Anime & Manga > Saint Seiya
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Autore: shirupandasarunekotenshi    09/09/2016    1 recensioni
"Finché il sole sorgerà e tramonterà,
finché ci saranno il giorno e la notte".
Primavera 1992.
Così poco tempo è passato dalle ultime battaglie. Non sembra mai abbastanza
-
Due divinità si incontrano in un luogo fuori dal tempo, il futuro della terra è incerto. Un'altra dea, per l'ennesima volta, si troverà a dover proteggere questo futuro e giovani guerrieri dovranno di nuovo mettere le proprie vite al servizio di un destino al quale non potranno sottrarsi.
Crossover Saint Seiya e Yoroiden Samurai Troopers
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Per Shin non era stata una bella giornata, inutile negarlo: anche se aveva cercato di mostrarsi positivo, di mascherare in tutti i modi il proprio autentico stato d’animo, soprattutto per Seiji, i cui nervi erano così palesemente tesi da rischiare di strapparsi come le corde di un violino.

Cos’era quel malumore che li aveva presi tutti?

L’assenza di Touma?

Possibile che la loro simbiosi fosse diventata così totalizzante che l’assenza di uno solo di loro, anche per qualche giorno appena, condizionava a tal punto la quotidianità?

Sotto molti aspetti gli sembrava logico, il loro rapporto si era evoluto nell’unico modo che lui riteneva possibile, almeno per se stesso… forse non tutti loro, all’inizio, avevano desiderato una cosa del genere, nemmeno immaginato che potesse accadere.

Ma lui…

Per lui dipendere da qualcuno era naturale, solo così la sua esistenza acquistava un senso.

Quando Kaosu era giunto a lui, con l’annuncio della missione mortale che avrebbe dovuto intraprendere, sapere che avrebbe avuto dei nakama era stato rassicurante…

E senza quei nakama non avrebbe saputo da che parte cominciare.

Gli altri erano più indipendenti di lui, l’aveva sempre creduto; eppure la dipendenza reciproca era cresciuta, attimo dopo attimo, anche per loro.

Si infilò sotto le coperte, rannicchiandosi tra Shu e Ryo, al calduccio della stoffa e dei loro corpi vicini al suo. Non che facesse freddo, ma lui amava il caldo… amava il tepore della vicinanza più che altro.

Come amava lasciarsi scivolare nel sonno ascoltando i loro respiri, quello leggermente più rumoroso di Shu, quello profondo di Ryo… ormai li riconosceva alla perfezione, riconosceva ogni cosa dei suoi nakama: respiri, passi, anche la presenza quando uno di loro giungeva silenzioso alle sue spalle.

E sentiva le assenze, pativa le assenze. Ancora più di prima, quando abitavano davvero distanti, lui soprattutto, ad Hagi, la graziosa Hagi, la perla del sud, luogo tanto piacevole quanto fuori dal mondo. Gli mancava, ma non avrebbe mai più accettato un tale isolamento da coloro che erano il centro del suo universo, i soli intorno ai quali lui ruotava.

Si raggomitolò ancora di più, il corpo obliquo sul materasso, in modo che una parte potesse aderire a Ryo e un’altra a Shu, perfettamente diviso… se la loro felicità fosse dipesa dal suo farsi a pezzettini per ciascuno di loro, lo avrebbe fatto.

Non si addormentò subito; il suo pensiero andò inevitabilmente all’altra stanza, nella quale dormiva Seiji… da solo.

Deglutì e si sentì in colpa: gli avevano proposto di dormire tutti insieme, ma Seiji aveva rifiutato, forse per il suo solito orgoglio, forse perché consapevole del proprio nervosismo e, proprio come Shin, cercava tutti i modi possibili per tenerlo celato… o forse troppo malinconico per condividere la notte con loro.

Il primo istinto fu quello di alzarsi e raggiungerlo, per chiedergli come si sentisse e per proporgli nuovamente di stare in compagnia, ma al tempo stesso aveva paura di farlo: la simbiosi era completa, davvero, eppure Seiji gli suscitava ancora un certo timore reverenziale; aveva sempre un po’ paura del modo in cui avrebbe potuto reagire a determinate situazioni.

Anche Touma era solo e chissà se stava riuscendo a dormire...

Altrimenti a cosa stava pensando? A loro?

Chiuse gli occhi e si concentrò.

I respiri di Shu e di Ryo erano così dolci; si sforzò di calmare anche il proprio respiro, per cullare a propria volta il loro sonno e proteggere i loro sogni: si concentrò più che poté sulle immagini di Seiji e Touma nei loro letti, uno nella stanza accanto, l’altro lontano, a Kyoto; ma quello che lui voleva era che il suo respiro calmo, rilassato, gentile, giungesse anche a loro, per non farli sentire soli, per far loro capire che lui c’era, che ci sarebbe stato sempre, che loro erano la sua vita e lui per loro avrebbe dato ogni frammento infinitesimale di sé.

 

Era tutto così buio all’improvviso, buio e silenzioso.

Non c’era più il raggio di luna che accarezzava le mura della stanza, non c’erano più i respiri avvolgenti dei nakama… solo solitudine… e freddo…

E nessuna luce, nessuno spiraglio.

Si sollevò in ginocchio, i suoi occhi vagavano nel tenebroso nulla.

Cosa…” sussurrarono le sue labbra, un lieve piagnucolio che risuonò come un urlo atroce, però, in quel vuoto privo di suoni. Strinse le braccia al petto, perché si sentiva congelare, il suo cuore aveva freddo, come non gli accadeva da tanto e, soprattutto, si sentiva solo, abbandonato.

Non gli era mai più capitato da quando il legame con i nakama aveva rischiato di spezzarsi.

Dove siete?” formularono ancora le sue labbra, in un richiamo sottile e leggero, mentre il suo corpo tremante si alzava a stento. Cercò di fare un passo, ma era troppo buio: dove poteva andare se non sapeva neanche dove si trovava? Tese un braccio, per tastare con la mano se avrebbe incontrato qualcosa di solido, ma poté toccare solo il vuoto assoluto.

Vuoto com’era lui dentro, non c’era nulla dentro di lui, ed era terrorizzante quella sensazione; giunse a chiedersi se il suo cuore battesse ancora o se avesse smesso di vivere, insieme alle emozioni.

Stava sperimentando la totale assenza dei sensi, era sordo e cieco, non vedeva neanche il proprio corpo, l’oscurità era densa e apparentemente senza vie d’uscita.

Il suo braccio teso scompariva nel nulla, quando una morsa si serrò intorno al suo polso, strappandogli un’esclamazione di stupore. Dalle tenebre emerse, lentamente, una forma, della quale Shin intravvide inizialmente il pugno che lo intrappolava. Poi comparve la testa, l’elmo con quelle due punte asimmetriche, il colore arancione, ma più scuro del solito, più cupo, e nel buio dell’elmo due occhi colmi di cattiveria, dai bagliori infuocati.

Sh…” cominciò a dire, ma si fermò, quello non era Shu, non poteva essere Shu… era semplicemente Kongo nella sua essenza più terribile e feroce.

Cosa sta succedendo?” chiese, non sapendo a chi; le lacrime che colavano lungo le sue guance, ancor prima che potessi rendersi del tutto conto della situazione.

Vieni con noi”.

La voce che uscì dalla yoroi era simile a quella di Shu, in parte, ma al tempo stesso non era la sua: non era umana, proveniva da una dimensione oscura, infernale.

Una mano si posò sulla sua nuca, facendolo rabbrividire.

Lasciati andare…”.

Touma?

No… era lui e non era lui.

Quelle voci, in quel silenzio spettrale, risuonavano ancor più assordanti; un brivido corse lungo le sua spina dorsale, il gelo delle sue membra si accentuò ma, in qualche modo, si mosse, nel tentativo di sottrarsi a quei tocchi che lo terrorizzavano.

Non erano le mani gentili dei suoi nakama, quelle.

Con la mano libera avrebbe voluto affrontare quelle due figure ma, nell’esatto istante in cui l’intento si presentò alla mente, anche l’altro suo braccio venne immobilizzato e fu Korin a parlare, con un sussurrò nauseante nel suo orecchio: “Non hai scelta… sai che è il tuo dovere… dovere di samurai”.

Per… favore…”.

Si era ridotto a un esserino indifeso e piagnucoloso, terrorizzato dal destino al quale non poteva fuggire, proprio come un tempo, terrorizzato all’idea di rimanere solo e perdere la sua parte umana, come era evidentemente accaduto ai suoi nakama.

Ryo…” invocò in un richiamo colmo di supplica.

Ma non giunse Ryo, bensì Rekka… o era Kikutei?

Una creatura gigantesca, spaventosa.

Le dita metalliche gli afferrarono il mento e lo sollevarono, costringendolo a mettersi in punta di piedi tanto lo strattone era stato violento. Strinse i denti e serrò le palpebre nel momento in cui due occhi di demone si fissarono nei suoi… non certo gli occhi di Ryo… o forse quel che Ryo era diventato?

Hai intenzione di tradirci ancora?”.

Gli fecero eco, in sfumature distorte, le altre tre voci.

Shin….”.

Shin….”.

Shin… traditore…”.

Io… io non…”.

Non sapeva che dire.

Le parole, soffocate da quelle dita che stringevano, uscivano a stento e comunque non vi era logica nei suoi pensieri che potesse dare vita a discorsi sensati.

Vi era solo angoscia e paura, la consapevolezza di averli persi di nuovo e che l’unica strada possibile, per lui, era perdere anche se stesso, perché non avrebbe mai più accettato un’esistenza da umano senza di loro.

Non vi era altra possibilità di vita.

Perché tutto era finito così?

Poco prima era nel letto, al caldo, avvolto dalla dolcezza di Shu e di Ryo... e ora tutto era svanito, tutto si ripeteva, ancor peggio di prima, senza più speranza né spiragli di salvezza.

Urlò nel momento stesso in cui la mano di Rekka si aprì, lasciandolo cadere. Credette che si sarebbe schiantato al suolo, ma il momento non arrivava: lui continuava a cadere e a urlare, finché non riconobbe più il proprio grido, che all’improvviso fu come fuso con un altro, acuto ma in qualche modo melodioso.

Dietro le sue palpebre chiuse, il buio non sembrava più così fitto e le sue membra non erano più avvolte da un gelo tanto intenso.

C’era, invece, una sorta di strano tepore, un senso di conforto che lo spinse a socchiudere gli occhi, per poi aprirli del tutto quando si trovò circondato da fiamme ardenti come quelle di Rekka… no… non di Rekka… di Ryo…

Quelle erano fiamme buone e protettive.

Poi, vide la creatura.

Ali infuocate e immense aperte su di lui, per proteggerlo... una coda folta, danzante, al ritmo della melodia che il becco intonava.

Era quello che aveva udito, non un altro grido, ma un canto, solo ad un primo impatto stridente, ma se lo si ascoltava con il cuore, con l’anima, si entrava a contatto con note dolci, con una tenerezza struggente, che provocò nuove lacrime negli occhi di Shin, non più lacrime di paura e angoscia. Ma nemmeno di gioia.

Era un miscuglio straniante di sollievo, malinconia, tristezza e conforto.

 

“Fe… nice…”.

Fu la prima parola del risveglio, un sussurro lieve, mentre il buio della stanza lo terrorizzò per un istante, prima che potesse vedere anche il raggio di luna, percepire i respiri dei nakama, così belli, così umani e veri.

Sollevò una mano a sfiorare una guancia e la trovò ancora intrisa di lacrime. In effetti stava singhiozzando, anche se piano; forse, inconsciamente, anche nel sonno, era stato attento a non recare disturbo a chi dormiva al suo fianco.

Già… il sonno…

Perché di un sogno si era trattato, unicamente di quello ed era finito bene, con quella visione meravigliosa.

Ma ciò che aveva caratterizzato la prima parte di quel sogno era troppo vivo, orribile dentro di lui.

Si mise in posizione supina, fissò per un attimo la striscia di luna sul soffitto, poi si coprì gli occhi con le mani.

“Fenice… anche nella realtà verresti a salvarmi se qualcosa di simile dovesse accadere? Salveresti tutti noi?”.

 

***

 

Ikki si era ritirato in camera quasi subito, dopo la cena; aveva sentito Seiya parlare di un mazzo di carte e lui aveva pensato di rifilarsi da una serata che non vedeva calzante per il suo umore.

Normalmente sopportava per amore di Shun, sapeva quanto saperlo assieme a lui e agli altri fosse qualcosa che lo tranquillizzava e lo rendeva, in qualche modo, felice.

Ma quella sera... beh, quella come alcune sere, ultimamente, erano momenti che preferiva vivere in solitudine, quando la camera che divideva col fratello poteva essere solo sua.

Si sdraiava sul letto, completamente al buio, e fissava il soffitto con sguardo intenso e duro, come se da quel punto indefinito potesse scivolare fuori ciò che si ostinava a sfuggirgli.

Cos'era che lo metteva in subbuglio?

Non era da lui essere così sensibile ai cambiamenti, ma era come se... come se la coda della Fenice si scuotesse nell'ombra e lo chiamasse a sé, per metterlo in guardia.

Era strano da dirsi, per lui che non aveva mai creduto a simili 'segni', ma c'era qualcosa nell'aria che era in procinto di accadere.

Si coprì gli occhi con un braccio e sospirò con fare rabbioso: non si meritavano un po' di pace?

I suoi fratelli e lui... lanciati di nuovo verso l'ignoto perché una folle divinità di qualche tipo decideva che il mondo non gli andava così com'era.

Ikki stesso era abbastanza 'tagliato' da sapere che erano fin troppe le cose che non andavano... non si faceva illusioni. Generalmente era lui a darne...

Ma non era potere di una divinità decidere della vita o della morte di esseri che non conosceva... non era in suo potere giudicare ciò che non si viveva.

Vivere da essere umano... vivere come un dio...

Forse non vi era nulla di più diverso al mondo.

 

Ikki cadde letteralmente nel sogno.

Cadde in una spirale multicolore, profonda, quasi infinita. Perché, nonostante cercasse di frenare la propria caduta, sembrava destinato a raggiungere il fondo di quella spirale, il suo cuore.

Cominciò a risuonare nelle orecchie una lenta nenia, simile a una ninnananna.

E la sua caduta venne frenata... dal vento? Da una forza a lui sconosciuta?

Non lo sapeva.

Ma Ikki atterrò al buio, sui propri piedi e i nervi a fior di pelle.

E quella nenia era sempre più assordante.

Gli occhi di Ikki, spalancati e saettanti di una furia malcelata, giravano attorno, nel tentativo di bucare l'oscurità.

E la nenia continuava, con note sempre diverse, in chiave minore, così da rendere la ninnananna un canto inquietante e sinistro.

Labbra strette in una linea dura e ferma, Ikki si guardò attorno aspettandosi, da un momento all'altro, l'arrivo di un nemico: era un luogo avvolto dalla penombra, dai contorni sfumati e incerti. L'aria, però, sembrava soffocante, densa di acqua, come nell'estate giapponese, quando sta per scoppiare un temporale. Ikki, nonostante fosse fermo, cominciò a boccheggiare, mentre i movimenti del corpo riuscivano sempre più difficili.

Poi, all'improvviso, cominciò a cadere una pioggia fine e fredda, capace di penetrare la carne e lo spirito, i sensi, i pensieri stessi.

E dall'ombra, altre silhouette oscure comparvero.

La nenia, sempre più sinistra, alterata, era diventata una marcia funebre.

Quelle figure avanzavano, incuranti della pioggia, quasi al ritmo di quella musica dannata.

Ikki si mise in posizione di difesa e, finalmente, parlò:

Chi siete?! Cosa volete?!”.

Le figure si fermarono, solo per un istante, per poi riprendere il loro lento incedere.

Eppure, nonostante la vicinanza sempre più prossima, i loro contorni rimanevano sfuocati, come se fossero l'illusione creata dal calore di un deserto. Si notavano solo i colori, predominanti su di loro, come se indossassero delle cloth: rosso... blu... verde... arancione e... azzurro.

Azzurro, colui o colei che avanzava, davanti a tutti gli altri.

Che diavolo volete?!” ringhiò di nuovo Ikki, facendo bruciare il proprio cosmo, finalmente una fiamma calda in quel gelo inquietante.

Aspetta!”.

Una voce, finalmente, risuonò, oltre quella musica insopportabile.

Chi sei?!”.

Non devi bruciare! Finirai per bruciare anche me... non voglio trasformarmi in vapore...”.

La voce sembrava quasi un pianto, dolce e con una punta, quasi di... impertinenza.

Ma era così simile a quella di Shun che, nonostante le figure inquietanti, così vicine a lui, abbandonò il proprio cosmo e alzò il naso al cielo.

Dove sei? Dove diavolo sono?!”.

Non lo so... ma ho paura... temo che... tutto... tutto questo... sparirà... sparirà...”.

La voce si era fatta piangente e drammatica, spezzata in due, come il cuore che sussurrava le parole.

Sparire? Cosa? Non deve sparire... niente sparirà!”.

Perché Ikki cercasse di rassicurare, a suo modo, quella voce era... normale.

Come se parlasse col fratello.

O era quello che la sua mente sconvolta immaginava.

Niente... sparirà...”.

Io... non posso... non posso... mi spiace...”.

E come la voce si spezzò in pianto, anche tutto intorno a Ikki si trasformò in frammenti, schiantatosi in mille pezzi, con un suono che feriva le orecchie, mentre il pianto giungeva al cuore del ragazzo, schiacciandolo in un'angoscia infinita.

 

Tornato alla realtà, alla veglia, al proprio letto, Ikki si ritrovò in un bagno di sudore, il cuore a mille e una lacrima solitaria sull'angolo di una guancia.

Era stato reale.

Troppo reale per essere solo un sogno.

Con uno sguardo sgomento, scoprì Shun al proprio fianco, addormentato sotto le coperte, con l'aria di un bambino privo di preoccupazioni: quella vista riuscì a calmarlo un poco, il cuore tornò a battere normalmente, il brivido del sogno venne spazzato via dalle sue spalle.

Ma l'angoscia... quella...

“Non poteva... cosa non poteva fare...?” sussurrò Ikki, tra sé e sé, sguardo sul fratello, dalla voce così simile a quella del sogno. Si morse le labbra, muovendo una mano sul capo del ragazzo, accarezzandolo appena. “Tu non scomparirai mai, vero?”.

  
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