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Autore: _laragazzadicarta_    08/09/2016    2 recensioni
«John, stringimi.»
«Non posso, Paul.»
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Può una foto mostrare più di quanto il volto della persona stessa possa fare? Questi sono gli interrogativi che si pone la giovane Pattie Boyd quando trova una misteriosa foto a casa di sua nonna. La giovane scoprirà la storia del ragazzo ritratto nella foto e ne rimarrà molto colpita. Una storia tra passato e presente, amore e vizio, bianco e nero. Un viaggio oltre oceano alla ricerca della felicità.
Genere: Angst, Erotico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney, Quasi tutti
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Wanderlust.

Capitolo quinto.

Paul si svegliò improvvisamente nel cuore della notte buia come la pece . Il cuore sembrava essersi fermato, sudava freddo e tremava. Quel dannato incubo era tornato a tormentarlo, ancora ed ancora. Paul portò le ginocchia al petto in posizione fetale ed iniziò a singhiozzare finché la gola non iniziò a far male e la vista non gli si annebbiò.
Aveva sempre pensato che nulla fosse peggiore della morte, ma ora capiva: il vero castigo era la vita.
« Cos'ha da piangere la mia principessa? »
Una voce impastata dal sonno fece capolino dal freddo pavimento di legno che puzza di marcio. Paul si accovacciò dando le spalle al maggiore e rimanendo in silenzio in un piccolo angolino, mentre si asciugava le lacrime che copiose gli scendevano dai grandi occhi color nocciola.
John silenziosamente abbandonò il suo scomodo giaciglio e s'intrufolò sotto le coperte di Paul. Avvicinò la mano al viso del minore, ma ritrasse subito la mano, quasi per paura di sciupare quella pelle che pareva seta pregiata.
John rimase fermo ad osservare la sagoma delle larghe spalle di Paul al buio, poi ruppe quel pesante silenzio.
« Vuoi una sigaretta, Macka? » chiese il maggiore frugandosi nelle tasche e, una volta trovato il pacchetto di sigarette e la scatola di fiammiferi, face scintillare il flebile fuoco del fiammifero davanti il suo grosso naso aquilino.
« Non fumo. » rispose a tono il minore.
« Forse è giunto il momento di iniziare. » disse John porgendo la sigaretta che aveva tra le secche labbra al minore.
« Non credo sia molto igienico.. » contestò Paul. Inutile.
« Zitto e ispira. » ordinò John.
Paul ubbidì titubante. Il primo tiro fu tragico. Iniziò a tossire, il fumo sembrava volergli uscire fuori dalle orbite.
John gli strappò la sigaretta dalle lunghe dita affusolate e la portò alla sua bocca, poi accese la piccola lampada ad olio che era sul comodino alla sua destra.
John prese la sigaretta tra le mani ed inumidì le secche e sottili labbra prima di riportare la sigaretta dov'era.
Paul si domandò che sapore avessero quelle labbra, probabilmente fumo e alcool. « Osserva.. » sussurrò il maggiore prendendo un tiro e ispirando prima di buttare fuori il fumo in un modo che Paul trovò dannatamente sfacciato ed eccitante «...ora prova tu »
Il secondo tiro di Paul fu impacciato, ma nettamente migliore del primo. Il terzo fu paradiso, si sentì la mente svuotata.
« Ora racconta cos'è successo.»disse John appoggiando la schiena alla testata del letto. Paul annuì.
« Ho avuto un incubo. Anzi, li ho così spesso che dovrei essermi abituato a loro, ormai. Ma non lo sono.»
« Nessuno si abitua mai davvero agli incubi. » rispose John prendendo un ultimo tiro e gettando la sigaretta in un bicchiere adibito a posacenere. Poi spense la lampada.
Rimasero seduti in silenzio sul letto di quella stanza buia e priva di finestre a guardare il vuoto, immobili. Riprendere sonno era impossibile, anche perché le ragazze nelle stanze accanto si stavano dando da fare con vecchi con le tasche piene di contanti e le braghe sul comodino.
I muri di cartongesso fremevano ad ogni spinta, ogni gemito.
« Cazzo, cazzo, cazzo. » iniziò a sussurrare esasperato John cercando di calmare le sue viscere che pulsavano insistentemente nella mutande «... se non la smettono io..»
« Cosa fai Johnny?! È un bordello, che ti aspettavi? » rise Paul «... su dormi..»
John si sdraiò, ma il minore lo spinse sul pavimento.
« Non vorrei trovarmi "per sbaglio" il tuo cazzo nel culo.» mimò teatralmente il minore.
« Quindi fai il passivello, eh! » rise John sistemandosi l'unico misero cuscino che aveva sotto il capo. Paul rise, ma non rispose.
« Mi lasci il beneficio del dubbio. » sospirò John prima che la notte lo accogliesse sotto il suo manto stellato e lo facesse scivolare in un sogno beato.

« Cazzo John! Chiudi la porta quando vai al cesso! »
« Su Cyn non vorrai farmi credere che è il primo cazzo che vedi. » rimproverò ironicamente John rialzandosi i pantaloni grigio fumo e abbottonandoli.
« Rita, tieni a bada tuo fratello. Sta molestando le mie ragazze! » sorrise Jane vedendo Paul uscire dalla sua stanza, poi si allontanò.
« Jane aspetta... » affermò Paul fermando la ragazza per il braccio e attirandola a sé. I grandi occhi tristi color nocciola del giovane incontrarono quelli tristi color ghiaccio di lei. Mai prima di quel momento Jane era stata così a disagio, mai uno sguardo così puro l'aveva attraversata. Chiuse gli occhi beandosi del caldo respiro del giovane sul suo collo, poi riaprì gli occhi. Nemmeno sua madre l'aveva mai guardata così. Imbarazzata distolse lo sguardo.
« Hai parlato con il signor Epstein? Possiamo restare? » chiese speranzoso il giovane. Certo, era un bordello ma sempre meglio di un' angusta capanna, aveva meditato Paul la notte precedente .
Jane annuì distrattamente con lo sguardo basso «.. solo se stasera fate un bel lavoro e riuscite ad animare il pubblico. Sono un po' mosci da quando Pete Best, il nuovo pianista, è arrivato.»
« Magari riuscite a toglierci quel manichino ingessato dai piedi. » rise sventolando teatralmente il suo ventaglio Karen, una delle intrattenitrici più anziane del bordello. « Beh...se sono mosci lì sotto, una professionista come te sarà come rimediare.» ammiccò John agitando la mano su e giù. Jane alzò gli occhi al cielo e si allontanò.
« Bel culo, eh. » rise il maggiore guardando andare via Jane, ma anche Paul si allontanò sbuffando «...ma scherzavo! Nessuno ha un fondoschiena come il tuo, Rita.»

Paul scese in salone e si avvicinò al piccolo organetto posizionato in un angolo buio e intimo. Non suonava da quando aveva quattordici anni, da quando quel brutto male aveva portato via troppo presto sua madre. Era stata lei ad insegnargli a suonare. Paul prese uno sgabello e si sedette. Appoggiò la mano destra sulla liscia successione di tasti, ma ebbe timore a pigiarli. Sospirò chiudendo gli occhi e poi fece partire una dolce melodia. La suonò lentamente, pregustando ogni sfumatura di suono. Sol, do diesis, mi. Sol, do diesis, mi. Adagio, seguendo il ritmo del suo cuore. La sonata per pianoforte n. 14 in Do diesis minore di Beethoven, la preferita di sua madre. Si isolò dal mondo, Paul non seppe mai con esattezza quanto restò seduto lì, il tempo sembrò seguire il ritmo dettato dalle sue mani sui freddi tasti bianchi e neri dell'organetto. Si fermò quando una lacrima bagnò i tasti dell'organetto. Cos'era quel sentimento? Dolore per la perdita di sua madre? Gioia per aver finalmente ritrovato il coraggio di suonare? Nostalgia della sua amata Irlanda? O si sentiva colpevole della morte della persona che per anni era stata la sua ancora? Beethoven era questo: un unico grande caotico sentimento. Una figura si avvicinò e si sedette accanto a lui. Paul si asciugò gli occhi e proseguì la sonata con un dolce sorriso sulle labbra. E ora? Qual era il sentimento che provava ora? Cos'era quel batticuore? Terminò con un semplice arpeggio e infine riaprí gli occhi, al suo fianco John lo osservava stupefatto, timoroso di rompere quella magia. Paul deglutì, poi parlò sorridendo timidamente.
«Beethoven la dedicò alla sua alunna prediletta, la Contessa Giulietta Guicciardi, di cui lui era follemente innamorato... » disse cercando lo sguardo del maggiore «...lui era più grande, lei poco più di una ragazzina...credo lei fosse un po' a disagio con un tale spasimante ai suoi piedi.»
« È bellissima. » sentenziò John «...sfiora da pedofilia, ma è bellissima.»
« Bella o no, ci serve qualcosa di più vivace!» ammiccò Annabeth.
« Se volevano sentire questa roba, i nostri ricchi deputati restavano a casa con le mogli. » rise Jane sorseggiando un whiskey.
« Ma cosa ne capite voi di musica! » sbuffò John «.. e poi sono le 10 del mattino Jane, non dovresti bere. Dà qua. » disse John strappandole il whiskey di mano e bevendolo tutto d'un fiato.
«...ma. » tentò di dire Jane.
« Via! Tutte di sopra! Qui qualcuno vuole lavorare. » ordinò John imbracciando un banjo e osservando Paul pensieroso.
« Cosa c'è? » chiese il minore.
« Il tuo Ludovico Van è fantastico, ma ci serve qualcosa di più vivace! » John prese un ditale[1] dalla tua tasca e lo mise sul pollice «... può andare come plettro.» disse tra sè e sè.
« Hai proprio tutto in quelle tasche, eh! » rise Paul.
« È un regalò di mia "nonna". » ammiccò John, poi iniziò ad agitare le corde del banjo che aveva trovato dietro una tenda del salone.
« Oh dirty Maggie Mae they have taken her away and she never walk down Lime Street any more. Oh the judge he guilty found her for robbing a homeward bounder that dirty no good robbin' Maggie Mae. To the port of Liverpool they returned me to two pounds ten a week, that was my pay. »
« Chi era Maggie Mae? » chiese Paul .
« Una puttana, una delle tante puttane di Liverpool.» sospirò John «.. nulla di romantico come il tuo Beethoven, ma agli uomini nei bordelli piace questa roba.»
« Ora capisco quell'accento strano! Sei inglese. » rise Paul «... aspetta, com'è che sai tutte queste cose sui bordelli? »
« Ne ho girati molti...non mi va di parlarne. » deglutì il maggiore. Paul prese una sigaretta dal pacchetto di John e se la accese.
« Impari in fretta. » rise soddisfatto John, ma il suo sguardo era ancora cupo. Non gli piaceva parlare della sua infanzia trascorsa a Liverpool e tantomeno dei bordelli che aveva girato alla ricerca di quella madre che non aveva mai conosciuto.
«Qualcosa non va? » chiese Paul appoggiando le spalle al muro e ispirando il tabacco della sigaretta a pieni polmoni.
« Lavorare qui ci paga una zuppa calda e una sudicia stanza, ma se vogliamo vivere il sogno Americano dobbiamo mettere sui dei soldi. »
« E cosa ci faresti con quei soldi? »
« Non sono mica venuto in America per salvarti per sempre il culo, McCartney. Io ho una visione.» disse John con lo sguardo volto all'infinito.
« E quale sarebbe la tua visione?! »
« Oklahoma. » disse il maggiore mimando in maniera teatrale «...il Sud! Terra buona da coltivare, campi immensi. »
« Dai John, non scherzare. Non avrai mai i soldi per comprarti nemmeno un paio di mutande nuove, figuriamoci un appezzamento di terreno! »
« E sentiamo, tu cos'è che vuoi fare della tua vita?! Piangere per quella checca che ti ha mollato? Io almeno una visione ce l'ho. » urlò John alzandosi dallo sgabello e calciandolo via.
« Credi di conoscermi, eh ?!Tu non sai nulla né di me e né tantomeno di George. Non ti azzardare mai più a nominarlo nominarlo. » rispose Paul prendendo il maggiore per il collo della camicia.
« Sennò che fai, checca? Mi dai un pugni? Su, dammi un pugno! Non ne hai il coraggio! »
Eppure il pugno sorprese John in piena faccia e un rivolo di sangue gli bagnò le labbra. John stava per rispondere al colpo, ma dei passi gli fecero abbandonare l'intento.
« Niente male. » commentò Jane scendendo le scale e vedendo il naso gonfio di John «... però litigando non arriverete da nessuna parte. »
Paul si sistemò la sottoveste imbarazzato e guardò in cagnesco John, il maggiore strinse i denti e sorrise falsamente a Jane. Se Jane fosse arrivata un attimo prima avrebbe sicuramente mandato a puttane la loro copertura.
« Scusate, ma io ora vado. » disse il maggiore dirigendosi verso le scale.
« Fermo ragazzone. I problemi tra te e tua sorella vanno tenuti fuori dal lavoro o ve ne tornate in quella putrida capanna, d'accordo?»
John si riaccomodò e Paul iniziò a fissare il vuoto mordendosi il labbro fino a farlo sanguinare.
«Rita, hai mai sentito parlare di Cakewalk? È un nuovo genere molto in voga a Parigi. Magari potreste creare qualcosa del genere. » disse la ragazza dai lunghi capelli rossi sedendosi su una sedia ed incrociando lentamente le gambe con eleganza. La vestaglia che aveva in dosso le scendeva morbida sul bacino lasciando scoperte le lunghe gambe. Chiuse gli occhi iniziando a scioccare le dita della mano destra e tenendo il ritmo iniziò a battere l'altra mano sul ventre piatto. Poi iniziò a canticchiare un motivetto che gli sembrava familiare. Poi a Paul arrivò l'illuminazione.
« È qualcosa di molto simile al Rondò, senti questo. »
Paul iniziò a suonare il Rondò in La minore K 511 per pianoforte di Mozart, ma John lo stoppò prendendogli il braccio. Paul sussultò a quel contatto rimanendone sorpreso, deglutì. John immediatamente spostò la mano sull'organetto.
« Nella parte centrale potresti usare un ritmo binario sincopato e magari potremmo aggiungere degli accordi di banjo. » disse il maggiore imbracciando il banjo e invitando Paul a strimpellare qualcosa sull'organetto. Paul annuì distrattamente. Jane aveva ragione, quello era il lavoro, John e Paul si sarebbero spaccati la faccia in un altro momento, ora l'importante era convincere questo Epstein. Continuarono così per ore, finché non crearono qualcosa di straordinario e unico.

Brian Epstein era un uomo prossimo alla quarantina, di bassa statura e con un inquietante sorriso allusivo. Jane si chiese più volte durante la sua permanenza al bordello quale fosse il significato di quel sorriso, ma non giunse mai ad una soluzione al suo interrogativo.
« Quindi questi sono i ragazzi di cui mi parlavi, Jane. » disse l'uomo di origini ebraiche, Jane annuì.
« La ragazza è carina, potremmo tenerla per fare qualche marchetta o anche qualche semplice lavoro di bocca. » propose Brian accarezzando la guancia a Paul, ma lui subito si ritrasse «...non è poi così male, guadagneresti qualcosa per toglierti degli sfizi...magari un capellino nuovo. » continuò Epstein riavvicinandosi al volto del minore, ma questa volta fu John a fermare le maniere insistenti del padrone di casa.
« Credo che mia sorella sia stata abbastanza chiara.» disse fermamente John mettendosi davanti a Paul «..se non le serve un nuovo pianista, possiamo andare altrove, anche se non credo che le convenga. Quello che suoniamo noi riuscirebbe a farlo rizzare anche ad un morto. »
« Se ne sei tanto sicuro, ragazzo. » disse il signor Epstein allontanandosi con Jane.
« Perché mi hai difeso? Credevo fossi arrabbiato. » sussurró Paul guardando timidamente John negli occhi. Il maggiore deglutì sfiorando la guancia dove prima si era posata la mano di quel minuto giudeo.
« Non mi piace quel tizio. » sussurró «.. e poi tutti credono che io sia tuo fratello e che fratello sarei se non difendessi la mia sorellina? »
Paul abbassò lo sguardo imbarazzato. John si prese una sigaretta e la accese. La sala inizió a riempirsi di ricchi signorotti che credevano di poter comprare l'amore con qualche spiccio. Eppure non sono quelle fredde carezze offerte in cambio di soldi che li riscalderanno quando il tristo mietitore verrà a prendere la loro avida anima.
« Guarda che voglio ancora spaccarti la faccia, solo che non mi sembra il momento giusto. Dobbiamo prima far ballare questi vecchietti come non hanno mai fatto in vita loro.» sorrise John imbracciando il banjo e facendo l'occhiolino a Paul, il minore sorrise sistemandosi i vaporoso cappello prestatogli da Jane e poi posò le sue mani sui tasti dell'organetto.
La serata fu lunga e delle vesciche comparvero sulle lunghe dita affusolate di John a furia di scoccare le dure corde del banjo. Tutti sembrarono divertirsi e gli ospiti più giovani improvvisarono perfino qualcosa di molto simile a quello che più tardi sarebbe stato denominato charleston. In un angolo del bar, mentre Jane affogava il suo vuoto nell'alcool qualcuno la osservava sorridendo.
« Brutta giornata, signorina?» chiese l'ispettore Sutcliffe avvicinandosi alla ragazza.
« Perché esistono giornate belle? » rispose annoiata Jane giocando con l'orlo del vestito.
« Sa dirmi chi sono quei due? » chiese l'ispettore indicando Paul e John che suonavano il loro strano sound.
« Chiunque siano, non credo siano affari suoi. » disse altezzosa Jane legando i lunghi capelli rossi in una coda e mettendo in vista il lungo collo bianco come il latte «...se non vuole compagnia, può anche andare. »
« Si potrebbe avere la compagnia della giovane che suona l'organetto?»

Paul era seduto in quella stanza buia tutto solo, non riusciva a prendere sonno. Ci sono due tipologie di pensieri che possono vorticare nella testa di una persona, che come Paul, era sveglia a quell'ora : quelli che si protendono nei progetti o nelle aspettative del futuro e quelli che si perdono nei ricordi del passato. I secondi sono sicuramente i più scomodi. Inoltre più tenti di tenerli lontano e più ti si fissano nella testa, ritornando continuamente, nonostante il tuo sforzo mentale di deviarli, costringendoti a pensare a tutt’altro. E Paul, come tutti, non riusciva ad evitare quest'ultimi pensieri. Magari se non fosse stato solo, magari se ci fosse stato John, magari non sarebbe stato così impegnato a pensare a George. Eppure John non c'era, era con chissà quale ragazza a "divertirsi", era il suo modo per farla pagare a Paul. Dannato John Winston Lennon.
Improvvisamente un rumore destò Paul dai suoi pensieri, finalmente John era tornato. Eppure quando si trovò quella figura davanti a sé rimase senza parole. No, non era John.

[1] Solitamente in ferro, è usato per ricamare.

ANGOLO DI @thedarkerdaisy:
Hello there!
Sono tornata a rompere e spero di non aver fatto un casino come faccio sempre! Ringrazio tutte voi personcine che mi supportate! Vi prego di lasciarmi parere perché sono davvero importanti per me🌸 Un bacione,
- Vit
   
 
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