Would you smile for me?
«...Simon?»
Il
giovane uomo scatta, vigile e devoto, come un samurai richiamato al dovere.
Alza gli occhi grigi dalla pila di fogli che era intento a studiare e rivolge
la propria completa attenzione alla bambina, seduta poco più in là con le
ginocchia strette e lo sguardo chino.
«Dimmi
pure, Athena».
Lei
dondola distrattamente le gambe dal bordo della sedia, ma tiene le sopracciglia
aggrottate e l'espressione tesa di chi si sforza di mutare in parole pensieri
troppo faticosi. Troppo grandi, per una ragazzina di appena undici anni.
È
con la consueta, dolorosa consapevolezza che Simon percepisce quanto Athena si
stia sforzando di mettere ordine nella piccola testa schiacciata dal peso di
cuffie troppo ingombranti. La vede strizzare gli occhi mentre s'impone di
isolare tutte le voci che esplodono nelle orecchie, ma i pensieri proprio non
vogliono saperne di farsi parole, di mettersi in fila e trovare la via che
conduce alle labbra.
"Non c'è
altro modo, Metis-dono? Non c'è una maniera per
riportare il sorriso sul volto di questa bambina?"
La
pila di fogli che Blackquill stava esaminando giace ormai abbandonata in un
angolo della scrivania mentre lui raggiunge la piccola con passi svelti, ora
chino alla sua altezza.
Athena
non parla spesso e non sorride quasi mai, ma i suoi occhi non smettono un
attimo di raccontare. Di urlare i pensieri silenziosi che non riescono a
separarsi dalle labbra, ma che lei riesce a imprimere direttamente nell'anima
di chi le sta davanti. A patto di saper ascoltare.
«Sono
qui. Ti ascolto».
Simon
le sorride, ed è a quel punto che lei allunga le mani e si sporge fino a
poggiarle sulle guance ruvide del giovane procuratore, gli occhi fissi nei
suoi. Non può sapere che, nel profondo, l'uomo ringrazi cento, mille volte la
propria specializzazione in psicologia che gli ha permesso di arrivare a
comprendere ed aprire le porte di quell'anima tanto fragile e complicata.
Rimangono
così per un po', chiusi in un silenzio immobile e tranquillizzante, con Athena
che lascia che le emozioni rassicuranti dell'altro le riempiano le orecchie
annullando il rumore.
«...Simon»,
bisbiglia alla fine, in un soffio. «Tu mi salvi sempre».
«E
continuerò a farlo. È questa la missione a cui questo umile samurai ha dedicato
la propria vita».
Athena
annuisce, piano. Sembra che voglia dire altro, ma ancora la lingua si
aggroviglia e i pensieri non trovano la via per le labbra. Ma poi rivolge una
breve occhiata a Simon, ai suoi occhi grigi ricolmi di lealtà e devozione
incrollabili, e qualcosa sembra accendersi in lei.
«...Simon.
Un giorno...». Stringe i piccoli pugni, ma lo sguardo non vacilla per un solo
attimo. «...un giorno voglio essere io a salvarti. Se mai...». Tira un profondo
sospiro. Lui è lì, lui non l'abbandonerà. «...se un giorno avrai bisogno, sarò
io a salvarti».
Il
petto dell'uomo si stringe d'affetto per lei, per il tesoro più prezioso che il
suo mentore gli ha affidato, e sente la gola seccarsi.
«...Sarà
un onore per me. Ma sai, a ben pensarci, ci sarebbe una cosa che potresti fare
anche adesso per salvarmi».
Lei
spalanca gli occhi, colmi di sorpresa. «Cosa?»
«Beh,
per esempio... potresti sorridere per me. Credi di riuscirci?»
Athena
esita, lo sguardo fugge per un attimo. Ma infine raccoglie il coraggio e
riporta le piccole mani sulle guance di Simon, beandosi della sensazione di lui
che restituisce la pace all'interno della sua testa, mentre le labbra
fanciullesche si distendono in uno dei rari sorrisi.
«Per
te... per te, credo di potere».
***
A
distanza di anni, ancora Athena ricordava perfettamente quella conversazione.
Ricordava
il sorriso di Simon che da ragazzina tanto le era caro, ormai perduto nelle sabbie
degli ultimi sette anni. Ricordava i suoi capelli scuri e gli occhi gentili,
ricordava il modo in cui trascorrevano ore ed ore così, a godersi il silenzio
che da bambina tanto anelava.
«Pff. Ancora con la testa tra le nuvole, Cykes-dono? Guarda che non ho tutto il
pomeriggio».
La
giovane sobbalzò, riportata di colpo alla realtà.
«N-non mi ero per nulla distratta! Ho ascoltato tutto»
affermò, gonfiando il petto in un impeto d'orgoglio.
«...ah
sì?» L'uomo ridacchiò, beffardo. «Allora sarai sicuramente il grado di
ripetermi ciò che ti ho appena spiegato».
«B-beh... parlavamo della sindrome di... insomma,
quella...».
Athena
azzardò un'occhiata al cipiglio gelido dell'uomo che le stava seduto accanto ed
infine capitolò, afflosciandosi sulla scrivania ricoperta di scartoffie.
«...e
va bene, hai vinto. Mi ero distratta solo
per un attimo. Uno piccolissimo».
«Athena»,
ruggì Blackquill. «Non permetto distrazioni! Ho accettato di aiutarti con
questo caso solo perché stavi diventando maledettamente fastidiosa con le tue
richieste, perciò finiamola in fretta e lasciami tornare a casa in santa pace».
«Devi
essere sempre così arrabbiato? Sai, quell'espressione da "io odio il
mondo" non si addice ad un panda come te».
«I-io non...!». Blackquill arretrò sulla sedia e batté il
pugno sul tavolo, facendo svolazzare alcuni fogli. «Io non sono un panda,
maledetta ragazzina!»
«Oooh, povero me...» Imitò Athena, aggrottando le
sopracciglia come l'altro faceva sempre. «Il mio nome è Simon Blackquill, sono
sempre arrabbiato e odio il mondo... in realtà vorrei solo poter rivelare a
tutti la mia vera identità di panda dolce e carino».
«ATHENA».
«.....che
c'è, non è la verità? Oh, avanti, sei troppo suscettibile!»
«Basta
così, me ne vado. Non sono venuto fin qui per farmi prendere in giro da te».
Blackquill
raggruppò le sue cose e si buttò malamente l'impermeabile sulle spalle,
avviandosi alla porta. Intanto, il sole tramontava dietro le finestre dello
studio legale, allungando ombre aranciate all'interno della stanza.
Athena
sembrava nuovamente distratta, gli occhi ormai lontani e proiettati nel mezzo
di realtà quasi dimenticate.
«...ehi,
Simon», chiamò d'un tratto.
L'uomo
si arrestò appena un attimo prima di varcare la porta. C'era un che di remoto e
nostalgico nel modo in cui a volte Athena lo chiamava, qualcosa che gl'impediva
di ignorarla e che bruciava dentro al petto, in una parte di lui forse
dimenticata, ma pur sempre presente.
«...ti
ascolto», concesse.
«Lo
sai?» Athena spiegò, tenendo gli occhi fissi sul tramonto che bruciava oltre il
vetro. «Prima, quando mi sono distratta, stavo ricordando un episodio del
passato. C'eravamo io e te seduti ad un tavolo insieme proprio come adesso,
però a quei tempi tutto era diverso. Eppure eravamo sempre gli stessi, noi
due».
«...io
non sono più lo stesso uomo di allora. Dovresti saperlo».
Athena
scosse il capo con decisione. «Tu sei sempre lo stesso per me. Sei lo stesso
che già allora avrei voluto salvare più di ogni altro, anche se... anche se eri
sempre tu a salvare me».
E mi hai salvata
ancora una volta,
sì disse. Mi hai salvata sacrificando
anni di vita che mai ti saranno restituiti, mi hai salvata sacrificando il tuo
sorriso gentile e l'uomo che eri allora.
Staccò
gli occhi dal tramonto abbagliante e li spostò sull'uomo vestito di nero, la
cui figura scura ormai quasi si confondeva con la penombra della stanza.
«Quello
che voglio dire è che... beh, forse lo sai già, ma sono felice di averti
salvato davvero, alla fine».
Sorrise.
Di un sorriso che Blackquill pensò dovesse essersi staccato dal tramonto che le
avvolgeva le spalle per posarsi sulle sue labbra, perché non c'era altro modo
in cui un sorriso potesse apparirgli tanto luminoso.
Anche
Athena non era più la stessa. La giovane donna che gli stava davanti era tanto
diversa dalla bambina chiusa nel suo mondo di silenzi quanto il procuratore dai
capelli striati era differente dall'uomo virtuoso ch'era stato un tempo.
Ma
per quanto fossero cambiati, per quanto gli anni gli pesassero addosso,
accadeva proprio in attimi come quello -in uno sguardo, in un silenzio- che
infine si ritrovavano. Rinchiusi nello stesso dolore, nello spettro di una
mancanza che aveva scavato il petto di entrambi... una voragine che rispondeva
al nome, mai dimenticato, di Metis Cykes.
Blackquill
sentì di colpo l'esigenza di parlare. Di lasciare che l'uomo sotterrato sotto
la corazza costruita dalla prigionia parlasse in sua voce, per una volta
ancora, una soltanto.
«..Sei
cambiata così tanto rispetto a quel giorno. Mentre eri lontana da me, in un
luogo in cui io non potevo raggiungerti, hai imparato a sorridere».
Athena
si strinse nelle spalle, sempre stagliata sullo sfondo lucente del tramonto che
ormai lasciava il posto alle prime ombre.
«Dovevo
farlo. Mi sono detta che, beh... tu avevi perso il tuo sorriso, perciò toccava
a me sorridere per tutti e due».
E' per te che ho
imparato a sorridere. Per te, che il tuo sorriso l'avevi donato a me senza
pensarci due volte.
«...quindi,
Simon... sorrideresti per me?»
E lui -quando mai un samurai avrebbe potuto fare altrimenti? Obbedì.
Note: beh, che dire... Salve a tutti!
Ho pubblicato in questo fandom per la prima e ultima
volta nel 2009, ma nel corso degli anni il mio amore per questa saga non è
lontanamente diminuito, anzi. Inutile dire che sono innamoratissima degli
ultimi due giochi della saga e dei personaggi che hanno introdotto, in
particolare Athena e Blackquill e le loro dinamiche così particolari. Possiamo
dire che i due oggi siano l'esatto opposto di com'erano anni fa, che i loro
ruoli si siano invertiti -Athena era introversa e
silenziosa, Simon ancora sorrideva. Mi piace pensare che questi due, che tanto
hanno dato l'uno per l'altra, che per anni hanno tentato disperatamente di
salvarsi a vicenda, si siano influenzati reciprocamente nel diventare i
personaggi che noi conosciamo oggi. La loro storia è inscindibile da tempo
immemore, "we are bound
to one another"
come lo stesso Simon ci rivela in Spirit of Justice.
Ho
provato a rappresentare il contrasto tra il rapporto che avevano prima, con un
Blackquill gentile che abbiamo conosciuto solo tramite le parole di Athena
"he was a kind man, and he used to smile" che faceva il
possibile per proteggere il tesoro di Metis da sé
stessa e dal proprio terribile potere, ed il rapporto che invece condividono
adesso, fatto di schermaglie, rivalità ma anche profonda fiducia reciproca,
derivata dall'aver combattuto l'uno per l'altra ed essere riusciti, infine, a
salvarsi a vicenda.
Ah, e voglio puntualizzare che per quanto io vi parli da shipper
non c'è assolutamente bisogno di vedere il loro rapporto da un punto di vista
romantico, perciò sentitevi liberi di interpretare questa storia come volete.
Capisco come la differenza d'età possa disturbare i più, e naturalmente non sto
implicando che potesse esserci qualcosa tra loro già sette anni fa, oltre alla
profonda devozione che Simon provava verso Metis e
famiglia X°°° Ciò che vorrei è
semplicemente portare l'attenzione su un rapporto che per me è delicato e
meraviglioso in tutti i suoi aspetti, in tutte le sue complicazioni. Spero
davvero di scrivere ancora su di loro o comunque in questo fandom.
Grazie di aver letto fin qui! ♥