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Autore: heather16    10/09/2016    3 recensioni
"...i loro nasi si toccavano, le labbra dell’uno potevano percepire il respiro dell’altra. Le strinse il visino pallido fra le mani. –Non cercarmi più. Te l’ho sempre detto Harley, che non dovevi provare a capirmi. E tu lo hai appena fatto.-"
Genere: Thriller, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harley Quinn, Joker
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Joker'
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Mentre il corpo sventrato della donna veniva portato via, mentre un ragazzo puliva i rimasugli del cuoio capelluto biondo rimasto sul pavimento, mentre una cameriera portava l’ennesimo bone dry Martini per poi allontanarsi di corsa trattenendo un conato, il Joker se ne stava seduto sul divano a pensare. E chiaramente non rifletteva in silenzio.
-Quando un corpo si può definire morto? Me lo domando spesso. Non posso sapere con certezza quando da un uomo vola via l’ultimo rivolo di vita. Lei- parlava della bionda, che bionda non era più-  ha urlato per un po’, poi ha smesso. Ma come posso sapere che era morta? Quando un corpo è costretto a sopportare un dolore estremo il battito cardiaco modifica la sua intensità, che diventi più veloce o rallenti non lo so, sono affari dei medicastri in erba,  ma in ogni caso la vittima perde i sensi; il che è un vero peccato. Perché non sfruttarli appieno gli ultimi attimi di vita che ti restano? Perché non partecipare alla tua personale carneficina? In fondo, ho donato a molti una morte spettacolare. Un corpo che non vive non può far più nulla, o al massimo versare qualche disinibita lacrimuccia a parenti e amici. Ma un morto come quelli che uccido io…. Dio, è uno spettacolo. Un vero delirio, una prima della Scala; creo qualcosa di più potente di un behemot degli abissi, di più incredibile delle pagine di un decronomicon. E così, la gente che vede la mia opera, ne rimane scioccata, sconvolta, schifata. L’immagine di quel corpo, di quelle decorazioni di organi interni, rimangono scolpite nella mente di coloro che la osservano da vicino, si presenta di notte nei loro incubi. Io sono lo scultore della gloria eterna. Un morto che fa provare qualcosa a un vivo ha vinto. Vinto!-
-Sono quasi del quattro del mattino. Cosa facciamo? La tua donna non verrà, mister J.-
Il clown si girò verso Bill. –Oh sì, lei verrà! Dalle il tempo, arriverà come un uccellino torna dal suo padrone!-
-Io non…-
-Ehm… è permesso?-
-Cosa vuoi?- il gorilla ringhiò contro quel piccolo ometto del proprietario che indugiava terrorizzato alla porta.
-La sua signora, mister J. È qui. Io la porterei da lei, ma i miei uomini non sanno se… insomma, hanno paura che lei faccia qualcosa di terribile… non che sia una donna terribile, è meravigliosa, solo..-
-Bill, saresti così gentile da far chiudere la bocca a questo gnomo imbottito di neve dicembrina?-
-E… con la sua donna?-
Il Joker sorrise. –Lo sapevo che sarebbe venuta.-
 
Harley aveva guidato senza controllo per una decina di chilometri, poi era andata a sbattere contro una cabina del telefono. La macchina non si decideva a ripartire. Nemmeno lei avrebbe voluto farlo, ma la strada non le era sconosciuta. A due isolati c’era la sua casa. Non l’appartamento di Harleen Quinzel, la sua nuova casa.
Aveva chiuso gli occhi: poteva sentire il dolce respiro del suo Puddin solleticarle il collo. Poteva vedere i suoi denti scintillanti. Poteva toccare il suo gelido corpo e la sua pelle, di quella consistenza così strana che l’acido gli aveva saputo dare. Aveva bisogno di sentirlo. Non poteva incontrarlo, lui la voleva morta, però poteva stare in quei luoghi che sapevano di lui, e l’ Iced Nightmare era uno di quei luoghi.
Il locale era buio e caldo. Tra gabbie, stanze e pareti piene di cinghie e fruste, una pista da ballo. Il pavimento era di piastre di vetro blu notte. Le luci erano dei piccoli faretti blu, che non bastavano ad illuminare quel luogo. Harley pensò che se l’inferno fosse esistito, avrebbe avuto esattamente gli stessi colori dell’Iced Nightmare. E questo le piaceva. Mentre liberava il suo corpo ferito in pista, incurante della spalla dolorante e del petto che ancora sanguinava, inalava con forza quell’aria che sapeva di Puddin. Poi, per un attimo, il buio. il sangue che aveva perso le stava causando sempre più mancamenti. Barcollando si diresse verso il bar. Voleva bere.
-Cosa ti porto bellezza?-
-perché non mi dai un po’ di te, bel maschione, con qualche oliva e tanto tanto ghiaccio?-
-Beh, io stacco fra mezz’ora…. Se resti qui con me adesso poi andiamo a farci un bel giretto, eh?-
La bionda arricciò il naso, poi sorrise tirando fuori la lingua. –Perchè non adesso? Gioca con me, mi sto annoiando! Sai,-si fece triste- questo posto mi ricorda una persona tanto cattiva…. Perché non me la fai dimenticare? Portami… un bone dry Martini. Era il suo preferito.-
-Un… bone dry martini?-
Il bareman impallidì. Solo una persona richiedeva quel cocktail, chiaramente non in lista. Solo una persona poteva voler bere una polvere di ossa di pollo. Solo una persona poteva conoscere il bevitore di ossa.
-Te lo porto subito tesoro… fammi andare a prepararlo!-
-Torna presto cowboy. Ho sete.-
Il ragazzo corse via dal bancone. Poco gliene importava di lasciare la sua collega da sola a servire. Arrivò davanti alla porta dell’ufficio del capo. Niente buone maniere, aprì sbattendo la porta.
-Amico, quella è lì! Mi sta parlando! Io non ci sto. Me lo hanno detto cosa è successo alla lingua dell’ultimo che ha servito da bere a quella pazza. Ma.. che ti prende?-
L’uomo stava vomitando in un cestino della carta straccia. Quando rialzò la testa il suo viso era pallido.
-Alissa….-
-Alissa? E chi è?-
-Una delle mie ragazze.-
-E che ha?-
-Quel pazzo. Le ha… fatto cose spaventose.-
-Ma chi? Oddio… è qui oggi? Allora capisco. È stato violento?-
-No, lui l’ha… cosa capisci?-
-Perché la sua ragazza è qui.-
-La sua ragazza?-
-La matta. Ma mi stai a sentire?-
-Harley Quinn è qui?-
-è quello che ti ho appena detto.-
Ed, così si chiamava il basso capo del locale e dei giri di droga e prostitute annessi ad esso, si alzò dalla sua poltroncina, poggiando a terra il cestino della carta pieno di vomito. Non disse una parola e uscì di corsa dall’ufficio.
-Aspetta, io che cazzo ci faccio con quella?-
L’uomo rispuntò sulla soglia della porta.-Trattienila ragazzo. Qualsiasi cosa succeda, non lasciare che se ne vada. Ne va della mia e della tua vita. E non dirle che lui è qui.- Salendo i gradini le gambe di Ed tremavano. Sentì due voci discutere, e timidamente scostò la porta.
-Ehm… è permesso?-
-Cosa vuoi?- l’uomo pelato che lavorava per il pazzo gli si rivolse con un ringhio rabbioso.
Ed deglutì. -La sua signora, mister J. È qui. Io la porterei da lei, ma i miei uomini non sanno se… insomma, hanno paura che lei faccia loro qualcosa di terribile- suonava come un insulto. Oddio, lo avrebbe ucciso. Doveva riuscire a cavarsela in qualche modo. Offendere quella donna equivaleva a offendere il clown, e nessuno offendeva il clown.-  non che sia una donna terribile, è meravigliosa, solo..-
Il Joker alzò lo sguardo. Ecco, era arrabbiato. Il sangue si gelò nelle vene di quel ratto dei quartieri bassi di Gotham. Quegli occhi da clown però si rivolsero al gorilla.
-Bill, saresti così gentile da far chiudere la bocca a questo gnomo imbottito di neve dicembrina?-
-E… con la sua donna?-
Il pazzo sorrise. –Lo sapevo che sarebbe venuta.-
 
Nathan deglutì, e tornò al bancone. C’era bisogno di lui. Sperò che nell’attesa la bionda da brivido se ne fosse andata, a spararsi una pera o a scoparsi qualcuno in un bagno, o qualsiasi altra cosa potesse fare una ragazza in un locale la sera.
-Hey, piccolo cowboy! Il mio drink?- un sussurro di miele all’orecchio. La ragazza aveva il trucco colato, puzzava di sangue e sorrideva.
-Arriva subito signorina.-
-“Signorina”?-  Harley si sporse oltre il bancone.
Il ragazzo arretrò, portando d’istinto le mani avanti, come se bastassero per proteggersi da quel demonio. –Tortino di miele, io pensavo fossimo amici! Non siamo amici?-
-Certo Harley, certo che lo siamo!-
-Allora perc…. Aspetta.- il cuore di Nathan batteva all’impazzata- Come sai chi sono?-
-Io… -
- Oh, ma aspetta, certo! Io venivo sempre qui con il mio Puddin! Ovvio che lo sai! Che sciocca, a volte la mia testolina non si ricorda delle cosucce!-
Il sangue rallentò. Il ragazzo sospirò. Lei rideva, tutto sarebbe andato bene.
-Sei un bimbo carino. Quindi non ti voglio fare niente. Anche se non hai voluto giocare con me.-
Harley fece per andarsene. Nathan stava per rilassarsi; avrebbe staccato dopo dieci minuti, si sarebbe fatto uno spinello, e magari ci avrebbe provato con quella mora del drive-in aperto tutta la notte vicino a casa sua. Poi ricordò. Quelle parole, pronunciate di fretta, così teatrali ma così dannatamente, incontrovertibilmente serie. “Qualsiasi cosa succeda, non lasciare che se ne vada. Ne va della mia e della tua vita.”
Quella notte sembrava non finire più.
-Aspetta!-
La bionda si girò. Il viso era rigato di lacrime, ma sorrideva come una scolaretta all’ultimo giorno di scuola.
-Dimmi tortino di miele!-
-Resta con me. Ti… ti offro da bere, ti va?- la bionda lo studiò per un momento. Barcollando su quegli spilli louboutin gli si avvicinò di nuovo. Si piegò sul bancone. Il suo viso era ad un centimetro da lui. Un profumo di vaniglia lo pervase in un istante, ma sempre persisteva quell’odore di sangue rappreso.
-Ti dico un segreto cowboy. Io. Non ti voglio… più!- iniziò a ridere, poi si girò di nuovo.
-Ti prego, resta qui! Fatti un giro in pista, la notte è ancora lunga.-
Non era un bravo parlatore. La bionda ritronò vicino a lui.
-Lui è qui, vero?- Lei guardava in basso, lui si abbassava per guardarla.
–“Lui” chi, piccola?- Finse di non sapere. Ma lei sapeva.
Harley rimaneva lì, zitta. Le mani lungo i fianchi, invisibile dalla vita in giù, il corpo sparito al di là del bancone e il volto dietro alle ciocche dorate.
Trovare oggetti pericolosi in un dungeon non era solo facile, ma scontato. Le mazze da cricket, così utili per le sculacciate di flaccidi ricchi vecchi sederi avevano innumerevoli usi; uno di questi lo scoprì Harley quella sera, quando lo utilizzò per spiaccicare la faccia del barista contro il muro, rompendo con un delizioso effetto domino le bottiglie di un intero scaffale.
La bionda con estrema agilità saltò oltre il bancone. Il ragazzo era per terra, cercò di rialzarsi e fuggire. Inutilmente. La ragazza gli fu addosso in un istante, con un'altra mazzata ben assestata lo costrinse definitivamente a rimanere su quel lurido pavimento. La gente al banco fece finta di non vedere: non giocare a nessun gioco con la giovane donna del Joker.
-Ti piace mentire, cowboy? Ti piace giocare con il fuoco? e allora… gioca!-
Nathan riuscì solamente a vedere il lampo di un fiammifero, prima che quella belva sparisse e che l’alcol rovesciato a terra prendesse fuoco intorno a lui. Stavolta la reazione degli altri fu inevitabile. La bionda non rise, non si stava più divertendo. Solo allora lo vide tra la folla. Bill era lì, e stava venendo verso di lei. Spinse il là la gente, correndo con quel poco di forze che le rimanevano. Una volta uscita, come in un doppio sogno, si ritrovò a dover di nuovo cercare un’auto. Stavolta non ci fu bisogno di buttarsi in mezzo alla strada. Un ragazzo era appena entrato in compagnia di due rosse in una Porsche metallizzata. Harley si gettò nella macchina, e mentre le due prostitute scappavano nel locale alla ricerca di clienti meno morti, la bionda sgozzava in tutta fretta il malcapitato. Gettato il cadavere fuori dall’auto, cercò frettolosamente le chiavi, che erano cadute sul tappettino dell’auto. Cercò di mettere in moto. La mano tremava. La chiave cadde ancora. La ritrovò, la rimise nella toppa, il motore partì. Era salva.
In quel preciso istante, qualcuno picchiò sul finestrino. Harley d’istinto si girò.
Quella parola, che diceva da tutta la sera, ma che mai avrebbe voluto pronunciare in quel momento, per quella ragione. Fu come un brivido.
“Puddin!”
  
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