Videogiochi > Overwatch
Segui la storia  |       
Autore: Kemushi    06/09/2016    1 recensioni
[Overwatch][Overwatch]" L’idea che tutto fosse rimasto come l’avevo lasciato mi confortava come se fosse una vecchia foto sbiadita.
Improvvisa come un fulmine a ciel sereno, l’ombra di qualcosa, che a prima vista definii come enorme rapace, mi riportò alla realtà, lasciando sfumare lentamente i miei pensieri. "
[Fareeha Amari / Jesse McCree]
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Fareeha 'Pharah' Amari, Jesse Mccree
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
-Dove sei stato?- mi chiese con voce tanto dolce che per un attimo mi feci sopraffare dai ricordi.
La bambina che conoscevo sembrava sparita; doveva essere cambiata più di quanto non avessi fatto io, e maturata sotto il peso di paure e preoccupazioni che al momento non conoscevo.
Dava l’impressione di avere la mente altrove, immersa in pensieri probabilmente simili ai miei, e lo stesso sguardo di quando, da bambina, sognava ad occhi aperti.
Ricordo ancora le giornate passate insieme, quando i pesi che avevamo sulle spalle erano più leggeri dei nostri pensieri. Ricordo quando mi rubava il cappello e cominciava a scappare, dicendo di voler diventare un’agente della Overwatch come sua madre prima di lei; i nostri sogni erano un semplice gioco da bambini, e non ci eravamo mai curati di cosa effettivamente significasse combattere.
Se ci ripenso ora, mi si spezza quasi il fiato tanto forte è la malinconia.
Se solo potessi tornare indietro, e cambiare le scelte che mi hanno portato qui.. Ma a cosa servirebbe vivere nel rimorso?
- Jesse?- la dolcezza della sua voce cadde in un leggero fastidio. Mi guardò per qualche secondo, poi distolse lo sguardo e si appoggiò alla staccionata di una delle tante case abbandonate. Sbuffò, e si mise a fissare con occhi vuoti il suo elmetto impolverato; a giudicare dalla corazza che indossava, era decisamente riuscita ad esaudire il suo sogno.
-Si, scusami..- sospirai, appoggiando gli avambracci al legno.
Non ero solito raccontare delle cose tanto personali a qualcuno che non fossi io; avevo passato gli anni a tenermi dentro ogni singolo dolore e rimorso, senza lasciar trapelare nemmeno un ricordo. Dopotutto, dovevo tenere alto l’onore da fuorilegge che mi ero costruito nel tempo.
Il tormento della distanza che mi aveva divorato durante gli anni, tuttavia, divenne a mano a mano più forte dell’orgoglio che avevo custodito con tanta cura, e sentii il bisogno di renderla partecipe di ciò che si era persa.
-Dopo che mio padre- e la voce mi si ruppe. I ricordi riaffiorarono nuovamente, e mi travolsero come una doccia d’acqua fredda; ma dopo venti anni di silenzio assoluto le dovevo almeno una spiegazione.
-Dopo che mio padre venne assassinato- ripresi, dopo un lungo e doloroso sospiro –mi venne offerta una nuova vita da dei vecchi amici di famiglia, e venni portato via prima di poter avvisare qualcuno.-
Parlarne mi aveva inaspettatamente tolto un enorme peso dal le spalle, e lo avevo quasi involontariamente condiviso con lei; probabilmente non lo aveva ascoltato come dolore di cui avere timore, ma lo aveva accolto come un nuovo ricordo. E se andava bene a Fareeha, potevo farmelo andare bene anche io.
-Mi avresti salutata?- mi chiese piano, immobile, come spaventata da un’eventuale risposta negativa.
–Intendo, se avessi potuto farlo..-
Sorrisi malinconicamente.
-Se avessi saputo di non rivederti più, non me ne sarei mai andato.-
Intravidi un dolce sorriso illuminarle il volto. Sembrava sorridere a se stessa, ai propri ricordi, al mio abbandono; sembrava voler cacciare le paure, e mostrare al timore che si sbagliava a dubitare di me.
O almeno, mi piace pensare che quel leggero sorriso avesse significato per lei anche una sola di queste cose.
Poi, all’improvviso, come se avesse ricordato solo allora qualcosa di importate, il suo viso si caricò nuovamente di preoccupazioni.
-Cosa hai fatto per  tutto questo tempo?-
La verità mi cadde addosso pesante come un macigno.
-Eh..-  triste, lo ammetto, ma non riuscivo a dire altro.
Mi portai una mano al cappello, mosso più dall’agitazione che dalla vera necessità di proteggermi dal sole.
-Diciamo che mi sono fidato delle persone sbagliate.-
Lei annuì; immagino che per il momento non volesse approfondire, e rimase in silenzio.
Seguii il suo atteggiamento, e non dissi nulla.
E cosa avrei dovuto dire? Come ci si comporta con una persona che non vedi da venti anni? Gli argomenti di cui parlare erano forse l’unica cosa che non avremmo esaurito, ma da dove cominciare? Forse avrei solo dovuto dirle che mi è mancata, ma volevo evitare di essere invasivo; dopo così tanti anni di lontananza, anche dei migliori amici rischiano di perdere un po’ di confidenza.
E certo, anche perché non ne avevo il coraggio, ma un fuorilegge non lo ammetterebbe mai.
-Mi dispiace.- sussurrò, rompendo il silenzio.
Perché mai si sarebbe dovuta dispiacere? Era l’unica che tra i due non si era macchiata di nessuna colpa. Mi girai con sguardo interrogativo, sperando che avrebbe capito senza bisogno di parlare, ma mi accorsi che mi stava già osservando, seppur con discrezione.
-Per tuo padre..- rispose alla silenziosa domanda – Mi dispiace per non averti detto nulla.-
Trovai fin troppo cortese da parte sua preoccuparsi per qualcuno che l’aveva abbandonata per tutto quel tempo.
-Non è stata colpa tua.- le risposi dolcemente –Non te ne ho dato il tempo.-
Sorrise lievemente, e tornò a fissare con sguardo vuoto il suo elmo. Sembrava quasi soddisfatta di essere riuscita a parlarmi di ciò che pensava.
-Volevo solo cominciare a recuperare il tempo perduto.- concluse.
Aveva ragione, non aveva senso stare in silenzio ancora a lungo.
Mi stropicciai prima gli occhi, poi l’intera faccia, come a voler ricordare meglio gli anni passati lontano da lei, e cominciai a raccogliere le parole che ritenevo migliori da usare per riassumere tutto quel tempo perduto.
-Diventai una sorta di fuorilegge.- cominciai, sottovoce. Avevo il timore che una come lei potesse non vedere di buon occhio un bandito, ma mi sbagliavo; si girò verso di me e mi guardò incuriosita.
-Mi insegnarono a rubare per vivere, e ho finito col crescere conoscendo solo quella strada.- continuai. Non credo le importasse davvero se quello che facevo era considerato bene o male; mi guardava come se si curasse solamente di sapere come avevo passato gli ultimi anni.
“Sono passati male, Fareeha, sicuro peggio che a te.” Ma mi sembrò stupido rispondere così.
-Questo..- Allungò leggermente una mano, insicura, come a voler toccare il mio braccio metallico. Poi il timore la persuase e si ritirò. Mi fece tenerezza; allungai a mia volta la mano robotica fino ad avvicinarmi a lei e le sorrisi. Non volevo avesse timore di me, non ora che l’avevo ritrovata. Aprii il palmo, aspettandola.
Lei si fidò, cosa che mi rassicurò non poco. Sfiorò le dita, guardandole quasi incuriosita. Ero certo non fosse una novità per lei vedere o toccare la tecnologia applicata direttamente sulle persone, ma immagino che sperimentarlo da così vicino fosse un’esperienza completamente diversa.
-Suppongo tu sappia bene che alcune guerre siano più dure di altre.- le dissi, cercando di darle una spiegazione convincente –E non da tutte le battaglie si esce illesi.-
-Capisco.- si limitò a sussurrarmi. La ringraziai mentalmente per non avermi chiesto di più a riguardo.
-E poi?- chiese dopo qualche attimo di silenzio, continuando a sfiorare le mie dita di metallo. Cigolavano di un rumore che non avevo sentito spesso, strofinando contro l’armatura dei suoi guanti; era strano ricevere affetto su una mano dalla quale non potevo ormai percepire più nulla, ma era in qualche modo ugualmente rassicurante. Mi era mancata una sensazione simile.
-Ho passato gran parte di questi anni a seguire ideali.. Non esattamente legali.-
Le memorie non mi spaventavano più. I ricordi delle sparatorie passate, di tutte le fatiche che ero stato costretto ad affrontare, caddero in secondo piano. Ero come incantato dal movimento delle due dita, dal sottile stridio che provocavano, dalla luce che riflettevano..
-La mia fama divenne tale che la Overwatch mi notò- continuai, tutto d’un fiato, sperando che il peso del passato non rovinasse la meraviglia di quel presente –Ma rifiutai.-
Le sue dita si immobilizzarono, come bloccate da quello che avevo detto, e cominciò a fissarmi con sguardo vitreo.
Non capivo.. Avevo solo risposto alla domanda che mi aveva posto lei stessa.. Non posso dire di non aver sbagliato nulla nella vita, questo è certo, ma ora..
-Perché?- chiese soltanto.
Quell’espressione mi terrorizzava. Non l’avevo mai vista guardare qualcuno in quel modo, e avevo sperato vivamente che un momento simile non arrivasse mai.
-La.. – Avrei dovuto davvero dirle la verità?
Si, certo, ma l’ultima reazione che ricevetti non fu un gran che.. Ripensandoci a distanza, quale bugia mi sarei dovuto inventare? Non sapevo per quale motivo si fosse bloccata, non capivo quali orribili pensieri avevo risvegliato con quelle semplici parole, non potevo immaginare un rimedio adeguato..
Non potevo far altro che dire la verità. Così presi coraggio per dirle ciò che realmente pensavo, e cercai di alleggerire la pillola.
-Avrei voluto.- le sorrisi amaramente, sperando di poter trovare le parole giuste –Avrei voluto entrare nella Overwatch solo per avvicinarmi di più a te.-
Guardai altrove, quello sguardo accusatorio non mi faceva sentire esattamente a mio agio.
-Ma purtroppo, la Blackwatch offriva più di quanto io avessi mai potuto ottenere prima..- conclusi a bassa voce  –Semplicemente, non potevo rifiutare.-
Silenzio.
Un lungo e terribile silenzio.
Non immaginavo cosa stesse pensando, così mi girai a guardarla.
Non aveva più lo sguardo vuoto, anzi. Non lo avevo mai visto così colmo di rabbia. Forse mi ero sbagliato a credere che non le importasse della delinquenza che caratterizzava la mia vita.. Ormai era fatta.
Non avrei mai potuto dirle altro se non la verità, e avevo imparato a mie spese a non vivere nel passato. Ma più la osservavo, e più mi sentivo piccolo e sbagliato; nemmeno io comprendevo di preciso per quali parole si fosse accesa, ma non importava. Avrei voluto distogliere lo sguardo, guardare altrove e fregarmene come avevo fatto in precedenza in molteplici situazioni, ma con lei non potevo.
-Tu..- sussurrò.
Si alzò, cominciò a camminare guardandosi intorno come se qualcosa potesse aiutarla a capire meglio la situazione.
-Senti io- esitai.
-No!- urlò, girandosi di scatto. Fece per dire qualcosa, ma perse le parole. Rimase zitta ancora qualche secondo, cercando di metabolizzare quello che le avevo detto.. Continuavo freneticamente a chiedermi cosa avrebbe potuto provocare in lei una reazione simile, ma preferii aspettare le sue spiegazioni prima di dire altro.
-Hai.. Rifiutato la Overwatch..- sussurrò, più a se stessa che a me. La rabbia nella sua voce mutò lentamente in triste consapevolezza. –Hai preferito la Blackwatch a me..-
-No, io..- Volevo provare a spiegare. Volevo tentare di trovare parole migliori di quelle che avevo usato fin ora, anche solo per farle capire che aveva frainteso le mie intenzioni..
-Si, tu!- mi rispose secca –Tu hai rifiutato me per unirti alla Blackwatch!-
Mi fissò solo per qualche istante, ma lo sguardo era tanto pesante che sembrò guardarmi per molto più tempo. Poi tornò lentamente ad osservare intorno a se; speravo con tutto il cuore che i ricordi legati a quel luogo non la potessero aiutare ad alimentare il rancore che covava per me.
-Perché sei tornato?- sussurrò infine. Non sembrava rivolgersi esattamente a me.
Presi fiato. –La Blackwatch vuole attaccare il tempio di Anubi.- le spiegai –Volevo provare a proteggerti.-
La rabbia mutò rapidamente in preoccupazione; si prese la testa tra le mani, sussurrando qualcosa tra se e se che non capii. Cominciò poi a controllarsi freneticamente l’armatura, come a voler esser certa che non ci fosse nulla che avrebbe potuto interrompere la sua partenza.
Infine, come presa da un lampo improvviso, si ricordò di quello che le avevo detto solo qualche secondo prima.
-Mi hai abbandonata per venti anni, Jesse. Non ho bisogno di essere protetta da te, ora.-
Mi fissò fredda ancora per qualche secondo, prima di girarmi le spalle e infilarsi l’elmo.
-Aspetta Fareeha..-  Mi alzai di scatto per avvicinarmi a lei. Non potevo lasciarla andare via così, non dopo tutto quel tempo, non con il peso di tutto quello che dovevo dirle ancora sulle mie spalle; ma mi bloccò a voce prima che io potessi fare nulla.
-Mi chiamano Pharah, ora. Abituatici.- e detto questo partì in volo. Non potei fare altro che fissarla inerme sparire nell’orizzonte.
Dopo così tanti anni di assenza, nessuno vorrebbe essere accolto con tale freddezza; ma in fondo, credo di essermelo meritato.
Pensai che Pharah non fosse un nome abbastanza elegante per lei.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Overwatch / Vai alla pagina dell'autore: Kemushi