Anime & Manga > Il grande sogno di Maya
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Autore: FiammaBlu    06/09/2016    3 recensioni
Questa breve FF inizia nel momento in cui, nel volume 49, Masumi si allontana in auto con i documenti dell'anagrafe per abbandonare il nome di suo padre adagiati sul sedile della sua auto. Il suo errare, pieno di dubbi, lo porterà molto lontano...
Genere: Comico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Masumi Hayami
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seconda parte

 

Masumi sbatté le palpebre, quel nome non gli diceva assolutamente nulla, eppure lui conosceva tutti in ambito teatrale. Il suo sguardo si posò sul libretto che la ragazza stringeva con tanta foga e si rese conto che gli ideogrammi rossi “ガラスの仮面” dicevano “Garasu no kamen”, “maschera di vetro”. Subito sotto il titolo rosso c’era il nome dell’autrice “美内すずえ”, Suzue Miuchi, e a destra figurava il numero 49. La copertina, bianca e viola, riportava un’immagine di Maya con un ramo di susino fra le braccia e, dietro di lei, Ayumi Himekawa. Era il tankobon di un manga.

- H-Hayami Masumi? - balbettò di nuovo la ragazza terrea come se avesse di fronte un fantasma. Lui annuì gravemente, la mente confusa e quella sensazione sgradevole sempre più dilagante gli serrò lo stomaco.

- Sì - confermò lui, sicuro che quello fosse solo un sogno e che non avesse alcuna importanza rivelare la sua identità. La giovane si raddrizzò, deglutì di nuovo mentre continuava a fissarlo e fece un passo avanti.

- È impossibile… - sussurrò la ragazza scrutandolo come se volesse fargli una radiografia. Masumi corrugò la fronte, non gli piaceva essere analizzato in quel modo sfacciato, inoltre tutta quella faccenda non aveva senso.

- Non può essere vero… - aggiunse la giovane balbettando, incapace di costruire una frase coerente. Allungò titubante una mano e con un dito gli toccò un braccio, salvo ritrarlo immediatamente e portarsi la mano alla bocca spalancata quando si rese conto che era di carne e ossa. Masumi sollevò un sopracciglio e decise che ne aveva avuto abbastanza.

- Le assicuro che sono io - replicò freddamente sistemandosi l’impermeabile - E ora mi scusi, ma devo andare - la liquidò dandole le spalle.

- Aspetti! - gridò la ragazza attirando l’attenzione delle persone intorno.

Masumi si fermò e si girò, ma quando vide i volti esterrefatti della gente che lo fissava, sentì una paura immotivata riempirgli l’anima.

La ragazza con l’abito di Satoko gli si posizionò davanti, gli occhi spalancati e le guance arrossate. Ben presto venne seguita dalle altre che si raccolsero intorno a lui, circondandolo.

- È proprio lui! È identico! - sussurrò un’altra con tono sbalordito.

- Sarà un attore? -

- Perfino gli stessi occhi… - mormorò rapita una terza con espressione famelica.

Masumi le guardò esterrefatto, impossibilitato a comprendere cosa stesse succedendo e quando quella con l’abito di Satoko allungò una mano, comprese che era giunto il momento di andarsene. Era la seconda volta in vita sua che si sentiva aggredito e incapace di gestire la situazione.

- Scusate, ma devo proprio andare - mormorò sentendo le membra tremanti e il cuore in tumulto. Fece qualche passo indietro, ma trovò i corpi di altre ragazze che ostacolavano la sua fuga.

- No! Non vada via! - gridò una scatenando il panico nell’ingresso. In breve si trovò letteralmente sommerso da mani che volevano toccarlo, labbra che volevano baciarlo - e quella era una cosa veramente assurda - dichiarazioni d’amore urlate che per lui non avevano alcun senso. Cercò di divincolarsi, ma non ci riuscì. Individuò la porta delle scale d’emergenza e cercò di avvicinarsi ad essa indietreggiando. La piccola folla non lo mollava e si sentì seriamente in difficoltà. Era una situazione che rasentava l’impossibile se non avesse avvertito ogni tocco come reale. Inalava i profumi dolciastri delle giovani intorno a lui, le loro grida gli sfondavano le orecchie, i loro corpi erano pesanti e “presenti”.

Allargò le braccia e provò a creare un’area di respiro, ma loro continuavano a chiamarlo per nome, come se lo conoscessero perfettamente, e non si rassegnavano alla sua riluttanza. Più che altro stava cercando di sopravvivere!

Una ragazzina dalle lunghe trecce gli sbatté addosso quel volumetto che l’aveva così scosso. Masumi lo afferrò, cercando di allontanare la ragazza. Ci fu un tira e molla comico, alla fine la giovane si arrese e lui si trovò con la porta alle spalle. L’aprì d’istinto e corse follemente giù per le scale avvertendo la piccola folla che lo seguiva a rotta di collo. Non si guardò indietro e dopo aver sceso quattro piani, imboccò una porta semiaperta che chiuse alle proprie spalle. Non attese per vedere se si fossero accorte del suo cambio di strada, continuò a correre per il corridoio finché incontrò un altro valletto in livrea rossa e bianca, che lo fissò stupito.

- Come posso uscire rapidamente da qui? - gli chiese con il fiatone, lanciando un’occhiata dietro di sé.

- Può prendere l’asc… - ma Masumi lo interruppe.

- No! Le scale! - replicò con troppo vigore che fece aggrottare la fronte del valletto, il quale si limitò ad indicare un’altra porta in fondo al corridoio.

- Prenda quelle e le percorra tutte, si troverà nella via di fianco all’hotel - spiegò il giovane.

Masumi annuì, borbottò un rapido ringraziamento e si diresse a passo svelto verso l’obiettivo. Non gli interessava che quel ragazzo pensasse che era pazzo, voleva solo uscire da quel posto. Spalancò la porta e corse a perdifiato lungo quelle scale interminabili. Quando arrivò al piano terra, i polmoni gli bruciavano e la richiesta di ossigeno lo faceva ansimare pesantemente. Ignorò quello stato fisico, individuò la porta verso l’esterno e uscì.

Inalò l’aria fresca della notte, camminò lentamente fino all’angolo della via, sbirciò oltre e guardò il marciapiede davanti all’hotel. Era sgombro e la sua auto era parcheggiata vicino alla posizione in cui si trovava. La raggiunse con una corsa rapida e s’infilò all’interno tirando un sospiro di sollievo.

Il cuore batteva come un tamburo ed era costretto a respirare con la bocca aperta. Quando l’adrenalina scese un po’ e si rese conto di essere al sicuro, la sua mente analitica iniziò a tirar fuori ogni particolare di ciò che gli era accaduto alla ricerca di una spiegazione logica che non lo facesse impazzire. Allora si accorse di avere qualcosa in mano. Sollevò l’oggetto alla luce del lampione che passava dal vetro e sussultò.

Era quell’albo colorato, di quei manga che piacevano tanto alle ragazzine. Con mani tremanti iniziò a sfogliarlo e subito dopo le prime pagine il suo cuore, da frenetico, perse un colpo e sembrò quasi arrestarsi.

- Questa è una cosa impossibile… - sussurrò spalancando gli occhi. Ciò che stava guardando rendeva quel momento davvero un sogno, perché non avrebbe avuto altro modo per giustificarlo. Si rifiutò di proseguire nella lettura, abbassò il volumetto appoggiandolo sulle gambe e quando rivolse lo sguardo vacuo davanti a sé, notò il gruppo di ragazzine indemoniate uscire dall’albergo. Si tuffò sul sedile accanto e cercò di non farsi vedere. Le sentiva gridare il suo nome e quella cosa lo fece rabbrividire. Piano piano i rumori si affievolirono e infine cessarono del tutto.

Non avrebbe saputo dire quanto tempo rimase in quella scomoda posizione, la mente vuota, le dita strette intorno al numero 49 di quel fumetto che sembrava narrare la sua storia. La storia di Maya e della sua passione per il teatro. La storia delle persone che conosceva.

Non è possibile…

Ripeté quel mantra infinite volte, sperando di svegliarsi da quell’incubo e probabilmente si assopì, impedendo così alla sua mente di cavalcare quell’onda di follia che sentiva nascere dentro di sé. Quando riaprì gli occhi, confuso e dolorante per la scomoda posizione, sospirò per il sollievo. Sicuramente quel brutto sogno era terminato e forse si era addormentato in auto a causa della tensione scaturita dal litigio con suo padre. Qualcuno avrebbe preso quell’esperienza onirica per un avvertimento, ma lui era un uomo pratico. Avrebbe lasciato il cognome di suo padre e non avrebbe sposato Shiori Takamiya, niente e nessuno avrebbe potuto fargli cambiare idea.

Tornò eretto sul sedile di guida con una smorfia e guardò verso l’albergo con il cuore più leggero, ma sussultò quando vide quella donna circondata da alcuni giornalisti e allo stesso tempo si accorse di stringere ancora il volumetto nella sua mano. Abbassò gli occhi e li chiuse quando scorse l’immagine di Maya col ramo di susino in braccio.

Sono ancora intrappolato qui…

Espirò il fiato e accasciò le spalle, chiudendo le palpebre su quel mondo alieno. Quella situazione esulava da qualsiasi ragionamento lui potesse fare e lo lasciava completamente spiazzato e senza risorse.

Un’auto nera accostò davanti all’hotel e la donna salì seguita dall’uomo che era seduto al tavolo degli invitati, probabilmente il suo editore se era davvero la disegnatrice di quel manga. Se quel sogno doveva continuare, avrebbe fatto in modo di condurre il gioco. Puntando su quella nuova consapevolezza, posò il volumetto sul sedile insieme al cellulare e i documenti, controllò il telefono e finalmente iniziò ad accettare quell’anomala situazione, da uomo razionale qual era. La linea era ancora assente, c’erano delle auto in strada che non aveva mai visto, la gente era vestita con una moda diversa e camminava tenendo in mano un telefono piatto dal grande schermo luminoso. Ma la prova più schiacciante si trovava sul sedile accanto a lui, racchiusa in quelle pagine in bianco e nero. Eppure quella era Tokyo, aveva guidato per le sue strade, quindi esisteva.

Forse sono io l’intruso, allora… Come sono finito qui?

Evitò di analizzare quell’assurda domanda, accese il motore e seguì l’auto scura. Se c’era qualcuno che poteva avere delle risposte, era la donna in quell’auto che si chiamava Suzue Miuchi.

 

Senza alcuna difficoltà, era riuscito a star dietro a quella macchina elegante di marca straniera. L’autista aveva guidato in modo tranquillo nel traffico sempre più esiguo della sera, fino a raggiungere una zona residenziale nella parte ovest della città. Era lontana dal centro frenetico e moderno, c’erano grandi ville in stile giapponese con splendidi e curati giardini, molto simili alla villa di suo padre. Quando l’auto si era fermata, lui aveva accostato circa mezzo chilometro indietro. Aveva visto scendere la donna accompagnata dall’uomo, avevano scambiato qualche battuta che gli era sembrata aspra e carica di risentimento, poi lui era risalito e lei era entrata in casa.

Quella donna doveva avere poco più di sessanta anni, il suo sorriso alla conferenza stampa nell’hotel gli era sembrato calcolato e preconfezionato, un po’ come la sua espressione da affarista quando entrava alla Daito. Sorrise di quella riflessione, iniziando a dubitare della sua reale esistenza.

Sto diventando pazzo…

Posò lo sguardo sul volume che aveva strappato di mano alla ragazza e la curiosità vinse sulla ragione. Lo aprì e lo lesse dall’inizio alla fine. Quando vide le ultime tavole, che lo ritraevano nella discussione con suo padre e in cui fuggiva in auto decidendo di iniziare una nuova vita, un groppo d’angoscia gli chiuse la gola.

Questo sono io! Proprio io! Faccio parte di una storia? Sono una marionetta nelle mani di quella donna? È lei che decide ogni cosa? È questa la forza che sentivo tirare e dilatarsi? Io… quindi… non esisto?

Un terrore profondo lo invase, non per se stesso, quanto per Maya. Il motivo per cui il loro amore non si era realizzato stava tutto nei disegni di quelle pagine? Era quella matita a decidere il loro destino? Il motivo per cui si sentiva così in ansia e gli sembrava che il tempo non passasse mai, derivava dal fatto che quella donna non aveva ancora concluso la storia? Maya aveva sofferto così tanto solo perché la mangaka aveva voluto così?

Non posso credere che ciò che sto vivendo sia vero… L’amore che provo per Maya è profondo e reale, non ha nulla a che vedere con una storia! E perché sarei qui… in quest’altro mondo?

Chiuse il volume angosciato e uscì dall’auto sbattendo lo sportello. Forse stava davvero impazzendo o forse era lì per un motivo, qualunque fosse la ragione, c’era qualcosa che voleva dire a quella donna.

Percorse il marciapiede cercando di tenere lontana la mente da qualsiasi riflessione, altrimenti non sarebbe stato in grado di affrontare i prossimi minuti. I lampioni illuminavano a tratti la strada, c’era silenzio e solo alcune finestre delle ville intorno mostravano la luce all’interno e quella di Suzue Miuchi non faceva differenza.

Immaginò che se avesse suonato a quell’ora, sarebbe stato cacciato e non aveva alcuna possibilità di inventarsi una storia né avrebbe potuto dare il suo vero nome. Quella donna sembrava famosa, probabilmente proteggeva la sua privacy come faceva lui e l’unico modo che aveva per incontrarla era entrare di nascosto. Nel suo mondo non si sarebbe sognato di fare una cosa simile, ma lì sentiva di poter agire senza alcuna regola, libero dalle solite costrizioni, certo che non ci sarebbero state ripercussioni per le sue azioni.

Adesso mi domando se il peso che sentivo sul cuore ogni volta che agivo era il senso di colpa derivato dall’impossibilità di liberarmi delle catene che mi tengono legato a questo mondo, dove io sono finzione e il resto realtà…

Girò intorno alla villa e trovò la piccola porta di servizio, identica a quella che i domestici di suo padre usavano per entrare e uscire. Spinse la porta, ma si rivelò chiusa. Sbirciò oltre e non avvertì la presenza ostile di cani da guardia. Puntò i piedi sulla parte bassa della porta, si sollevò sulle braccia e con un colpo di reni si piegò sul bordo in cima, passò una gamba oltre e si lasciò cadere giù.

Per fortuna mi ha disegnato alto…

Quel pensiero lo fece sorridere e rattristare allo stesso tempo. Realizzare all’improvviso che tutto ciò in cui credeva non esistesse, poteva piegare anche l’uomo più saldo e fargli perdere le proprie certezze. Per lui, invece, era significato far andare ogni tassello al suo posto. Aveva sempre ritenuto assurde certe cose che gli erano accadute, più simili ad un film o un romanzo che alla vita reale, per non parlare del dramma della “Dea Scarlatta”...

Rimase immobile in ascolto, ma non ci furono grida d’allarme né latrati furiosi, così proseguì sul sentiero di pietre che attraversava parte del giardino fino alla porta delle cucine. La signora non se la passava poi così male se poteva permettersi domestici e una casa simile. Spinse la porta di legno e vetro, ma rimase ostinatamente chiusa. Continuò lungo il perimetro e controllò ogni finestra del piano terra finché ne trovò una socchiusa. Si fermò da un lato appiattendosi al muro, ascoltando attentamente i rumori all’interno, poi, spinto dall’adrenalina, scostò l’anta, scavalcò ed entrò.

È così che ti senti, Hijiri, quando cerchi le tue informazioni? È per questa sensazione esaltante che continui a lavorare per me? O è solo il capriccio di quella disegnatrice?

Il pensiero del passato tragico di Hijiri e del fatto che la causa poteva essere proprio la donna in quella casa, accese la sua ira che andò a sommarsi alla frustrazione e all’angoscia che già provava, portandolo vicino al limite della sopportazione umana.

L’interno della stanza era buio e silenzioso. Si concesse qualche attimo per far abituare la vista all’oscurità, poi iniziò ad individuare gli oggetti intorno. C’era un grande tavolo in posizione semi verticale, simile al tecnigrafo che usavano i grafici alla Daito; un tavolino rotondo con due poltrone e, alla sua destra, un’alta scaffalatura probabilmente piena di libri sebbene non riuscisse ad identificarne il contenuto. Mosse un passo e il pavimento di legno scricchiolò. Si bloccò col cuore in gola, dandosi dello stupido: in fondo voleva incontrarla, no? Quindi prima o poi l’avrebbe visto.

Però posso almeno spaventarla un po’ se appaio all’improvviso. Se la sua reazione sarà come quella delle persone alla conferenza, otterrò una piccola vendetta…

Ridacchiò nel buio e vagò per la stanza sfiorando oggetti e gioendo per il sangue che gli scorreva nelle vene.

Non sembro un fantasma, però… né un altro tipo di apparizione. Avverto tutte le sensazioni e le cose intorno a me sono solide e sono in grado di toccarle. Questa è davvero una strana situazione…

Si avvicinò al tecnigrafo e si accorse che c’era un foglio di carta appoggiato sopra, fermato con la coppia di righelli montata su un goniometro. Si chinò appena assottigliando gli occhi, ma era bianco. Sul porta penne erano adagiate alcune strane matite. Da quella posizione, notò a destra una scrivania con un computer.

Forse usa quello per disegnare…

Sentì un rumore e si girò di scatto. Era giunto il momento di incontrare questa mangaka che sembrava governare la sua vita. Si accomodò su una delle due poltrone appoggiando l’impermeabile sull’altra e attese.

 

Odiava profondamente quegli eventi mondani, odiava i giudizi che la gente le scagliava addosso, odiava il suo editore e si domandava perché non la lasciassero in pace. Non aveva alcuna intenzione di giustificarsi con nessuno! Non doveva niente a nessuno! Invece tutti si aspettavano qualcosa da lei! Volevano, anzi no, pretendevano un capitolo, e poi un altro, e un altro! Non ci sarebbe mai stata una fine a quelle richieste, anche se lei avesse portato a termine la storia, una parte non sarebbe stata contenta e si sarebbe lamentata, qualunque cosa avesse scelto di disegnare.

Spalancò la porta del suo studio privato, irritata e delusa come ogni volta di ritorno da quelle conferenze. Accese la luce e raggiunse il tecnigrafo.

- Buonasera, signora Miuchi -

La voce maschile, profonda e pacata, la fece letteralmente saltare sul posto. Suzue si voltò e sussultò, portandosi una mano alla bocca per frenare un grido.

- Chi è lei? - mormorò la donna con voce appena udibile che filtrò attraverso le dita. L’uomo che stava guardando non poteva essere lì, aveva sempre vissuto nella sua fantasia.

- Devo veramente rispondere? - disse Masumi alzandosi e sorridendole con le mani sui fianchi.

   
 
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