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Autore: Rose Wilson    16/09/2016    3 recensioni
Ormai da tempo, la City ha conquistato l'America, distruggendo le insulse città e metropoli e devastando la vegetazione. Il motivo? Il Progresso, ovvio.
L'America è adesso priva di regioni o stati; ricoperta totalmente di cemento, è diventata un'unica enorme città, la City, che ora si appresta a invadere il resto del mondo e a portare il Progresso ovunque.
Col tempo però, un gruppo di ribelli terroristi ha fondato la Lega Anti-Progresso, votata a ostacolare i nobili progetti del Sindaco, la massima autorità della City.
Non si conosce l'identità del capo della Lega, ma senz'altro si conosce il suo agente migliore: l'esperimento 929, una ragazza con un passato ancor più oscuro del mantello che indossa…
Ora, è nelle mani della City. Ma nessuno, neppure lei, sa che le cose stanno per cambiare per sempre.
Genere: Angst, Dark, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Raven, Red X, Slade, Terra, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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~CITY~
























 








 





CAPITOLO 3












NOTTI INSONNI


 
Tara si rigirò nel letto, scalciando le lenzuola a terra. Aveva le palpebre serrate e le tremava il labbro, mentre le sue mani si aprivano e si richiudevano nel sonno. Rivoli di sudore le incollavano le ciocche di capelli alla fronte e al collo, infilandosi sotto la maglietta e rendendole la schiena appiccicosa.

«No... via, lasciami in pace...» mugugnò, mentre l'incubo che la tormentava ormai da anni le scorreva dinanzi agli occhi chiusi.

Tara era orfana. I suoi genitori erano morti qualche anno dopo la sua nascita, troppo pochi perché lei li potesse ricordare. Non le avevano mai rivelato la causa del decesso e, da quando ne aveva memoria, almeno una volta al mese, lo stesso orribile incubo la perseguitava.


Era bassa nel sonno, non doveva aver più di una decina d'anni. Vestiva di un abito verde e oro, così bello da farla sembrare una principessa. Stava correndo in un lungo corridoio bianco e spoglio, che pareva non avere fine.
Non ricordava nulla, non sapeva nulla, sapeva solo che doveva correre, doveva sbrigarsi o qualcosa di terribile sarebbe accaduto. Udiva voci in lontananza che la chiamavano, ma non riusciva mai a raggiungerle. Non aveva idea di come facesse a saperlo, ma era sicura si trattassero delle voci dei suoi genitori.

«Mamma! Papà!» gridò a pieni polmoni, ma dalle sue labbra non uscì suono.

All'improvviso il regale vestito si tramutò in sangue, che le macchiò la pelle e gliela bruciò come fosse acido. Il candido corridoio si tinse di nero, finché la piccola Tara si ritrovò a vagare nei gelidi corridoi della City. Le gambe le cedettero senza alcun preavviso e si ritrovò in ginocchio. Al posto dell'abito, indossava adesso la divisa degli Apprendisti sporca di rosso.

Le voci lontane si fecero di colpo disperate, finché un agghiacciante urlo femminile di terrore e sofferenza spense con sè ogni suono.
Un'ultima frase, flebile come la voce di un morente le giunse alle orecchie.

«
Tu non appartieni a questo luogo, Tara Markov»


La ragazza si svegliò di colpo, ansante e fradicia di sudore. Riuscì a fatica a trattenere il grido di panico che le aveva raggiunto le labbra e stava quasi per abbandonarle. Si accasciò sul letto, mentre calde lacrime le sgorgavano dagli occhi azzurri e le rigavano le guance.

Rimase così per un po', lasciando il tempo necessario al suo cuore perché la smettesse di scalpitare impazzito all'interno della cassa toracica, poi, in silenzio, si alzò dalla branda. Si infilò la prima cosa che trovò da mettersi e le scarpe, queste ultime abbandonate in malo modo sotto al letto, poi si diresse, attenta a non svegliare nessuna delle sue compagne, verso l'uscita del dormitorio.

Nonostante fosse buio non ebbe problemi a ritrovare la strada, dato che ormai la conosceva a memoria. Percorse una decina circa di corridoi, prese l'ascensore fino al piano più alto, attraversò un paio di sale e la trovò: una minuscola porticina, alta sì e no poco più di un metro, senza serratura né maniglia. La ragazza la spinse piano, trovandola come al solito aperta, e vi si infilò dentro.

China per non sbattere la testa, che comunque sfiorava il soffitto, salì la breve scalinata che si trovava a pochi passi dall'entrata, poi, ritrovatasi davanti una seconda porta, la tirò.

Venne investita da una brezza gelida, che le provocò un brivido lungo la schiena. Il cielo, nero come l'inchiostro, si apriva sopra di lei.

 
~~~
 
Dick non riusciva a dormire quella notte. Si rigirò per l'ennesima volta nella branda, senza che il sonno lo raggiungesse. Nervoso, si alzò e, indossata l'armatura e la maschera che celava i suoi occhi al resto del mondo, abbandonò la stanza.

Non aveva dimenticato l'incontro con il Sindaco, avvenuto poche ore prima. E come avrebbe potuto? Il motivo era sempre lo stesso: bisognava assolutamente scoprire al più presto l'ubicazione della base dei ribelli, così da poter sferrare un attacco prima che quei dannati terroristi dessero inizio a una guerra.

Nonostante le torture, però, la prigioniera si rifiutava di parlare, e la colpa ricadeva naturalmente su di lui.
Si passò una mano sul volto, frustrato. Se questo non fosse stato già abbastanza, l'esperimento 929 aveva uno strano effetto su di lui. Ogni volta che chiudeva gli occhi, rivedeva le gelide ametiste della prigioniera, ogni volta risentiva le sue grida di dolore in pieno contrasto con la sua voce, atona e cupa, ogni volta risentiva una sconosciuta quanto dolorosa stretta al cuore.

E non può fare a meno di notare quanto l'esperimento somigli a...

Il ragazzo scacciò quei pensieri dalla testa. Quasi senza accorgersene, i suoi passi l'avevano riportato dinanzi alla sala esperimenti, dove sapeva di trovare lei. Per un istante, prese in considerazione l'idea di entrare lì dentro, anche solo per vederla.
Scosse la testa: probabilmente era il troppo lavoro, lo stava facendo impazzire. Seppur a malincuore, sorpassò la porta della sala e continuò a camminare senza meta.

 
~~~
 
L'aveva percepito, quando si era accostato all'ingresso della sala. Per un istante, la parte meno razionale e più emotiva della sua personalità, quella che da anni e anni tentava di sopprimere senza mai riuscirci completamente, aveva sperato che entrasse, che solcasse quella dannata porta solo per vederla.

L'esperimento 929 fece una smorfia nell'allontanare quei pensieri molesti: quel ragazzo è un mercenario del Sindaco, l'uomo che vuole morta me e tutti i miei compagni, si ripetè. Non poteva permettersi di pensarla in altro modo. La sua missione non era ancora finita.

Un minuscolo sorriso amaro le apparse sul volto perlaceo mentre un'aura di tenebra le circondava le mani bloccate al tavolo. Sarebbe potuta evadere in qualunque momento, anche quella notte stessa. Il suo compare la attendeva in un sottomarino pronto per la fuga, e mutata in ombra l'avrebbe potuto raggiungere in meno di mezz'ora senza farsi vedere.

Ma non lo aveva fatto, e non l'avrebbe fatto nemmeno quella volta. Doveva portare a termine il suo compito, prima. Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, mentre abbassava le barriere della mente, permettendole di ampliarsi.

Di colpo, la City, la sala esperimenti, il tavolo, le manette cessarono di esistere, lasciando il posto al vuoto totale. Era, in breve, come rimirare l'universo: tutt'intorno a lei era il buio e le luci delle stelle altro non erano che le menti di tutti gli esseri pensanti che si trovassero nelle vicinanze.

Notò quella del ragazzo poco distante, quella della donna albina, persino la minuscola e primitiva mente di un topo. Poi, qualcosa attirò la sua attenzione, una luce piuttosto distante, ma in qualche modo anche vicina. Avvicinandosi, scoprì che apparteneva a una ragazza all'incirca della sua età, fosse appena più piccola.

Corrugò la fronte: doveva star trasgredendo alle regole del coprifuoco, dato che era sveglia e non si trovava in un qualche dormitorio assieme ad altri coetanei.

Chissà perché lo fece, ma si decise a sfiorarle la coscienza.

 
~~~
 
Tara sussultò. Voltò di scatto il capo a destra e a sinistra, ma non vide nessuno. Eppure era sicura di non essere sola. Non sapeva neppure lei come spiegarlo, ma aveva chiaramente percepito una presenza, ne era sicura.

Un brivido non solo di freddo le attraversò la spina dorsale. Si abbracciò le gambe, posando il mento sulle ginocchia: a quanto pareva se lo era solo immaginato.

In lontananza non si vedeva altro che una distesa di palazzi tutti attaccati tra loro e privi di finestre.
E cemento, cemento, ancora e sempre cemento. E acciaio.

Davanti a lei, a qualche chilometro di distanza circa, nascosto dai numerosi edifici neri, sapeva esserci l'oceano, sebbene non l'avesse mai visto. Sapeva ovviamente che si trattava di un'enorme distesa d'acqua salata che separava la City dal resto delle terre emerse - come aveva detto Luke che si chiamavano? Continenti, ecco - ma non l'aveva mai visto dal vivo e dubitava fortemente che ciò sarebbe mai successo.

Di colpo, l'orribile incubo avuto le ritornò alla mente, cancellando ogni altro pensiero. Era sempre lo stesso, anno dopo anno, nulla cambiava. Lo stesso corpo da bambina, lo stesso regale abito verde e oro, lo stesso corridoio, le stesse voci, tutto era uguale e identico alla volta precedente.

Spesso si era ritrovata a chiedersi perché, perché sempre il medesimo sogno si ripresentava puntuale ogni mese per perseguitarla?
Ogni volta non riusciva a darsi una risposta.

















Salve! Ci siete ancora tutti? Nessuno è morto? Perfetto.
Dunque ecco a voi il terzo capitolo. Che ne pensate? Io, personalmente, vi consiglio solo di non sottovalutarlo.
Come al solito un ringraziamento speciale a tutti coloro che recensiscono, ci vediamo al prossimo capitolo!

Rose Wilson

 
 
   
 
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