Fanfic su artisti musicali > SHINee
Segui la storia  |       
Autore: Elayne_1812    17/09/2016    2 recensioni
Non solo Kim Kibum era in grado di destreggiarsi con l’energia pura, un’abilità innata estremamente rara, ma era anche la chiave d’accesso al trono di Chosun. Cose che un ambizioso e scaltro come Heechul non poteva ignorare.
(dal prologo)
---------------------------------
- Io…mi sento vuoto. – disse semplicemente.
Vuoto? Non c’era niente di vuoto in quello sguardo ammaliante, in quelle labbra del colore dei fiori di ciliegio, in quegli sguardi decisi e al contempo imbarazzati. Come poteva essere vuoto, Key, quando era tutto il suo mondo?
Sopra di loro le nubi si stavano aprendo, rivelando sprazzi di un cielo puntellato di stelle. Jonghyun fissò gli occhi neri e profondi di Key, insondabili e affascinanti quanto la notte più misteriosa. Così belli che anche le stelle avevano decisi di specchiarvisi.
-Tu non sei vuoto, Key - disse Jonghyun, -io vedo l'universo nei tuoi occhi. - (dal capitolo 9)
jongkey, accenni 2min
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho, Onew, Taemin
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ciao! Eccomi con la seconda parte del capitolo, vi avevo detto che sarebbe stata più breve…bugia…è più lunga! XD sperando di non aver lasciato troppi errori nel testo vi auguro una buona lettura!
 
Capitolo 7
Spirited away
 
 
Taemin uscì dalle proprie stanze sbattendo la porta. Se avesse passato lì dentro un secondo di più sarebbe impazzito, poco ma sicuro! Si appoggiò al muro, sbuffando. Nelle ultime settimane la convivenza con Key si era fatta frustrante. Aveva fatto di tutto per tirarlo su di morale, ma il ragazzo passava dall’apatico allo scostante, Taemin non riusciva a credere che si trattasse della stessa persona con la quale aveva legato nelle settimane precedenti. Sospirò. Non gliene faceva una colpa, sapeva che attraversava un brutto momento, nessuno meglio di lui poteva capire quanto fosse difficile la sua situazione. Non aveva dove andare, non poteva tornare a casa, si sentiva solo; chiunque avrebbe dato di matto, in più sapeva che il più grande era costantemente tormentato da incubi. Più di una volta si era svegliato nel cuore della notte per vederlo agitarsi. Tuttavia, quali che fossero i suoi tormenti, Taemin si sentiva tradito. Erano amici, no? Per Key la sua amicizia non era abbastanza?
-Aish – fece dando un calcio alla parete, pendendosi subito dopo per il dolore.
Ammetteva di essere stato insistente con lui, ma l’aveva fatto per il suo bene, l’altro doveva proprio rispondergli stizzito?
-Taemin – fece una voce a pochi metri da lui.
-Minho? –
-Qualcosa non va? – chiese il più grande.
-Uhm -, fece Taemin, tirando su col naso. –Abbiamo litigato, credo. –
Minho inarcò le sopracciglia. Tra tutti era quello che aveva legato meno con il nuovo arrivato, ma non poteva credere che Key e Taemin avessero litigato, erano molto uniti, si erano salvati la vita a vicende, dopotutto. Minho faticava a credere alle parole dell’altro, eppure Taemin sembrava parecchio giù di morale.
-Litigato? Mi sembra impossibile. –
-Beh non è stato proprio un litigio vero, però...-
Minho gli diede una pacca sulla spalla. – Vedrai che si risolverà, devi dargli tempo. Ti ricordi com’ero io quando arrivai qui? –
Taemin sorrise. – Purtroppo sì. Dubitavo tu avessi il dono della parola. –
-Vieni ad allenarti, ti rilasserà. Potresti sfogare la tua frustrazione su di me a colpi di spada. –
Il più piccolo scosse il capo. –Più tardi, devo vedere mio fratello. –
Taemin percorse i corridoi del Rifugio dirigendosi verso le stanze del fratello, stava per salire la scala che conduceva ai suoi appartamenti quando vide Jinki in cima con una grossa pila di libri in mano.
Si consumerà gli occhi a furia di continuare a leggere, pensò Taemin con un sorriso.
-Hyung- lo chiamò.
Jinki alzò gli occhi, abbandonando l’espressione seria e concentrata regalò al più piccolo un largo sorriso.
-Minnie aaahhhh – urlò mentre metteva un piede in fallo e scivolava misurando l’intera scalinata.
-Hyung! – lo raggiunse Taemin, preoccupato.
Jinki si massaggiò il capo, intorno a lui erano sparsi libri e pergamene.
-Ti sei fatto male? Perché inciampi sempre nei tuoi stessi piedi? Stai bene? –, lo bombardò di domande il più piccolo.
Jinki emise una risata con una punta d’imbarazzo. Taemin sorrise. Era bello quando suo fratello abbandonava i panni del Leader per essere semplicemente sé stesso, con tutto ciò che questo implicava.
-Un giorno ti farai male sul serio – disse chinandosi per aiutarlo ad alzarsi e raccoglie le sue cose.
-Sto bene – lo rassicurò l’altro.
-Non farmi preoccupare, hyung. –
Gli occhi di Taemin caddero sulle carte dell’altro. Strinse gli occhi, erano delle piantine quelle? Ne prese una facendovi scorrere lo sguardo.
-Il palazzo reale di Soul? Che cosa stai architettando? –
-E’ ancora presto per parlarne – rispose l’altro tornando serio.
-Uhm. Se pensi di parlarne con Kib…cioè con Key, non è un buon momento. –
Jinki lo guardò di sottecchi. – Cosa ti preoccupa? –
Taemin sospirò. –Abbiamo litigato, almeno credo. –
Jinki s’irrigidì.
-E’ colpa mia, sono stato pressante. Ma non sta bene, hyung. –
L’altro annuì. – Capisco. Devi dargli tempo. –
-E’ quello che ha detto Minho, ma sono preoccupato. –  Disse con crescente apprensione. –Temo proprio che non stia bene. -
-Racconta – lo incoraggio il fratello, mentre si avviavano verso la biblioteca.
Taemin affiancò il più grande reggendo parte dei libri.
-E’ frustrato, isterico. Io…non so cosa fare. Credo abbai degli incubi la notte, non fa altro che agitarsi, è solo che non credo sia solo per gli ultimi avvenimenti. Qualcosa lo tormenta. –
-Capisco. Parlerò con lui. –
-Grazie, hyung. –
Jinki corrugò la fronte. Sapeva che sarebbero sorte delle complicazioni e lui aveva temporeggiato anche troppo. Era giunto il momento di prendere una decisione, non poteva più rimandare, né come Leader, né come amico.
***
 
Era buoi e freddo. Delle folate di vento gelido scuotevano l’intelaiatura metallica delle finestre e la luce della luna non osava penetrare nella stanza a causa dei pesanti tendaggi, come se anche l’occhio perlaceo dell’astro notturno desiderasse tenersi alla larga da quella notte infausta. Eppure, nonostante la luce fosse inesistente, Kibum vedeva ombre intorno a lui, ombre che vivevano e scivolavano nell’oscurità stessa.  Udì dei passi.
No, pensò, andatevene!
I passi si fecero sempre più vicini e lui si coprì le orecchie. Un bicchiere in frantumi, le finestre che si aprono improvvisamente incapaci di contenere la furia del vento invernale, le tende che lo avvolgono in un abbraccio soffocante. Perché non riusciva a tenere quei suoni lontani? La consapevolezza di una paura in agguanto, del frammento di un ricordo che poteva ridurre la sua mente in pezzi?
Kibum si mise a sedere di scatto, ansimante. Si portò una mano alla cicatrice, pulsava, poi si passò la mano tra i capelli. Era sudato. Si guardò intorno e quando i suoi occhi addormentati misero a fuoco l’ambiente nella penombra si rese conto di essere nella stanza di Taemin. Di fianco a lui il più piccolo dormiva beatamente avvolto nelle coperte, il volto affondato nel cuscino. Kibum si guardò le mani, tremavano. Si rannicchiò tra le coperte stringendosi le gambe al petto, aveva l’impressione d’impazzire. Da giorni la testa gli pulsava; che avesse preso una botta troppo forte durante caduta nel fiume? Bhe, era più che probabile. Si portò d’istinto la mano alla cicatrice. Da giorni era tormentato da incubi, in realtà erano iniziati molto prima, da quando si era risvegliato tra le mura del Rifugio per l’esattezza, ma negli ultimi giorni si erano fatti più insistenti, più vividi. Avvertiva sempre quel vento gelido sulla pelle, lo sbattere delle finestre, il buio denso e palpabile. E quei passi… ne era terrorizzato. Voleva tenere lontane da lui tutte quelle sensazioni, ricacciarle indietro, rinchiuderle di nuovo oltre quella porta sigillata. Ma aveva gettato la chiave molto tempo prima e, ora che la porta si era riaperta, non poteva richiuderla.
Prima che se ne rendesse conto stava percorrendo i corridoi avvolti nel sonno. Non avrebbe mai potuto farlo, era notte fonda e non era scortato, ma non gli importava. Doveva vedere Jinki, non aveva intenzione di attendere il giungere del giorno.
Quando bussò agli appartamenti dell’altro gli ci volle un po' per avere risposta, quando giunse fu seguita da una serie di tonfi prima che il più grande aprisse la porta. Jinki aveva gli occhi appannati dal sonno e i capelli scomposti, a Kibum fece uno strano effetto vederlo così; di solito il Leader era sempre impeccabile.
-Key – fece l’altro sbattendo le palpebre, – cosa fai qui, è notte…-
-Devo parlarti – fu la risposta repentina di Key. - Adesso. -
 
Key prese la tazza di tè ambrato che Jinki gli offriva, l’annusò senza portarla alle labbra, non aveva nessuno voglia di mettere qualcosa nello stomaco, probabilmente l’avrebbe rigettata nel giro di poco.
Jinki si era dato una sistemata ai capelli e indossava una veste da camera, bevve subito un lungo sorso di tè prima di fissare l’attenzione sull’altro. Il suo sguardo era tornato vigile a attento.
Key prese un bel respiro. Non voleva perdersi in tanti giri di parole, orami sapeva che Jinki non li apprezzava, non se era lui l’interlocutore.
-Me ne voglio andare – disse senza troppi preamboli. Ecco, l’ho detto, pensò. Da giorni aveva sviluppato quell’idea, ma il pensiero di parlarne con Jinki lo metteva sulle spine.
-Uhm – fece Jinki guardando i riflessi del tè.
Key rimase spiazzato. Solo uhm? Insomma lo stava prendendo in giro? Passò qualche secondo senza che Jinki aggiungesse altro. Key stava per aprire bocca e fornirgli delle spiegazioni, quando Jinki intervenne.
-Lo immaginavo – disse alzando gli occhi sul principe.
-E? Mi lascerai andare? –
Jinki sorrise dolcemente. – Non sei un prigioniero, Kibum. –
-Beh, non esattamente. –
-Hai ragione. Ti avevo detto che avrei pensato sul da farsi e nel frattempo è passato quasi un mese. –
Kibum sospirò. Non voleva che l’altro fraintendesse, era stato molto bene lì, erano stati gentili con lui e in quelle settimane aveva assaggiato un po' di felicità, ma le cose erano cambiate. Quello non era il suo posto, non poteva esserlo. Le ombre lo aveva raggiunto anche lì, doveva andare più lontano, molto più lontano. Glielo disse.
-Ti sono grato per tempo che ho passato qui. Ma sento che me ne devo andare. Non è il mio posto questo. –
-Non vuoi che lo sia? – chiese Jinki, squadrandolo.
-Quello che voglio non ha importanza. Non lo è. Non posso stare qui solo perché non ho dove andare. – Si strinse nelle spalle.
Jinki era pensieroso. Non desiderava che il principe se ne andasse, non solo per i vantaggi che lui poteva trarne. Jinki era certo che se Kibum avesse conosciuto davvero Chosun, non avrebbe esitato ad unirsi a loro. Ma non poteva trattenerlo contro la sua volontà, doveva aderire alla causa dei Ribelli per sua scelta. Jinki era categorico su questo, lo era con chiunque decideva di unirsi a lui: dovevano credere in ciò che facevano. E, in quel momento, Kibum non credeva in niente. Glielo poteva leggere sul volto spossato e segnato dalle occhiaie. Quel ragazzo stava scappando, non solo dalla sua famiglia, dal suo fidanzato, no, scappava dalle ombre assopite nel suo cuore. Poteva attraversare tutti i mari del mondo ma le avrebbe sempre portate con sé.
-Lo sia anche tu che non ti servo. Non ho niente da offrirti. –
Era vero, in quello stato Kibum non gli serviva, era come mettersi in spalla un peso morto sperando che tornasse in vita. No, così non poteva andare. Ma come amico, Jinki temeva per il suo futuro. Come sarebbe vissuto, cosa pensava di fare, quali prospettive aveva? Lasciarlo andare equivale a condannarlo a morte. Per restare, il principe doveva vedere la verità; per quanto dolorosa avrebbe dovuto toccarla, respirarla, doveva entrargli nell’anima. Allora il Leader dei Ribelli avrebbe avuto la chiave per vincere quella battaglia e Jinki avrebbe salvato un amico; ormai non poteva abbandonarlo al proprio destino senza che un peso gravasse sul suo cuore.
-Se questo è il tuo desiderio non ti tratterò. Ma dimmi, cosa pensi di fare? –
Kibum si morse il labbro e stropicciò le mani. Già, cosa pensava di fare? In realtà non ci aveva mai pensato, voleva solo andarsene, quando Siwon era con lui non si era mai posto il problema.
-Prenderò una nave per il regno di Nihon- rispose semplicemente. Era tutto ciò che sapeva.
Jinki sospirò, squadrandolo, e Kibum si sentì a disagio. Sotto quello sguardo si sentiva impotente, Jinki sapeva che non aveva nessuna idea in merito al proprio futuro. Cos’era quel sospiro, rassegnazione, forse?
-Molto bene. Ti accompagneremo a prendere una nave, avevi detto che volevi evitare Busan, dico bene? Useremo delle strade alternative. –
-Mi accompagnerete? – chiese Key, sorpreso.
-Io, Taemin, Minho e Jonghyun, sì. Ci siamo presi cura di te fino ad ora, non penserai che ti lasceremo abbandonare il Rifugio da solo? E poi ho la sensazione che tu non sappia che strada prendere. –
Key arrossì. – In effetti non ne ho idea. –
-Voglio essere sicuro che salirai sulla nave che desideri e vederti salpare sano e salvo. –
Key non riuscì a trattenere un sorriso di ringraziamento. – Grazie, hyung, hai fatto molto per me. –
-Partiremo tra un paio di giorni – sentenziò Jinki.
Key s’inchinò e fece per andarsene.
-Kibum – lo chiamò Jinki.
-Sì? – chiese voltandosi.
 Ovunque andrai le ombre ti seguiranno sempre perché sono dentro di te, pensò Jinki. Ma non ebbe il cuore di pronunciare quelle parole ad alta voce.
-Riposati – disse semplicemente, sorridendo.
Key annuì ricambiando il sorriso.
 
 
***
Jonghyun fece un bel respiro e chiuse gli occhi. Doveva concentrarsi. Lasciò che la sala degli allenamenti svanisse intorno a lui, il clangore delle spade che cozzavano l’una contro l’altra e il suono degli archi incoccati, così come le voci degli altri Ribelli. Accumulò calore. Non poteva vederlo, ma sapeva che intorno a lui andava a formarsi un cerchio di fuoco. Aveva passato anni a cercare di padroneggiare la propria abilità. Non era facile senza una guida e il suo carattere impulsivo non aveva di certo aiutato. Grazie a Jinki era stato in grado di gestirla, di raggiungere livelli di concentrazione e sublimazione che mai avrebbe immaginato. Di solito erano le emozioni a guidarlo, sempre. Eppure, quel giorno sentiva che qualcosa non andava, il suo fuoco era distorto, la sua mente lo era. Quella mattina aveva appreso la notizia che Key se ne sarebbe andato. Il suo cuore aveva perso un battito.
-Te ne vai? – gli aveva chiesto.
L’altro si era limitato ad annuire con lo sguardo basso, prima di sparire nelle stanze di Taemin.
Jonghyun non sapeva per quanto tempo fosse rimasto impalato davanti a quelle porte che non avevano alcuna intenzione di riaprirsi. Solo l’arrivo di Minho l’aveva riscosso.
Dunque, se ne andava davvero. L’immagine di Key su una nave che sbiadiva all’orizzonte tremolava davanti ai suoi occhi come un miraggio. No, un incubo. Perché nella sua mente quella nave veniva avvolta dalla nebbia, tentacoli bianchi e appiccicosi la strascinavano sul fondo dell’oceano e, benché lui fosse solo uno spettatore solitario, poteva avvertire l’acqua gelida invadergli la gola e soffocarlo.
Alla fine Key sarebbe svanito, si sarebbe disciolto nel suo abbraccio portandosi via ogni promessa. E lui non era riuscito a parlargli, a dirgli ciò che aveva provato e provava.
Vigliacco, disse una vocina nella sua testa.
-Jonghyun! –
La voce di Minho lo costrinse a sbarrare gli occhi. Intorno a lui il fuoco imperversava astioso attorcigliandosi in lingue e spirali. Stava perdendo il controllo?
Maledizione, pensò.
Il fuoco svanì.
-Vuoi ridurci tutti in cenere? – chiese Minho.
-Scusami – rispose scocciato. La sua concentrazione era pari a quella di un lombrico, ma non gli sarebbe dispiaciuto scavarsi un buco nel terreno e sparire.
Si sedette sulle gradinate scavate nella roccia che circondavano l’ambiente. Affondò le mani tra i capelli e appoggiò i gomiti sulle ginocchia, lo sguardo scuro rivolto alla terra che ricopriva il campo da allenamento.
Cosa doveva fare? L’idea di accompagnare Key lo turbava. Come poteva caricarlo semplicemente su una nave e lasciarlo andare?
Come? si chiese.
-Jong – lo chiamò Minho.
Jonghyun alzò leggermente lo sguardo.  -Io glielo devo dire. –
Minho sbarrò gli occhi. Non aveva bisogno di fare domande, sapeva bene a cosa l’altro si riferisse. Jonghyun aveva un unico pensiero fisso nella testa, ormai. Era il suo migliore amico, lo conosceva meglio di chiunque altro, ma quella reazione non era forse eccessiva?
Che diamine gli ha fatto quel ragazzo per ridurlo così?, si domandò Minho.
-Credo che tu la stia prendendo troppo male. – disse Minho.
-Tu non capisci! – esclamò Jonghyun, raddrizzandosi.
-Io capisco solo che ti sei perso per strada quei pochi neuroni che avevi. – Fece l’altro, scettico.
-Non sto scherzando, Minho. –
-Lo so, i tuoi scherzi di norma non raggiungono tali livelli di assurdità. –
Jonghyun si rialzò, frustrato, camminando avanti e indietro nello spazio di due metri.
-Se ne sta andando –
-Sai come si dice: lontano dagli occhi, lontano dal cuore. –
-E’ proprio questo il problema, per quanto lontano possa andare non sarà mai abbastanza lontano dal mio cuore per poterlo dimenticare.  –
-Aigoo, Jong, stai delirando. –
Jonghyun scosse il capo, tornando a sedersi e abbassando lo sguardo. –Minhossi, sei mai stato innamorato? – chiese, serio.
-Yah, che? – Minho si agitò. – Innamorato, io, ahaha, ma dai. – Fece grattandosi il capo con imbarazzo. I suoi occhi s’abbassarono lanciando uno sguardo a Taemin che si allenava poco lontano. Sospirò.
-Tu lo ami? –
-Io –, Jonghyun deglutì - credo di amarlo, sì. –
-Credo non è una risposta definitiva. Potrebbe essere una delle tue solite cotte assurde: vedi un viso carino, perdi la testa e ti porti a letto il mal capitato per una notte, e poi sei punto a capo. –
Jonghyun lo guardò di sottecchi, risentito. – Così mi fai sembrare un maniaco. –
Calò il silenzio.
-Senti-, riprese Jonghyun – lo so di avere le cotte facili, ma questa volta è diverso. –
-Perché non te lo sei ancora portato a letto e, ammettilo, lui è una bella sfida per te.–
-Vuoi tacere e farmi parlare? Non è questo che voglio, certo ne sono molto attratto da quel punto di vista e lo ammetto, è una sfida interessante, ma con lui è diverso. –
Minho scosse il capo. – E’ un nobile, hyung. –
-Non è solo un nobile, Minho, Key è speciale. Lo so che mi avete preso in giro per quella storia dello stagno e so che può sembrare assurdo, ma è vero quello che ho provato e non ero ubriaco. –
Jonghyun parlò delle emozioni che aveva provato quando i suoi occhi e quelli di Key si erano incontrati per la prima volta. Spiegò tutto per filo e per segno, senza tralasciare nulla, e Minho lo ascoltò in silenzio e con crescente apprensione.
-Non è una cotta, ne sono certo, al cento per cento – disse sicuro di sé.
-Ma lo ami, puoi dire di amarlo davvero, al cento per cento?-
Jonghyun sbuffò, era frustrante. Era amore quello che provava? Come poteva saperlo, aveva mai amato? No. Eppure quando era con Key il suo mondo cambiava, lui diventava il suo universo e sapeva nel profondo del suo cuore che se l’avesse perso qualcosa si sarebbe irrimediabilmente rotto. Con Key tutto era perfetto, ogni cosa era al suo posto.
-Io non so se è amore, ma so questo: se lo lasciassi andare così, se lo perdessi, se solo provo ad immaginare che possa accadergli qualcosa, che qualcuno lo sfiori, io…so che non potrei più vivere come ora. Io -, deglutì, -  quando sono con lui sono migliore, il mondo è migliore. C’è luce. –
Minho sospirò, ma il suo sguardo era lontano e guardava verso Taemin, ancora impegnato nei suoi allenamenti. Conosceva quelle sensazioni. Il suo amico era davvero innamorato? Probabilmente sì. Gli posò le mani sulle spalle.
-Ascoltami, Jong, credo di capirti, va bene? Ma da qualunque prospettiva guarderai questa faccenda sarà sempre immensamente complicata, sia che lo ami davvero, sia che si tratti di una cotta. –
Jonghyun fece per aprire la bocca e ribattere.
-Ti ho lasciato parlare, ora fa parlare me. Sta andando via, lui ha scelto di farlo. –
-Jinki lo costringe a farlo. –
-Te la prendi con Jinki, adesso? Lo sai che non ha molta scelta, in ogni caso Key ha espresso il desiderio di andarsene. Più lontano possibile, se devo citare le sue stesse parole. Ora, non voglio infrangere il tuo cuore, ma quante probabilità ci sono che provi lo stesso? Vuole andar…-
-Yah, puoi evitare di rimarcare il concetto?! –
-D’accordo. Il punto è questo: ammesso che provi qualcosa per te, lui non può e non vuole restare, se invece non prova nulla e ti esporrai ne soffrirai. Comunque vedi la cosa ti sarai inferto del dolore inutilmente, Jonghyun, perché lo perderai in ogni caso. –
Jonghyun sospirò.
-Ora puoi decidere di soffrire, oppure di lasciarlo andare e conservare l’illusione. –
-Quindi dovrei lasciarlo andare senza il rimpianto di non avergli detto ciò che provo? –
-Dovresti – rispose Minho dando una pacca sulla spalla, mentre un’ombra scura passava sul suo viso.
 
***
– Non sono stato gentile con te l’altro giorno, mi dispiace. –
-Non devi continuare a scusarti, hyung – disse Taemin.
L’idea di essere stato scontroso con il più piccolo tormentava Kibum da giorni, ma non aveva trovato modo di parlargli apertamente. Una volta ottenuto il permesso di partire era stato assorbito da altri mille pensieri, ma ora non poteva lasciare il Rifugio senza dire nulla. Certo, Taemin lo avrebbe accompagnato, ma desiderava riappacificarsi con lui subito. Aveva fatto così tanto per lui e anche ora. Era prossimo alla partenza, pochi minuti ed avrebbe abbandonato il Rifugio, doveva solo sistemare le ultime cose nel bagaglio. In realtà non aveva nulla di suo, il poco che aveva l’aveva perduto nell’Han. Taemin aveva insistito perché prendesse dei suoi abiti.
-Abbiamo quasi la stessa taglia, non puoi andartene senza cambi –, aveva detto iniziando a rovistare nell’armadio.
La sua sacca da viaggio si era gonfiata in poco tempo.
-Non dimenticherò tutto quello che hai fatto per me – gli disse. –Mi mancherai molto. –
Prese le mani del più piccolo. –Prima che me ne vada, voglio che tu sappia che sei stata la cosa mi simile ad un amico che abbia mai avuto. –
-Più simile? Così mi offendi, hyung – disse Taemin fingendosi risentito.
Key rise. – Ok, un vero amico. Grazie. –
Gli occhi di Taemin luccicarono. – Yah, smettila di ringraziarmi. Non voglio sentire queste cose, non adesso. Abbiamo ancora dei giorni da passare insieme, non voglio dirti addio ora. –
Key sorrise poi guardò il proprio riflesso nello specchio, mentre l’altro tornava ad imbottire la sua sacca. Ormai non ci provava più a dirgli che non aveva bisogno di tutta quella roba. Sorrise tra sé, rendendosi conto che un mese prima l’avrebbe pensata diversamente. Kibum guardò confuso il suo riflesso, portandosi una mano alle ciocche bionde. Avrebbe dovuto farci l’abitudine. Era stata un’idea di Jinki.
-Se ti stanno ancora cercando, e credo proprio di sì, meglio camuffarti in qualche modo. –
Kibum non era stato molto convinto.
-Durerà solo poche settimane, poi andrà via. Giusto il tempo di raggiungere la costa. –
Non aveva avuto altra scelta che accettare. Tutto sommato non gli dispiaceva.
Il biondo mi dona, pensò annuendo a sé stesso.
Qualcuno bussò alla porta ed entrò Jonghyun.
-Siamo pronti per…- iniziò, bloccandosi e fissando gli occhi su Key.
-Oh – fece sfiorandogli il capo.
Kibum arrossì. –Jinki pensa sia più sicuro. –
Jonghyun sorrise. – Ti sta bene. –
Rimasero l’uno di fronte all’altro. Kibum non sapeva cosa dire e Jonghyun non accennava a spostarsi. Avere il suo sguardo su di lui era doloroso, non riusciva a guardarlo, non perché non riuscisse a controllare le proprie emozioni. No, non poteva guardare il viso di Jonghyun sapendo che non l’avrebbe rivisto mai più. Era come una pugnalata al cuore. Non sapeva cosa fosse accaduto tra loro, probabilmente non l’avrebbe mai scoperto, ma aveva la terribile sensazione che se avesse fissato troppo quegli occhi, essi sarebbe riusciti ad inchiodarlo lì. Non avrebbe potuto muovere un passo lontano da lui. Ma era follia, pura follia. Doveva andarsene.
-Ti prendo la sacca – disse infine Jonghyun.
Quale che fosse la verità, quante probabilità c’erano che Jonghyun provasse le stesse cose? Nessuna, si disse, o ne avrebbe parlato, no?
 
***
 
-Guardati, Siwon, guarda come sei ridotto –disse Heechul passeggiando avanti e indietro nella prigione, scuotendo il capo. –Sai, potrei mettere fine a tutto questo. –
-Sei un’infida serpe – sputò l’altro per terra. C’era sangue nella sua saliva. Tossicò.
Da settimane languiva nelle celle del palazzo reale di Soul, i polsi legati a pesanti catene attaccate alle pareti e rivoli di sangue misti a sudore che gli scorrevano lungo il corpo. Aveva fallito, miseramente. Battuto da quel leccapiedi del lord, Kyuhyun. Si era sempre vantato di essere una perfetta guardia del corpo, aveva prestato giuramenti che considerava sacri, nel cuore e nella mente, e non era stato in grado di mantenerli. Se avesse potuto si sarebbe tolto la vita con le sue stesse mai. Quante volte aveva pregato per una spada, un pugnale? O che l’ennesima tortura degli uomini di Heechul lo finisse? Non ci erano andati leggeri, ma lo immaginava, il lord lo odiava, troppe volte Siwon lo aveva minacciato sicuro della protezione del principe. Non poteva aspettarsi niente di meno.
Si sentiva un essere miserabile come quando era stato raccolto dalla strada.
-Dov’è? Lui dov’è? – chiese Heechul, gli occhi ridotti a fessure che luccicavano come bracieri ardenti.
Una risata che si concluse in un colpo di tosse uscì dalle labbra di Siwon.
-Come posso saperlo, mi hai rinchiuso qui. –
Heechul ringhiò, frustrato.
-Dove eravate diretti? –
-Mai. –
Heechul sogghignò. –Ti conviene parlare. Sai che fine farà il tuo amato principe, sulla strada, da solo? Ha le ore contate, Siwon, come un pesce fuor d’acqua. –
Sospirò. –Credimi, è molto meglio che torni a casa. –
Siwon scosse il capo. Era vero, Kibum doveva essere terrorizzato, ma ripotarlo indietro equivaleva a consegnarlo direttamente nelle mani Heechul, sempre che riuscisse a trovarlo…
Il lord continuava a fissarlo, sorridendo come chi sa di aver già vinto. Con il principe di nuovo a Soul nulla gli avrebbe impedito di imperversare nel regno, era la sua chiave di accesso al trono, al potere che tanto desiderava. Questo non era mai importato a Siwon, gli bastava disprezzarlo, ma il modo in cui guardava il principe…quello non lo tollerava! Cosa doveva fare? Non poteva proteggerlo se era lontano, ma se anche fosse stato lì? La preoccupazione lo dilaniava. Era vero, a palazzo sarebbe stato al sicuro, al sicuro dal mondo, ma non da Heechul. Si trattava di valutare cosa temere di più.
-E quando sarà qui, non temere, mi occuperò io di lui – disse Heechul, sorridendo.
Siwon scattò in avanti quanto che le catene gli consentivano, i muscoli tesi per lo sforzo e desiderosi di sfogare la propria rabbia.
-Sei uno schifosissimo…-
Heechul proruppe in una risata. – Guardati, sei davvero ciò che sei, un miserabile…Kibum può averti addestrato ad essere un cane fedele, ma dietro le sbarre torni il bastardo selvatico che sei. –
Si avvicinò, chinandosi sul prigioniero per sussurrargli all’orecchio. – Che cosa direbbe se ti vedesse, uhm? Oh, io penso che avrebbe paura di te, proverebbe disgusto, forse…credi che vorrà di nuovo la protezione di un cane con la rabbia? Io non credo. Sai cosa penso, invece? Quando si renderà conto di essere miseramente solo, lì fuori, correrà a casa e cadrà tra le mie braccia. –
Senza aggiungere altro si raddrizzò e lasciò il prigioniero alle sue meste meditazioni, mentre la sua figura sbiadiva nella penombra ed i suoi passi si tramutavano in un eco lontano.
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > SHINee / Vai alla pagina dell'autore: Elayne_1812