5
- TEOREMA
Michele si
nascose
dietro ad una macchina. Aveva fatto poche decine di metri, ne mancavano
più di
duecento, prima di arrivare a casa sua. Ebbe un’idea.
Avendogli lasciato il
telefono, avrebbe potuto telefonare ad uno dei suoi per farsi portare
qualcosa.
Forse, visto che Amaraldo conosceva sua madre, poteva mandarlo, senza
destare troppi
sospetti, a casa sua, a prendergli qualcosa per rivestirsi. Prese il
cellulare
e aprì la rubrica.
-Bastardo
fino in
fondo! Mi ha cancellato tutti i dati del telefono!- pensò un
istante dopo,
vedendo fallire il suo piano.
Sentì
dei rumori.
Dei ragazzini, avranno avuto l’età di Salvatore,
13 anni. Stavano per passare
proprio vicino alla macchina dove si trovava rannicchiato.
Fortunatamente erano
in mezzo alla strada, perché sarebbe bastato che fossero sul
marciapiede e che
nel frattempo passasse un’auto dalla strada per farsi vedere,
o da loro o dal
conducente dell’auto. Decise che sarebbe stato meglio
infilarsi sotto la
macchina, per non farsi vedere. Avrebbe aspettato lì
finché fosse stato
possibile. Poi, a notte fonda, avrebbe corsoil più
velocemente possibile verso
casa sua. Sperando di non incontrare nessuno. Passò un
quarto d’ora; poi vide
delle scarpe conosciute. Era Amaraldo. Finalmente qualcuno che veniva a
cercarlo. Si sporse un attimo e gli fece un cenno. Amaraldo quasi non
lo
riconobbe, ma quando lo vide gli prese un colpo. Gli corse incontro e
man mano
che si avvicinava sempre più capì anche la
gravità della situazione. Gli venne
perentoriamente ordinato di non avvicinarsi ulteriormente.
“Vai
a casa mia,
entra nella mia camera e prendimi un paio di pantaloni e una camicia.
Immediatamente!” disse Michele.
Amaraldo
tornò
indietro e due minuti dopo era di nuovo a quella macchina, con i
vestiti del
suo capo. Il tempo di infilarsi i pantaloni e Michele uscì,
conquistando
nuovamente la libertà di muoversi come e dove voleva. Senza
neanche
ringraziare, spedì Amaraldo a casa e gli intimò
di non raccontare a nessuno
quello che era successo. Se ne tornò a casa anche lui. Fece
appena in tempo a
tornare a casa, che corse in bagno per vomitare. Stette per dieci
minuti buoni
in bagno, sudando freddo e nella morsa impietosa di un mal di testa
atroce.
-Me la
pagheranno!
Me la pagheranno tutti! Voglio fargliela pagare per tutto quello che
hanno fatto!-
furono le uniche cose che pensò con la testa ancora riversa
sul gabinetto. Si
riprese, fece una doccia e se ne andò a letto. Quella
giornata era stata troppo
anche per lui.
Il mattino
seguente venne svegliato da sua madre per andare al mare, ma lui le
disse che
non si sentiva bene e che sarebbe rimasto a casa. Poco prima che sua
madre e
sua sorella se ne andassero sentì di nuovo bussare alla
porta della sua camera.
“C’è
Amaraldo che
è venuto a trovarti, sei presentabile?” chiese sua
madre.
Nessuna
risposta.
Visto che
anche a
lei non andava a genio il comportamento del figlio in quegli ultimi
mesi, la
madre lasciò Amaraldo alla porta della camera di Michele.
“Vedi
tu se
riesci a farlo ragionare un po’” disse al
ragazzino. E se ne andò.
“Non
si preoccupi
signora!” rispose rispettosamente Amaraldo. Attese poi che la
donna uscisse e
chiudesse la porta di casa, poi bussò alla porta del suo
amico.
“Miché!
Posso
entrare?”
Anche lui
non
ottenne nessuna risposta. Più indispettito che preoccupato,
allora, aprì la
porta. Entrò nella camera in penombra. La tapparella, quasi
completamente
abbassata e la finestra aperta facevano ombra e lasciavano entrare
ancora un
po’ di aria, solamente tiepida, del mattino. La camera di
Michele non era una
novità per Amaraldo, che l’aveva vista la sera
prima, quando era venuto a
prendere i vestiti. Si era già accorto di alcuni
particolari, come l’ordine e
il pulito che la caratterizzavano, pure troppo per un sedicenne.
Quella
figura,
sdraiata sul letto, supina, con le mani dietro la testa e i piedi
incrociati,
con un pantaloncino e una maglietta che in quel periodo
dell’anno bastavano e
avanzavano come pigiama, sembrò accorgersi solo dopo qualche
secondo della
presenza del suo amico. Poi la mente ritornò alla sera
precedente e tra sé e sé
si chiese se anche Amaraldo l’avrebbe lasciato solo in quella
situazione.
Ritornò serio. “Che vuoi?”
“Niente!
Volevo
vedere come stavi. Ieri mi sembravi piuttosto turbato. Poi Dorian mi ha
raccontato quello che è successo. E avendoti visto di
persona, dopo, ho
collegato e ho capito il resto. Cosa pensi di fare?”
Michele si
sedette sul letto. Si stiracchiò e sbadigliò. Si
alzò e andò in bagno, come se
niente fosse. Come se in camera sua non ci fosse stato nessuno e come
se non
gli fosse stata rivolta alcuna domanda. Dopo venti minuti ne
uscì, in
accappatoio, lavato e rasato. Andò in cucina, si
versò il caffè che era rimasto
nella caffettiera, e lo bevve, amaro.
Ritornò
in camera
sua tirò fuori da un cassetto il costume da bagno e una
maglietta.
“Esci!”
disse ad
Amaraldo. Questi però non uscì. Michele era
rivolto verso il muro, Amaraldo
alle sue spalle e di spalle. Non potevano vedersi. Però
Amaraldo scorse in
quell’ordine, dato dal suo capo, un brivido. Come se gli
stesse dicendo di
uscire con le lacrime agli occhi. Effettivamente, ed improvvisamente,
Michele
si accasciò a terra cedendo ad un pianto sommesso e
doloroso.
Amaraldo
sorrise
per qualche secondo, pensando a quanto quella persona fosse debole,
debosciata,
inutile. Peccato che proprio quella persona, in quel momento, era la
chiave di
tutto, quindi doveva reggere il gioco. Il sorriso, allora, si spense e
un’espressione
preoccupata e coinvolta comparì sul suo volto.
Immediatamente
Amaraldo si avvicinò a Michele.
“Esci
per
favore!” disse nuovamente Michele. Piangendo. Ma Amaraldo si
avvicinò a lui,
gli mise una mano sulla spalla e lo fece rialzare. Si sedettero
entrambi sul
letto.
Michele,
per la
prima volta, sentì l’estremo bisogno di qualcuno
che gli stesse vicino.
Fortunatamente c’era Amaraldo. Come era sempre accaduto in
quegli ultimi anni. Pianse
per qualche altro minuto. Raccontò al suo amico tutto. Di
come gli fosse
sembrata un’ottima idea quella suggerita da Amaraldo stesso,
cioè quella
spedizione punitiva verso i loro nemici, che prima trovarono Giuseppe e
poi
catturarono anche Simone. Di come era accaduto il ribaltamento della
situazione
e di come arrivò al punto di esultare per aver visto la sua
figura da sotto quella
macchina. Quello di qualcuno che lo poteva togliere da quella
situazione
imbarazzante.
“Certo”
aggiunse,
calmandosi, “se invece di andare a giocare a calcetto fossi
venuto con noi,
adesso forse ci sarebbero stati loro in questa stessa situazione e noi
avremmo
riso alle loro spalle per una vita”.
“Lo
so! Ma non
preoccuparti! Gliela faremo pagare!” disse Amaraldo.
Un velo di
paura
coprì il volto di Michele, mentre un brivido gli scese lungo
tutta la schiena.
“No!
Non voglio
fare niente! Per me sono un capitolo chiuso! Facessero quello che
vogliono! Non
li disturberemo più!”
“Come!?
Loro ti
hanno umiliato in quel modo! Ti hanno anche fatto male fisicamente
oltre che
emotivamente. Anche a mio fratello e Salvatore. Non possiamo fargliela
passare
franca” rispose immediatamente Amaraldo, vedendo, per un
attimo, fallire il suo
compito.
“No!
Non mi
interessa! Devo chiarire una volta per tutte il discorso con Simone. Ho
aspettato troppo e mi sono lasciato prendere la mano. Questa storia
deve finire
subito. Anzi! Non vengo neanche al mare. Forse sono ancora in tempo a
correre a
casa sua e parlare con lui!”
Certo, se
fosse
accaduta una cosa del genere, non osava lontanamente immaginare le
conseguenze
per lui. Doveva fare qualcosa. E subito. Mise una mano sulla spalla
dell’altro.
Abbassò la voce, e avvicinò lentamente il viso a
quello dell’altro. Esattamente
come era stato addestrato a fare. Sapeva che avrebbe funzionato.
“Hai
ragione” gli
disse a voce quasi invisibile. “Ma pensa a quello che ti
hanno fatto. Pensa a
come ti sei sentito quando ti hanno fatto spogliare e scappare via.
Pensa a
quello che sentivi mentre davano fuoco ai vestiti. Pensa a come ti
senti ogni
volta che vedi Simone! Te l’ho detto tante volte. Io ti
voglio bene. Avrei
preferito esserci io al tuo posto, ieri sera, piuttosto che vederti
soffrire
così. Te l’ho già detto tante volte. Tu
sei molto migliore di Simone. Sei
meglio di tutti loro messi assieme. Noi insieme possiamo fare qualsiasi
cosa.
Nessuno può, né deve permettersi di fermarci.
Neanche una piccola persona come
Simone. Quello che ha fatto ieri è imperdonabile. Deve
pagarla. E devi essere
tu a fargliela pagare. Rispecchia semplicemente l’ordine
naturale delle cose.
Il più forte sottomette sempre il più debole. Tu
sei il più forte. Noi siamo i
più forti. E nessuno, neanche quell’infimo animale
che tu chiami Simone, deve
permettersi di mettere in dubbio questo!”
Michele lo
osservava fisso negli occhi. Amaraldo gli aveva preso la testa fra le
mani e
l’aveva costretto a fissarlo. Quegli occhi riuscivano
incredibilmente a
incutergli timore. Ogni volta che il suo amico aveva quello sguardo,
Michele
veniva preso da un sentimento di paura e debolezza. Però, la
logica stringente
di tutte le cose che Amaraldo gli diceva mentre lo guardava
così, l’aveva
sempre dissuaso dal reagire violentemente. Probabilmente se qualsiasi
altra
persona si fosse solo azzardata a guardarlo così,
l’avrebbe sicuramente
picchiata. Ma Amaraldo no. Quello sguardo rivelava una forza, una
convinzione
che lui a volte non aveva, ma che grazie a quello sguardo aveva sempre
riacquistato. Ripensò per un attimo a Simone. Lui non si
sarebbe mai permesso
di arrivare anche solo a quel punto. L’amicizia tra loro due
era stata molto
diversa. Simone era stato l’unica persona che aveva sempre e
tranquillamente
visto come un suo pari. Fino a quell’estate del 1997. Poi
Amaraldo gli aveva
aperto gli occhi. Poi Michele aveva capito che un vero amico ti
rispetta sempre
e comunque. Non mette in dubbio le tue opinioni, come aveva fatto
Simone quel
giorno. Un vero amico ti appoggia sempre e comunque. È al
tuo fianco anche
quando le cose non gli vanno a genio. E Amaraldo gliel’aveva
dimostrato. E
Simone, infatti, ne aveva approfittato proprio in
quell’occasione. Di nuovo
Michele abbassò lo sguardo. Aveva ancora una volta capito
che Amaraldo aveva
ragione, che non valeva la pena di ricucire quella relazione che si era
interrotta due anni prima. Perché Simone non avrebbe capito.
Perché Simone non
voleva capire. Perché Simone, da essere inferiore che aveva
dimostrato di
essere, allora come l’ultima occasione nella quale si erano
incontrati e
scontrati, poche ore prima, non poteva capire che uno come lui era
destinato a
cose più grandi di quel gruppo di persone che,
impropriamente, aveva
considerato amici fino a qualche anno prima.
“Simone!
Quell’infame! Giusto! Me la devono pagare tutti!”
disse Michele quasi urlando,
riacquistando immediatamente tutto il suo vigore, per poi calmarsi
nuovamente,
questa volta in preda allo sconforto più totale:
“ma come facciamo? Sembra che
ogni volta riescano sempre a farla franca!”
“Riescono
a farla
franca contro di noi!” aggiunse Amaraldo.
“Che
intendi
dire?”
“Che
noi ci siamo
sempre mossi per prenderli in giro, per umiliarli, mai per fargli del
male!”
“Per
forza! Quei
quattro ci ridurrebbero a polpette se lo facessimo! Sai come la
penso!”
“Allora
dobbiamo
farci aiutare!” concluse Amaraldo.
“No!
Te l’ho già
detto l’altra volta. Quelli no!” esclamò
Michele. Era escluso mettere di mezzo
persone ancora più pericolose.
“Allora,
la
prossima volta che quei quattro danno fuoco ai vestiti e ti lasciano
nudo in
mezzo a una strada, perché tanto riaccadrà, non
metterti a piangere, perché la
colpa sarà un po’ anche tua, che ti sarai
abbassato al loro stesso livello. E
non cercare il mio aiuto, perché preferisco avere un cane
per amico che te, se
non dimostri di farti valere” disse Amaraldo, con lo stesso
sguardo, questa
volta scattando in piedi e chiudendo le braccia incrociate davanti al
petto.
Quel giorno aveva deciso di smuovere le cose. Aveva deciso che era ora
di
arrivare fino in fondo con Michele.
Più
di ogni altra
cosa, a quel punto, vinse la paura di perdere anche
quell’amico, innegabilmente
l’unico vero amico che aveva. Si fece coraggio, rimanendo per
qualche altro
secondo in silenzio. Poi continuò: “dici che loro
ci potrebbero aiutare?!”
“Ne
sono sicuro!”
Passò
ancora
qualche minuto. Intanto si erano sdraiati entrambi sul letto, uno al
fianco
dell’altro. Entrambi con le mani dietro la nuca. Solo che
mentre Michele aveva
gli occhi rossi dal pianto di poco prima e fissi sul soffitto, Amaraldo
li
aveva chiusi e lo stesso sorriso malvagio di pochi minuti prima aveva
fatto
nuovamente capolino sul suo viso.
“E
va bene!”
rispose Michele, convinto anche a sorridere, a quel punto.
“Così
gliela
facciamo pagare una volta per tutte. Definitivamente!” fu
l’ultima parola di
Amaraldo. Michele si drizzò in piedi. Amaraldo
pure. Un nuovo
sguardo di intesa volò immediatamente
tra i due.
“Io
ho già il
costume. Ti aspetto fuori, muoviti che fra 5 minuti passa il
pullman”.
Amaraldo
uscì
dalla camera di Michele, chiudendo la porta dietro di sé.
Michele ci mise meno
di un minuto a finire di vestirsi, prese lo zaino e corse da Amaraldo
che lo
stava aspettando. Arrivarono al pullman giusto in tempo per non
perderlo. Sul
pullman incontrarono anche Dorian e Salvatore e insieme, mentre Michele
gli
raccontava le ultime decisioni prese, arrivarono al mare.
----O----
“Capo,
si è
convinto! Avevi ragione!”
“Lo
sapevamo! Il
Teorema funziona sempre! Fagli odiare qualcuno e vincerai una
battaglia, dagli l’opportunità
di vendicarsi e vincerai la guerra. Ottimo lavoro! Tienilo sempre sotto
controllo. Ma non dirgli, per nessun motivo, il vero
obiettivo!”
“Ok Capo!”
Buongiorno a tutti!! grazie a
chi segue questa storia e un grazie a chiunque
volesse/voglia/vorrebbe/vorrisse recensirla... :-)