché prendere l'autobus pareva troppo proletario. Lui aveva riso, ma si era arreso, dandomi però per sicurezza il numero del suddetto povero cristo in caso ci fossero stati imprevisti. Così, prima di decollare, mandai a Luke un messaggio per informarlo del ritardo.

Non appena fummo in quota recuperai la mia cena dalla borsa, guadagnandomi un'occhiataccia da una hostess, evidentemente offesa che non avessi comprato nulla da lei. Finito di mangiare, provai a sonnecchiare un po', senza riuscirci, ma limitandomi a tenere gli occhi chiusi nella speranza di riuscire ad appisolarmi. Di certo i miei vicini di posto non aiutavano: ora dell'atterraggio sapevo tutto del cane di uno, Attila, e dei tre gatti dell'altro: Maltese, Caligola ed Ettore. Ma perché proprio a me?! Sempre meglio, comunque, della tipa che cercava di vendere articoli sessuali per telefono che avevo trovato una volta sul Torino-Milano!

Arrivata a Stansted almeno fui più fortunata: riuscii a prendere all'ultimo minuto l'autobus che mi avrebbe portata in centro, risparmiandomi mezz'ora d'attesa per il successivo.

Novanta minuti dopo venivo scaricata a Baker Street, a pochi passi dalla stazione della metropolitana. L'autista mi aiutò a recuperare il mio trolley, poi ripartì e io iniziai a guardarmi intorno in cerca di Luke: peccato che neanche sapessi che faccia avesse!

-Amy!- mi sentii chiamare d'un tratto. Mi girai. Un ragazzo alto e biondo (perché sono tutti alti e biondi da queste parti?) veniva a lunghi passi verso di me.

-Sei tu Amy, vero?- mi chiese quando fu abbastanza vicino.

-Sì, presente! Tu devi essere Luke.

Mi allungò la mano. -Sì, piacere di conoscerti.

-Piacere mio.- replicai stringendogliela.

Era un ragazzo davvero carino, dai tratti tipicamente britannici e dalle movenze vagamente...moderne. Alla Oscar Wilde, per intenderci. E sembrava decisamente più giovane di quanto sapevo fosse in realtà. Già mi stava simpatico.

-Vieni,- mi disse. -ho lasciato la macchina qui vicino. Vuoi darmi la valigia?

-No, tranquillo. E' leggera.- lo rassicurai.

-D'accordo. Andiamo. E' andato bene il viaggio, a parte il ritardo?

-Sì, bene. Non sono tanto riuscita a dormire, ma recupererò stanotte.

Arrivammo in fretta alla macchina, quindi infilammo la mia valigia nel portabagagli e partimmo.

-A quanto pare ti devo un favore.- mi disse lui d'un tratto.

Lo guardai confusa. -Ah sì? Per cosa?

-Mi hai risparmiato tre ore di macchina fino a Stansted.- mi ricordò sorridente.

-Oh, Thomas te lo ha detto?- feci io stupita. E continuai. -Guarda, è già tanto che tu mi sia venuto a prendere fin qui, perciò sono io a doverti un favore. Grazie davvero.

-Ma figurati.

La macchina tornò silenziosa per un momento.

-Posso farti una domanda un po' brutale?- mi chiese lui infine.

Sollevai le sopracciglia, sorpresa da quella richiesta. -E brutale sia!- acconsentii.

-Non vorrei che la prendessi male,- iniziò cauto. -ma non è che stai usando Tom per qualche strano, sordido motivo?

Beh, dal suo agente c'era da aspettarsi una domanda del genere. Non la presi male.

-Intendi pubblicità, soldi e potere?- chiesi ironica.

-Ehm, sì, per esempio.

Tornai seria. -No, Luke. Te lo giuro.- promisi.

-Sei sicura?- mi domandò lui, ancora dubbioso.

-Sì. Ma se mai dovesse capitare hai il mio permesso di prendermi a racchettate in faccia. E se vuoi te lo metto nero su bianco.

Rise. -Spero che non ce ne sia bisogno. Non l'hai presa male, vero?

-No, tranquillo. L'ho presa come se vedessi un professionista che cerca di difendere gli interessi del suo cliente. E amico, mi sembra di poter aggiungere.

Annuì. -Ne sono felice.

Tornai a guardare fuori dal finestrino.

-Sai Luke, penso che dovresti farti dare un aumento.

Rise ancora. -Tranquilla: già fatto.

 

Quando arrivammo a destinazione, onestamente, non avevo un'idea precisa su dove mi trovassi. L'unica cosa che sapevo era che dopo un po' di strade e stradine dalle case tutte uguali, ci eravamo fermati. E grazie al cazzo! Se mi scusate il francesismo.

Una cosa certa era che mi trovavo nei quartieri alti. Era una piccola strada senza uscita, anche se in fondo mi sembrava di intravedere un sentiero e una grande distesa d'erba. Quando Tom diceva che abitava vicino al parco, intendeva davvero VICINO, ma il “ho gli scoiattoli che mi entrano in casa perché credono che sia la loro” tipo di 'vicino'.

Scendemmo dalla macchina. Luke prese il mio bagaglio dal baule e si avviò verso una delle villette a schiera. Io, borsa in spalla, lo seguii in silenzio, guardandomi attorno: erano tipiche villette vittoriane, finestra esagonale e tutto il resto. Con il buio, di più non riuscivo a vedere.

Saliti i pochi gradini davanti alla porta d'ingresso, Luke ripescò le chiavi dalle tasche e la aprì. Riprese la mia valigia ed entrò tenendomi la porta. Entrai a mia volta e me la chiusi alle spalle mentre lui accendeva la luce.

Era una casa semplice e piuttosto spartana, ma accogliente. Superato il piccolo ingresso, vidi aprirsi alla mia sinistra un grande spazio in cui riuscivo a vedere il salotto e la sala da pranzo. Davanti a me, una rampa di scale.

-Se hai fame la cucina è di là.- Luke mi indicò un punto oltre il tavolo da pranzo. -Tom mi a detto di riferirti di non farti problemi e saccheggiare pure il frigorifero.

Ridacchiai. -Ok. Grazie.

-Vieni, ti mostro la camera. Potresti solo toglierti le scarpe? C'è la moquette di sopra.- mi chiese, facendolo a sua volta.

-Certo, nessun problema. A essere onesta non vedevo l'ora!- Mi tolsi gli stivaletti e li presi in mano.

Luke mi precedette dirigendosi verso una delle porte di fronte alle scale. Entrò accendendo la luce e posò la mia valigia accanto al letto matrimoniale.

-Ecco qui, tutto tuo.- mi mostrò. -Qui a destra c'è il bagno. Ha un'altra porta che dà sul corridoio, perciò ricordati di chiuderla quando sei dentro. In ogni caso Tom ha il suo, quindi non dovrebbero esserci grossi problemi. Nella cassettiera laggiù dovrebbero esserci degli altri asciugamani. Beh, penso sia tutto.- concluse.

-Grazie mille, Luke. Sei stato davvero gentilissimo.- gli sorrisi. Poi mi scappò un sbadiglio, che cercai di coprire con una mano.

-Non c'è di che. Ti lascio andare a letto, allora.- fece uscendo dalla stanza. -Tom dovrebbe tornare tra un'ora circa, dipende da quanto lo trattengono fuori dal teatro.- mi informò.

-Magari lo aspetto allora.

-E' stato un piacere conoscerti. La prossima volta che ci vediamo vedrò di ricordarmi di portare la liberatoria a proposito delle racchettate in faccia.- scherzò.

Risi di gusto. -Bravo, ricordati. E' stato un piacere anche per me.- gli dissi allungandogli la mano. Me la strinse augurandomi la buonanotte. Poi scese la scale, si rimise le scarpe e uscì.

Ritornando in camera mi tolsi sciarpa e cappotto, appendendoli a uno dei ganci vicino alla porta insieme alla borsa, che avevo in precedenza posato sul letto. Mi diressi poi verso la valigia e la aprii, recuperando spazzolino e dentifricio prima di entrare nel piccolo bagno. Quando ne uscii decisi di andare ad aspettare Thomas in salotto, così afferrai il libro che mi ero portata dietro e mi avviai fuori dalla stanza. Prima di scendere le scale notai una porta davanti alla mia, che immaginai essere la camera di Tom, e un'altra scala che portava al piano di sopra. Trattenni la mia curiosità e andai di sotto. Esplorai velocemente la cucina e sbirciai nel giardino buio dalla portafinestra prima di andare al sedermi sul divano accendendo una piccola lampada al suo fianco, e iniziai a leggere.

 

Mi svegliai al tocco di una mano sulla mia spalla. Aprii piano gli occhi, strizzandoli alla luce dell'abat-jour. Per un attimo rimasi spaesata, non riconoscendo il posto dove mi trovavo, poi ricordai, e mi girai verso la presenza che sentivo alla mia sinistra.

-Buongiorno, bella addormentata.- mi sorrise Thomas, accarezzandomi ancora la spalla.

-Hey, ciao.- sussurrai io di rimando, la voce impastata dal sonno.

-Come stai?- mi chiese.

-Bene. Volevo aspettarti sveglia. Temo di aver fallito miseramente.

Ridacchiò sottovoce. -Temo anch'io.

-Tu come stai?- domandai io, riappropriandomi lentamente delle mie facoltà mentali e tirandomi a sedere.

-Sto bene, grazie. Come è andato il viaggio?

-Non male. Siamo partiti in ritardo, ma il vento ci ha fatto riguadagnare un po'. Sei sicuro di star bene?- Aveva uno strano sguardo negli occhi: sembrava preoccupato, pensoso e sollevato, tutto in una volta.

-Sì, sì, non ti preoccupare. La stanchezza. Tre ore di spettacolo sono dure.- cercò di rassicurarmi. Ma si notava lontano un miglio che era una scusa.

-Ehi, signor grande attore, guarda che a me non la dai a bere. Che ti è successo?

Sospirò la sua sconfitta. -C'era Freddie allo spettacolo.

Spalancai gli occhi sorpresa. -L'amico del matrimonio?

Annuì.

-E...?

-Abbiamo parlato.

-E...? Dai, Thomas, non fartelo tirare fuori con le pinze. E' andato tutto bene?

-Beh, è stata una conversazione civile.

-E' un passo avanti!- commentai. -E perché sei comunque così preoccupato?

Accennò un sorriso. -Non ti sfugge mai niente, eh?

-Spero di no!- risposi ironica. Gli posai una mano sull'avambraccio. -Hey, che c'è?

Esitò, ma poi si rassegnò. -E' che ho paura che prima o poi farò di nuovo qualcosa di stupido ed egoista, e lo perderò di nuovo. E se non sarà lui, sarà qualcun altro.

Lo guardai con tenerezza. -Vieni qui.- Mi inginocchiai sul divano e lo abbracciai forte. Lui ricambiò la stretta con altrettanta forza, nascondendo il viso nell'incavo della mia spalla.

-Non ti posso promettere che non accadrà, ma la vita prosegue. E' così che funziona. Spero che tu non perda mai più nessuno, ma certe volte è inevitabile. Sai, è vero quello che dicono: certe volte per andare avanti bisogna lasciarsi qualcosa indietro. Non sai quanti amici ho perso anche io negli anni! E' doloroso, lo so, ma poi passa. Questo ovviamente non toglie che, se puoi, dovresti sistemare le cose con Freddie.

Dopo un attimo, Tom si girò a guardarmi negli occhi. -Da quando sei così saggia?

Feci una smorfia indifferente. -Ho i miei momenti buoni.

Ridacchiò, stringendomi ancora fermamente prima di allentare l'abbraccio e posarmi la fronte sulla spalla.

-Letto. Dormire.- mugugnò.

Sorrisi. -Forza, straniero! La mia spalla non è un cuscino!- lo incitai ad alzarsi. Si tirò in piedi mollemente.

Lo seguii al piano di sopra e stavo per entrare nella camera degli ospiti, augurandogli la buonanotte, quando mi disse: -Sono contento che tu sia qui.

Sorrisi ancora. -Anch'io. E a proposito, grazie per averlo reso possibile.

-L'ho fatto per ragioni puramente egoistiche.

-E allora vedi che l'egoismo non è sempre così cattivo?

Inclinò la testa. -No, ma è uno di quei prodotti con l'etichetta “usare con moderazione”.

Accennai una risata. -Buonanotte, Thomas.

-Buonanotte.

 

Quando la mattina dopo scesi di sotto, ancora in maglietta e pantaloni della tuta, Tom era già sveglio e stava facendo colazione seduto su uno degli sgabelli della cucina. Sentendomi arrivare, si girò sorridente. -Buongiorno.

-Buongio-oo-orno.- feci io sbadigliando.

Sogghignò divertito. -Dormito bene?

-Mmm- annuii avvicinandomi. -Benissimo, grazie. Tu?

-Abbastanza.- indicò la mia maglietta. -Proud to be a nerd, eh?

-Always and forever.- replicai. -Me l'hanno regalata delle mie amiche, ma mi sta larga.

-Vedo. Hai fame?

-Un po', sì- ammisi.

-Cosa mangi di solito?- mi chiese alzandosi.

-Di solito tè e biscotti.

-Ottimo, c'è tutto.

Afferrò il kettle, mise a bollire dell'acqua e prese una tazza. -Che tè ti piace?

-Hai l'Earl Grey?- domandai andandomi a sedere sul secondo sgabello.

-Sì, ecco qui. Latte? Zucchero?

-Zucchero. Tre cucchiaini.

Mi guardò di sbieco. -Ti verrà il diabete.- scherzò.

Ridacchiai. -Già, è probabile.

Versò l'acqua e mi porse la tazza.

-Grazie.

Poi andò ad aprire un'antina e ritornò con dei Digestive al cioccolato.

-Oh, li adoro! Mi sono mancati tanto! Oh, venite dalla mamma!

Thomas rise, tornando a sedersi al mio fianco. -Non li trovi in Italia?

-No, quelli al cioccolato no.

Mi misi a sorseggiare il tè e mentre lo osservavo finire le sue uova mi accorsi di una cosa a cui la sera prima, nella penombra, non avevo fatto caso.

-Ti sei tinto i capelli!- Ora erano decisamente più biondi.

Si passò istintivamente una mano tra le ciocche corte. -In realtà, questo è il mio colore naturale.

Allungai una mano ad accarezzare a mia volta il ciuffo sparato all'insù sopra la fronte. -Peccato, mi piacevano rossi.- Ritirando la mano aggiunsi: -Perché allora hai le sopracciglia e la barba rosse?

Alzò le spalle. -Mistero della fede. Comunque meglio così: i capelli rossi mi fanno sembrare un pastore scozzese.

-E che c'è di male? E poi, ti assicuro che eri molto più sexy prima.- affermai con nonchalance.

Avvampò fino alle orecchie. Ne risi. -Quando smetterai di arrossire quando qualcuno ti fa un complimento, Mr Sex Symbol?

Se possibile, arrossì ancora di più. -E' che io proprio non la capisco questa storia del “sex symbol”.

-Devo farti un disegnino?- lo presi in giro.

-Ah-ah. No, seriamente! Non sono così bello. Non mi sono mai considerato brutto, ma, insomma, nella norma.

-La bellezza sta negli occhi di chi guarda, non lo sai?

Sbuffò.

Lo squadrai mentre iniziavo a sgranocchiare un biscotto.

-In effetti no, non sei COSI' bello.- dissi con indifferenza.

Alzò di nuovo gli occhi su di me, con l'aria di chi ha trovato un'alleata. -Vero?

-Beh, no. Prima di tutto sei troppo alto, il che è un insulto a noi poveri cristi che non superiamo il metro e sessanta.

Lui rise e io continuai. -Hai le orecchie un po' a sventola tipiche di voi inglesi, ma in effetti compensano perché hai il viso sottile.

Per niente offeso, lui mi guardava divertito mentre continuavo a elencare i suoi difetti. -Hai le sopracciglia buffe, non si riesce bene a capire che forma abbiano, probabilmente perché sei riccio. Hai le labbra troppo sottili e il tuo naso pende a destra. Ah, e dovresti dire ai tuoi occhi di decidersi: ogni volta che ti vedo hanno un colore diverso. E' irritante.- Feci una pausa, sorseggiando serafica il mio tè. Poi conclusi. -Ma alla fine, l'insieme non è niente male.

Mentre tornavo a concentrarmi sulla mia colazione, Tom rimase a fissarmi, sconcertato e divertito. Solo in un secondo momento decise di commentare. -Sai, sei la prima persona dopo tanto tempo, escluse le mie sorelle che invece non hanno mai smesso, a dirmi una cosa del genere. Mi sento una persona normale adesso!

Lo guardai sorridente. -Quando vuoi.

Mi rivolse un sorriso malefico. -Ora però mi sento in dovere di ricambiare.

-Ok.- gli concessi. -Fatti sotto. Sii brutale.- Ero perfettamente a conoscenza dei miei difetti e dei miei punti di forza e, una volta superata l'adolescenza, li avevo superati senza problemi.

Prese a osservarmi, concentrato.

-Per cominciare, sei troppo bassa.

-Ok, dimmi qualcosa che non so.

-Mmm, vediamo. Hai il naso troppo appuntito e le labbra leggermente troppo sporgenti. Se ti tiri su i capelli, come adesso, il tuo viso è un po' troppo tondo e i tuoi occhi sono allungati, il che, da lontano, li fa sembrare troppo piccoli. Hai le sopracciglia più corte del normale e anche tu dovresti fare un discorsetto ai tuoi capelli visto che non si riesce a capire se sono neri, castani o ramati.

-Bravo, ottimo osservatore!- mi congratulai.

-Ma nell'insieme non sei niente male.- aggiunse.

-Oh, quanto sei tenero.- commentai.

Ridacchiò alzandosi dallo sgabello. -Quando vuoi.- Mi si avvicinò e mi posò un bacio sulla tempia. Poi prese il suo piatto vuoto e andò a metterlo in lavastoviglie insieme alla sua tazza.

-Comunque ti sei dimenticato l'erre moscia e la fessura tra i denti. Anche se devo ammettere che ormai non si nota quasi più: da bambina sì che avevo una finestra lì in mezzo!

-Erre moscia?- domandò confuso.

-Ah, giusto.- mi resi conto. -In inglese non si sente. Beh, sì. In italiano non riesco a pronunciare la erre correttamente. Involontariamente la faccio suonare un po' alla francese. Nessuno sa perché: a parte mia sorella non ci sono precedenti in famiglia.

-Interessante.

Ripresi a sorseggiare il mio tè.

-Allora, che vuoi fare oggi? Ultimo giorno dell'anno!- fece poi appoggiandosi con gli avambracci sul bancone della cucina.

Mi strinsi nelle spalle. -Non lo so... Beh, come prima cosa vorrei vedere Rossana: non esiste che la lasci sola a Capodanno.

-Già messo in conto. Le ho mandato io stesso un messaggio per chiederle se aveva da fare oggi. Ha detto che fanno una festa questo pomeriggio nel suo ufficio, ma per le 18 dovrebbe riuscire a liberarsi. Possiamo andarla a recuperare.

Lo fissai a bocca aperta. -Com'è che ne sai più tu di cosa fa Ros di quanto ne sappia io?

Rise. -Le ho mandato un messaggio.- ripeté.

-Anch'io! Sono profondamente offesa, sai?

Rise ancora del mio broncio. -Allora, che vuoi fare nell'attesa?- mi incalzò.

-Boh, non lo so. Non mi viene in mente nulla? Tu hai voglia di uscire?

-A dire il vero non molta. Soprattutto se penso che faremo nottata.

-Cos'hai in mente per stasera?- gli domandai curiosa.

-Se vuoi, Ben ci ha invitati a festeggiare da lui. Gli ho detto che ti avrei chiesto, sapendo che avresti voluto stare con Rossana. Così lui ha invitato anche lei. Ma forse volete festeggiare con i tuoi ex coinquilini.

-Mmm, in realtà forse quella non è una grande idea. Asia e Tina non ci sono, e so per certo che gli altri danno il peggio di sé a Capodanno. E parlo solo di quelli che conosco ancora in quella casa.

-E Luce?- chiese ancora.

-Voglio un mondo di bene a Luce, ma ho una sincera paura di scoprire cosa farà lei questa sera, conoscendo i precedenti. Sempre che non lavori, il che a dir la verità significherebbe solo che si ubriacherà a merda gratis invece che a pagamento. Se posso azzardare un'ipotesi, vagherà in giro per Soho insieme ai suoi colleghi fino alle sette e poi andrà in qualche parco a vedere l'alba.

Rise. -Ok, forse è meglio evitare. Venite con me allora?

-A me va bene. E probabilmente anche a Ros. Dopo le mando un messaggio per conferma.

-D'accordo allora. Da quello che mi ha detto Ben, ci sarà della gente che sarai felice di conoscere.

Posai di scatto la tazza. Oddio! -Quanto felice?

Sogghignò. -Molto felice!

-Il che vuol dire per niente felice!

Mi guardò confuso. -Perché?

Assunsi una voce minacciosa avvicinando il viso al suo. -Perché la figura di merda è sempre dietro l'angolo! E' lì, in agguato, pronta a prenderti alla sprovvista nei momenti meno opportuni. Tu sei lì, tranquillo, che parli...e poi...ZAAN!: hai fatto una figura di merda!

Thomas mi fissò immobile per una decina di secondi, poi scoppiò a ridere fragorosamente. Lo guardai sbellicarsi finendo il mio tè.

-Ce ne metti di impegno per inventarti queste cavolate, vero?- mi chiese tra le risa.

Cercai di rimanere impassibile. -E' una cosa che prendo molto seriamente, sì.

Quando riuscì più o meno a smettere di ridere, indicando la mia tazza mi chiese: -Hai finito?

-Oh, sì. Grazie.

Mentre riponeva anche quella in lavastoviglie mi disse: -Non abbiamo ancora deciso cosa fare fino a stasera.

Scesi dallo sgabello. -Beh, dal momento che nessuno dei due ha voglia di uscire, direi che ci rimane poca altra scelta.

-Ti va un film?

-Ma che domande sono? A me va SEMPRE un film.- scherzai in risposta.

-Ok, aggiudicato. Prima però voglio farti vedere una cosa. Vieni.- mi tese la mano.

-Oh, così mi incuriosisci, Hiddleston.- replicai afferrandogliela.

-Sono sicuro che ti piacerà.

Mi trascinò al piano di sopra, e poi ancora più su, salendo per la scala che avevo notato la sera prima. Mi ritrovai in una stanza molto luminosa grazie a un'intera parete di finestre, mentre un'altra era...tappezzata di libri! Un mare di libri! Oh. Mio. Dio!

Scossi la testa sconcertata. -No, non puoi farmi questo! Tu non puoi prendere una ragazza il cui cartone preferito da bambina era “La Bella e la Bestia” e semplicemente portarla nella tua biblioteca personale! E' illegale! Assolutamente contro ogni regola sulla sicurezza domestica! Avrei potuto avere un infarto!

Lui ridacchiò. -Beh, non l'hai avuto, fortunatamente.

-Non lo sai, potrebbe essere in corso!

-Terrò vicino il telefono allora, in caso debba chiamare l'ambulanza.- replicò divertito.

-Ecco, bravo. Dio, ma li hai letti tutti?- chiesi avvicinandomi alla libreria.

-Non tutti tutti, ma quasi. Gli ultimi in fondo sono quelli che ho comprato ma devo ancora leggere.- mi rispose.

-Cavolo, Thomas. Sei la seconda persona con più libri che io abbia mai conosciuto!- esclamai.

-E chi è la prima?- domandò curioso.

Mi voltai a guardarlo. -Mio nonno. Anche se non è corretto dire che l'ho conosciuto visto che è morto cinque anni prima che io nascessi. Il giorno di Natale.

-Mi dispiace.- disse lui con compassione.

-Non ti preoccupare.- lo tranquillizzai. -Mi sarebbe piaciuto conoscerlo, però. Aveva una stanza in cui collezionava qualsiasi cosa: centinaia di libri, centinaia di dischi e CD. Una volta io e mia sorella provammo a fare un inventario, ma dopo una settimana rinunciammo. Su ogni scaffale c'erano due, se non tre file di libri. Una cosa assurda!

-Era un intellettuale?

-Un fabbro.

Sorrise. -E ora che fine hanno fatto tutti quei libri?

-Sono ancora lì, e lì resteranno finché mia nonna resiste. Dopodiché mia madre vorrà vendere la casa, ma non credo che venderà anche i libri. Sono un ricordo del nonno, dopotutto.

Ritornai a concentrarmi sui titoli. -Wow, Thomas, qui c'è roba in latino e greco! Eschilo, Sofocle, Plauto e Terenzio, ovviamente. Questo non mi stupisce. Apuleio, Platone, Aristotele, Catullo, Petronio! Davvero? Petronio?

Si strinse nelle spalle. -Sì, beh, è divertente.

-E volgare.

-Senti chi parla!

Lo guardai storto. -Fottiti.

-Appunto!- sghignazzò.

  
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