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Autore: Crilu_98    21/09/2016    1 recensioni
"La prima cosa che noto è che cammina in modo strano: tiene le braccia larghe attorno a sé e procede lentamente, titubante. Le sue mani incontrano lo spigolo di uno dei banconi e mi chiedo perplesso perché abbia dovuto toccarlo, prima di aggirarlo. Poi, quando mi soffermo sui suoi occhi, spalancati e fissi su di noi, comprendo.
-Ma è cieca!- urlo, balzando in piedi. La ragazzina si ferma e fa una smorfia sorpresa, voltando il capo proprio verso di me."
Alexandra Jane Sorrentino: origini italiane, orgogliosa, razionale, talmente sicura di sé e delle sue capacità da iscriversi ad un concorso televisivo di cucina. Unico problema: un incidente l'ha resa cieca. Ed è questo che attrae e insieme spaventa Jake Moore, inflessibile e scontroso giudice del concorso: perché Alexandra è diversa, speciale... Ma è probabilmente anche l'unica in grado di capire il suo modo di fare cucina e, con esso, tutto ciò che ha tentato di dimenticare dietro di sé...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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P.O.V. Jake
 
Faccio accomodare Micheal sul divano dove fino a qualche minuto fa ero abbandonato io e gli offro una bottiglia di birra che accetta volentieri. Ne stappo un'altra anche per me, ho come l'impressione che la lucidità mi potrebbe essere d'impiccio stavolta. Fuori dalla finestra il sole mattutino regala a New York la sua prima vera giornata di primavera.
"Cazzo, devo aver dormito per tutta la notte sul divano senza neanche rendermene conto. Mi devo sbrigare o farò tardi per la finale."
-Allora, Micheal, qual è la questione di vita o di morte che potrebbe non piacermi ma che devi assolutamente rivelarmi?-
L'uomo sospira e si rigira gli anelli che ha sulle dita:
-Chiamami Mike, amico, il mio nome mi fa sentire vecchio.-
-Va bene, Mike, ti ascolto.-
-Come ti ho già detto, sono un chitarrista e all'incirca due mesi fa ho suonato col mio gruppo ad una cena di beneficenza... Era il ristorante di una tua conoscenza stretta, Elizaveta Hobbes.-
Al suono di quel nome mi riscuoto e mi raddrizzo sulla poltrona.
-Vai avanti!- lo sprono, ma Mike sembra improvvisamente reticente. E' pallido quando alla fine sbotta:
-Senti, amico, io non avevo idea che fosse impegnata con te, ok? Non me l'aveva detto, altrimenti ti giuro che mai, mai ci sarei andato a letto.-
Balzo in piedi, improvvisamente eccitato, ed inizio a passeggiare per la stanza:
-Due mesi...- mormoro -Due mesi... I conti tornano.-
-Ecco, appunto.- borbotta Collins afflitto -Dopo due giorni di... Ehm... Intensa frequentazione io sono ripartito per una tournée e non l'ho più sentita. Non sono il tipo da legarmi a qualcuna in pianta stabile, non so se mi spiego...-
-Fin troppo bene!- ridacchio e il mio buonumore rende il mio ospite perplesso, ma continua col suo racconto:
-Qualche giorno fa ho letto su un tabloid la notizia della gravidanza di Elizaveta. Nessuno sembrava mettere in dubbio che il bambino fosse tuo, amico, ma sai, ho fatto anch'io i miei conti e ho pensato che... Forse...-
-Tu non sai quanto mi hai reso felice!- esclamo, interrompendolo e stringendogli la mano con fin troppa forza. Adesso Mike è sbigottito e mi sento in dovere di spiegargli per sommi capi la situazione:
-Io non amo Elizaveta, anzi, negli ultimi tempi sono arrivato a detestarla. Non fraintendermi, è una grande donna e una grandissima professionista, ma... La donna per me è un'altra e la storia del bambino potrebbe aver mandato tutto all'aria!-
-Quindi.. Non sei arrabbiato?- balbetta ancora il chitarrista, con un mezzo sorriso sul volto. Evidentemente si aspettava una sfuriata epocale e probabilmente anche una bella scazzottata.
-Certo che no! Mi hai appena semplificato la vita! Senti, io devo scappare e fare delle telefonate!-
Lo trascino con me fuori di casa, mentre afferro al volo le chiavi della moto. Il casco dev'essere rimasto in cucina, ma non me ne preoccupo, sono già fuori dal palazzo.
-Non vuoi fare il test del Dna, per essere sicuro?- chiede ancora Mike. Io gli poggio fraternamente una mano sulla spalla.
-Amico, quella creatura è tutta tua, le possibilità che sia mia sono molto, molto lontane. Ci vediamo al battesimo! E' stato bello conoscerti!-
Lo lascio lì fermo in mezzo alla strada come un idiota, ma mentre parto posso leggere l'esultanza nei suoi occhi. Sembra un bravo ragazzo, oltre l'apparenza, Elizaveta starà bene con lui.
"Elizaveta, già".
La chiamo e risponde subito, infuriata:
-Dove sei, Jake? Qui stiamo tutti aspettando te!-
-Annulla tutto. Devo parlarti. Tra poco, al parco, vedi di non farmi aspettare.-
-Cosa? Tu sei pazzo! Vieni immediatamente qui!-
-So tutto, Eliza. So di Mike e so che il bambino non è mio.-
Dall'altra parte mi risponde solo il silenzio, poi la linea telefonica interrotta.
Non me la prendo più di tanto, so che farà come le ho detto. Infatti, una volta arrivato al parco, non devo aspettare molto per vedere accostare la sua elegante macchina grigia. Elizaveta scende, rabbrividendo per il freddo e stringendosi addosso il piumino leggero; quando si avvicina, mi accorgo che ha pianto.
In questo momento più che mai mi rendo conto che Alexandra mi ha reso una persona diversa: il vecchio Jake si sarebbe incazzato da morire e l'avrebbe rovinata davanti al mondo intero, ma adesso non provo altro che un immenso sollievo e un po' di tenerezza per una donna tanto disperata.
"Tanto innamorata." mi corregge una voce nella mia mente. Hobbes si avvicina titubante, forse ha paura della mia reazione, ma io mi costringo anche ad aprire le labbra in un sorriso forzato.
-Non ti mangio mica, Hobbes.-
Lei sussulta e so perché. Sono le stesse parole che le ho detto la sera in cui siamo andati a letto insieme per la prima volta: solo che allora erano le parole maliziose di un dongiovanni, adesso, invece, solo il saluto di un vecchio amico.
 -Non ti chiederò perché l'hai fatto, Elizaveta, mi è abbastanza chiaro il motivo. Solo, vorrei che riflettessi sul fatto che stavi per costringere un bambino a crescere senza un padre...-
-L'avrebbe avuto, un padre.- pigola lei, tirando su col naso -Saresti stato tu, e sarebbe stato tutto perfetto... Come hai fatto a scoprirlo?-
-Micheal Collins ed io abbiamo avuto un'interessante chiacchierata stamattina.-
Elizaveta scoppia a ridere, ma è una risata vuota, che sa di sconfitta. Le accarezzo la guancia con due dita:
-Mi sta simpatico quel musicista, sai? Era pronto a supplicarmi di non riconoscere il bambino e a prendersi a botte con me pur di avere anche solo una piccola chance con te. Dovresti dargliela, Eliza.-
-Sai perché ci sono andata a letto?- chiede, fissando un punto imprecisato alle mie spalle -Perché la mattina avevo visto te rincorrere Sorrentino. So che sei a conoscenza di ciò che mi ha detto Smith. Beh, credo che nelle sue parole ci fosse un fondo di verità, anche se non credo che tu ci sia andato a letto... No, non sei stronzo fino a quel punto.-
-Già..- bisbiglio, a disagio.
-Mike era così gentile, e mi faceva ridere. Poi è sparito, come volevasi dimostrare... Come fanno tutti, come hai fatto anche tu tante volte. E quando ho scoperto di essere incinta, io... Ho perso la testa.-
Scoppia a piangere ed io, istintivamente, l'abbraccio. E' una cosa dolce che sorprende me per primo, che tanto detesto il contatto fisico non necessario. Elizaveta alza il viso verso di me proprio mentre io mi abbasso a guardarla e le nostre labbra si sfiorano qualche istante in più del dovuto. Mi allontano di scatto, appoggiandomi alla moto:
-Sai che era un bacio d'addio, vero?-
Le lacrime sul viso di Elizaveta non accennano a fermarsi:
-Volevo tanto che fossi tu...- singhiozza, poi, senza aggiungere altro, corre verso la macchina. Io sospiro: finalmente la parte più difficile è superata.
"O forse no."
Già, mi rimane Alexandra e non so se riuscirà a perdonarmi, anche se in fondo, alla fine, non ho fatto niente di male. Beh, più o meno. Comunque decido di non perdermi in altri rimuginii ed ingrano, diretto agli Studios, sperando che Juan abbia letto il mio messaggio e l'abbia trattenuta lì.
 
P.O.V. Alexandra
 
Emetto un sospiro esasperato e avverto la mole di Juan Martinez agitarsi sulla sedia, a disagio. C'è qualcosa di strano nell'aria e anche se il corpulento giudice non mi ha voluto rivelare nulla, limitandosi a trattenermi negli studios quasi contro la mia volontà, so che c'entra Jake. Dopotutto, Elizaveta è scoppiata in lacrime all'improvviso e ha sospeso le riprese, adducendo le nausee dell'ormai nota gravidanza. Stringo di riflesso i pugni, mentre una nuova ondata di gelosia, rabbia e dolore pervade il mio corpo: quell'attesa snervante, senza le chiacchiere dei miei amici a distrarmi, si sta facendo insopportabile. All'improvviso lo squillo del cellulare di Martinez rompe il silenzio impacciato che si è creato tra noi dopo le mie ultime proteste.
Lo sento irrigidirsi:
-Alexandra!- balbetta, affannato.
-Cosa c'è ancora?- sbuffo, incrociando le braccia al petto.
-Jake. Incidente in moto. Ospedale.-
La notizia in stile telegramma mi inchioda sul posto: non sono capace di muovere un muscolo, troppo impegnata a tentare di afferrare il terribile concetto espresso da quelle parole.
-Incidente?- ripeto, inebetita, mentre il trauma che ho subito cinque anni fa si fa strada nella mia mente, fino a chiudermi la gola in una morsa d'angoscia. Sento Juan tirarmi per un braccio fuori dall'edificio.
-Forza, muoviti, non c'è tempo da perdere!-
Lascio che sia lui a caricarmi in macchina e ad avvertire tutti gli altri: io mi limito ad accasciarmi sul sedile, col cuore che batte all'impazzata al pensiero che forse non potrò mai sapere cosa Jake aveva da dirmi.
 
Freddo, odore di plastica sterile e di medicinali: entrare di nuovo in ospedale porta a galla ricordi e sensazioni che speravo di non sperimentare mai più. Ma è tutto ovattato e distorto: mi faccio trascinare da Juan che urla e sbraita contro i medici, mi importa solo di giungere da lui.
Jake è in rianimazione, mi dicono, non posso avvicinarmi: non posso stringerlo, fargli capire che nonostante tutto ci sono, sono con lui... Perché lontana da lui non vivo.
"Senza di te, non vivo!" penso, assaporando di nuovo il gusto amaro delle lacrime. Attorno a me sento voci conosciute: Robin, Richard, Adam e anche Tyler che sono arrivati non appena li ho chiamati, la famiglia di Martinez, alcuni membri dello staff di Chefs ed infine, quando ormai non credevo sarebbe più arrivata, anche Elizaveta fa il suo ingresso nella sala d'aspetto. Ma non è sola. Ed apprendo così, dalla bocca della mia rivale che parla con i giornalisti accorsi come avvoltoi sulla carcassa, che Jake non è il padre del bambino. La creatura che Hobbes porta in grembo è il frutto di una breve relazione col musicista che l'ha seguita fin qui.
"Ecco cosa volevi dirmi!" penso, ma continuo a non rispondere ai richiami dei miei amici e di mio fratello. Sono qui, ma allo stesso tempo non ci sono. Conosco bene questa sensazione: è lo stesso senso di estraniamento totale che ho provato quando ho capito che ero diventata cieca, senza possibilità di guarigione. Ho urlato fino a perdere la voce, ho pianto, mi sono graffiata la faccia e il collo fino a sanguinare, fino a spezzarmi le unghie... E poi niente, poi è subentrato l'oblio. Non parlai per settimane, poi la vicinanza della mia famiglia, che non si era mai arresa, mi aveva tirato fuori dalla prigione che mi ero costruita da sola.
Chiudermi fuori dal mondo per me è facile, adesso è anche una tentazione fin troppo vicina: cosa mi è rimasto? Il concorso? Non ho più motivazioni per cercare di vincere. Ero arrivata ad un passo dalla mia felicità senza neanche saperlo, e adesso mi è stata strappata via senza che potessi fare niente: mi sento una marionetta nelle mani di un burattinaio sconosciuto e crudele, che ha giocato con la mia vita e con quella di Jake fino a farci arrivare qui, separati da un semplice vetro eppure così distanti...
Non rimpiango niente di ciò che ho fatto per lui, non mi sono rimangiata neanche una parola di ciò che gli ho detto, ma mi pento di non avergli dato ascolto: se mi fossi fidata delle sue parole, se l'avessi convinto a richiedere un test di paternità, invece di prendere per vera la versione di Elizaveta...
Ecco, dovrei essere arrabbiata con lei, ma la mia apatia spegne anche la rabbia: c'è solo Jake, nella mia mente, e i ricordi che abbiamo condiviso. So già che, se non uscisse da quella sala operatoria in cui l'hanno portato non so quante ore fa - ma da quanto sono qui?- io mi perderò nella mia testa e nessuno, questa volta, riuscirà a portarmi indietro.
 
Chiusa nel mio bozzolo non sento il tempo che passa: quando una mano gentile mi tocca sulla spalla per riscuotermi potrebbero essere passate ore o una manciata di respiri.
-Alex?- sussurra balbettando Robin –Alex, si è svegliato…-
Sbarro gli occhi ciechi in una reazione istintiva: scatto in piedi, barcollo, serro i pugni contro il muro per non cadere a terra. Mi sento improvvisamente attiva e leggera come se il sangue avesse ripreso a scorrere nelle mie vene a velocità aumentata.
A tentoni, rifiutando rabbiosamente l’aiuto di chiunque mi si avvicini, mi dirigo verso la stanza di Jake: i rumori sono flebili sotto il rombo del mio cuore, ma so che ho urtato qualcosa fermo nel corridoio e mi sono ferita, sento il sangue scorrere caldo lungo le dita. Non mi fermo, ovviamente, e riesco finalmente ad arrivare davanti al letto di Jake.
-Cosa hai combinato, Alexandra?- chiede. La voce è flebile, ma anche così riesco a percepire la sua preoccupazione. E con mia somma frustrazione scoppio a piangere in modo incontrollabile: io, che detesto mostrare ciò che provo al mondo esterno, che mi ero convinta di poter superare tutto senza cedimenti… La mano di Jake si muove lentamente sulle lenzuola fino ad aggrapparsi al mio braccio.
-Ti sei ferita tutte le mani, sbandando come un elefante infuriato nel corridoio!- ridacchia, poi il suo tono si fa più serio:
-Non piangere, Alexandra, davvero: sto bene. Anzi, devo dirti una cosa…-
-Lo so.- sbotto tra i singhiozzi -So tutto, del bambino, di Elizaveta… Oddio, Jake avrei dovuto crederti e tutto questo non sarebbe successo! E’ colpa mia se sei in queste condizioni…-
Lo sento sbuffare, segno che il vecchio Jake Moore sta tornando in superficie:
-Ragazzina, a volte sei veramente stupida! Come fai a pensare che sia colpa tua? Non potevi certo sapere che Hobbes aveva deciso di incastrarmi, la tua reazione è stata del tutto normale! Dovremmo ringraziare Micheal Collins per la sua improvvisa smania di paternità, piuttosto! E per quanto riguarda le mie condizioni… Non sono poi così gravi come sembrano. Certo, starò fermo per un po’…-
I miei tremiti si calmano e sapendo che non c’è nessuno oltre a noi in quella stanza (ma anche se così non fosse stato, l’avrei fatto lo stesso) scivolai su di lui, assaporando a fondo la sensazione del suo corpo stretto contro il mio e beandomi delle sue mani che mi accarezzavano le guance, pulendole dalle lacrime.
-Che ne sarà di noi? E del concorso?- pigolo, rannicchiandomi di più contro il calore che emana, nonostante sia riemerso da poco dal coma. Jake grugnisce di dolore mentre si sistema meglio sul letto:
-Non ne ho idea. So solo che ho intenzione di ritirarmi dal mio ruolo di giudice prima che la nostra storia diventi di dominio pubblico…-
-Ma non è giusto! Sono io che dovrei andarmene, non tu!-
-Alex, non iniziare: questa è l’occasione della tua vita, non sarò certo io a rovinartela!-
-Quando tutti sapranno di noi, la tua presenza lì sarà ininfluente, mio caro, lo sai… Ma non me ne frega.-
Lo sento inspirare bruscamente:
-Cosa?-
-Non mi importa di vincere. Non più. Volevo dimostrare a tutti di essere capace, forte ed indipendente… E l’ho fatto, fino ad un certo punto. Ma poi ho capito che seppur indipendente non voglio essere sola: voglio stare con te, Jake, anche se fossimo solo noi due contro il mondo. Come se io fossi il pane e tu il formaggio-
Non so come mi sia uscita questa frase, legata al ricordo di mia nonna, ma a Jake sembra piacere.
Le labbra dell’uomo si posano dolcemente sulla mia fronte:
-E sia, allora, formaggino.-
Gli mollo un leggero schiaffo sul mento non rasato:
-Non ti azzardare mai più a chiamarmi in quel modo idiota! Non ti ho dato il permesso di prendermi…-
Jake ride ed interrompe la mia frase con un bacio: oh sì, signori, nessun contest televisivo varrà mai tutto questo.
 
 
Angolo Autrice:
Sì, lo so che non è la finale del contest che vi sareste aspettati, ma tranquilli che non finisce certo così! Ho in programma di scrivere un bell’epilogo… Mi scuso se il capitolo è più corto degli altri, purtroppo mi manca l’ispirazione per scrivere questa storia e non sono riuscita a fare di meglio :(
 
Crilu 
 
   
 
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