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Autore: _Cthylla_    13/09/2016    3 recensioni
| Golden Age | Young Kozmotis Pitchiner (soprattutto nel primo capitolo) | AU | OCs
L'epoca in cui era la Casa Lunanoff a governare si è distinta per la prosperità presente in ogni parte del regno. La Golden Age è stata un florilegio di grandi eroi dorati e di Case nobiliari, note come "Costellazioni", i cui componenti erano nobili di sangue quanto di cuore.
Ciò è quanto è passato alla storia, quel che la maggioranza dei pochi superstiti è in grado di ricordare. Ma se quei ricordi riguardassero soltanto la parte conosciuta della storia in questione? Se ci fosse stata una parte oscura che quasi nessuno ha potuto o voluto vedere?
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kozmotis 'Pitch' Pitchiner, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Luna Dorata'
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= “Auguro a quest'uomo di vivere in eterno” =

 

 

 

 


“è per vostra sorella, lei e vostra nipote…vedete, i Dream Pirates hanno trovato la loro casa  e…”


Non c’era stato bisogno che il direttore della struttura medica dove lavorava proseguisse oltre. Spear Sinetenebris aveva già capito tutto quel che c’era da capire soltanto guardando l’espressione del suo superiore quando le aveva dato la notizia. Lo aveva lasciato continuare a parlare semplicemente perché era giusto così: per lei non era stato facile ascoltare quelle parole, e per lui non era stato facile dirle. Quando mai è facile dire a qualcuno “tua sorella e tua nipote sono state uccise dai Dream Pirates ieri, ma la notizia è arrivata qui solo adesso, e il funerale si terrà dopodomani”?
Tutte le parole dette da Spear in quel frangente erano state “ho capito”, e “bene” quando il suo superiore le aveva dato una settimana di congedo. In condizioni normali non l’avrebbe accettato, era una stacanovista, ma in quell’occasione era tutto diverso.

 

La sua ultima azione prima di andare a casa era stata quella di richiedere alle autorità competenti un rapporto scritto quanto più possibile dettagliato su cos’era accaduto, sulle condizioni dei corpi e della casa. Altri non avrebbero potuto chiedere nulla di tutto ciò, ma il lavoro e la posizione di Spear le avevano procurato qualche contatto e dei favori da riscuotere. 

Aveva passato il resto di quella giornata chiusa in casa, al buio, rifiutandosi di parlare con chiunque, o qualsiasi contatto da parte della gente del quartiere.

Casa…tra quelle pareti era stata più infelice che altro, eppure quanto aveva fatto, in gioventù, per tenersela stretta! 

Ora era l’unico conforto che le restava. Una casa piena di ricordi e di un silenzio assordante che avrebbe portato chiunque altro a impazzire. 

Ma Spear non era “chiunque altro”. Aveva familiarità col dolore e la tristezza, erano antichi compagni di giochi, così come ben conosceva la morte, intima “amica” da molto tempo. Si era presa suo padre, si era presa sua madre -la vita non era stata clemente con i Sinetenebris, bisognava ammetterlo- e ora anche Aleha, la sua dolce e testarda sorella, nonché Emily Jane, la nipote che aveva potuto tenere tra le braccia solo durante i suoi primi quattro mesi di vita.

Per ore aveva vagato da una stanza all’altra come l’anima in pena che era, lasciandosi assalire dalle memorie che ogni singolo oggetto le riportava alla mente.

Aveva sfiorato lo stipite della porta su cui, anno dopo anno, era stata segnata l’altezza di Aleha dal momento in cui era riuscita a stare in piedi in poi.

Aveva sfogliato e risfogliato i disegni che sua sorella aveva fatto da piccola, conservati con cura in un cassetto, e guardato fotografie finché il sonno non l’aveva vinta e fatta crollare lì, sul letto che era stato di Aleha.

Poi, circa a metà della seconda giornata, aveva trovato i suoi diari segreti, quelli che Aleha aveva scritto dai dieci fino ai sedici anni. Inizialmente aveva esitato ad aprirlo, ma pensare che era tutto quel che rimaneva di sua sorella, e che lei sarebbe stata seppellita il giorno seguente, l’aveva spinta a tuffarsi in quelle pagine. Leggendo quelle righe le era sembrato di sentire la voce di Aleha, dapprima infantile e poi, mutando assieme alla calligrafia, un po’più adulta.

Aveva pianto. Dopo quasi ventiquattro ore in cui non era riuscita a farlo, lacrime silenziose avevano iniziato a scivolarle sulle guance. L’amore, la gratitudine e l’ammirazione che Aleha aveva provato per lei erano espressi tutti lì, nero su bianco.

Per un attimo aveva pensato che una reazione simile alla sua età -trentasei anni, per inciso- fosse sciocca, ma quella considerazione aveva perso importanza già l’istante successivo. Non c’era età troppo avanzata per provare dolore e tristezza, ma non c’era età neppure per l’amore fraterno, né si era mai troppo vecchi per commuoversi nel leggere parole piene d’affetto.

Poi aveva voltato l’ennesima pagina.


“Io lo amo tantissimo, e anche lui mi ama. 
È così bello stare insieme a lui, per quel poco che possiamo, ed è così naturale per me essere la sua ragazza che ho capito che era soltanto questione di tempo. Credo che fossimo destinati a stare insieme. 
Io e Kozmotis siamo una cosa sola, e sono sicura che lo saremo per sempre”.



Tipiche parole di una tipica adolescente innamorata persa.

Le lacrime avevano immediatamente smesso di scorrere, tutto ciò che aveva provato fino a quel momento era scomparso, sostituito da un dolore ancor più grande del precedente e una profondissima collera.

Aveva passato la vita a spaccarsi la schiena per se stessa e per Aleha, facendo di tutto -ma proprio di tutto- purché mantenesse un tenore di vita più che soddisfacente…a che pro? Ormai era tutto perso, tutto distrutto, e di chi era la colpa?

Chi era stato la causa principale, se non l’unica, dei litigi tra lei e sua sorella?

Chi l’aveva allontanata da lei, e idem sua nipote, facendole trasferire in quel posto dimenticato dagli Dei, decisione per cui lei e Aleha avevano avuto uno scontro così terribile da non aver avuto contatti per quattro anni?

Kozmotis “Pitch” Pitchiner, Lord High General of the Galaxies. Il grande eroe del regno. Dov’era quell’imbecille, mentre Aleha ed Emily Jane morivano?

Il primo istinto era stato di fare in mille pezzi le pagine di quel diario, ma era riuscita a trattenersi, e lo aveva scagliato contro una parete, soffocando per metà un ringhio rabbioso.
Quante volte aveva detto a sua sorella che, pur non essendo una cattiva persona, Kozmotis Pitchiner aveva un talento innato per attirare guai, e che la loro famiglia ne aveva già passati abbastanza? Innumerevoli, come le volte in cui aveva espresso la sua completa disapprovazione per quel legame. Aveva fatto di tutto per spezzarlo -a volte con atti che sfociavano “leggermente” nell’illegalità- ma non c’era proprio stato verso.

In quante occasioni aveva detto a Kozmotis di stare lontano da Aleha, perché con i nemici che si era fatto -forse non solo tra i Dream Pirates- stava disegnando un bersaglio anche sulla sua schiena? Altrettante.

L’avevano ascoltata? No, ovvio che no, avevano voluto fare di testa propria.

Anzi, no: avevano voluto fare come diceva lui. 

Lei sapeva che sarebbe andata a finire male, lo aveva previsto.

Quanto aveva maledetto la stupidità di entrambi, il loro stesso legame. “questa decisione e quest’uomo saranno la rovina tua e di mia nipote!” aveva gridato ad Aleha il giorno in cui se n’era andata.

Nel ricordarlo Spear si era accasciata sul letto della sorella, scossa da una risata isterica e accecata da nuove lacrime. Era una di quelle persone che, quando dicevano una cosa, tendevano ad avere ragione in oltre il novantacinque per cento dei casi, ma mentre rideva fino a sentir dolere la gola aveva pensato che avrebbe volentieri barattato quella sua peculiarità pur di far rivivere Aleha ed Emily Jane. 

Poi era tornata a pensare a suo cognato Kozmotis, piccolo, stronzo e inutile vigliacco.

Non aveva neppure avuto il coraggio di informarla di persona, aveva lasciato che lo venisse a sapere da terzi, e solo il giorno dopo.

Era un affronto. Uno scandalo. Se lo avesse avuto lì lo avrebbe aperto in due col bisturi nemmeno fosse stato un pesce, e chi se ne importava se era un medico che aveva giurato di non attentare mai alla vita di alcuno.

La svolta era arrivata in tarda serata, con l’arrivo del rapporto scritto che aveva richiesto, dettagliato come l’aveva voluto. Su Kozmotis c’erano scritte frasi come “riscontrata una perdita di lucidità la cui entità effettiva è ancora da definire”, che era come dire “è pazzo di dolore”, ma di lui non avrebbe potuto importarle meno.

Quel che contava era altro.

Piuttosto che lasciarsi divorare l’anima -e non solo- dai Dream Pirates, della cui attività non era stata trovata traccia sul corpo, Aleha si era suicidata gettandosi dalla finestra della stanza da letto, che dava su uno strapiombo estremamente profondo. Fin lì nulla di anormale, e quella di sua sorella era stata una scelta estrema e coraggiosa: meglio morire in quel modo che per mano di quei mostri.

Ma c’era un dettaglio alquanto strano: perché saltare giù stringendo tra le braccia una bambola di grandi dimensioni?

Chi aveva stilato il rapporto non aveva trovato un senso a tale azione, perché all’apparenza sembrava non averne. 
Però iniziava ad acquistarne se a ciò si aggiungeva che del corpo di Emily Jane non era stata trovata traccia, e che la piccola nave con cui la bambina faceva le sue gitarelle tra gli asteroidi -così le aveva raccontato Aleha in qualche lettera: era una cosa che la faceva impazzire, ma che quel demente di suo marito invece approvava!- era segnalata tra gli oggetti mancanti. C’era la possibilità che fosse stata distrutta, ma non ne erano stati trovati i pezzi.
Spear aveva fissato a lungo quella parte del rapporto, e non era riuscita a soffocare in alcun modo la speranza nascente che forse non era davvero tutto perduto.

Aleha era morta, ciò non poteva essere cambiato, ma forse, al momento dell’attacco, Emily Jane stava facendo una delle sue gitarelle. Forse si era allontanata e si era salvata.

I Dream Pirates avevano detto che di lei non era rimasto niente, ma potevano aver mentito per distruggere ancor più il loro nemico, con completo successo.

C’era una possibilità che Emily Jane fosse viva, e che parte di Aleha dunque esistesse ancora. 

Se le cose stavano così, Spear non avrebbe lasciato che tutto sfumasse. Dopo il funerale avrebbe iniziato a indagare e, se necessario, avrebbe abbandonato il suo lavoro per seguire qualunque pista avesse trovato. Ormai aveva guadagnato a sufficienza da potersi comprare addirittura una piccola nave personale, di quelle volanti in legno, e investimenti fruttuosi fatti qualche anno prima le permettevano di vivere con una rendita dignitosa.

Se avesse avuto successo, una volta trovata Emily Jane l’avrebbe tenuta con sé, e avrebbero iniziato una nuova vita altrove. 

Non intendeva rendere suo cognato partecipe della cosa. Riteneva che non meritasse di condividere con lei quella speranza, e tantomeno di avere rapporti con la bambina, se mai fosse riuscita a trovarla: aveva fatto danni a sufficienza già così. 

Sperare non aveva affievolito la rabbia e l’odio -sì, ormai poteva tranquillamente definirlo tale- che la dottoressa Sinetenebris provava verso il cognato.

Un odio tale da renderla fredda come ghiaccio anche ora, durante il funerale di Aleha, mentre guardava la bara chiusa della sorella attraverso la veletta, nera come il vestito che indossava. 

La cerimonia era molto sentita, e il tempio era pieno, ma era normale: coloro che avevano conosciuto Aleha le avevano anche voluto bene. Peccato che la loro presenza e le loro condoglianze non avessero toccato minimamente Spear. Oltre alla freddezza che l’aveva invasa, provava anche una strana sensazione di “irrealtà”, come se non si trovasse lì per davvero, e fosse tutto uno strano sogno, o un mondo parallelo.

I suoi pensieri erano proiettati su Emily Jane e su come avrebbe potuto ritrovarla, e nulla finora aveva avuto il potere di riscuoterla, neppure la presenza della piccola bara vuota accanto a quella di Aleha.

Aveva a malapena notato che Kozmotis non le si era ancora avvicinato. C’era, poi? Se era così, non aveva fatto caso a dove fosse.

Il suddetto Kozmotis invece l’aveva avvistata immediatamente. Benché fosse devastato dal dolore, dal senso di colpa e dalla rabbia, benché l’accusa formale che intendeva presentare contro Lady Nahema fosse fissata per il giorno dopo, e avesse quelle due bare sotto gli occhi, la figura ammantata di nero di Spear gli era saltata subito all’occhio.

Loro due erano tutto quel che rimaneva della famiglia, e forse se fossero riusciti a sostenersi l’un l’altra sarebbe stato più facile ottenere giustizia per quell’assassinio crudele, altro motivo per cui avvicinarsi a lei sarebbe stato corretto.

Alla fine però non l’aveva fatto. Ognuno esprimeva il dolore a modo proprio, d’accordo, ma Spear sembrava essere quella di sempre, come se quel che era accaduto, e la cerimonia cui stava assistendo, non la toccassero affatto.

In virtù dell’amore che professava verso la sorella, Spear avrebbe dovuto essere distrutta quanto lui, ma quel che aveva visto Kozmotis era tutt’altro. Ciò lo aveva disorientato, e gettato nell’insicurezza al punto da aver deciso di rimandare la conversazione a dopo la cerimonia.

Parlare con lei non gli era mai risultato semplice, tanto per utilizzare un eufemismo, e in quell’occasione ancor meno.

La guardò ancora. Vederla così dritta e composta nella sua solita alterigia era l’unica cosa che, fino a quel momento, era riuscita a distrarlo leggermente dal pensiero ossessivo che non avrebbe più visto il sorriso di Emily Jane, che non avrebbe più abbracciato sua moglie, e dal desiderio di vendetta verso gli Aldebaran.

Cercò sulla sua figura esile un qualsiasi segno di cedimento, una qualsiasi emozione sul volto parzialmente coperto, ma non trovò nulla.
Per un attimo la odiò. Se Lady Nahema era malvagità pura, cos’era allora una donna che restava indifferente dinanzi alla morte di sorella e nipote?

Guardare nuovamente le due bare, però, lo riportò alla realtà. Che Spear fosse o meno un mostro era l’ultima cosa che contasse e, se non avesse voluto sostenerlo nella sua lotta per ottenere giustizia, che fosse! Avrebbe lottato da solo.

La cerimonia andò avanti, e il momento in cui i familiari dei cari estinti erano chiamati a dire qualche parola arrivò prima del previsto.

Kozmotis si avvicinò al pulpito, cercando di non far cedere le ginocchia. Guardò il feretro della moglie. Davvero Aleha era lì dentro? Ogni passo in avanti era una pugnalata al cuore, e non osava pensare a come sarebbe stato quando l’avrebbero portata via e sotterrata. Per non fare come la madre di Aleha quando ad essere seppellito era stato suo marito avrebbe dovuto sforzarsi.

Le immagini di quella donna che si aggrappava alla bara del marito gridando e piangendo irruppero nei suoi pensieri. Era certo che quello sarebbe stato anche il suo primo istinto.
Chissà se Spear avrebbe ripetuto le azioni di allora anche in quel frangente. Il modo in cui aveva allontanato la madre, e la durezza di quel “mamma, basta. È morto. Fare così non cambierà nulla. Niente sceneggiate!” gli erano sempre rimaste impresse.

Raggiunse il pulpito, prese il microfono con le mani che gli tremavano leggermente, rivolse lo sguardo ai presenti e, dopo una breve esitazione, iniziò a parlare. «voi tutti conoscevate Aleha, e sapete quale persona meravigliosa fosse. Era mia moglie, la mia anima gemella, la mia metà. Mi è stata accanto sin da quando eravamo bambini di tre anni, e probabilmente l’amavo già allora. Ora non c’è più» s’interruppe un attimo per riacquistare un po’di compostezza, rendendosi conto che la sua voce era terribilmente prossima a spezzarsi «così come non c’è più mia figlia, la mia dolce Emily Jane. Hanno portato con loro la parte migliore di me. La mia vita non sarà più quella di prima, io stesso non sono più l’uomo di prima, né potrò mai tornare ad essere qualcosa che gli somigli, soprattutto perché ho la consapevolezza che tutto ciò non è accaduto per una disgrazia voluta dal destino. I nemici del regno non hanno trovato la mia famiglia per caso» alzò leggermente la voce, sentendo che la gente iniziava a mormorare «e se hanno ucciso tutti coloro che hanno trovato in casa mia, tentando di distruggermi per facilitarsi la conquista del regno, è stato perché era stato loro ordinato da una tra le più nobili famiglie del nostro regno: gli Aldebaran!»

Diversi uomini della sua armata sospirarono, e alcuni arrivarono addirittura a fare facepalm. Si erano augurati che il loro comandante avrebbe evitato di tirare fuori quelle strampalate teorie complottistiche anche in quell’occasione, ma evidentemente avevano sperato troppo, e ormai la gente faceva ben più che mormorare, chiedendosi se il povero Pitchiner fosse impazzito completamente.

«non si sono sporcati le mani personalmente, ma sono loro i colpevoli di questa tragedia. Io intendo dimostrarlo affinché venga fatta giustizia, e mia moglie e mia figlia possano riposare in pac-»

Non riuscì a finire la frase, perché qualcuno gli tolse il microfono dalle mani, avvicinandolo poi all’apparecchio elettronico più vicino. Il fischio che emise fu tanto acuto e fastidioso che molti gemettero e si tapparono le orecchie, Kozmotis incluso. 

«ora che la giusta atmosfera è stata ripristinata, credo di dover dire qualche parola anch’io».

Sembrava proprio che Spear avesse finalmente abbandonato la sua composta immobilità, ma a Kozmotis, una volta riscossosi dall’accaduto, non vi volle molto per intuire che per come si erano messe le cose era più un male che un bene. La Spear Sinetenebris che conosceva lui, poteva essere in due soli modi. Il primo: dura e fredda come la parete di una salda e gigantesca diga. Il secondo: come l’acqua che, ceduta suddetta diga, travolgeva e distruggeva tutto quel che aveva la sventura di trovarsi sulla sua strada, senza distinzioni e senza pietà alcuna.

«mia sorella era la creatura più buona, gentile e altruista che abbia mai conosciuto» iniziò Spear «e non lo dico perché sono di parte. È semplice verità, come lo è dire che era una donna splendida, e intelligente».

“allora sbagliavo?” pensò Kozmotis, un po’sorpreso. Si era aspettato il peggio, invece fino ad ora sua cognata non aveva detto nulla che non pensasse lui stesso.

«il problema è che anche le persone intelligenti non sono esenti dal commettere piccoli e grandi errori. Aleha ha commesso uno solo di questi ultimi, che purtroppo le è costato la vita: affidarsi all’uomo sbagliato».

Se le parole del generale Pitchiner avevano causato subbuglio e mormorii, quelle di Spear stavano sconcertando altrettanto, ma all’interno del tempio non volava una mosca. 

«in tutta la vita, io ho chiesto a Kozmotis Pitchiner due sole cose. Gli ho chiesto di stare lontano da mia sorella, vista la sua posizione, e lui non l’ha fatto. Gli ho chiesto di non far spostare Aleha ed Emily Jane in un luogo isolato in cui nessuno avrebbe potuto aiutarle, e non solo sono rimasta inascoltata, ma sono stata insultata, trattata come una strega maligna, e a causa di questo ho perso i contatti con mia sorella per quattro anni».

Kozmotis si era aspettato il peggio, ma non credeva alle proprie orecchie. Quella donna traboccava tanto d’odio da arrivare a fare quel discorso in un momento del genere, e ciò lo stava sconcertando al punto che, per il momento, non riusciva neppure a reagire.

«se avesse esaudito la seconda di queste due richieste, forse mia sorella sarebbe ancora tra noi. Se avesse esaudito la prima, lo sarebbe stata sicuramente. Non c’è bisogno di scomodare i nemici del regno o qualunque famiglia delle Costellazioni. Se Kozmotis Pitchiner vuole che il colpevole di questa tragedia paghi, non ha altro da fare che impiccarsi. Io, però, spero che decida di non farlo e che continui a vivere con la consapevolezza che la colpa di tutto questo è sua. Auguro a quest’uomo di vivere in eterno, fin quando diventerà l’ombra di se stesso, e anche oltre. Grazie a tutti».

Concluso così il suo discorso posò il microfono sul pulpito e procedette verso l’uscita del tempio a grandi passi, guardando dritto davanti a sé. Tutti la osservarono allontanarsi, ma nessuno la ostacolò…

«no, generale, no, per favore, non è il caso!...»

O meglio, nessuno riuscì a farlo.

Il povero Lord Pitch, ripresosi dal colpo, stava cercando di raggiungerla, col solo desiderio di spezzare quel suo collo sottile. Se non ci stava riuscendo era soltanto perché diversi uomini della sua armata lo avevano raggiunto, e lo stavano trattenendo a viva forza.

Quanto al sacerdote, ormai aveva perso definitivamente il controllo della situazione.

«sputi veleno perfino al funerale di tua sorella e tua nipote, non hai un minimo di ritegno!» gridò il generale.

Le parole di quella donna l’avevano fatto sentire ancor peggio di prima, e non credeva fosse possibile. Non aveva bisogno di qualcuno che gli ricordasse il suo fallimento nel proteggere ciò che amava di più, tantomeno con una sorta di “te l’avevo detto” non troppo nascosto. Se Spear fosse stata un’altra avrebbe potuto giustificarla dicendo che aveva parlato mossa dal dolore, che non sapeva cosa diceva, ma una cosa del genere non poteva valere per lei. Non per qualcuno che non aveva aspettato altro che un’occasione qualsiasi per gettare pubblicamente fango su di lui, come se la scenata che aveva fatto al matrimonio anni orsono non fosse stata abbastanza.

«ad Aleha non sarebbe piaciuto» disse Spear, voltandosi lentamente indietro «ma grazie a te non avrà modo di lamentarsene».

«sei contenta che le tue maledizioni si siano avverate! Che tu sia dannata! STREGA!!!»

La donna rimase impassibile, almeno all’apparenza. «urli, strepiti, accusi chicchessia di qualcosa per cui hai colpa soltanto tu, e quella senza ritegno secondo te sono io? Hai una strana concezione della realtà, Kozmotis. Addio».

Oltrepassò la soglia del tempio, incurante di qualsiasi cosa. La diga era stata distrutta, l’acqua aveva inondato tutto, e ora non restava che lasciarla defluire.

Tutto quel che c’era da dire era stato detto, e ora non doveva far altro che iniziare le sue indagini, sperando di trovare qualcosa, e iniziare col dare un’altra letta al rapporto non avrebbe fatto danno.

Certo, l’accusa agli Aldebaran dava da pensare. Kozmotis aveva tutti i difetti della galassia, ma che casualmente fosse andato ad accusare proprio quella famiglia le suonava strano.

Ricordava bene quant’era “contenta” Lady Nahema quando Kozmotis era stato nominato High General of the Galaxies, ed era indubbio che Kozmotis e la sua lealtà ai Lunanoff le sarebbero stati d’ostacolo, se davvero lei e la sua famiglia volevano prendersi il regno: l’Armata Dorata era la più grande e potente del reame, e unite alle famiglie “lealiste” dei Lunanoff avrebbe potuto costituire un problema non da poco.

Ma la cosa non la riguardava. Non intendeva supportare minimamente suo cognato in quella faccenda. Se anche Kozmotis avesse avuto ragione, la colpa sarebbe stata sempre sua: se le avesse dato retta e si fosse allontanato da Aleha anni prima, gli Aldebaran o chicchessia non avrebbero avuto motivo di ucciderla.

Inoltre, se voleva indagare su Emily Jane, era bene non inimicarsi persone che avrebbero potuto metterle i bastoni tra le ruote, e degli arciduchi molto ricchi avrebbero potuto farlo.

Sua nipote era tutto quel che -forse- le restava, e tutto quel che contava al momento. 
Se era viva, giurò a se stessa, un giorno l’avrebbe trovata.


[…]


«hai voglia di darti pesantemente all’alcol, Nahema?»

«mi preparo spiritualmente per l’udienza di domani. Quella in cui Pitchiner accuserà me e Aladohar, hai presente? E comunque è solo un bicchiere».

Altri sarebbero stati decisamente preoccupati all’idea di dover affrontare l’accusa formale del Lord High General of the Galaxies, ma non gli Aldebaran, che ritenevano di aver studiato tutto sufficientemente bene da non correre rischi. L’ “ansia” di Nahema e Aladohar era tale da starsene tranquillamente a mollo in una grande vasca a idromassaggio insieme a Kitah.

«è un momento cruciale. Da qui in avanti, se vogliamo che Pitchiner venga screditato del tutto, il margine d’errore che abbiamo a disposizione è inferiore allo zero» continuò Nahema «meglio restare lucidi, e rimandare i festeggiamenti a quando avremo raggiunto i nostri obiettivi» 

«a proposito, tra stasera e domani mattina dovremo informarci sul funerale categoricamente vietato ai nobili» l’arciduca alzò gli occhi al soffitto, per poi rivolgere lo sguardo a Lord Taurus «si direbbe che Pitchiner non abbia preso bene che tu, Renin Altair e gli altri abbiate già parlato a favore di Nahema. Poi certo, torna utile ugualmente, perché tutto questo suo gridare al complotto e certe scelte azzardate non faranno che alimentare le voci sul fatto che perdere moglie e figlia gli abbia fatto perdere anche la ragione». 

«a raccogliere informazioni ho già pensato io» disse Kitah, con la sua classica tranquillità, mentre legava in una coda i lunghi capelli neri. «pare che da un certo punto in poi sia stata una cerimonia piuttosto movimentata».

«ah sì?» Nahema si stiracchiò «specifica».

«andiamo, come se non lo sapeste già! Siete stati bravi a fingere di non essere a conoscenza di nulla, è un buon allenamento per il futuro, ma con me non serve. Riuscire a convincere la cognata di Pitchiner a fare quella sceneggiata è stato un gran bel colpo» sollevò entrambi i pollici in segno di approvazione, scrutando entrambi i fratelli con gli occhi azzurro cupo «anche se mi chiedo come abbiate fatto» Nahema e Aladohar si scambiarono un’occhiata perplessa, e Lord Taurus sollevò le sopracciglia, sorpreso. «aspettate…Pitchiner vi ha accusati, quella donna lo ha interrotto, gli ha dato la colpa di tutto e detto che doveva impiccarsi, e mi state dicendo che non c’entrate? Seriamente? Pensavo fosse una vostra strategia per far arrivare Pitchiner all’udienza nel peggior stato psicologico possibile!»

«no, non abbiamo proprio niente a che fare con la sorella della fu Lady Pitchiner, ma se davvero ha fatto una cosa del genere ci ha facilitato le cose» Aladohar fece spallucce «il buon Lord Pitch sarà ancor più fuori di testa di quanto fosse già. O beh, pare che l’ora della tua prima ubriacatura si avvicini, Nahema! Non potrai più sbattermi in faccia la tua verginità dalle sbronze».

«vergine giusto dalle sbronze, perché per il resto!...» aggiunse Kitah con un sorrisetto divertito.

«ho la vaga impressione che stasera una certa persona, contrariamente ai programmi, se ne andrà a letto a casa propria» disse Nahema «e ora vi consiglio di uscire entrambi dall’acqua e togliervi di torno per un po’. Non vorrei che finiste per essere annegati da qualcuno!»

Ovviamente Nahema non se l’era presa per davvero, e forse non avrebbe neppure rispedito Kitah a casa come aveva minacciato di fare -gli Dei sapevano quanto avesse bisogno di un po’di sesso decente!- ma le era presa voglia di rimanere sola coi propri pensieri, senza fratello minore e alleato/amico/amante attorno.

La minaccia dell’annegamento funzionò, ed entrambi uscirono dall’acqua, un po’borbottando, un po’protestando. Sapevano che probabilmente non li avrebbe annegati davvero, ma era stato proprio quel “probabilmente” a far loro concludere che era meglio darle retta.

Rimasta sola, Nihil Nahema chiuse gli occhi. Si stava avvicinando all’obiettivo passo dopo passo, e nulla che si fosse messo sulla sua strada avrebbe potuto impedirle di raggiungerlo, com’era giusto che fosse: il motto degli Aldebaran non era forse “Nihil Obstat”? 

“certo” pensò, schiudendo svogliatamente le palpebre “ma temo che sarei ancora a un punto morto, se non fosse stato per-”

Quando vide quel che aveva davanti, sobbalzò e trattenne a stento un’esclamazione sorpresa, ma c’era da capirla: mandare via fratello e amico/alleato/amante per ritrovarsi nella vasca una donna serpente sui dodici metri che sorseggiava beatamente liquore da un bicchiere non rientrava esattamente nei suoi programmi.

«le vostre vasche con l’acqua calda non sono affatto male, e nemmeno le vostre bevande, a dirla tutta!»

Era inquietante per l’arciduchessa osservare il proprio corpo sparire per metà tra le nere spire intangibili, ma perfettamente visibili, di quella creatura. Era una cosa che la faceva sentire in trappola, oltretutto in casa propria, e non le piaceva. «Tanith. Come hai fatto a entrare in…no, niente. Ephemeride. Diventi invisibile e incorporea quando vuoi. È ovvio che tu possa entrare praticamente ovunque quando vuoi».

«confermo e sottoscrivo. Sono venuta a complimentarmi per il celere e corretto utilizzo delle informazioni che ti ho passato. Io e le altre Ephemerides siamo molto soddisfatte. Non che la soddisfazione delle altre m’importi, naturalmente» aggiunse, con un sorriso «oh, mi raccomando: domani, all’udienza, ricordati di porgere al povero Kozmotis le tue più sentite condoglianze».

“va bene, ma ora esci dalla mia vasca. Esci. Esci”. «puoi stare sicura che lo avrei fatto anche se non me l’avessi detto» disse Nahema «ormai ho imparato a conoscerlo, e credo che una cosa del genere lo farà dare fuori di matto, specialmente dopo oggi» commentò «se sei andata al funerale dovresti aver mangiato bene».

«è stato un buon banchetto per tutte quante. Il dolore di un uomo come Kozmotis Pitchiner, specie così profondo, è assolutamente delizioso, forse addirittura il migliore di cui mi sia nutrita fino ad ora, e la cosa migliore è che potrò continuare a farlo a lungo!» esclamò, sembrando veramente felice «anche il dolore della cognata però non era affatto male, devo ammetterlo».

«puoi nutrirti anche di quello della figlia di Pitchiner, se ti va. Abbiamo fatto sì che fosse “trovata per caso” dal titano Typhan e mia sorella Nihil Kehazilia, quindi ora è nei loro territori. Se le tue colleghe non lo sanno già, è una fonte di dolore tutta per te».

Il sorriso dell’Ephemeride si allargò leggermente. «prima o poi l’avrei trovata da sola, ma mi hai reso il compito più semplice. Però sappilo: non solo mi nutro di dolore ma se posso, coi miei sussurri, lo alimento per averne ancora. Che lo faccia con una bambina di sei anni non dovrebbe essere socialmente inaccettabile, per la tua gente?»

«tu mi hai fatto un favore, e io lo ricambio. Gli Aldebaran pagano sempre i propri debiti» replicò Nahema «a patto che non le venga fatto del male fisico, di Emily Jane Pitchiner non mi importa proprio niente. Se ho lasciato che vivesse è solo perché magari un giorno potrà essere utilizzata in qualche modo.».

Tanith si appoggiò contro il bordo della vasca, e la fissò silenziosamente per diversi istanti, con la testa leggermente inclinata di lato. «per essere un Ephemeride ti manca soltanto una cosa: la razza. Ma in fin dei conti è meglio così, se fossi stata una mia simile sarei stata quasi sicuramente costretta a ucciderti. Arrivederci, arciduchessa».

Così com’era apparsa, Tanith sparì di colpo, esattamente com’era accaduto l’altra volta.

«…arrivederci».

Era un po’irritante chiedersi se fosse andata via per davvero o se fosse lì da qualche parte in forma invisibile, ma Nahema si disse che era meglio lasciar perdere, perché in ogni caso non avrebbe potuto farci niente. 

 
Sembrava che anche per lei e la sua famiglia ci fossero creature impossibili da contrastare, dopotutto.

“fortunatamente sembro piacerle, quindi se ogni tanto ha voglia di farmi una visitina farò bene ad accettarlo”.

Meglio che Tanith continuasse a essere utile, piuttosto che pericolosa.
Non voleva certo finire come Pitchiner.

 






Buon pomeriggio a tutti!
La prima cosa che tengo a puntualizzare è che quella faccenda della bambola di grandi dimensioni non è faina del mio sacco, ma canonica. Solo che nel canon è stata utile (ha fatto pensare ai Dream Pirates che la moglie di Pitch si fosse gettata nel vuoto insieme a Emily Jane, quando in realtà non era così) qui invece Aleha avrebbe anche potuto fare a meno di prendere la bambola, dal momento che uccidere Emily Jane non era nei piani.

Nello scorso capitolo mi sono dimenticata di specificare un paio di cose: il Kraken Divoratore cui Kerasaas ha fatto accenno è quello della one shot, come giustamente detto da KausBorealis, e nel concepire l'idea della Barra (prima avevo in mente altro, in effetti) sono stata molto aiutata da vermissen_stern :)

Alla prossima,

_Dracarys_
   
 
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