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Autore: Kyl8    10/09/2016    1 recensioni
Piccole pillole di fluff, storie più o meno brevi estrapolate dal mondo che ci circonda. Alcuni personaggi sono frutto della mia immaginazione, altri sono liberamente ispirati a persone esistenti, così come le storie raccontate.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mario non ha mai avuto una famiglia. Figlio unico di un uomo e una donna a loro volta figli unici, rimase orfano di madre quando ancora non sapeva stare in piedi o parlare e orfano di padre quando ancora non aveva bisogno di radersi. Per tutta la vita ha abitato nella casetta costruita pietra su pietra dal bisnonno e per tutta la vita ha lavorato la terra al centro della quale sorgeva la casetta come un isolotto in un oceano marrone, ettari su ettari, distese di lattughe, carciofi, zucchine, fagioli, uva, grano. Con il tempo, prima suo padre e dopo lui, hanno ampliato la casetta di pietre e cemento fino a realizzare un bel casolare, con un grande magazzino per conservare gli attrezzi e il foraggio, un'ala per le pecore e le galline, uno stanzone per i braccianti. Anche se non ha mai avuto una famiglia, Mario è sempre stato fortunato: il raccolto è sempre andato bene, le pecore e le galline gli hanno sempre fornito latte, lana e uova in quantità, gli impiegati sono sempre stati onesti. Non ha mai voluto andare a vivere in paese o in città, è sempre rimasto in quella parte del casolare corrispondente alla prima vecchia casetta con una camera da letto, un cucinino e un bagno. E non si è mai sposato. Non perché non volesse una moglie o perché non credesse nell'amore, anzi, proprio perché ci credeva troppo, ha ritenuto di non poter essere un buon marito per nessuna delle donne incontrate durante la sua vita perché non avrebbe saputo dare loro tutto l'amore che meritavano.
Mario si era accorto che da un po' di tempo mancava sempre qualcosa dal raccolto che giorno per giorno portava al magazzino: un paio di lattughe, qualche melanzana, una zucchina. Così decise di indagare. Era l'ora in cui il sole accarezza l'orizzonte, le nuvole cambiano colore e gli uccelli tornano a casa quando Mario, nascosto dietro la porta socchiusa del magazzino in modo da osservare senza essere visto, si accorse di due occhi neri e profondi come pozzi che strisciavano all'interno. Riusciva a distinguere solo questi del ragazzo pelle e ossa che si era intrufolato in casa sua. Quando una mano nodosa afferrò un pugno di rucola, Mario uscì dal suo nascondiglio cogliendolo di sorpresa. Il ragazzino, paurosamente magro, raggiunse di corsa la porta e si immerse nella fitta distesa di grano scomparendovi dentro; le ginocchia e i gomiti spigolosi sembravano voler abbandonare il corpo e lasciarlo in un angolo disarticolato, la pelle quasi antracite era secca e contratta come quella di un elefante, in netto contrasto con l'aspetto del ragazzo, quasi un bambino. Mario urlò, si sbracciò, gli intimò di fermarsi, ma il ragazzino se n'era già andato.
I giorni seguenti Mario lo aspettava pazientemente, preparava sempre sul tavolino più vicino all'ingresso un cesto con verdure fresche, latte e pane ma del ragazzo nessuna traccia. Dopo quasi una settimana l'uomo notò con piacere che il cesto era stato svuotato e il fatto si ripeté anche i giorni successivi; nel cesto privato degli alimenti, il ragazzo lasciava sempre un mazzetto di fiori di campo nella bottiglia di latte vuota. Un giorno l'uomo e il ragazzo si incontrarono. Si chiamava Titu, aveva 25 anni ed era arrivato dal mare.
 
Titu non ha mai avuto una casa. Con la sua grande, grandissima famiglia aveva girato le distese di sabbia, i manti verdi, le pietre taglienti, sotto il sole o coperti di stelle. Fino a quando non avevano cominciato a morire. La fame, le malattie, i proiettili. Così aveva trovato un posto in uno di questi grandi barconi che l'avrebbero portato verso un posto migliore, con cibo, acqua, medicine. Senza proiettili. E con una casa. Ogni tanto, quando chiudeva gli occhi, Titu si sentiva ancora trasportato dalle onde, su e giù, su e giù, con Maki aggrappato al collo come una piccola scimmietta e Shamshi che dormiva con la testa adagiata sulla sua spalla e le mani a proteggere la nuova pancia che stava cominciando a gonfiarsi.
Ma la terra promessa non era come gliel'avevano descritta: la fame c'era sempre, la paura anche, lo scherno, gli insulti, il disgusto. Era riuscito a portare la sua famiglia in una fatiscente cascina abbandonata non molto distante dal terreno di Mario e si erano accampati lì, tra i topi e il tetto di legno marcio. Maki aveva sempre fame e la pancia di Shamshi era ancora più gonfia e bisognosa di nutrimento. Per questo aveva cominciato ad entrare di soppiatto nel magazzino dell'uomo e a prendere ciò che poteva.
Mario era rimasto in silenzio mentre Titu cercava di spiegargli a gesti la sua condizione. Aveva capito che stava nel rudere del vecchio Rocco, che aveva un bambino piccolo, che la moglie era incinta, che avevano fame. Poi gli aveva detto, anche lui a gesti, di far venire la moglie e il bambino, che potevano stare lì, che di spazio ce n'era abbastanza per tutti, che lui avrebbe potuto lavorare con gli altri braccianti nei campi. Titu stava a guardarlo smarrito e confuso, sembrava non aver capito molto dal gesticolare di quell'uomo dalla pelle scura e indurita dal sole che gli ricordava tanto suo padre ma che, nonostante gli anni di lavoro nei campi, rimaneva più chiaro di suo padre. Il ragazzo toccò i piedi di Mario e poi si toccò fronte e si dileguò nella campagna come faceva tutti i giorni, portando con se il misero pasto contenuto nella cesta.
Era notte inoltrata quando Mario aveva sentito bussare alla porta; i nuovi coinquilini si confondevano con le ombre della notte, il ragazzo con un bimbo addormentato tra le braccia e la ragazza all'ottavo mese di gravidanza con un cesto vuoto e un mazzetto di fiori di campo.
 
Ora Titu ha una casa e un lavoro, e un nuovo padre. Mario ha le braccia giovani di Titu che lavorano i campi al posto delle sue vecchie e stanche, il sapore della cucina di Shamshi in bocca, il frigo pieno di disegni di Maki e la casa rallegrata dai versetti della piccola Maria.
   
 
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