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Autore: Ayduin    15/09/2016    1 recensioni
I Draghi si sono ormai estinti e con essi la loro Dinastia, di cui Veer e suo figlio Arian sono gli unici eredi ancora in vita. Pensavano di aver trovato rifugio da se stessi, dalla propria identità, una volta dispersi nel globo terrestre, lontani dai giochi di potere, inganno e passione che si sono sempre svolti nei retroscena di corte. Eppure la Shàkbara non si è estinta, l'antica energia dell'universo li reclama, la loro stessa terra d'origine pare attrarli a sè con un legame indissolubile, e quando un giorno Vissia entra in contatto con essa per errore, non avranno altra scelta se non quella di affrontare un passato più presente che mai. Ma dietro le apparenze maggiormente innocue si celano grandi segreti e non sarà sufficiente essere abili nella guerra, scaltri nelle azioni e fedeli ai propri ideali per sopravvivere. Una tempesta si sta addensando grave e nera sul cuore di ciascuno, e nessuno è così fortunato da esserne al sicuro.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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« Il tuo Drago. » era rimasta in silenzio fino a quel momento. Non aveva parlato, non ci era riuscita, nemmeno quando il leggendario animale aveva offerto le proprie ali come appoggio per giungere sul suo dorso. Aveva goduto dell'innaturalezza della situazione per sentirsi più viva, come se a provare quell'esperienza non fosse lei in persona ma un alter ego più fortunato, a cui era concessa la possibilità di vivere nelle fiabe che tanto ammirava. La sua lingua l'aveva tenuta a freno anche mentre il Drago si era apprestato ad iniziare il proprio volo, solcando l'aria fino a raggiungere un'altezza spropositatamente elevata di cui Vissia aveva preso coscienza solo alle prime luci dell'alba, allora si era fatto strada tra le sue corde vocali un gorgoglio di esaltato terrore, esattamente come quando stai per fare qualcosa di dannatamente incosciente ma lo fai in ogni caso perchè è quel gesto che ti ricorda il significato della parola vita, poi però più niente, era ricaduta nel suo inconsueto mutismo atto ad usufruire dell'istante prima che svanisca. Ma esso cadde, similmente ad un muro nella morsa di un terremoto, allorché Veer si avvicinò a lei per la prima volta dopo la pessima esperienza della notte precedente. Sapeva muoversi come un funambolo sulla schiena di Brea, abile e ben equilibrato la attraversava dalla testa alla coda senza esitazione, seppur il volo fosse tutt'altro che imperturbabile, lui lo rimaneva, saldo come in terra. Vissia aveva provato ad alzarsi e subito l'idea iniziale aveva ceduto il posto all'immagine di lei che scivolava dalla groppa dell'animale e si schiantava al suolo dopo chilometri di caduta libera, dunque si era aggrappata ancora più saldamente alle enormi scaglie sporgenti della schiena, abbandonando definitivamente il proposito di muoversi. Persino Arian, con la sua tenera età, si era dimostrato più abile di lei, riuscendo a ricavare un giaciglio nei pressi del monumentale capo della bestia, dove il corpo si faceva più liscio e piano, lì aveva dolcemente dormito per parecchie ore con l'invidia della ragazza.
« Ti devo delle spiegazioni. » le parole di Veer giunsero dal nulla e destabilizzarono Vissia a tal punto che mollò quasi del tutto la presa sul Drago. Le mani che le dolevano per essere state chiuse attorno alla punta aguzza troppo a lungo.
« Era ora. » non volle dar a vedere quanto fosse soddisfatta di quella frase, non aspettava altro che chiudere un po' di questioni ancora aperte, alcune totalmente spalancate. Conosceva a stento Veer, i loro occhi si erano incrociati più volte a causa dell'amicizia che scorreva tra Arian e Bastian ma non avevano mai davvero parlato prima, se non il giorno stesso dello strano accaduto. A Vissia parve lontano interi decenni anche se, in realtà, era stato solo poche ore prima.
« Dove siamo? Come facciamo ad essere qui? E perchè conosci già questo posto? » l'ultima era la domanda a cui più fremeva per ottenere risposta, considerare Veer qualcuno di fuori dal comune le dava un senso di curiosità inesprimibile, una speranza che ci fosse dell'altro oltre l'opprimente velo di quotidianità in cui era costretta a sopravvivere. Il ragazzo si sedette, come a far intendere che sarebbe stato un lungo e tortuoso discorso che richiedeva comodità e rivolse alla sua interlocutrice uno sguardo raggelante, era pronto a riversare su di lei l'inverno che tempo addietro era calato nel suo animo e di cui gli occhi azzurro ghiaccio facevano da custodi. Due pietre preziose e lucenti, pensò Vissia con una punta di gelosia, li avesse avuti lei così, ed invece si ritrovava due palle color marrone fango che non affascinavano nessuno.
« Oserei dire di partire dal principio. » cominciò, arginando il flusso inappropriato dei suoi pensieri « Veer non è il mio nome, non completo, mi sembra giusto dirtelo dato che ci troviamo in questa confusione insieme. Dhoveerdhan, mi chiamo Dhoveerdhan Algethy, legittimo Rekkar di Igniphetra ed ultimo discendente puro della Dinastia dei Draghi insieme a mio figlio. Ho abbandonato la mia terra per salvare Arian dopo lo sterminio della mia stessa famiglia, un uomo timorato dei Grandi Sapienti ha concesso a noi di entrare nel tuo mondo, chiudendo qualsiasi comunicazione con la mia terra di origine per proteggerci. Il suo sigillo, la serratura che non si sarebbe mai più dovuta aprire, era la stanza in cui tuo fratello è entrato, non voglio sapere come ci sia riuscito perchè era chiusa a chiave da anni e non era mai stata aperta, ma quel che è fatto è fatto. La chiave per aprire la serratura doveva essere però quella esatta, Bastian non lo era e così sarebbe dovuto anche essere per te, per questo ti ho mandato lì dentro a recuperarlo. Se fossimo entrati io o Arian, il sigillo si sarebbe aperto perchè il nostro mondo chiama a sé chi ne fa parte. Evidentemente ti ho considerata una banale mortale ed ho sbagliato perchè tu lo hai aperto ed ora siamo qui. Tocca a te spiegarmi chi sei, perchè io dubito di saperlo. » parlò tutto d'un fiato e dopo aver concluso le fece un cenno con la mano per esortare a divulgare anche lei qualche informazione a lui. Vissia attese che il suo cervello elaborasse ciò che aveva percepito, sforzandosi di non scivolare in una crisi isterica. Era tutto così assurdo, così completamente sbagliato dal suo punto di vista che le pareva di star sognando e per un secondo, solo per un secondo, temette che fosse tutto finto e presto si sarebbe svegliata. La mano di Veer che la richiamava alla realtà però era così reale da invitarla a credergli, dopotutto perchè sprecare energia nel chiedersi se si trattasse di un sogno, quando poteva esserne parte?
« Non ho niente di speciale, credimi. Vorrei solo capire perchè sono qui e come fare a tornare. Mia madre e Bastian si staranno preoccupando tantissimo. » vide Veer sovrappensiero, i lunghi e corvini capelli che dondolavano nell'aria e gli occhi vaganti su un'alba che era sorta silenziosa, dischiudendo le proprie meraviglie poco alla volta. Adesso abbassando lo sguardo si potevano scorgere le immense pianure verdeggianti su cui Brea stava sorvolando, interrotte da pochi, piccoli e distanti borghi abitati che s'intonavano all'armonia della natura incontaminata. La mano dell'uomo moderno non doveva essere passata a rivangare quella terra squisitamente selvaggia.
« Non posso portarti indietro, Vissia. Non ho questa capacità, mi dispiace ma non faccio parte del culto dei Grandi Sapienti, non so comandare la Shàkbara. Tu e Bastian siete fratelli di sangue? » l'ultima domanda mandò in secondo piano tutte quelle che ascoltando le parole precedenti Vissia aveva cominciato ad elaborare. Non si spiegava il motivo per cui porle proprio una questione del genere, una così delicata questione gettata in un discorso come qualunque altra di ben più leggera portata. Si chiuse in se stessa, costruendo un fortino di indifferenza attorno a sé, come se quella fosse stata in grado di proteggerla sul serio da ciò che stava per rivelare.
« No. E' il figlio del secondo marito di mia madre. » ammise, turbata dall'averlo detto ad alta voce. Considerava Bastian come un fratello, non un fratellastro acquisito, erano cresciuti insieme, nonostante lei avesse il doppio dei suoi anni, e poi non si era mai posta il problema di non condividere affatto la sua stessa linea di sangue. Nel suo cuore non contava quell'insulso particolare, ciò che importava erano i sentimenti che lei nutriva nei suoi confronti, puri e sinceri. Veer sembrò intuire i turbamenti della ragazza, le sorrise senza un motivo preciso, quasi volesse ritirare quanto chiesto, e si alzò per andare verso Arian a svegliarlo. Lei rimase sola con i propri pensieri e tentò vanamente di liberarsene immergendo la vista nel cielo aranciato costellato di punti luminescenti, ombra delle stelle della notte ormai trascorsa. Guardò in basso, superando la paura dell'altezza che da quando aveva ricordo si era impossessata di lei e scorse i prati diradarsi in un terreno roccioso, impervio, fatto di montagne relativamente basse ma di un'asprezza inusuale. Davano l'impressione di bucare l'aria con le loro punte a cono, talvolta ricoperte di un sottile strato di neve talvolta interamente spoglie, senza nemmeno un arbusto. Si sporse ancora di più, per guardare sotto la pancia di Brea e oltre le sue scaglie azzurrate che sfumavano in toni di nero pece. Vide le zampe anteriori, piegate di poco verso il ventre, con artigli grandi come un suo braccio a squarciare l'atmosfera: era un essere maestoso, possente. Aveva tutto l'aspetto di appartenere ad una personalità come quella di Veer, regale e misurata, affascinante e misteriosa allo stesso tempo. Non fu abbastanza però per farle dimenticare il doloroso ciottolo che aveva smosso la superficie ingannevolmente pacata del suo animo. Le onde che si propagavano sul pelo dell'acqua smuovevano il fondale sotto cui si erano nascosti anni di sofferenze celate. Il divorzio era sopraggiunto all'improvviso, quando aveva poco più di nove anni, da un giorno all'altro si era trovata a dover convivere con l'essere scambiata come merce tra sua madre e suo padre. Almeno finché non si era trasferita con lei abbastanza lontano da non permettere ai traslochi di continuare, da quel giorno i contatti con l'altro suo genitore erano andati sfumando fino a ridursi a sterili auguri per le varie festività mentre sua madre in poco tempo aveva avuto la fortuna di trovare l'uomo con il quale volesse nuovamente condividere la sua vita. Non si era data disturbo nel chiederle cosa ne pensasse, il parere di una bambina poteva contare poco nulla sulle scelte di un'adulta, e dunque Vissia aveva undici anni quando inaspettatamente in casa sua apparve quell'uomo ed un fagotto grande poco più di una mano, figlio della prima moglie del nuovo patrigno. Nonostante non se l'aspettasse un così brusco cambiamento, dall'istante in cui vide Bastian iniziò a considerarlo come un fratello, un dono prezioso concessole per sopperire alle mancanze passate e non aveva mai sentito l'esigenza di analizzare il fatto di avere genitori diversi. Doverci fare i conti in groppa ad una leggenda per bambini, dopo aver appreso che il genitore del migliore amico di Bastian non era chi avesse creduto che fosse e che ora lei stesse navigando l'aria di chissà quale mondo lontano dal suo, si era rivelato più complicato del normale. Le aveva tolto la speranza di potersi abbandonare liberamente al prodigioso fluire degli eventi, anche nell'assurdità più totale la realtà rimaneva un fardello ineliminabile ad appesantirle il cuore. Fece un tentativo di alzarsi sulle proprie gambe per lasciare che il sangue potesse fluirle in corpo e far cessare il fastidioso formicolio che si era appropriato dei suoi arti inferiori, ma ancora una volta si lasciò stritolare dalla morsa della paura e tornò a cavalcioni attorno la scaglia appuntita, sbuffando ostinata a voler superare la propria maldestria. Vide Veer guardarla e seppur lontano i suoi occhi risplendevano di una risata velata, al suo fianco Arian si era svegliato, alzando le mani al cielo per far uscire dal torpore del sonno non solo il corpo ma anche la mente. Adesso era anche lui in piedi, meno sicuro nella postura del padre solo a causa della tenera età che non gli aveva ancora fornito l'esperienza adatta ad eguagliarlo ed in Vissia crebbe il desiderio di vedere il panorama sui propri piedi. Dopo una terza prova andata a vuoto, però, si era stancata. Brea sembrava quasi che sobbalzasse nel preciso istante in cui lei si immetteva nella manovra di un nuovo tentativo e questo le rendeva il tutto assai più difficile. Infine vide un palmo tendersi nella sua direzione e seguendo la linea del braccio giunse al volto di Veer, impassibile almeno al primo sguardo.
« Se vuoi alzarti davvero, credo sia opportuno che tu l'afferri. » disse, rivolgendo un cenno alla mano. Titubante, la ragazza accettò l'offerta e nel momento in cui la propria pelle incontrò quella di Veer tante piccole scosse si dilatarono fino alla spina dorsale, provocandole un brivido. Non l'aveva mai toccato, non pelle contro pelle almeno, ed il ghiaccio delle sue iridi si rivelò detenere il possesso dell'intero corpo. La mise in piedi, con una forza che Vissia non pensava potesse avere una corporatura sostanzialmente fatta di ossa e niente muscoli, e trovarsi spalla contro spalla con Veer la fece sentire bassa e rozza, la schiena piegata dalla stanchezza ed i capelli giallognoli sporchi ed annodati che tanto discostavano dalla postura eretta e fiera di lui ed il capo avvolto in una chioma di seta nera. Lui non lasciò la presa su di lei fin quando non furono vicino ad Arian, la testa di Brea che alitava sotto di loro.
« Non manca molto ad arrivare. » la rassicurò Veer, vedendola strabuzzare gli occhi dal terrore di infastidire il Drago « E lei è abituata al volo in compagnia. Oserei dire che le garba. » si abbassò per toccare le scaglie meno taglienti della nuca e l'animale si mosse in segno di approvazione quel tanto che bastò a far ritornare Vissia seduta. In una nuova e più propizia posizione, certo, ma non come avrebbe voluto. Arian le si sedette vicino, la bocca tirata in un sorriso che scopriva persino i denti. Strano, a Bastian mancavano entrambi i denti davanti perchè si stava finalmente avviando ad ottenere quelli definitivi e negli ultimi mesi non aveva fatto altro che perderne uno dopo l'altro, ad Arian sembrava che la cosa non l'avesse sfiorato, seppur avesse l'età di suo fratello.
« Dove siamo diretti? » chiese, conscia che una risposta sarebbe stata uguale all'altra.
« Terre dell'Ostro, Menastir. » parlò Veer, guardando avanti, verso le nubi sulle quali la tinta aranciata non sembrava ulteriormente sortire alcun risultato. Stavano diventando sempre più bianche e sottili, scoprendo il cielo azzurro come un fiordaliso che pareva ricordar loro da quanto tempo fossero sulla schiena di Brea. Non faceva caldo nonostante la serenità del clima, Vissia riusciva quasi ad avere freddo nei momenti in cui si concentrava sul proprio corpo. Doveva essere appena iniziata la primavera in quei luoghi.
« Andiamo dai Fenrir! » esultò Arian, allargando ancora di più, se possibile, il sorriso.
« Fenrir. »
« Lupi. Di proporzioni mediamente assai più grandi dei comuni lupi che conosci ma ugualmente intelligenti. » fu Veer a risponderle, non dando tempo al figlio di spiegarsi « La vita in queste terre, Vissia, è differente. Chi e cosa le abita, è differente. Devi accettarlo fintanto che vi rimarrai. » parlò lapidario, l'intento velato dietro a quel tono era stato più palese di quanto non avesse voluto. Non farsi più tante domande ed accogliere i fatti per ciò che erano, non avrebbe potuto cambiarli in nessun caso. La stava forse addirittura invitando ad abbandonare la propria renitenza per farsi travolgere dalla diversità, accettarla come un dono e non un problema.
« Stiamo andando da dei lupi. » la voce le si era strozzata prima che la propria affermazione si tramutasse in questione. Non voleva contraddire Veer, né tantomeno mettere in discussione quel che le spiegasse, ma provava l'impellente necessità di avere tutto sotto controllo piuttosto che ripiegare in una passiva accettazione del futuro. L'aveva fatto per troppo tempo.
« No, stiamo andando dalla nobile Dinastia dei Fenrir. Esistono altre nove Dinastie oltre la mia, ognuna indissolubilmente legata ad un animale. Comunemente ci si riferisce ad esse con il solo nome di quest'ultimo. » alzò le spalle, per lui si parlava di gergo banale che persino un analfabeta avrebbe compreso e la scarsa empatia verso la vita altrui non giovava nel rendergli più semplice il compito di comprendere la curiosità di Vissia. Gli risultava genuinamente incomprensibile il suo atteggiamento seppur fosse a conoscenza che lei, delle Terre Comuni, non aveva saputo effettivamente niente prima della sera trascorsa.
« Nove? E quali sono? » le si illuminarono gli occhi di meravigliato interesse e fu Arian alla fine a prendere la parola, per iniziare un elenco che le sarebbe parso puro incanto se solo non fosse stato interrotto dall'annuncio di Veer: erano arrivati. Rivolse l'attenzione verso il basso per riuscire a vedere dove i suoi piedi avrebbero poggiato ed il fiato le si gelò in gola. Menastir era colossale e leggendaria quanto le sue mura, un freddo abbraccio di pietra che sottraeva spazio in cielo agli dei con la propria altezza. Aveva conquistato il primato di unica città inviolata, titolo che a lungo aveva dovuto contendersi con Igniphetra, la sacra capitale delle Terre del Focolare, ora tramutatasi in un fiorente covo di impurità. Lei invece rimaneva salda e boriosa sull'unico roccione al centro dell'immensa gola scavata dalle cascate che stroncavano il lungo corso del Fiume Rosso, nome conferitogli dalla tinta dei profumati fiori di Cidonia, dono delle piante rampicanti che ricoprivano gli speroni rocciosi dell'intero precipizio. Non c'era opportunità di penetrare senza permesso nella cinta muraria, un lungo ponte a dorso d'asino era il solo collegamento da una sponda all'altra, con un'estremità situata nei pressi dell'unico cancello d'ingresso, veniva costantemente sorvegliato da uomini scelti tra i più leali dal re stesso ed abili sia nello scontro corpo a corpo che in quello a distanza. La selezione per permettere l'accesso era spietata, pochi entravano ed ancora meno uscivano, consapevoli che il rientro non sarebbe stato agevolato dalla loro posizione iniziale. Tutt'intorno al fulcro della città si estendevano a dismisura abitazioni e piazze, strade e botteghe, un borgo che da lontano poteva essere scambiato per una fiorente e vivace cittadina di ricchi mercanti indaffarati nei loro affari. Il movimento, dall'alto della posizione di Vissia, era la caratteristica che catturava immediatamente lo sguardo. Si muovevano gli uomini come una colonia di formiche intente a procacciarsi il necessario, senza sosta, animando ogni angolo in cui la vista si poggiasse, ed i colori, i colori tinteggiavano quel movimento, rendendolo ancora più vivo. Prevalevano i toni della terra, come il rosso, il marrone ed il verde, ma scrutando attentamente emergevano anche il giallo, il viola e l'arancione, un arcobaleno pareva aver baciato le vie di quel luogo. La ragazza fremette, estasiata dall'idea di entrare a far parte di un tale mondo.
« Visto da vicino non è così ammaliante. » Veer aveva fatto spostare Arian per prendere il suo posto senza che lei se ne accorgesse, troppo conquistata dallo spettacolo che si stava svolgendo sotto di loro. Non prestò molta cura alle parole del ragazzo, l'immaginazione che, dopotutto, era riuscita a prendere il sopravvento sulla ragione e di questo Veer non se ne rammaricò più di molto, anche se Menastir non era propriamente una città in cui augurarsi di vivere. Da anni il popolo moriva di stenti, il lavoro nei campi era improduttivo e la terra sembrava sempre più sterile e maledetta da un gelo ostinato. La carestia si era fatta sentire, la povertà frustava la schiena di tutti coloro che non facevano parte della ristretta cerchia di corte, costringendoli a piegare la testa al cospetto della morte, ad invocarla come unica salvezza da un inferno di sofferenze fisiche. A più riprese si erano generati focolai di rivolta, la monarchia aveva subìto minacce svariate volte ma mai erano state così vigorose da non riuscire a sedarle nel sangue di pochi uomini dall'animo più ardito degli altri. E nelle ultime settimane, realizzò Veer, con l'avvicinarsi della Sékdora, dovevano essere svanite del tutto, perché nessuno osava contrastare la potenza del regno, mettendo in pericolo la propria vita, per ritrovarsi poi a dare piacere ai ranghi più elevati in una celebrazione macchiata di sacrifici. Il popolino in quei mesi preferiva sottomettersi, come era giusto che fosse.
« Scendiamo. » disse Veer, rivolto a qualcuno d'indefinito, probabilmente a Brea, perchè iniziò ad abbassarsi a livello dei tetti più elevati, intenta a trovare uno spiazzo grande a sufficienza per contenere la sua mole e permetterle di tornare a terra. « Dentro le mura. Il nostro arrivo è già stato annunciato. Inutile nasconderlo. » la voce si era fatta cupa, gutturale, quasi le parole gli raschiassero la gola prima di uscire. Vissia tornò in sé, iniziando a dubitare che i suoi occhi non l'avessero ingannata mostrandole una verità dolce quanto falsa, che Veer al contrario sembrava ben conoscere. La guardò distrattamente « Stai attenta, osserva ciò che pensi di vedere d'ora in avanti. » le sussurrò per poi tornare a curarsi di dove il Drago si stesse avvicinando.
   
 
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