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Autore: simocarre83    07/09/2016    3 recensioni
Può una telefonata cambiare la vita di una persona? Dipende dalla telefonata. Il problema è che spesso non sappiamo quale sarà quella telefonata. Potessimo saperlo, la registreremmo per ricordarcela, o non risponderemmo neanche. Ma non lo sappiamo. E quando ce ne accorgiamo è troppo tardi e possiamo solo sperare che la vita cambi. In meglio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5 - TEOREMA

Michele si nascose dietro ad una macchina. Aveva fatto poche decine di metri, ne mancavano più di duecento, prima di arrivare a casa sua. Ebbe un’idea. Avendogli lasciato il telefono, avrebbe potuto telefonare ad uno dei suoi per farsi portare qualcosa. Forse, visto che Amaraldo conosceva sua madre, poteva mandarlo, senza destare troppi sospetti, a casa sua, a prendergli qualcosa per rivestirsi. Prese il cellulare e aprì la rubrica.

-Bastardo fino in fondo! Mi ha cancellato tutti i dati del telefono!- pensò un istante dopo, vedendo fallire il suo piano.

Sentì dei rumori. Dei ragazzini, avranno avuto l’età di Salvatore, 13 anni. Stavano per passare proprio vicino alla macchina dove si trovava rannicchiato. Fortunatamente erano in mezzo alla strada, perché sarebbe bastato che fossero sul marciapiede e che nel frattempo passasse un’auto dalla strada per farsi vedere, o da loro o dal conducente dell’auto. Decise che sarebbe stato meglio infilarsi sotto la macchina, per non farsi vedere. Avrebbe aspettato lì finché fosse stato possibile. Poi, a notte fonda, avrebbe corsoil più velocemente possibile verso casa sua. Sperando di non incontrare nessuno. Passò un quarto d’ora; poi vide delle scarpe conosciute. Era Amaraldo. Finalmente qualcuno che veniva a cercarlo. Si sporse un attimo e gli fece un cenno. Amaraldo quasi non lo riconobbe, ma quando lo vide gli prese un colpo. Gli corse incontro e man mano che si avvicinava sempre più capì anche la gravità della situazione. Gli venne perentoriamente ordinato di non avvicinarsi ulteriormente.

“Vai a casa mia, entra nella mia camera e prendimi un paio di pantaloni e una camicia. Immediatamente!” disse Michele.

Amaraldo tornò indietro e due minuti dopo era di nuovo a quella macchina, con i vestiti del suo capo. Il tempo di infilarsi i pantaloni e Michele uscì, conquistando nuovamente la libertà di muoversi come e dove voleva. Senza neanche ringraziare, spedì Amaraldo a casa e gli intimò di non raccontare a nessuno quello che era successo. Se ne tornò a casa anche lui. Fece appena in tempo a tornare a casa, che corse in bagno per vomitare. Stette per dieci minuti buoni in bagno, sudando freddo e nella morsa impietosa di un mal di testa atroce.

-Me la pagheranno! Me la pagheranno tutti! Voglio fargliela pagare per tutto quello che hanno fatto!- furono le uniche cose che pensò con la testa ancora riversa sul gabinetto. Si riprese, fece una doccia e se ne andò a letto. Quella giornata era stata troppo anche per lui.

Il mattino seguente venne svegliato da sua madre per andare al mare, ma lui le disse che non si sentiva bene e che sarebbe rimasto a casa. Poco prima che sua madre e sua sorella se ne andassero sentì di nuovo bussare alla porta della sua camera.

“C’è Amaraldo che è venuto a trovarti, sei presentabile?” chiese sua madre.

Nessuna risposta.

Visto che anche a lei non andava a genio il comportamento del figlio in quegli ultimi mesi, la madre lasciò Amaraldo alla porta della camera di Michele.

“Vedi tu se riesci a farlo ragionare un po’” disse al ragazzino. E se ne andò.

“Non si preoccupi signora!” rispose rispettosamente Amaraldo. Attese poi che la donna uscisse e chiudesse la porta di casa, poi bussò alla porta del suo amico.

“Miché! Posso entrare?”

Anche lui non ottenne nessuna risposta. Più indispettito che preoccupato, allora, aprì la porta. Entrò nella camera in penombra. La tapparella, quasi completamente abbassata e la finestra aperta facevano ombra e lasciavano entrare ancora un po’ di aria, solamente tiepida, del mattino. La camera di Michele non era una novità per Amaraldo, che l’aveva vista la sera prima, quando era venuto a prendere i vestiti. Si era già accorto di alcuni particolari, come l’ordine e il pulito che la caratterizzavano, pure troppo per un sedicenne.

Quella figura, sdraiata sul letto, supina, con le mani dietro la testa e i piedi incrociati, con un pantaloncino e una maglietta che in quel periodo dell’anno bastavano e avanzavano come pigiama, sembrò accorgersi solo dopo qualche secondo della presenza del suo amico. Poi la mente ritornò alla sera precedente e tra sé e sé si chiese se anche Amaraldo l’avrebbe lasciato solo in quella situazione. Ritornò serio. “Che vuoi?”

“Niente! Volevo vedere come stavi. Ieri mi sembravi piuttosto turbato. Poi Dorian mi ha raccontato quello che è successo. E avendoti visto di persona, dopo, ho collegato e ho capito il resto. Cosa pensi di fare?”

Michele si sedette sul letto. Si stiracchiò e sbadigliò. Si alzò e andò in bagno, come se niente fosse. Come se in camera sua non ci fosse stato nessuno e come se non gli fosse stata rivolta alcuna domanda. Dopo venti minuti ne uscì, in accappatoio, lavato e rasato. Andò in cucina, si versò il caffè che era rimasto nella caffettiera, e lo bevve, amaro.

Ritornò in camera sua tirò fuori da un cassetto il costume da bagno e una maglietta.

“Esci!” disse ad Amaraldo. Questi però non uscì. Michele era rivolto verso il muro, Amaraldo alle sue spalle e di spalle. Non potevano vedersi. Però Amaraldo scorse in quell’ordine, dato dal suo capo, un brivido. Come se gli stesse dicendo di uscire con le lacrime agli occhi. Effettivamente, ed improvvisamente, Michele si accasciò a terra cedendo ad un pianto sommesso e doloroso.

Amaraldo sorrise per qualche secondo, pensando a quanto quella persona fosse debole, debosciata, inutile. Peccato che proprio quella persona, in quel momento, era la chiave di tutto, quindi doveva reggere il gioco. Il sorriso, allora, si spense e un’espressione preoccupata e coinvolta comparì sul suo volto.

Immediatamente Amaraldo si avvicinò a Michele.

“Esci per favore!” disse nuovamente Michele. Piangendo. Ma Amaraldo si avvicinò a lui, gli mise una mano sulla spalla e lo fece rialzare. Si sedettero entrambi sul letto.

Michele, per la prima volta, sentì l’estremo bisogno di qualcuno che gli stesse vicino. Fortunatamente c’era Amaraldo. Come era sempre accaduto in quegli ultimi anni. Pianse per qualche altro minuto. Raccontò al suo amico tutto. Di come gli fosse sembrata un’ottima idea quella suggerita da Amaraldo stesso, cioè quella spedizione punitiva verso i loro nemici, che prima trovarono Giuseppe e poi catturarono anche Simone. Di come era accaduto il ribaltamento della situazione e di come arrivò al punto di esultare per aver visto la sua figura da sotto quella macchina. Quello di qualcuno che lo poteva togliere da quella situazione imbarazzante.

“Certo” aggiunse, calmandosi, “se invece di andare a giocare a calcetto fossi venuto con noi, adesso forse ci sarebbero stati loro in questa stessa situazione e noi avremmo riso alle loro spalle per una vita”.

“Lo so! Ma non preoccuparti! Gliela faremo pagare!” disse Amaraldo.

Un velo di paura coprì il volto di Michele, mentre un brivido gli scese lungo tutta la schiena.

“No! Non voglio fare niente! Per me sono un capitolo chiuso! Facessero quello che vogliono! Non li disturberemo più!”

“Come!? Loro ti hanno umiliato in quel modo! Ti hanno anche fatto male fisicamente oltre che emotivamente. Anche a mio fratello e Salvatore. Non possiamo fargliela passare franca” rispose immediatamente Amaraldo, vedendo, per un attimo, fallire il suo compito.

“No! Non mi interessa! Devo chiarire una volta per tutte il discorso con Simone. Ho aspettato troppo e mi sono lasciato prendere la mano. Questa storia deve finire subito. Anzi! Non vengo neanche al mare. Forse sono ancora in tempo a correre a casa sua e parlare con lui!”

Certo, se fosse accaduta una cosa del genere, non osava lontanamente immaginare le conseguenze per lui. Doveva fare qualcosa. E subito. Mise una mano sulla spalla dell’altro. Abbassò la voce, e avvicinò lentamente il viso a quello dell’altro. Esattamente come era stato addestrato a fare. Sapeva che avrebbe funzionato.

“Hai ragione” gli disse a voce quasi invisibile. “Ma pensa a quello che ti hanno fatto. Pensa a come ti sei sentito quando ti hanno fatto spogliare e scappare via. Pensa a quello che sentivi mentre davano fuoco ai vestiti. Pensa a come ti senti ogni volta che vedi Simone! Te l’ho detto tante volte. Io ti voglio bene. Avrei preferito esserci io al tuo posto, ieri sera, piuttosto che vederti soffrire così. Te l’ho già detto tante volte. Tu sei molto migliore di Simone. Sei meglio di tutti loro messi assieme. Noi insieme possiamo fare qualsiasi cosa. Nessuno può, né deve permettersi di fermarci. Neanche una piccola persona come Simone. Quello che ha fatto ieri è imperdonabile. Deve pagarla. E devi essere tu a fargliela pagare. Rispecchia semplicemente l’ordine naturale delle cose. Il più forte sottomette sempre il più debole. Tu sei il più forte. Noi siamo i più forti. E nessuno, neanche quell’infimo animale che tu chiami Simone, deve permettersi di mettere in dubbio questo!”

Michele lo osservava fisso negli occhi. Amaraldo gli aveva preso la testa fra le mani e l’aveva costretto a fissarlo. Quegli occhi riuscivano incredibilmente a incutergli timore. Ogni volta che il suo amico aveva quello sguardo, Michele veniva preso da un sentimento di paura e debolezza. Però, la logica stringente di tutte le cose che Amaraldo gli diceva mentre lo guardava così, l’aveva sempre dissuaso dal reagire violentemente. Probabilmente se qualsiasi altra persona si fosse solo azzardata a guardarlo così, l’avrebbe sicuramente picchiata. Ma Amaraldo no. Quello sguardo rivelava una forza, una convinzione che lui a volte non aveva, ma che grazie a quello sguardo aveva sempre riacquistato. Ripensò per un attimo a Simone. Lui non si sarebbe mai permesso di arrivare anche solo a quel punto. L’amicizia tra loro due era stata molto diversa. Simone era stato l’unica persona che aveva sempre e tranquillamente visto come un suo pari. Fino a quell’estate del 1997. Poi Amaraldo gli aveva aperto gli occhi. Poi Michele aveva capito che un vero amico ti rispetta sempre e comunque. Non mette in dubbio le tue opinioni, come aveva fatto Simone quel giorno. Un vero amico ti appoggia sempre e comunque. È al tuo fianco anche quando le cose non gli vanno a genio. E Amaraldo gliel’aveva dimostrato. E Simone, infatti, ne aveva approfittato proprio in quell’occasione. Di nuovo Michele abbassò lo sguardo. Aveva ancora una volta capito che Amaraldo aveva ragione, che non valeva la pena di ricucire quella relazione che si era interrotta due anni prima. Perché Simone non avrebbe capito. Perché Simone non voleva capire. Perché Simone, da essere inferiore che aveva dimostrato di essere, allora come l’ultima occasione nella quale si erano incontrati e scontrati, poche ore prima, non poteva capire che uno come lui era destinato a cose più grandi di quel gruppo di persone che, impropriamente, aveva considerato amici fino a qualche anno prima.

“Simone! Quell’infame! Giusto! Me la devono pagare tutti!” disse Michele quasi urlando, riacquistando immediatamente tutto il suo vigore, per poi calmarsi nuovamente, questa volta in preda allo sconforto più totale: “ma come facciamo? Sembra che ogni volta riescano sempre a farla franca!”

“Riescono a farla franca contro di noi!” aggiunse Amaraldo.

“Che intendi dire?”

“Che noi ci siamo sempre mossi per prenderli in giro, per umiliarli, mai per fargli del male!”

“Per forza! Quei quattro ci ridurrebbero a polpette se lo facessimo! Sai come la penso!”

“Allora dobbiamo farci aiutare!” concluse Amaraldo.

“No! Te l’ho già detto l’altra volta. Quelli no!” esclamò Michele. Era escluso mettere di mezzo persone ancora più pericolose.

“Allora, la prossima volta che quei quattro danno fuoco ai vestiti e ti lasciano nudo in mezzo a una strada, perché tanto riaccadrà, non metterti a piangere, perché la colpa sarà un po’ anche tua, che ti sarai abbassato al loro stesso livello. E non cercare il mio aiuto, perché preferisco avere un cane per amico che te, se non dimostri di farti valere” disse Amaraldo, con lo stesso sguardo, questa volta scattando in piedi e chiudendo le braccia incrociate davanti al petto. Quel giorno aveva deciso di smuovere le cose. Aveva deciso che era ora di arrivare fino in fondo con Michele.

Più di ogni altra cosa, a quel punto, vinse la paura di perdere anche quell’amico, innegabilmente l’unico vero amico che aveva. Si fece coraggio, rimanendo per qualche altro secondo in silenzio. Poi continuò: “dici che loro ci potrebbero aiutare?!”

“Ne sono sicuro!”

Passò ancora qualche minuto. Intanto si erano sdraiati entrambi sul letto, uno al fianco dell’altro. Entrambi con le mani dietro la nuca. Solo che mentre Michele aveva gli occhi rossi dal pianto di poco prima e fissi sul soffitto, Amaraldo li aveva chiusi e lo stesso sorriso malvagio di pochi minuti prima aveva fatto nuovamente capolino sul suo viso.

“E va bene!” rispose Michele, convinto anche a sorridere, a quel punto.

“Così gliela facciamo pagare una volta per tutte. Definitivamente!” fu l’ultima parola di Amaraldo. Michele si drizzò in piedi.  Amaraldo pure. Un  nuovo sguardo di intesa volò immediatamente tra i due.

“Io ho già il costume. Ti aspetto fuori, muoviti che fra 5 minuti passa il pullman”.

Amaraldo uscì dalla camera di Michele, chiudendo la porta dietro di sé. Michele ci mise meno di un minuto a finire di vestirsi, prese lo zaino e corse da Amaraldo che lo stava aspettando. Arrivarono al pullman giusto in tempo per non perderlo. Sul pullman incontrarono anche Dorian e Salvatore e insieme, mentre Michele gli raccontava le ultime decisioni prese, arrivarono al mare.

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“Capo, si è convinto! Avevi ragione!”

“Lo sapevamo! Il Teorema funziona sempre! Fagli odiare qualcuno e vincerai una battaglia, dagli l’opportunità di vendicarsi e vincerai la guerra. Ottimo lavoro! Tienilo sempre sotto controllo. Ma non dirgli, per nessun motivo, il vero obiettivo!”

“Ok Capo!”

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Buongiorno a tutti!! grazie a chi segue questa storia e un grazie a chiunque volesse/voglia/vorrebbe/vorrisse recensirla... :-) 

  
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