Fanfic su attori > Tom Hiddleston
Segui la storia  |       
Autore: Eowyn_SEE    13/09/2016    1 recensioni
Mi chiamo Amelia Stefani, e questa è la mia storia. Non vi voglio convincere a leggerla. Dopotutto, forse voi state cercando una storia romantica. Beh, vi anticipo subito che questa non lo è: io non sono una persona romantica, mai stata. E lui lo sapeva. Non per cinismo o qualche altra fesseria del genere, solo che non sono capace, mi scappa da ridere. Quindi no, niente romanticismo.
Questa è soltanto la storia di un'inaspettata amicizia. Inaspettata perché mi prese alla sprovvista. Non ebbi neanche il tempo di vederla arrivare che già mi era impossibile separarmene, se non molto dolorosamente. Non è una storia romantica, è una storia di vita, che a volte è felice, e poi non lo è più. E ci può essere passione, ma anche quella non dura per sempre. Ma la vita è l'unica cosa che conosco, e l'unica che posso raccontare.
"Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate." (Una citazione di Dante ci sta sempre)
Tom HiddlestonX Nuovo Personaggio
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Chapter Fourteen

 

N.A.: Questo capitolo è stato un parto lungo e doloroso: l'ho riscritto almeno un paio di volte. Spero vi piaccia.

E per chi sta iniziando a farsi delle domande, rispondo, riprendendo la citazione nella descrizione: Dante è uscito dall'Inferno.

Buona lettura!

Xx

Eowyn

 

 

Continuai a scorrere i titoli, molti dei quali non conoscevo o avevo solo sentito nominare. Avevo sempre amato leggere ma soprattutto negli ultimi anni, in cui i miei gusti in fatto di letteratura si erano notevolmente raffinati, non avevo avuto molto tempo per leggere libri che non fossero quelli da portare agli esami, e me ne rammaricavo. D'altro canto, però, proprio i libri d'esame avevano contribuito a raffinare i miei gusti.

Nella libreria di Thomas trovai anche molti libri moderni, ma la presenza più massiccia era quella dei classici, d'ogni genere e lingua: oltre alla letteratura antica, spiccavano letteratura inglese e americana, francese, spagnola e russa. Aveva addirittura una copia della Divina Commedia e pareva apprezzare molto Pirandello e Leopardi.

-Questa bruciala!- gli dissi indicando la Commedia.

Mi guardò stranito. -Perché?

-Me l'hanno fatta studiare tre volte! Non la posso più vedere. Resusciterei Dante solo per poterlo ammazzare di schiaffi. Lui e quella stronza di Beatrice. Se gliela avesse data ci saremmo risparmiati un gran supplizio. Noi in Italia, almeno.

Rise. -E' un'opera fantastica, Amy, non dovresti denigrarla.-provò a farmi cambiare idea.

-Non lo nego, né nego l'importanza che ha avuto per la lingua italiana, anche se poi nel lungo termine ha vinto Machiavelli, ma prova a studiarla per intero per tre volte di fila, scuole medie, superiori e università. Fidati, in Italia se non odi Dante non sei normale.

-Beh, noi studiamo Shakespeare così, ma non è così odiato.- osservò lui.

-Con Shakespeare non devi stare lì due ore per capire cosa vuol dire un verso. Lui scriveva per farsi capire dal popolo, Dante scriveva per non farsi capire dall'aristocrazia. E' pieno di frecciatine criptiche ai nobili.

-Io ne ho letto gran parte, non mi è sembrato così difficile.

-Il potere della traduzione!

Me lo concesse.

-Da dove ti arriva questa grande passione per i classici, me lo spieghi?- gli chiesi d'un tratto.

Lui per tutto il tempo era rimasto a osservarmi a distanza. Si strinse nelle spalle. -Mi piacciono le storie ben raccontate. E poi era l'unica cosa che sapevo fare bene, a scuola. A mio padre sarebbe piaciuto che seguissi le sue orme ma sono un disastro in matematica, immagina in fisica!

-E' un fisico?- chiesi stupita.

Annuì.

-Quanto un disastro?

-Peggio di quanto tu possa mai immaginare!- mi assicurò.

Ridacchiai.

-Beh, ma avresti potuto scegliere, che so, letteratura inglese. Tu sei andato a complicarti la vita con le lingue morte.

Sorrise chinando il capo. Ci pensò un attimo, poi prese a raccontarmi. -Anche mia madre è sempre stata un'appassionata di letteratura antica. Al punto che, quando fummo abbastanza grandi da capire cosa ci leggeva, come favole della buonanotte iniziò a leggerci i miti greci. Mi sono poi reso conto che non ci leggeva gli originali ma solo versioni ridotte, dal linguaggio semplificato e opportunamente censurate, ovviamente. Specialmente in certi casi.- sorrise al pensiero. Lo imitai. -Ma in quel momento io non lo sapevo. Lei diceva che quelle storie erano state scritte migliaia di anni fa e in una lingua che ora non parla più nessuno, non perché nessuno la sa più, ma perché è considerata così potente che nessuno osa più usarla. E rimasi talmente affascinato da quella cosa che volevo assolutamente sapere come potevano suonare quelle storie già potenti di per sé in una lingua altrettanto potente. E perché poi lo era? Come era fatta? Perché nessuno osava usarla più?

-Era un mistero da risolvere.- compresi. Già me lo immaginavo, il piccolo Tom a scervellarsi sul mistero della lingua.

-Già. E me lo sono portato dietro per tutti questi anni. Anche quando ho capito che in realtà nessuno la usava più perché era un inferno da imparare.- rise di sé.

-Ma tu sei troppo testardo per desistere.- scherzai, convinta però di ciò che dicevo.

-Sì, proprio così.- confermò infatti lui.

Ripresi a guardarmi intorno. Sulla parete opposta alla grande finestra faceva bella mostra di sé una grande porta scorrevole a cui prima non avevo fatto caso, troppo presa dalla libreria.

-Cosa c'è di là?- chiesi indicandola.

-Oh,- vi si diresse e la fece scorrere di lato. -una piccola palestra, se così si può chiamare. Nel caso non riesca ad andare a correre fuori.

Mi avvicinai a mia volta: c'era un tapis roulant , qualche peso e...

-Un tavolo da ping pong?- lo guardai scettica.

-Beh, sono un appassionato di tennis, ma non posso certo portarmi a casa un campo da tennis. Questa è la versione casalinga.- si giustificò. -Sai giocare?- mi chiese speranzoso.

-Non riuscirei a colpire la palla nemmeno se me la incollassi alla racchetta.- fu la risposta.

-E' sempre un buon giorno per imparare!- disse spingendomi verso il tavolino.

-Oh, no, per favore. Risparmiami quest'umiliazione!- lo pregai.

Rise. -Guarda che sono un ottimo insegnante.

-Anche gli ottimi insegnanti hanno bisogno di materia prima da modellare. Qui di materia prima proprio non ce n'è.- ribattei.

-Nah, non ci credo. Dai, tieni.- disse porgendomi la racchetta. La presi esitante. -L'unica cosa che ti serve sono dei buoni riflessi. Nient'altro.

-Io ce li ho, dei buoni riflessi. Solo che non so estenderli a qualcosa più in là del mio corpo.

-Forza, con un po' di pazienza si può fare tutto!- mi incoraggiò ottimista.

Devo riconoscerlo: ce la mise tutta. Ma alla trecentesima volta che o non beccavo la pallina, o non riuscire a centrare il campo, anche lui si arrese.

-Ok, sei davvero un caso disperato.- ammise.

-Io ti avevo avvisato!

-Ma non credere che sia finita qui.- mi minacciò. -Arriverà il giorno in cui riuscirò a insegnarti a giocare come una professionista.

-Ma non è questo il giorno!- scherzai.

Mi guardò storto, ma un sorriso affiorava dalle sue labbra.

-Allora?- cambiai discorso. -Prima di questa imbarazzante tortura avevamo detto film, no?

Sospirò, arrendendosi. -Sì!

Tornammo alla libreria, dove in un angolo teneva anche una discreta collezione di DVD. Finimmo per scegliere “Basta che Funzioni” di Woody Allen.

-Che tipo è?- gli chiesi.

-Woody Allen? Beh, non è che abbia avuto molto tempo per riuscire a farmi un'idea precisa, ma mi è sembrato parecchio eccentrico e sicuro di sé. La cosa più bella, però, quando si tratta di registi/attori, non solo lui ma in generale, è che sanno pienamente di cosa stanno parlando quando ti chiedono di fare qualcosa. E non ti chiederebbero mai di fare qualcosa che loro stessi non sarebbero mai in grado di fare.

Scendemmo di nuovo le scale e andammo a sistemarci in salotto. Io mi accomodai sul divano mentre Thomas inseriva il DVD nel lettore e lo faceva partire. Si venne a sedere sul divano, stravaccandosi bene a gambe larghe. Accanto a lui io mi raggomitolai abbracciandomi un ginocchio.

Finito il film era passata da un po' l'ora di pranzo. Lo aiutai a cucinare una pasta veloce e senza pretese, riprendendo a chiacchierare animatamente. Quando finimmo di mangiare tornammo al divano, dove io mi accomodai di traverso per riuscire a guardarlo in faccia. Lui si sedette ai miei piedi all'estremità opposta del divano.

Mi raccontò di come stavano andando le cose a teatro. Mi disse che una sera si era spaventato un po' quando una donna aveva cercato di salire sul palco, ma era stata prontamente fermata dalla sicurezza prima di riuscire nel suo intento. Grazie a Dio! Certo che ce n'erano di pazzi in giro!

Mi raccontò del suo Natale: erano andati tutti a pranzo da sua madre, lui, sua sorella Emma e anche sua sorella Sarah, appositamente tornata dall'India per passare il Natale in famiglia. Dai suoi occhi traspariva ancora la felicità che aveva provato nel rivederla. Suo padre, come al solito pareva, non si era unito a loro, cercando di riparare con una misera telefonata. Nonostante cercasse di mostrarsi indifferente e distaccato mentre lo diceva, era evidente che era rimasto deluso. La naturale delusione di un figlio nei confronti di un padre poco presente.

A quel punto aveva cercato di cambiare discorso, rovesciando la domanda su di me e chiedendomi del mio Natale. Che era stato il solito, pazzo 'Natale in casa Stefani': cena della vigilia a base di polenta e baccalà, la mia nonna veneta non ci dava scampo, e poi pranzo di Natale, sempre tutti insieme. Niente di troppo speciale.

Mandai un messaggio a Rossana per chiederle conferma a proposito della festa. Come previsto accettò volentieri l'offerta, chiedendoci però di darle un po' più di tempo per poter tornare a casa, darsi una lavata e cambiarsi. Saremmo andati a prenderla verso le 20.30.

Intorno alle 18.30 anche io dissi a Thomas, alzandomi. -Vado a farmi una doccia, prima di uscire.

-Certo, vai pure. Tra un attimo vado a farmela anch'io. Tanto sicuramente ci metto molto meno di te.- mi prese in giro.

Gli feci la linguaccia. -Posso solo chiederti in prestito un asciugacapelli? Io di solito non me li asciugo, ma uscire con i capelli bagnati con questo freddo potrebbe non rivelarsi la più saggia delle decisioni.

-Sì, concordo.- disse alzandosi a sua volta. -Vieni che te lo do.

Salimmo le scale e lui aprì la porta di camera sua, diretto verso il suo bagno. Io, non sentendomi a mio agio ad entrare, lo aspettai sulla soglia. Come il resto della casa, anche la camera era priva di fronzoli e gingilli inutili. Mi chiesi se questo non dipendesse anche dal fatto che era spesso in viaggio e non riuscisse a trovare il tempo di riempirla. A parte l'ultimo piano, con la libreria, l'unico segno davvero personale erano le fotografie della sua famiglia su una mensola del salotto.

Tornò in fretta con il phon. Lo ringraziai ed andai a lavarmi. Uscita dalla doccia mi asciugai in fretta i capelli, ragionando su cosa indossare. Avendo conosciuto Benedict, dubitavo che ci fosse un dress code di qualche tipo, e poi di vestiti eleganti non ne avevo preso neanche uno, facendo invece spazio ai maglioni. Alla fine mi decisi su un paio di pantaloni a sigaretta bordeaux e una lunga maglia di cotone pesante un po' svasata che però, con la sua apertura a goccia sulla schiena che partiva dalla nuca e mi arrivava alla cintura, faceva il suo effetto. Evitai di truccarmi troppo gli occhi sapendo che durante la serata mi sarebbe sceso, e puntai tutto sulle labbra con un rossetto in tinta con i pantaloni che sapevo avrebbe resistito tutta la serata e oltre: facevo fatica a togliermelo anche con lo struccante, ma in quel caso era perfetto.

Dopodiché presi borsa, giacca, sciarpa e stivaletti e scesi di sotto, andando ad appoggiare il tutto vicino al divano. Tom si era già cambiato (jeans, camicia e cardigan) e stava, seduto al tavolo da pranzo, controllando con il portatile le notizie sul sito del Guardian. Si girò sentendomi arrivare.

Lo vidi squadrarmi da capo a piedi e poi emettere un fischio. -Su chi vuoi fare colpo?

Mi avvicinai ricambiando innocente lo sguardo. -Lo hai detto tu che mi avresti trovato il principe azzurro, ricordi? Non sarò Cenerentola ma sono sicura che tu sarai una splendida Fata Madrina.- lo presi in giro.

Stette al gioco. Si batté una mano sulla fronte. -Accidenti, ho portato ieri la bacchetta magica a fare il collaudo. Mi sa che il negozio adesso è chiuso, però. Temo che dovremo farne a meno.

Mi finsi delusa. -Che peccato! Ci tenevo tanto alla carrozza!

-Ah, per quello non ti preoccupare: la metropolitana ne ha quante ne vuoi!

Ridemmo insieme. Poi lui mi disse: -A proposito di metropolitana. Io questa sera non ho per niente voglia di guidare. Ti dispiace se usiamo quella?

-Per niente. Tanto è Capodanno, dovrebbe essere aperta per tutta la notte.

-Sì, ho controllato.- confermò.

Alzai le spalle. -Allora non c'è nessun problema. E tu potrai bere quanto vuoi.

Fece un sorriso colpevole. -Quello era uno dei miei obiettivi.

Inarcai un sopracciglio. -Dovrò trascinarti a casa per le caviglie, Hiddleston?

-Non posso prometterti il contrario.

Sogghignai. -D'accordo, straniero. Che fermate ci sono qui vicino?

-Swiss Cottage, che ci porta direttamente a Willesden. L'altra opzione è Chalk Farm, ma nel nostro caso è inutile.

-Beh, dipende. Potremmo anche prendere la Northern, cambiare a King's Cross prendendo la Metropolitan o la Circle fino a Baker Street e finalmente salire sulla Jubilee che, passando da Swiss Cottage, ci porterà fino a Willesden. Oppure continuare con la Metropolitan fino a Finchley e cambiare lì con la Jubilee. Così, tanto per fare dei giri a vuoto!- scherzai.

-Vedo che ti manca parecchio la metropolitana londinese!- commentò sardonico.

-Da morirci dentro!- risposi ridendo.

Dopo esserci imbacuccati per bene (io almeno. A quanto pareva a lui bastava l'aura inglese per proteggerlo dal freddo, visto che girava a cappotto aperto.), uscimmo e lo seguii fino alla suddetta stazione di Swiss Cottage. Prima di entrare mi fermai a caricare la Oyster.

Saliti sul treno un pensiero mi colpì all'improvviso: cosa sarebbe successo se qualcuno si fosse accorto di Tom e ci avesse fatto una foto insieme? Risposta: un gran casino. Beh, forse non così grande ma facilmente risolvibile con il passare del tempo, ma sinceramente non ci tenevo. Mi guardai attorno in cerca di segnali sospetti. Thomas percepì la mia tensione e provò a tranquillizzarmi. -Non ti preoccupare, sono già tutti abbastanza ubriachi da non fare caso a noi.

Gli rivolsi un sorriso teso.

-Tranquilla, davvero. Avessi creduto che qualcuno avrebbe potuto infastidirci, avrei chiamato un taxi. Sono un esperto, ormai, nell'evitare intromissioni nella mia vita privata. E so bene che tu invece non ci sei abituata.

Annuii, decidendo di fidarmi. -D'accordo.

In effetti tutti coloro che salirono nella nostra carrozza erano troppo occupati a pensare ai loro progetti per quella serata per badare a noi. E dopotutto, non era la prima volta che andavamo in giro insieme. Chissà come mai le altre volte non ci avevo mai pensato!

Scesi a Willesden mi offrì il braccio e ci incamminammo verso casa Sheldon. Ci venne ad aprire Cisco. -Amy! Che sorpresa! Non sapevo che fossi tornata!- disse sporgendosi per abbracciarmi.

-Solo per pochi giorni.

Staccandosi vide Thomas. -Oh, tu sei...ehm...Tom, vero? Quello della festa di agosto.

L'interessato annuì e gli porse la mano. -Piacere di rivederti.

-Anche per me.- rispose Cisco. -Ma venite, venite dentro. Si gela qua fuori.

Chiudendo la porta dietro di noi ci chiese: -Volete fermarvi a festeggiare, stasera?

-No, ci siamo già organizzati. Ma grazie per l'offerta. Siamo venuti a prelevare Ros e poi andiamo.

In tutta risposta un grido si levò dal piano di sopra. -Amy!!

Guardai in su, vedendo Rossana che correva giù dalle scale. Le corsi incontro, fermandomi sul pianerottolo per abbracciarla stretta. Avevo le lacrime agli occhi dalla felicità.

-Sono davvero contenta che tu sia venuta.- mi disse infine lasciandomi andare.

-Anch'io. Ma ringrazia il pazzo laggiù.- ribattei indicando Thomas. -E' tutta colpa sua.

Ros sorrise girandosi verso di lui. -Ciao “pazzo laggiù”. Sono contenta di rivederti. Come va?

Le rivolse un sorriso a sua volta. -Tutto bene. Tu?

-A posto. Grazie per avercela riportata.- fece indicandomi.

-Il piacere è tutto mio! Ne sarebbe valsa la pena anche solo per vedere le smorfie che fa quando gioca a ping pong.- mi derise.

Gli lanciai un'occhiata prima di spiegare a Rossana. -Mi ha costretta a giocare a ping pong, oggi. Anche se “giocare” in questo caso mi sembra una parolona.

Lei sogghignò e poi disse: -Sentite, fatemi solo prendere giacca e borsa e poi possiamo andare.

La aspettammo di sotto, poi salutammo Francisco, augurandogli buon anno, e uscimmo.

-Dov'è che fa la festa il tuo amico?- chiese d'un tratto Ros.

-Oh, giusto. A casa sua ad Hampsted.- rispose Thomas.

-Bene, è vicino. Avevo paura di dover attraversare tutta la città per riuscire a tornare a casa!

 

Venne ad aprirci Benedict. -Benvenuti! Entrate, prego. Tom, è bello rivederti, amico.- gli fece abbracciandolo, dopo aver chiuso la porta dietro di noi.

-Sono contento anch'io, Ben. Grazie per l'invito.

-Figurati. Era più che dovuto. Amy!- si girò verso di me. -Non mi aspettavo di rivederti così presto.- si chinò a darmi una piccola stretta.

-Sinceramente neanche io. Ma sono felice di essere qui. Ti presento la mia amica Rossana. Ros, lui è Benedict.

-Piacere di conoscerti, Benedict.- sorrise lei tendendogli la mano. -E grazie per aver invitato anche me.

-Il piacere è tutto mio.- E si piego a farle il baciamano. Ellallà! Inutile dire che Ros arrossì fino all'inverosimile.

Vicino a me, Thomas rise. -Attento amico. Guarda che è fidanzata!

Ritornando in posizione eretta lui le fece un occhiolino scherzoso e rispose: -Non avevo alcun dubbio!

Tom scosse la testa esasperato.

Ben lasciò la mano di Rossana e ci accompagnò in una stanza al piano di sopra dove avremmo potuto lasciare i cappotti. Poi ci fece strada di nuovo di sotto conducendoci nel grande salotto che dava sul giardino. Una festosa musica di sottofondo aleggiava nell'aria, in parte coperta dal chiacchiericcio creato dalla dozzina di persone che occupavano la stanza, bevendo e mangiano stuzzichini. E sì, alcuni erano volti noti. Sentii il fiato freddo della figura di merda sfiorarmi il collo. Inspirai a fondo mentre Ben ci presentava ai suoi amici.

-Gente, credo che tutti voi conosciate Tom, anche se non di persona. E queste sono le sue amiche Amy e Rossana.

Sorrisi educatamente montando la mia faccia di bronzo. “Avanti, Stefani! Contegno!”

Poi Ben si rivolse a noi, iniziando a presentarci gli altri invitati. -Loro sono Jeff, Paul e Jean- ci indicò un trio sulla destra. -miei ex colleghi ai tempi dell'università, e i loro compagni, Leslie, Lucie e Oliver. Immagino che conosciate Martin [Freeman!], Amanda [Abbington!], Mark [Gatiss!] e suo marito Ian.

Ros probabilmente no, o magari solo di faccia, per caso, ma io sicuramente sì! -Ehm, di vista. Giusto un po'.- provai a ironizzare.

Gli interessati, insieme a Ben e Tom, che tentava di contenersi, sghignazzarono. Poi Ben concluse: -Mentre loro sono Sophie, una collega e amica, e mio cugino Jack.

Anche loro alzarono la mano in segno di saluto.

-Gli ultimi che vi voglio presentare sono Mr Tavolo Del Buffet e Mrs Tavolo Degli Alcolici, laggiù.- E, con un tono da pubblicità, aggiunse: -Bevete responsabilmente.

Scoppiammo tutti a ridere.

Le chiacchierare ripresero. Thomas si avvicinò a Mark dicendogli scherzoso: -Oh, Mark, quanto tempo che non ci vediamo!

-Eh, lo so!- gli rispose lui con leggerezza. -Venti ore senza di me devono essere state uno strazio!- Poi si girò verso me e Ros dicendo: -E' un piacere conoscervi. Rossana, giusto?

Lei sorrise. -Sì, piacere.- disse stringendogli la mano.

-Mentre tu sei la famosa Amy!

Lanciai un'occhiata a Tom, che in quel momento si stava per niente sospettosamente dondolando sui talloni, prima di chiedere. -Famosa? Ah sì? E da quando?

-Da quando lui scoppia a ridere tutte le volte che guarda il telefono.- mi rispose indicando il nostro accompagnatore. -Devi essere una persona molto divertente.

Sogghignai. -No, è l'amico Fritz qui che ha la risata facile. Che ci posso fare?

-Su questo non posso darti torto.- ridacchiò.

Dopo un attimo ci scusammo e andammo verso i Mr e Mrs Tavoli per prendere qualcosa da mangiare e da bere. Thomas non faceva altro che guardarmi di sottecchi trattenendo un sorriso divertito.

-Che c'è?- gli chiesi quando arrivammo alla nostra destinazione.

Lasciò finalmente andare la risata. -Stavo ripensando al tuo discorso di questa mattina sulla brutte figure.

-Sarebbe?- chiese Ros interessata, versandosi il punch.

-Che nel momento in cui incontri i tuoi idoli finisci inevitabilmente di fare una gran figura di merda senza neanche rendertene conto.- le spiegai.

-Ah, sì! Sono d'accordo al 100%!

-Questa mattina l'ha messa un po' diversamente, ma sì, il succo era quello. Vedi che sta andando tutto bene, però?

-La serata è appena iniziata.

Mentre eravamo lì che mangiucchiavamo e bevevamo si avvicinò a noi la donna che Benedict aveva presentato come Sophie.

-Ciao Tom! Che bello rivederti. Quanto tempo!- gli disse sporgendosi per un abbraccio.

-E' bello anche per me rivederti. Ben non mi aveva detto che c'eri.- fece lui stringendola delicatamente.

-No, beh, è stata una cosa un po' all'ultimo.- si voltò poi verso di noi. -Amy e Rossana, vero? Piacere, Sophie.

-E' un piacere anche per noi.- dicemmo io e Ros stringendole la mano. Chiacchierammo con Sophie a lungo, anche quando Tom si allontanò per salutare gli altri. Era una donna molto simpatica e intelligente con cui fare conversazione risultava davvero facile. Chiacchierando ci spostammo vicino alla portafinestra. A un certo punto entrammo nell'argomento lingue: scoprimmo che lei parlava sia italiano che francese, ma Ros batteva tutte a mani basse visto che ne sapeva quattro, quasi cinque.

-Tu invece?- mi chiese Sophie.

-Esattamente come te: italiano, francese e inglese. Cambia solo la madrelingua.

-Vinco io, non c'è storia.- si vantò Rossana.

-Tu però bari.- la accusai. -Sei bilingue di nascita.

-No es mi culpa.- alzò le mani in sua difesa.

Guardai il mio bicchiere vuoto. -Vado a prendermi da bere. Volete qualcosa?

-No, grazie. A posto.- mi assicurarono.

Andai verso i tavoli. Sgranocchiai un paio di tartine, un po' per fame, un po' per non rischiare il coma etilico, e poi mi versai un po' di punch. Mentre lo facevo sentii la musica alzarsi di volume e, girandomi, vidi Ben che invitava Sophie a ballare. Avendo perso la compagna di chiacchierate, Ros venne verso di me.

-E' cotto.- mi disse.

-Eh?- chiesi, presa alla sprovvista.

-Benedict! E' cotto perso di Sophie.- chiarì.

-Dici?

-Guardalo.

Lo guardai. In effetti sembrava abbastanza preso. -Mi sa che hai ragione.

Intanto anche Martin e Tom si stavano avvicinando al tavolo del rinfresco.

-Ehi, ragazze. Tutto bene?- chiese quest'ultimo (Tom, non il tavolo del rinfresco. Non facciamo confusione!)

-Sì, stavamo giusto notando che il vostro amico Benedict sembra proprio cotto a puntino.- rispose Ros indicando la coppia che ballava.

Martin, che nel frattempo si era versato da bere, quasi si strozzò con il suo whisky dal ridere. Mentre lui si riprendeva, Thomas, ridendo a sua volta sotto i baffi, disse. -Lo so. E' anni che le gironzola intorno come una mosca al miele. E neanche lei gli è indifferente. Ormai è solo questione di tempo.

-Io e Amanda stiamo scommettendo.- aggiunse Martin tutto rosso. -Secondo lei si sposano entro l'anno. Io gliene do due.

-Beh, parlare di matrimonio pare un po' esagerato, non trovi?- commentai io.

Lui scosse la testa. -Non conosci Ben. Quando si mette in testa una cosa magari ci mette un po' a farla, in questo caso anni!, ma quando si decide la fa per bene. Probabilmente sta già pensando a che cravatta indossare.

Scoppiammo a ridere.

-E quanto state scommettendo?- domandò Thomas.

-Tre mesi di pulizie di casa.

Ridemmo ancora più forte.

Attirato dalle risate, quello che avevo capito essere il cugino di Benedict, Jack, si avvicinò. Pensai che doveva avere giusto qualche anno più di me, non molti però.

-Ciao.- ci salutò.

-Ciao a te.- ricambiammo.

-Benedict mi aveva detto che eri in Francia. Sei tornato definitivamente?- gli chiese Martin.

-No, torno a Parigi il mese prossimo. Sono tornato solo per le feste.- rispose lui versandosi da bere.

-Parigi?- chiesi io. -Ci ho passato l'Erasmus, sai?

-Davvero? Come l'hai trovata?

Dire “sulla mappa” sarebbe stato troppo scortese, vero? Già, me ne resi conto. “Ok, non lo dico, non lo dico”.

-Bellissima e caotica.- gli risposi invece sorridente. -Preferisco Londra però. Anche se devo ammettere che Parigi ha le migliori discoteche.

-Non me ne parlare! Il lunedì mattina ho sempre selle occhiaie terribili per colpa loro! Quand'è che ci sei stata?- domandò.

-Da settembre dell'anno scorso fino ad aprile.

-Allora sicuramente conoscerai una canzone. La danno in tutte le discoteche dall'anno scorso.

-Parli di “Tous le memes”?- In effetti sì, l'avevano data in tutte le discoteche per dei mesi. Era spopolata talmente che avevano addirittura inventato i passi ufficiali.

-Proprio quella.- confermò.

-Certo, la ballavo sempre con i miei amici. Ci divertivamo un mondo.- dissi tornando con la mente a quei giorni. A volte mi mancavano.

-Ti ricordi ancora i passi?

Lo guardai sospettosa. -Certo.

Mi offrì la mano. -Mi concede questo ballo, miss?

Esitai un attimo: era un ballo a tratti sensuale. La canzone era un mix strano e bellissimo di elettronico e accenni di tempo di tango, non il tipo di canzone che di solito avrei ballato con il primo che capitava. Ma ero un po' brilla, e l'Erasmus era un mio punto debole, perciò alla fine dissi: -Volentieri.

Lui si allontanò un secondo per attaccare il telefono allo stereo e io mi raccolsi i capelli. Quando la canzone partì, tornò indietro e mi accompagnò al centro della stanza. Gli sorrisi e iniziammo a ballare.

Alla fine avevo l'adrenalina a mille e un fiatone da paura. Ringraziai Jack e tornai sorridente verso il tavolo. -Ho bisogno di bere!- annunciai.

Tom e Martin mi guardavano a occhi sbarrati, come immaginavo anche molti altri nella stanza. Ros invece commentò: -Ma guarda che cagna la Stefani!

Ridemmo tutti.

-Che cosa non si impara in Erasmus!- replicai io.

Decisi di andare un attimo fuori a prendere aria. Per fortuna prima del giardino vero e proprio c'era una piccola veranda chiusa, a mo' di serra. Faceva fresco ma non tanto quanto fuori, così non sarei stata lì a tremare come un'idiota.

Ero lì da un paio di minuti, riprendendo fiato, quando sentii la porta scorrevole aprirsi alle mie spalle. Era Jack.

-Ciao di nuovo.- mi disse.

-Ciao.- accennai un sorriso. -Grazie per il ballo. Mi hai fatto ricordare momenti felici.

-Grazie a te. Balli davvero molto bene. E' stato un onore.- Mmm, il tono non era dei più promettenti.

-Grazie. Anche tu non sei male.- risposi cortesemente.

-Starai molto qui a Londra?- mi chiese.

-Ehm, no. Torno a casa la settimana prossima.

-Oh.- rimase interdetto. -Stavo pensando di chiederti se volevi uscire. Che ne so, una cena o qualcosa del genere.

ALT!! Incontro romantico programmato?! Aveva toccato il tasto sbagliato. Era quello che attivava la sirena “Levare le tende! Levare le tende! Levare le tende!”.

Non fraintendetemi, era un ragazzo carino, anzi, proprio bello. E gentile. E ballava bene. Ma il solo pensiero di programmare un appuntamento innegabilmente romantico a tu per tu mi dava un brivido lungo la schiena (anche se devo ammettere che lo scollo della maglia potrebbe aver fatto la sua parte). Ci avevo già provato: con me non funzionava.

Cercai di rimanere stoica e di essere delicata. -Beh, non è che ho molto tempo e...ho parecchi impegni sai, è un po' che non vedo i miei amici.

-Oh, sì, giusto. E poi comunque, io torno a Parigi e tu a casa...- provò a fare marcia indietro.

Gli sorrisi imbarazzata. -Già. Forse non è il caso.

Annuì guardandosi le scarpe. -Allora scusa il disturbo.

Feci un sorriso dispiaciuto. -Nessun disturbo. Scusa tu.

Ricambiò il sorriso e rientrò.

“Accidenti Stefani! Dovevi proprio metterti a ballare?” mi rimproverai da sola. Poi però pensai che solo perché volevo ballare non dovevo per forza dargli un pass di libera entrata. E che cavolo, una ragazza non può più ballare?

Sentii di nuovo la porta aprirsi dietro di me. “No, ti prego, non insistere!” pregai.

-Dovresti rientrare, si gela qui fuori.- Thomas! Sospirai sollevata, girando la testa verso di lui.

-Grazie a Dio sei tu. Pensavo fosse di nuovo Jack.

-Ti ha chiesto di uscire, eh?- fece lui malizioso.

Sbuffai. -Sì.

-E gli hai detto di no?

-Non mi piacciono gli appuntamenti. Finisce sempre che stai lì due ore senza sapere cosa dirti.

-A me avevi detto di sì.- mi fece notare.

-Tu mi avevi invitata per un caffè, subito, in quel momento. E non avevi intenzioni strane. Se mi avessi chiesto di andare a cena anche solo quella sera stessa, avrei detto di no anche a te.

Mi guardò confusa. -Primo: chi ti dice che non avessi intenzioni strane, come le chiami tu? Secondo: che differenza c'è tra un caffè e una cena?

-Da un caffè puoi scappare, soprattutto se non è programmato. Se avessi scoperto che eri un maniaco avrei potuto piantarti in asso con facilità. Da una cena non hai scampo.

-E per quanto riguarda la prima domanda?- insistette.

Mi strinsi nelle spalle. -Non eri il tipo. E sono brava a riconoscere quel tipo. E come ho detto, se avessi capito che mi sbagliavo, sarei scappata.

Mi si avvicinò e mi abbracciò da dietro. -A quanto pare siamo due corridori, eh?

Ridacchiai. -Saresti scappato anche tu?

-Più veloce del vento. Come ti dissi quel giorno, per me non è il momento giusto. Ma sono felice di aver trovato un'amica.

Sorrisi. -Oh, così mi commuovo!

Rise. -Vedi che te l'ho trovato il principe azzurro, però? Sei tu che non lo vuoi.- mi rimbrottò.

-Non è il mio tipo. E neanche per me è il momento giusto, Thomas, lo sai.

Annuì. -Sì, lo so.

Mi lasciò andare.

-Non mi avevi mai detto che hai un tatuaggio. Non lo avevo mai visto fino ad ora. Cos'è?

-Non l'hai mai visto perché non vado in giro a schiena nuda tutti i giorni.- scherzai.

-Posso?- chiese indicandomela.

-Prego.- Spostai i capelli, che uscendo avevo sciolto, da un lato.

Sollevò leggermente i lati dell'apertura a goccia della maglia per vederlo tutto.

-E' un albero stilizzato.- gli spiegai. -Frutto di una lezione davvero noiosa al primo anno di università.

-L'hai disegnato tu?

-Mmm-mmm.- annuii.

-E' molto bello.- commentò rimettendo a posto la maglia. -Ha un significato?

-Sì. Mi piace pensare che ho delle radici che non posso dimenticare, ma questo non mi impedirà di crescere ed espandermi in direzione del sole.

-E' un bel pensiero. E perché bianco?

Alzai le spalle. -Boh, mi piaceva. E mi faceva pensare a quello di Minas Tirith.

Rise. -Sei irrimediabilmente una nerd!

Mi voltai verso di lui, un sopracciglio alzato. -Come se fossi l'unica qui!

Chinò la testa. -Colpevole.- ammise.

Tornammo dentro a goderci la festa. Ballammo e bevemmo. A mezzanotte festeggiammo a suon di champagne.

-Buon 2014 a tutti!- augurò Ben stappando la bottiglia.

Passate le tre di notte, il tasso alcolemico nel sangue iniziava a farsi sentire, facendoci intuire che forse era meglio fare Baglioni (levamose dai coglioni).

Ros, Tom ed io riprendemmo la nostra roba dal piano di sopra , salutammo tutti e uscimmo in direzione della stazione. Arrivati lì, Ros doveva andare da una parte, noi dall'altra.

-Ti accompagniamo a casa.- offrii. Thomas annuì concordante.

-No, ragazzi, siete più ubriachi di me, meglio se tornate a casa. Io me la cavo.- obbiettò. -Ti scrivo quando arrivo.

-Non siamo così ubriachi!- la contraddissi. Guardai Tom. -Ci trovi ubriachi?

-Mmm, forse non sono nella giusta posizione per giudicare.- rispose lui.

-Davvero, ragazzi, andate a casa.

-A parte tutto, Rossana, sei sicura? Potrebbe esserci chiunque per strada, soprattutto oggi. Per quanto ubriachi, tre sono meglio di una.- fece notare Thomas.

-Non a Willesden, fidati. Non c'è mai nessuno. Andate a casa.

Provammo a insistere, ma quando Ros si impuntava era inutile.

La abbracciai e la guardai salire sul treno. -Ricordati il messaggio.- le gridai prima che si chiudessero le porte. Fece OK con la mano.

Io e Tom aspettammo il treno ancora un minuto, poi salimmo e ci sedemmo. Posai la testa sulla sua spalla mentre lui la appoggiava al finestrino.

-Sono distrutta.- gli dissi.

-A chi lo dici. Non ho più l'età per fare queste cose!

Scoppiai a ridere. -Sembri Ros!

-Beh, considerando che abbiamo la stessa età direi che tutto torna.

Continuai a ridere di gusto. -Oh, poveri i miei vecchietti! L'ospizio chiama! Ma io vi voglio bene lo stesso. Basta che non iniziate a farvela addosso,.

Rise anche lui. -Non ti prometto nulla.

Ricevetti il messaggio da Rossana mentre camminavamo verso casa. Mi tranquillizzai.

Arrivati a destinazione Tom tirò fuori le chiavi e, al buio, cercò il buco della serratura. Era una stradina piccola, non aveva neanche un lampione.

-Non ce l'hai una luce qua fuori?- gli chiesi.

-Si è bruciata la lampadina. Mi dimentico sempre di cambiarla. Ok, dovrebbe essere qui.

-Guarda che è casa tua. Se non trovi la serratura due domande dovresti fartele.

Ridacchiò.

Iniziai anch'io a cercare quella maledetta serratura: in effetti l'aveva trovata, ma tra il buio e l'alcool non riusciva a centrarla.

-Siamo davvero ubriachi.- constatai.

-E da cosa lo deduci, Sherlock?

-Dal fatto che in due non riusciamo a centrare una cavolo di serratura.

Continuammo a ridacchiare.

-Aspetta.- gli dissi. Misi la mano sulla sua che teneva la chiave. -Se io sbando da una parte e tu sbandi dall'altra, dovremmo riuscire a fare centro.- Beh, in quel momento pareva un ragionamento logico.

Quando finalmente riuscimmo ad entrare in casa (non con il mio metodo) ci togliemmo scarpe e giacche lasciandole vicino al divano. Tom si lasciò andare su una poltrona.

-non ce la posso fare ad andare di sopra.- disse.

Scossi la testa. -Non se ne parla, Lazzaro. Alzati e cammina.- Gli presi le mani e cercai di tirarlo su. Fortunatamente collaborò. Lo spinsi su per le scale fino in camera sua. Spingendolo sul letto mi circondò la vita e mi trascinò con sé. Nella foga, una mano era entrata dallo scollo sulla schiena stringendomi il fianco da sotto la maglia.

-Ehi!- protestai.

A occhi chiusi mi strinse a sé. -Ero un bambino che dormiva con l'orsacchiotto.- mi fece.

-Hai abbondantemente superato la dicitura “bambino”. In più di un senso, spilungone! E io non sono il tuo orsacchiotto.- protestai ancora.

-No, ma sei della misura giusta. In proporzione almeno.

-Ma guarda un po' questo!- borbottai.

Sempre a occhi chiusi, sorrise, stringendomi più forte un fianco. -Dai, resta qui.

-No.- risposi decisa.

Aprì un occhio. -Perché no?

-Mi ruberesti le coperte.

-Non è vero, faccio il bravo.- promise riaprendoli tutti e due. -E giuro che non ho nessuna intenzione strana.

Scossi la testa. -Non mi piace dormire con la gente: respirate. E' fastidioso.

-Io non sono “la gente”.

-Tu sei parte de “la gente”.

Fece una smorfia. -Sono offeso.

-Ti passerà.

Aspettai che mi lasciasse andare. Non lo fece.

-Comunque non ti porterò mai più ad una festa.- disse a un certo punto. -Tu non puoi ballare così davanti a tutti.

Corrugai la fronte. -Perché?

-Non è corretto. Sei troppo sexy quando balli così. Chissà chi potresti avvicinare! I malintenzionati sono dappertutto!

Scoppiai a ridere a crepapelle.

-Non ti lascerò mai più ballare in pubblico.- concluse.

-Ah, vorrei proprio vederti!

Mi sporsi per dargli un bacio sulla guancia. -Dai, lasciami andare. Hai bisogno di riposare. E anche io. Ci vediamo domattina.

Mi sciolse piano dal suo abbraccio. -Ok. Buonanotte.

Mi alzai e mi diressi un po' barcollante verso la porta.

-Non dormire vestito.- gli dissi prima di uscire. Mi rispose con un mugugno.

Entrai nella camera degli ospiti, mi spogliai velocemente e mi tuffai a mia volta nel letto.

Oddio, che serata!

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Tom Hiddleston / Vai alla pagina dell'autore: Eowyn_SEE