Matt
Quell’ultima
notte di vacanza ci obbligammo a rientrare in hotel verso le tre
– fin troppo
presto rispetto ai nostri standard –, ma solo
perché la mattina, purtroppo,
avremmo dovuto alzarci ad un orario preciso per affrontare il viaggio
di
ritorno ed era meglio non essere troppo stanchi: io e Dom, infatti, ci
saremmo
alternati alla guida.
Alle tre e un
quarto spaccate mi lasciai cadere sul letto a peso morto, mentre
Dominic ancora
trafficava in bagno con la luce accesa.
«Pensi di
venire a dormire entro l’alba?» Domandai, divertito
e anche un po’ assonnato.
«Mh-hm.» Mi
rispose, con lo spazzolino in bocca.
«Bravo, tieni i
denti puliti per la tua donna.» Ridacchiai e un insulto non
meglio identificato
mi raggiunse in un attimo.
Fino a pochi
minuti prima sembrava quasi di stare in un film d’amore per
ragazzine
quindicenni: bacini di qua e bacini di là, risatine
imbarazzate, lui e Lola che
giocavano a rincorrersi come due bambini. Avevo quasi dovuto
trascinarlo in
camera per farli allontanare e lui aveva avuto il coraggio di
lamentarsi come
se, una volta separati, non si fossero più potuti
vedere… Gwen, intanto, aveva
dovuto fare praticamente la stessa cosa con la sua amica. Il tutto era
finito
con me e Gwen che ci salutavamo da una parte all’altra del
corridoio, cercando
di tenere le teste dei due piccioncini innamorati dentro alle camere.
Una scena
esilarante.
Dominic si
decise finalmente ad uscire dal bagno e si mise a letto, a rischiare la
stanza
c’era solo la luce fioca della luna che entrava dalla
finestra.
«Non so se riuscirò
a dormire.» Disse piuttosto cupo, ma io scoppiai
immediatamente a ridere.
«Ma finiscila!»
Esclamai, mentre mi tenevo una mano sulla pancia.
«Non ridere,
sono serio.» Fece, lamentoso.
«Se è perché
hai voglia di scopare ti capisco, altrimenti no, mi spiace.»
Commentai, allora.
«Oh,
vaffanculo, Bells!» Rise anche lui. «Ti
stupirò, ma non è per quello.»
Rimase in
silenzio un attimo.
«Ho solo voglia
di stare con lei.» Aggiunse e poi lo sentii voltarsi
dall’altra parte.
«Oh, quanto sei
dolce. ‘Notte, cucciolino.» Sussurrai io,
prendendolo in giro, ma come risposta
ebbi solo uno sbuffo.
Così chiusi gli
occhi. Avevo bisogno di dormire e riposare, il viaggio del giorno dopo
sarebbe
stato lungo e in più mi sarebbe toccato sopportare gli
sbaciucchiamenti da
diabete della nuova coppietta… Una faticaccia, insomma. Ma
appena la mia vista
si fece buia, ecco che apparve lei.
Sembrava una presa per il culo bella e buona. Avevo appena finito di
sfottere
Dom perché faceva la femminuccia innamorata e poi ero io il
primo ad essere
ridotto così. Mi era perfettamente chiaro che volevo
qualcosa di più da lei e
che questa specie di infatuazione non mi sarebbe passata tanto in
fretta,
l’unica cosa che non riuscivo a capire era se davvero ero
arrivato al punto di
desiderare una relazione o se avevo solo bisogno di soddisfare un
– diciamo –
desiderio proibito. Anche solo a pensarla, quest’ultima cosa,
mi sentivo uno
stronzo patentato, ma non riuscivo ad uscirne, a trovare una soluzione
a quel
problema. Mi torturavo pensando a come avrebbe potuto reagire lei a un
mio
possibile approccio, se ci sarebbe stata o mi avrebbe mandato al
diavolo. Mi
sembrava di essere tornato ad essere uno sprovveduto. Cosa avrei dovuto
fare?
Era troppo preziosa per perderla così, per uno stupido
capriccio, poi, ma io
non ne uscivo ed era uno strazio. Non mi era mai capitato di
interessarmi in
questo modo ad una persona, ma soprattutto di dover aspettare per
averla. E poi
io stavo bene da solo, lo ero sempre stato, perché tutto
d’un tratto mi
sembrava di volere qualcosa di più? E per di più
da Gwen? Chi mi avrebbe
assicurato che lei ci sarebbe stata se io avessi deciso di provarci? Ma
soprattutto, se poi io avrei voluto davvero impegnarmi con lei? Avrei
di
certo combinato
un disastro. Che fottuto macello.
Quella sera era
stato Dom a convincermi – o meglio ad obbligarmi –
a chiedere a lei e Lola di
uscire; in realtà, io avrei preferito andare a farmi un giro
insieme agli
altri, non perché avessi qualcosa contro loro due, solo
perché avevo bisogno di
svagarmi e di pensare a qualcos’altro che non fosse Gwen.
Invece era andata
diversamente dai miei piani e mi ero ritrovato alle due di notte a
scorrazzare
per la spiaggia con lei sulla schiena. E il giorno dopo avrei dovuto
passarci
anche tutto il viaggio insieme. Ero a cavallo.
Mi voltai a pancia in giù e misi la testa sotto al cuscino
per cercare di
scacciare il suo viso e il suo corpo dai miei pensieri, ma niente,
rimanevano
lì. D’un tratto, però, mi
vibrò il telefono sul comodino e finalmente riuscii a
distrarmi.
«Ma chi cazzo-» Sussurrai e mi sporsi per
controllare chi fosse.
Amy.
Scossi
la testa con un
mezzo sorriso. Non demordeva, non c’era niente da fare. Il
pomeriggio di quel
giorno, dopo che Gwen mi aveva mandato un messaggio chiedendomi se lei
e Lola
sarebbero potute venire in macchina con me e Dom, ovviamente, avevo
dovuto subito
avvisare Amy, Alex e Megan dello scambio. Amy, come previsto, non
l’aveva presa
molto bene e si era presentata in camera mia piuttosto irritata.
Nonostante
l’avessi avvisata che non avrei cambiato idea in qualsiasi
caso, aveva cercato
in ogni modo di convincermi a farlo. Non sapevo se ero solo io a farle
quell’effetto, ma si era comportata da vera ninfomane ed io
non ero capace di
dire no a certe cose.
Ed ora, eccola lì di nuovo. Decisi però di non
risponderle. Sapeva benissimo
come funzionavano le cose con me, ma faceva finta di non capire. Forse,
essendo
stato con lei più volte - nonostante si fosse da subito
dimostrata un po’
appiccicosa, errore mio -, si era potuta creare qualche aspettativa, ma
le
avrei fatto capire che non c’era alcuna
possibilità che lei potesse diventare
qualcosa di più che una semplice scopamica.
Anche quel pomeriggio, comunque, con Amy inginocchiata tra le mie gambe
era
riuscita a venirmi in mente Gwen. Avevo pensato a come sarebbe stato se
lì ci
fosse stata lei e mi ero sentito sporco come mai in vita mia. Mi era
sembrata
la cosa più sbagliata del mondo ed era anche per quei
pensieri poco pudichi che
non capivo quale era il vero motivo per cui desideravo averla per me.
C’erano
stati i brividi, il batticuore improvviso, la voglia di baciarla, ma
anche
quegli stupidi pensieri… Forse era meglio lasciar perdere
tutto e combattere
quelle strane voglie finché non mi sarebbero passate.
Dopo aver rimesso il telefono sul comodino, mi decisi a trovare un modo
per
riuscire ad addormentarmi, anche a costo di finire a contare le pecore.
Ed in
effetti, fu proprio così.
Chiusi il baule
e dopo aver salutato il resto della compagnia, che era già
nell’altra macchina,
mi misi al volante della mia Ford. Una volta salito, diedi
un’occhiata alla mia
destra e notai lo sguardo assassino che si stavano scambiando Gwen e
Jessie da
un’auto all’altra. Non si erano detti una parola,
nemmeno ciao, ma la cosa che
mi faceva veramente sbellicare era che sembrava lui quello
più offeso dei due,
come se fosse stato lui ad essere cornificato. Non smisero di guardarsi
male
finché Jessie non ingranò la retro e si immise in
strada, scomparendo così
dalla visuale di Gwen.
Lei si accorse che la stavo osservando e scoppiò a ridere.
«Cos’era quello
sguardo?» Chiesi, divertito quanto lei.
«Oh, niente. Ha
iniziato lui, veramente.» Rispose, giocherellando con le
punte dei capelli.
«Giusto, non
dargliela vinta.» Ridacchiai e le diedi una leggera gomitata.
«Mai.»
Feci per
posizionare lo specchietto retrovisore e subito beccai Dom e Lola a
limonare.
«Ehi ehi ehi,
andateci piano!» Dissi. «Qui
c’è gente sensibile!»
Per tutta
risposta ottenni il medio di Lola. Gwen rise e io feci spallucce.
«Vorrà dire che alla prima curva il mio piede
finirà casualmente
sull’acceleratore…»
Non mi cagarono
di striscio e continuarono imperterriti a fare quello che stavano
facendo,
intanto Gwen attaccò il suo iPod e disse che avrebbe fatto
lei il deejay,
niente radio, avrebbe esaudito qualche richiesta musicale ogni tanto,
ma
assolutamente niente radio.
Iniziò così il lungo viaggio di quattro ore e
mezza verso casa.
Il primo a cedere alle braccia di Morfeo a poco più di
un’ora dalla partenza fu
Dominic - probabilmente anche lui si era addormentato più
tardi del previsto a
causa del cervello che non voleva spegnersi, perciò sentiva
addosso ancora un
po’ di stanchezza - e, dopo essersi accoccolata contro di
lui, ci abbandonò
anche Lola. Per le successive due ore guidai sempre io, solo dopo
esserci
fermati per una piccola pausa in una tavola calda lasciai il mio posto
a Dom.
Finché lui e
Lola erano rimasti svegli non c’era stato praticamente
neanche un attimo di
silenzio: avevamo riso, cantato a squarciagola, Gwen ci aveva
raccontato di
quella volta che a cinque anni le avevo regalato una lucertola morta
cercando
di convincerla che era ovviamente meglio della bambola che le avevano
preso i
suoi genitori e, infine, avevamo scommesso che Jessie si sarebbe presto
presentato a casa sua in lacrime e con un mazzo di fiori per chiederle
scusa,
ma appena i nostri due amici chiusero gli occhi ne calò uno
pesantissimo. Io –
per i miei ovvi motivi – non sapevo davvero cosa dire ma, a
quanto pareva,
nemmeno Gwen, così lasciammo che fosse la musica a cercare
di mitigare un po’
l’imbarazzo che aleggiava. Lei guardava fuori dal finestrino
appena abbassato,
i capelli le svolazzavano leggermente e aveva i piedi scalzi appoggiati
al
cruscotto, ogni tanto la sentivo sussurrare le parole di qualche
canzone; io
cercavo di concentrarmi sulla strada, ma per almeno un paio di volte
non
riuscii ad impedirmi di posare gli occhi su di lei, senza
però farmi notare.
Era davvero bella. Possibile che non me n’ero mai accorto?
D’un tratto la vidi con la coda dell’occhio
voltarsi verso di me e aprire la
bocca come per dire qualcosa, ma poi non disse nulla, così
mi feci avanti io:
erano ventitré minuti che non dicevamo una parola, mi
sembravano
sufficienti.
«Sì?» Dissi e
accennai un sorriso incoraggiante.
Lei si agitò
sul sedile. «Ma no- nien- niente.»
Tartagliò e poi si mise a mangiucchiarsi
un’unghia.
«Dai, spara!»
La incitai.
Non poteva già chiudere la conversazione, così le
diedi anche un buffetto sulla
gamba con il dorso della mano per farla continuare.
«Mh.» Disse poco convinta, ma poi si decise ad
andare avanti. «Lo so che non
sono affari miei, però prima ho visto che Amy è
venuta a parlar- a dirti
qualcosa nell’orecchio…» Si interruppe e
riprese a mangiarsi le unghie.
«E quindi?»
Chiesi, alzando un po’ le spalle.
Non capivo
perché fosse interessata ad Amy, quando sapeva benissimo che
tipo fosse.
«Mi chiedevo se
ci fosse del tenero, dato che ti ha anche messo le braccia intorno al
collo…»
Tossicchiò un po’ dopo aver terminato la frase.
Io mi voltai e
la guardai con gli occhi sbarrati, lei fece spallucce come dire
“non ho ragione?”.
La risposta ovviamente era “no”.
«Del tenero?!
Veramente gliele ho anche tolte, le braccia dal mio collo.»
Le feci notare.
«Magari non
volevi che gli altri se ne accorgessero.» Disse, in un tono
piuttosto irritato,
che io non capii.
«No,
semplicemente non voglio che mi stia appiccicata.»
«Eppure non
sembra.» Continuò, imperterrita.
Non capivo il
perché di tutto quell’accanimento. Lo sapeva
benissimo che non volevo avere
relazioni e che di Amy me ne fregava meno di zero. Rimasi un attimo in
silenzio
per cercare di capire dove voleva arrivare.
«Dom ieri sera
si è lasciato scappare con Lola che ieri pomeriggio eri con
lei.» Disse, come
infastidita. «Ammettilo che c’è del
tenero.»
«Se avermi
fatto un pompino preclude avere una relazione, allora sì,
c’è del tenero.» Dissi,
con gli occhi puntati sulla strada, mantenendo un tono tranquillo, ma
piuttosto
sarcastico. Un pompino, poi, durante il quale avevo pensato a
lei… Sì, ero
proprio innamorato di Amy. Innamorato perso.
Gwen non disse più nulla. Se avessi saputo sin
dall’inizio che voleva farmi
l’interrogatorio su Amy, non l’avrei di certo
convinta a continuare la
conversazione.
All’improvviso
fummo distratti dalla vibrazione del mio telefono, che era appoggiato
nel
portaoggetti vicino al cambio. Lo sguardo di entrambi cadde
immediatamente
sullo schermo illuminato. Non ci credevo. Sembrava uno scherzo. Un
messaggio di
Amy. Non feci in tempo ad allungare la mano per afferrare il telefono
che ci
aveva già pensato Gwen.
«Beccato!» Gracchiò, soddisfatta.
«Mollalo!»
Sbottai, cercando comunque di mantenere un tono basso per non svegliare
gli
altri due. «Gwen, mi incazzo.»
Lei non mi degnò di un minimo di attenzione e si mise a
leggere il messaggio ad
alta voce, imitando la voce di Amy.
«Se vi fermate con noi al prossimo
autogrill,
io e te possiamo fare una puntatina in bagno.» Cantilenò, terminando il
tutto con un finto conato di vomito.
Io la guardai
per un attimo. «Contenta?» Chiesi.
Di certo non aveva avuto soddisfazione leggendo qualcosa di sdolcinato,
ma
tutt’altro. Ora poteva averne la conferma anche lei:
l’unica cosa che legava me
e Amanda era il sesso, punto.
«Quella ragazza
brama la tua attenzione e tu non lo capisci.» Disse seria,
rimettendo il
telefono al suo posto.
«Lo so
benissimo, ma non mi interessa.»
«Fa di tutto
per piacerti.»
«Ripeto. Lo
so.»
«Pensi che
riuscirai mai a volere qualcosa di più del sesso da una
persona?» Mi chiese
poi, a bruciapelo, quando mi aspettavo di tutto tranne che una domanda
così.
Esitai,
semplicemente perché non sapevo cosa rispondere: era proprio
quello che stavo
cercando di capire in quei giorni. Se avessi davvero voluto essere
sincero,
avrei dovuto dirle che era proprio lei che mi stava facendo riflettere
su
quella questione, avendo risvegliato in me emozioni che non credevo
nemmeno di
riuscire a provare, ma – ovviamente – non era mia
intenzione farle sapere
quello che mi passava veramente per la testa.
«Può essere.»
Dissi, allora, restando sul vago.
«Questa
risposta è già un gran passo avanti.»
Ridacchiò.
Quella piccola risata mi fece tranquillizzare un po’. Forse
l’interrogatorio
stava prendendo una piega più scherzosa o, perlomeno, lo
speravo vivamente.
«Prima o poi
maturerò.» Aggiunsi, accennando un sorriso.
«Non perdiamo
le speranze, Bellamy, non perdiamo le speranze.» Disse,
dandomi due pacchette
sulla gamba destra.
«Senti, fammi
un favore.» Le dissi, poi. «Rispondi ad Amy che non
ci fermiamo.»
Con la coda
dell’occhio vidi sue labbra distendersi in un piccolo
sorriso, mentre scriveva
il messaggio. Era contenta di non doversi fermare e vedere Jessie o che
io non
volessi incontrarmi – in bagno – con Amy? Possibile
che quell’irritazione che
avevo notato prima nella sua voce fosse in realtà un
po’ di gelosia? Decisi di
fare finta di nulla. Ora che si era rotto il ghiaccio non volevo
rovinare tutto
con qualche battuta stupida o essere io a fare
l’interrogatorio.
Così finimmo
per parlare del più e del meno, di quando lei sarebbe
tornata in università, di
quando si sarebbe laureata - ebbe anche il coraggio di chiedermi se
sarei
andato a vederla, quando sapeva benissimo che la risposta era ovvia -,
infine ci
ritrovammo a ricordare episodi della nostra infanzia e adolescenza e
ridemmo un
sacco. Mi venne anche in mente quella volta che, a diciotto anni, sua
sorella
Nina, più grande di noi di cinque, aveva cercato di portarmi
a letto dopo la
festa di compleanno di Gwen, ma io, nonostante non fossi poi
così sobrio, avevo
rifiutato. Dopotutto era la sorella di Gwen ed eravamo lì
per festeggiare il
suo diciottesimo. Dopo averlo ricordato anche a Gwen, tra una mia
risata e
l’altra, e non aver ricevuto nessuna risposta mi voltai a
guardarla per
controllare che fosse tutto okay. Decisamente non sembrava esserlo. La
sua
espressione emanava rabbia e confusione.
«Beh?»
Domandai.
«Beh?!» Disse
lei, sgranando gli occhi. «Volevi scoparti mia
sorella?!» Stridette, irritata.
Scoppiai a ridere.
«Veramente era lei che voleva scopare me.»
Puntualizzai, ridendo.
«E non ridere,
brutto scemo!» Urlò, dandomi una sberla sul
braccio e trattenendo una risata.
«Guarda che
svegli Dom e Lola!» Dissi.
«Non mi
interessa, stavi per scoparti Nina!»
«Ah, me la
ricordo questa storia…» Intervenne Dom,
sbadigliando.
«Ecco, hai
visto? Li hai svegliati.»
«Cosa ne sai
tu?» Chiese Gwen, voltandosi verso il biondo, che
sobbalzò preso alla
sprovvista.
Io gli lanciai
un’occhiata divertita dallo specchietto retrovisore.
«Ehm, niente…
Solo che Nina non vedeva l’ora di farsi un
diciottenne.» Ridacchiò e io con
lui.
«Cretini, siete
due cretini.» Commentava Gwen. «Io non ci credo.
Come facevo a non saperlo?
Quindi non è successo nulla? Me lo
giuri?» Sparava una domanda dietro
l’altra, preoccupata.
«Ci siamo solo
baciati, niente di più.» Affermai.
«Tranquilla.»
«E non me
l’avete mai detto, stronzi! Tu e lei, tutti e due.»
«Perché
sapevamo che avresti reagito così.»
Lei sbuffò. Io
risi. Lei mi diede una gomitata.
«Gelosona.»
Sussurrai divertito e un’altra gomitata mi colpì.
Un’ora
dopo,
avevamo appena finito di pranzare alla tavola calda: Dom e Lola erano
andati in
una gelateria poco più avanti a fare i piccioncini, io e
Gwen li stavamo
aspettando nel parcheggio vicino all’auto. Tirai fuori dai
jeans il pacchetto
di sigarette e ne estrassi una.
«Posso?» Disse Gwen,
con un sorriso.
«Certo.» Risposi
e le passai quella che avevo appena preso.
Non fumava spesso, non era un vizio come il mio, lo faceva ogni tanto
per la
compagnia.
«Me l’accendi
tu?» Chiese, mentre si appoggiava al cofano della macchina.
Annuii, presi lo
zippo che avevo in tasca e mi avvicinai per accenderle la sigaretta che
teneva
tra le labbra. La sentii mormorare un “grazie” e,
prima di accendere la mia, la
guardai fare il primo tiro, chiudere un attimo gli occhi e buttare
fuori il
fumo. Era davvero molto tempo che non la vedevo farlo ed in quel
momento la
trovai di un eleganza spaventosa, di un erotismo che sfiorava i limiti
del
possibile, ma forse… forse ero solo io che ormai ero fin
troppo confuso da
quello che provavo. Fortunatamente mi accorsi di essermi incantato
sulla sua
bocca prima che lo facesse lei e distolsi lo sguardo. La situazione
stava
peggiorando sempre di più.
«Stasera fai
qualcosa?» Mi domandò, soffiandomi il
fumo in faccia.
«Veramente non
lo so ancora.» Fui sincero.
Forse avrei dovuto passare da mia madre e cenare con lei,
obiettivamente la
vedevo pochissimo, ma era una mia scelta. Da quando avevo iniziato a
lavorare,
ormai da circa un anno, vivevo da solo in un appartamento non lontano
dalla mia
vecchia casa, nonostante ciò non avevo mai voglia di
tornarci per vedere mia
madre e quel coglione di Bill, il suo nuovo compagno. Mio padre era
morto un
paio di anni prima per un cancro allo stomaco e mia madre si era presto
consolata
trovando un rimpiazzo che di certo non era degno né di lui
né di lei. Bill era un
uomo
insulso, stupido, scansafatiche e io non lo sopportavo; più
cercavo di capire
come mia madre avesse potuto innamorarsi di un essere del genere, dopo
essere
stata per venticinque anni con un uomo splendido come mio padre, e
più mi
passava la voglia di andare a trovarla. La chiamavo, certo, ma entrare
in
quella casa era un incubo, perciò evitavo di farlo.
«Forse chiamerò
mia madre per dirle che ceno da lei, ma ancora non ne sono
sicuro.» Aggiunsi,
guardando per terra.
«Vacci, Matt.»
Disse Gwen, in un tono dolce. «Tua mamma ha bisogno di
vederti più spesso di
quanto tu creda.»
«Vedrò.» Risposi,
dando un’alzata di spalle.
Rimanemmo in
silenzio per un po’, io la guardai ancora mentre lei fissava
il cielo. D’un
tratto si avvicinò un po’ a me e mi diede una
leggera spinta con la spalla.
«E se, dopo
aver cenato con Valerie, venissi a vedere un film da me?»
Disse e mi sorrise,
guardandomi dritto negli occhi.
Panico.
Io, che mi
vantavo di avere sempre la situazione in mano e di saper affrontare
tutto
quello che mi si presentava davanti con calma e sangue freddo, in quel
momento,
ero davvero in panico. E per di più, per una domanda cretina
e, probabilmente, anche
innocente.
Non sapevo cosa
risponderle. Saremmo stati io e lei da soli? Magari in camera sua? Al
buio? No,
non era sicuramente il modo giusto per cercare di togliermi dalla testa
le
strane voglie di quei giorni. Avrei dovuto rifiutare, anche se con
dispiacere.
«Non saprei…
Forse dovrei riposarmi un po’, sai, il
viaggio…» Iniziai a dire, mantenendomi
sul vago. «Poi domani sera sono di turno al pub.»
Aggiunsi.
«Oh.» Fece lei,
delusa.
Il senso di colpa si fece subito sentire a livello della bocca dello
stomaco,
così le lanciai un’occhiata dispiaciuta alla quale
rispose con un piccolo
sorriso. Aveva un musino che mi faceva davvero impazzire.
«Però magari
vengo, okay?» Dissi poi, senza pensarci e mi venne subito
voglia di mordermi la
lingua.
Lei buttò a
terra la sigaretta e mi strinse in un abbraccio.
«Ci conto.» Mi
sussurrò vicino all’orecchio.
Merda, pensai io, guai in vista.
L’ultima
ora e
mezza di viaggio la passai seduto sul sedile posteriore in una specie
di
dormiveglia – in cui riuscii comunque a torturarmi pensando a
cosa avrei dovuto
fare più tardi –, con la testa di Gwen sulle
ginocchia e un braccio attorno
alla sua vita. Ero spacciato.
Ma saaaalve!
Capitolo leggermente più lungo del solito, ma spero che sia
stato comunque apprezzato :)
Volevo, come sempre, ringraziare tutti quelli che seguono, che hanno
preferito e anche ricordato; un grazie ancora più grande a
coloro che recensiscono facendomi superfelice!
Aspetto qualche nuovo commento.
A presto, baci.