Sehun non smise di correre fino
a che non raggiunse casa, il petto gli faceva male mentre spalancava la
porta e andava dritto in camera. Gettando via lo zaino, si
guardò attorno, trovò il quaderno che gli aveva
dato Jongin sul comodino, e lo afferrò per lanciarlo nel
cestino. Girò sui tacchi notando la statuetta dei ballerini
di Natale e la strinse tra le dita, lanciando anche quella in direzione
del cestino. Sentì un crack, ma non se ne curò,
improvvisamente esausto mentre si gettava sul letto, a faccia in
giù. Avrebbe voluto gridare, ma non uscì alcun
suono, quindi rilasciò un lungo respiro interrotto, sentendo
che tutto crollava attorno a lui, dentro di lui.
E poi in un
secondo, il calore che gli scorreva nelle vene si raffreddò,
e il fuoco nel suo stomaco si trasformò in un ghiacciato
pugno di dolore, e si rese conto che c'erano delle lacrime che gli
bagnavano il cuscino. Prendendo un respiro, ripeté l'intera
giornata nella sua testa, cercando disperatamente di aggrapparsi alla
rabbia, perché la rabbia era qualcosa che poteva sopportare.
Il dolore no.
Jongin che
gli nascondeva qualcosa. Jongin che gli urlava contro. Jongin che gli
lanciava cose addosso. Jongin che lo forzava a fare cose che non voleva
fare – non poteva fare. Voleva essere arrabbiato
con Jongin.
Eppure
più ci pensava, peggio si sentiva. La sola rabbia che
riusciva a provare era per quello stupido di Jongin, che... che pensava
sempre a Sehun prima di se stesso. Jongin, che era sempre stato
completamente onesto con lui, che non gli aveva mai nascosto nulla,
solo per ricevere in cambio il trattamento esattamente opposto. Sehun
gli aveva mentito così tanto, gli aveva tenuto nascoste
così tante cose. Soprattutto oggi. Sehun era sempre stato
ingiusto con lui. Non c'era da meravigliarsi che Jongin si fosse
comportato come aveva fatto. Sehun era stato terribile con lui.
Tutto
ciò che aveva fatto Jongin era stato mettercela tutta con
Sehun, nonostante la sua ostinatezza a non cambiare. E nonostante tutto
quello che gli aveva detto Sehun, Jongin gli piaceva veramente. Non era
soltanto un bisogno quello che provava – qualcosa di cui
Sehun aveva lentamente cominciato a rendersi conto. Ma Sehun voleva stare con lui.
La porta
della sua camera si aprì, e Sehun non si mosse quando la
madre adottiva disse piano, “Sehun? Stai
bene?”
Sehun fece
una pausa, deglutì, e scosse la testa contro il cuscino.
La porta si
aprì di più, e la donna entrò,
sedendosi con cautela su bordo del suo letto. Una mano gentile,
esitante, si posò sulla sua schiena, dandogli un po' di forza. “Brutta
giornata?” chiese delicatamente.
Tirando su
col naso, Sehun si alzò a sedere lentamente, raggiungendola
sul bordo del letto e strofinandosi gli occhi con una mano
annuì.
“Succede
a tutti,”
disse. “Ti va di parlarne?”
Il petto di
Sehun tremò quando prese un respiro, e scosse la testa, ma
quando la mano della madre adottiva si posò ancora sulla sua
schiena, Sehun
si appoggiò a lei, lasciando che la testa cadesse sulla sua
spalla, esausto. Forse Jongin non era stato l'unico a provare per tutto
questo tempo. E la donna non era familiare, ma era affettuosa, e
disponibile, e Sehun ne aveva bisogno. “Ho rovinato
qualcosa,” disse, con voce roca.
La madre si
fermò, e allungò un piede per toccare un pezzo
rotto di porcellana sul pavimento. Era la sua statuetta dei ballerini,
separata dalla base.
“Allora forse dovresti provare a ripararla,” disse.
Sehun
tirò ancora su col naso, chiudendo i pugni sulle gambe.
“Non so come riparare le cose,” disse.
“So solo romperle.”
“Forse
dovresti provare comunque,” disse la donna,
“se per te è importante. Per alcune cose vale la
pena provare, sai?”
Sehun rimase
a lungo in silenzio, pensandoci su. Sehun aveva rovinato molte cose
nella sua vita, di proposito e no, e molte volte se ne era pentito.
Quando era stata l'ultima volta che aveva cercato di rimettere insieme
i pezzi?
“Devo
andare a prendere
Taewoon da scuola,” disse gentilmente la madre. “Tu
fai quello che devi, okay?” la sua mano gli
accarezzò la schiena per confortarlo mentre si alzava.
“Okay,” rispose piano
Sehun, fissando la statuetta rotta.
Diversi
minuti dopo, Sehun era seduto al tavolo di cucina con un tubetto di
colla, mentre riattaccava meticolosamente il ballerino alla base in
porcellana, vicino alla sua partner. Soffiò leggermente sul
punto di rottura, asciugando la colla, e poi pigiò il
pulsante e guardò i ballerini ruotare ancora. C'era una
sbecco nel tutù della ballerina, ma per il resto era
difficile dire che qualcosa era mai accaduto.
Venti minuti
dopo, si ritrovò davanti alla porta di Jongin, il cuore gli
batteva forte mentre suonava il campanello. Fu il padre a rispondere. “Oh, ciao Sehun.
È passato un po' da quando ti ho visto.”
Sehun
deglutì. “Jongin è qui?”
chiese.
“No, non è ancora
tornato. Pensavo fosse con te,” disse l'uomo, accigliandosi.
“Ha chiamato e ha detto che sarebbe tornato più
tardi, se vuoi aspettare.”
Il cuore di
Sehun accelerò, l'ansia gli attanagliò lo stomaco. “No, va bene. Vado
a cercarlo,” disse.
Una volta,
Jongin gli aveva detto che era importante trovare un punto di sfogo
quando si era agitati, piuttosto che interiorizzare tutto. Era sempre
stato più intelligente di Sehun.
Lo studio di
danza non era così lontano da casa di Jongin, e Sehun
arrivò in meno di cinque minuti, i piedi sbattevano sul
marciapiede mentre correva. Aveva paura che se non lo avesse trovato in
fretta, avrebbe perso il coraggio, e non avrebbe mai riaggiustato le
cose – o non ci avrebbe mai provato. E per una volta, Sehun
voleva provare.
Trovò
Jongin nella stessa sala prove in cui erano stati il giorno dopo la
deportazione di Luhan. Sehun guardò attraverso la
finestrella della porta mentre il ragazzo eseguiva piroetta dopo
piroetta, ancora e ancora, fino a che persino a Sehun girava la testa, e poi cadde a
terra, ansimante, con il sudore che gli bagnava la canottiera bianca e
i capelli. Gattonò fino alla borsa, poggiandosi su di essa e
tirando fuori una bottiglia d'acqua per prenderne un grande sorso.
Sehun prese
un profondo respiro, si preparò, e spinse la porta, cercando
di non lasciare che le sue gambe tremanti lo fermassero.
Jongin non
sollevò lo sguardo quando Sehun entrò nella
stanza. Non sollevò lo sguardo quando Sehun fece qualche
passo esitante per sedersi accanto a lui, lasciando un po' di spazio
tra di loro. Non sollevò lo sguardo nemmeno quando Sehun gli
porse la statuetta dei ballerini; la prese in silenzio e la
fissò.
“Per
sbaglio l'ho rotta,”
disse Sehun, con voce instabile. “Sembra che lo faccia
spesso.” Jongin non parlò. “Ma ho
provato a rimetterla insieme.” Poi gli porse qualcos'altro,
il quaderno nero, e Jongin prese anche quello, fissando la copertina.
“Aprilo,” Sussurrò Sehun.
Jongin lo
fece, sfogliando oltre la prima pagina dove aveva scritto la lettera
per il compleanno di Sehun, e trovò pagine e pagine di
scrittura distratta, inchiostro nero contro il bianco del foglio, verso
dopo verso di confessioni silenziose.
Non
ho mai chiamato nessuno hyung prima, era il primo, scritto
all'inizio della seconda pagina.
Spesso
ho degli incubi, ma non li ricordo mai quando mi sveglio.
Il
dito che mi sono rotto alle elementari mi fa ancora male. Sarei dovuto
andare all'ospedale, ma avevo troppa paura.
A
volte sento le persone urlare e sento che sia colpa mia anche se non
sono per niente coinvolto.
Voglio
parlare con Luhan.
Sono
un peso per Jongin.
E alla fine
di ogni pagina, solo, Kim Jongin.
Aveva scritto
circa sette pagine dal suo compleanno, sette pagine di segreti che
Sehun non aveva mai detto a nessuno. E lì nell'ultima
pagina, nella calligrafia più ordinata di Sehun, Mi piace davvero Kim Jongin.
Sono innamorato di Kim Jongin.
Non l'aveva
cancellato stavolta.
Jongin
guardò quell'ultima pagina in silenzio, le dita si muovevano
lentamente sull'inchiostro nero. Sehun poteva sentire ogni suo respiro.
“Mi
dispiace,”
disse, le parole gli uscirono dalle labbra. “Mi dispiace. Io
– non so cosa ci sia di sbagliato in me. Vorrei spiegarmi, ma
non c'è una scusante per il modo in cui sono. Sono solo
molto incasinato, e ho molti problemi, e non ho idea di come tu abbia
fatto a sopportarmi per tutto questo tempo. Non ho fatto niente per te.
Hai provato così tanto, e io non ho provato affatto, e mi
dispiace di essere così. Non te lo meriti. Tu –
sei stato fantastico. Sei la persona più fantastica che
conosca. E per qualche ragione hai sprecato questo con me.”
Jongin non si
era ancora mosso, né aveva detto qualcosa, gli occhi ancora
fissi sulla pagina del quaderno. Sehun prese un altro respiro profondo,
e continuò. “Ma non sono... non sono qui per farmi
compatire o niente del genere. Voglio solo... ringraziarti. Per aver
provato così tanto. E voglio scusarmi per averti mentito, e
non essermi mai fidato di te, o non aver creduto in te, o per non
essere... mai stato buono con te. Buono per te. Sei stato così
paziente, e mi hai dato così tanto, e in cambio io non ti ho
mai dato niente. Quindi. Anche se mi odi, voglio darti questo, ora.
Voglio dirti la verità, proprio ora. Ti ho mentito. Ti ho
detto che non mi sei mai piaciuto, ma non è così.
Mi piaci. Mi piaci tanto. E mi dispiace che abbia scelto una persona
davvero cattiva da farti piacere.”
Il pollice di
Jongin si mosse ancora sulle parole della pagina. Poi, alla fine,
aprì la bocca. “Ho a malapena
chiuso occhio la notte scorsa,” disse, sorprendendo Sehun.
“Ho fatto delle prove davvero brutte ieri. Continuavo a
sbagliare, ed ero stressato, e l'insegnante di danza mi ha
rimproverato. E poi sono tornato a casa e ho urlato addosso a mia
sorella per qualcosa di davvero stupido, e mio padre ha urlato contro
di me per averla fatta piangere. Non sono riuscito a dormire dopo. Ho
dormito forse due o tre ore. Quando ho sonno divento piuttosto
silenzioso, ed ero ancora un po' di cattivo umore da ieri. Non te l'ho
detto, perché hai già abbastanza cose di cui
preoccuparti, ho pensato. Non volevo farti preoccupare per me. Ma l'ho
fatto comunque.”
“Pensavo
ti fossi stancato di me,”
sussurrò Sehun.
“Incolpi
sempre te stesso,”
disse Jongin, sospirando leggermente.
“Di
solito è colpa mia.”
“No, Sehun, non lo
è,” disse gentilmente Jongin. “Dovrai
capirlo prima o poi. Ci sono molte cose per le quali ti biasimi che non
dipendono da te.” Sehun non disse niente, deglutì
a fatica. “Mi dispiace per aver urlato oggi. Questo
è stato colpa mia. Ti stavo spingendo a fare
qualcosa, e non sono stato comprensivo. Cerco davvero di capire come ti
senti, e tutto, ma a volte sbaglio, o non provo abbastanza. Mi
dispiace. ”
“È stata anche colpa
mia,” disse Sehun. “Sono stato testardo e meschino,
e mi sono arrabbiato senza motivo. E non avrei dovuto credere alle cose
che hanno detto gli altri. E non avrei dovuto mentire.”
Jongin
deglutì. “Ho davvero pensato che non ti fossi mai
piaciuto.”
“Certo
che mi piacevi,”
disse piano Sehun. “Mi sei sempre piaciuto. Ero solo troppo
spaventato e stupido per ammetterlo.”
Jongin
allungò una mano, e Sehun la incontrò a
metà strada, intrecciando le loro dita. La mano di Jongin
era calda, familiare, confortante. “Volevo davvero
piacerti,” disse.
“Mi
piaci,”
rispose, ed era così bello dirlo, finalmente.
“Grazie
per essere venuto a cercarmi,” disse Jongin,
stringendogli la mano. “Ho davvero pensato...
perché come mi sono comportato oggi…”
“Mi
sono comportato in modo decisamente peggiore,” disse Sehun.
“E sei sempre stato tu quello che veniva a cercarmi. Penso
fosse ora che la cosa cambiasse.”
Alla fine,
Jongin sollevò lo sguardo, lo guardò con occhi
lucidi mentre sorrideva. “Grazie,”
sussurrò.
Sehun gli
tirò la mano, tirando Jongin più vicino. Non
appena poté, si chinò per premere un bacio casto
sulle sue labbra – per scusarsi e per perdonarlo, tutto in un
bacio. Jongin ricambiò, provando lo stesso.
“Fai
un sonnellino,”
disse gentilmente Sehun, tirando Jongin per fargli posare la testa in
grembo. “Sei stanco. Ne hai bisogno.”
Jongin si
sdraiò senza opporre resistenza, ma si voltò per
guardarlo, sorridendo. “Grazie.”
Sehun gli
accarezzò i capelli scuri, e disse, “Te lo
meriti.”
“Mi
ha scritto una canzone, Kyungsoo. Quanto smielato
può essere?”
“Hyung, possiamo tornare
indietro?”
“Ancora
un po',
Soo. È solo che... non so perché gli piaccia.
Perché gli piaccio? Non lo sa che ho molti più
problemi di quanto non ne valga la pena?”
“Hyung, voglio davvero tornare
indietro.”
“Forse
si è dimenticato di come sono davvero da quando è
in Cina. Forse si è dimenticato che ho cambi d'umore e
problemi di salute fisica e mentale e—”
“Davvero
non voglio andare avanti, hyung. E poi, smettila di
buttarti giù. Ovviamente Luhan si ricorda, perché
me lo chiede ogni volta che parla con me. In più, gli
piacevi già prima che se ne andasse, quindi chiudi il becco.
Onestamente, questo è tutto quelli di cui
parlate—di voi. Luhan e Minseok. Luhan ama
Minseok. Minseok ama Luhan.”
Minseok si
voltò verso di lui con un sorriso imbarazzato. “Lo
sai che lo sto facendo per un motivo, Soo.”
Kyungsoo
sbuffò, riaggiustandosi la mascherina che gli copriva il
naso e la bocca. Tantissime persone le
indossano, non ti preoccupare, aveva detto Minseok. Tutto il
suo corpo tremò leggermente. “Perché
sei ossessionato?” disse.
“No, perché
più ti irriti per le mie sfuriate amorose, meno penserai a
dove sei. Guarda, siamo a metà strada dalla porta! La parte
peggiore è finita.”
Kyungsoo
guardò, e cominciò nuovamente a tremare,
chiudendo gli occhi. “Penso di dover tornare su
ora.”
“Ancora un po' e basta, Soo, lo
giuro. Non vuoi uscire fuori?”
Kyungsoo lo
voleva. Lo
voleva davvero. Ed aveva persino pensato di
essere pronto a farlo. Ma poi erano entrati in ascensore, con il
pavimento sporco e le luci cupe, e aveva cominciato a sentire un
formicolio sulla pelle. E ora erano all'ingresso, e le persone gli
passavano accanto, gli lanciavano sguardi straniti mentre tremava e
pregava Minseok di tornare su, e tutto era rumoroso e strano e
sconosciuto e lo spaventava.
Ma c'era
Minseok accanto a lui, parlava a voce bassa, sicura e familiare, gli
parlava di cose familiari, gli ricordava perché fosse
lì. Sarebbe andato fuori. Solo per un po', gli aveva
promesso Minseok. Solo piccoli passi.
Non
vuoi mettere piede fuori?
Kyungsoo
sapeva molte cose su fuori, ma non le aveva mai conosciute
di prima persona.
La folata di
vento dalla porta aperta spaventò Kyungsoo. Non è
che non fosse mai stato fuori prima, aveva passato un bel po' di tempo
nel suo balcone, ma la brezza lo sorprese comunque, nello stato
ipersensibile in cui si ritrovava. “Andiamo,”
disse Minseok, guidandolo con una mano gentile appena poggiata sulla
sua schiena.
Kyungsoo
annuì deciso, tenendo le braccia attaccate al corpo, le
maniche tirate sopra le mani. Avrebbe voluto avere dei guanti. Avrebbe
voluto avere una tuta che gli coprisse tutto il corpo. Sarebbe voluto
tornare nella propria camera.
Minseok si
fermò proprio davanti alla porta, voltandosi a guardarlo.
“Respira profondamente, Soo,” disse.
“Conta fino a dieci. Qualunque cosa tu stia immaginando ora,
non esiste, ricordi?”
Kyungsoo
voleva protestare, voleva dire che non stava immaginando niente, ma
anche quando aprì la bocca, la sua mente era invasa da
immagini di batteri che strisciavano su ogni superficie per arrivare
alla sua pelle, cercando un modo di entrare nel suo corpo, e sapeva che
non era così che funzionava, ma non gli impedì di
immaginarlo. Annuì, chiuse gli occhi, e contò
fino a dieci. Pensò a cose confortanti. Cose pulite. La sua
camicia lavata. La sua mascherina sterilizzata. Era al sicuro.
“Pronto?” chiese Minseok
quando aprì gli occhi.
Kyungsoo
deglutì, ancora e ancora, e poi disse,
“Sì.”
“Bene.
Andiamo. Vuoi che ti racconti una storia?”
Kyungsoo
prese un altro respiro e fece un passo avanti, oltre la porta che
Minseok stava tenendo aperta per lui.
“Sì.”
“D'accordo.
Ecco una storia cinese che mi ha raccontato una volta Luhan…”
Kyungsoo
ascoltò solo in parte, concentrandosi nel vedere dove stesse
mettendo i piedi, dove stesse andando. Il loro palazzo era in una
piccola via, non una grande strada, quindi non c'era molto da vedere
mentre camminavano, non c'erano nemmeno troppe persone, ma Kyungsoo
tenne gli occhi aperti, osservando. Il cemento sotto le sue suole era
sporco, i muri degli edifici su entrambi i lati erano meno che puliti,
e l'aria era pesante per lo smog, i gas di scarico delle macchine e
altre esalazioni che sentiva gli macchiavano i polmoni mentre
respirava, anche attraverso la mascherina. Ma almeno c'era abbastanza
silenzio, qui in questa via.
Questo
durò solo per un altro minuto, quando Minseok smise di
parlare e salirono entrambi sul marciapiede che costeggiava la strada
principale. Kyungsoo si ritrasse istintivamente. C'erano macchine che
sfrecciavano, uomini che discutevano davanti a ristoranti, donne che
contrattavano sul prezzo delle verdure alle bancarelle vicine, bambini
che ridevano e correvano intorno ai loro genitori, piccioni che
tubavano da sopra le insegne dei negozi, c'era rumore ovunque. Era travolgente, tutto il
rumore e l'attività e gli odori e le scene e—
“Hey, va tutto bene,”
lo rassicurò Minseok, con voce bassa e confortante.
“Guarda, Kyungsoo, questo è l'esterno.
È piuttosto frenetico, vero? È abbastanza
affollato al momento, sono tutti tornati da lavoro, non ci avevo
pensato…”
Kyungsoo
tremò e cercò di non vacillare sui piedi.
“Possiamo sederci?” chiese.
“Certo, Soo,” rispose
immediatamente Minseok, guidandolo in avanti, oltre la sicurezza della
loro via. Kyungsoo tremò incontrollabilmente.
“Ecco, ci possiamo sedere su questa panchina. Qui
è dove le persone aspettano l'autobus, ma possiamo
semplicemente fingere di star aspettando il prossimo.” Si
fermò accanto alla panchina, togliendosi il giubbotto e
stendendolo sulla superficie del legno. Anche Kyungsoo indossava un
giubbotto, perché c'era ancora un po' di freddo, e Minseok
ora aveva solo una maglietta, ma non disse niente e gli fece
semplicemente cenno di sedersi. Trattenendo il fiato, Kyungsoo lo fece.
“Perché
non provi a chiudere gli occhi?” suggerì
Minseok. “E ascolta solo per un po'. Un passo alla volta,
giusto?”
Kyungsoo
annuì, serrò la mascella e strinse gli occhi. In
un certo senso, questo lo rese ancora più nervoso, non
essere in grado di vedere mentre la automobili rumorose sfrecciavano in
un soffio di vento, e le voci si facevano più alte e poi
più basse attorno a lui, ma poteva anche sentire Minseok
accanto a sé, che continuava a guardare per lui, e si fidava
di Minseok. Tenne gli occhi chiusi, ascoltò e basta. I
clacson delle macchine, il suono dei semafori, i venditori che
urlavano, le persone che conversavano attorno a lui. Affollato,
così affollato, troppo affollato. Il cuore di Kyungsoo
batteva al ritmo della città che lo circondava.
Ma alla fine
si calmò, i suoni si attutirono in una sorta di rumore
bianco, forte ma meno stridente. Prese lenti respiri controllati.
Assaporò i gas di scarico. Aprì gli occhi.
Vedere fu
tanto inquietante quanto prima. Cominciò a tremare ancora,
gli occhi si spostarono su tutte le cose che passavano lungo la sua
linea visiva, si ritrasse quando un autobus si fermò davanti
a loro per far salire i passeggeri. Il rombo del motore lo
terrorizzava, e sollevò le mani per coprirsi le orecchie,
bloccandolo. Minseok glielo lasciò fare.
“Ora
guarda e basta,”
disse, avvicinandosi in modo che Kyungsoo potesse sentirlo.
“Guarda, e non ascoltare. Respiri profondi,
Kyungsoo.”
Kyungsoo
inspirò lentamente, tenendo le mani sopra le orecchie, gli
occhi passavano da un punto all'altro. L'autobus ripartì. Le
auto continuarono a scorrere di fronte a lui. Le persone continuarono a
camminare lungo il marciapiede. Gli uccellini continuarono a spiccare
il volo e atterrare. Era caotico, ma c'era una sorta di ritmo, e
Kyungsoo cominciò a sentirlo mentre osservava. Poteva ancora
sentire i suoni attutiti, ma erano sovrastati dal battito del suo
cuore, dal suo respiro tremante. Canticchiò un po' per
bloccarlo ancora di più, e Minseok non fece commenti.
Alla fine,
liberò le orecchie, e i suoni lo inondarono di nuovo, in un
istante. Prese dei respiri profondi, cercando di placare il panico che
cominciò a riaffiorare, provando a rallentare il battito del
cuore. Il suo respirò continuò ad essere
affannato, ma per il momento stava bene, controllava tutto, cercava di
dare un senso a tutto quel caos travolgente.
“Penso
possiamo tornare indietro ora, Kyungsoo,” disse
gentilmente Minseok, alzandosi.
Kyungsoo
annuì frettolosamente, alzandosi con le gambe tremanti,
costringendo le ginocchia a non cedere. Strinse l'orlo della camicia,
solo per avere qualcosa a cui tenersi.
“Rientriamo
velocemente, okay? Whoa, attento—” Minseok
allungò un braccio, e Kyungsoo si voltò
rapidamente e vide qualcuno che correva vicino, troppo vicino a lui, e
fece un passo indietro per evitare di venire travolto, ma le gambe
colpirono la panchina e cadde, sedendosi sul legno consunto e poggiando
una mano sul bordo. La spostò immediatamente, con la
sensazione di essersi scottato, e si rialzò mordendosi la
lingua abbastanza forte da farla sanguinare. “Stai
bene?” chiese ansioso Minseok, gli occhi spalancati.
Kyungsoo
annuì in silenzio, sforzandosi di non cedere al panico. Non
poteva parlare, non poteva nemmeno aprire la bocca, poteva sentire il
sapore di sangue sulla lingua e la pelle gli formicolava. Aveva
davvero, davvero
bisogno
di tornare dentro ora.
Tornarono
velocemente nella loro via, sfuggendo alla frenesia e al viavai della
strada principale, e Minseok si voltò e gli sorrise. “Sei stato davvero
bravo oggi, Kyungsoo. Fantastico. Sono così orgoglioso di
te.”
Kyungsoo si
costrinse a sorridere e annuì per il complimento. Anche lui
era orgoglioso di se stesso, ma allo stesso tempo si sentiva nel panico
e malato e spaventato e travolto e voleva farsi una doccia per
strofinarsi la pelle e prendere tutte le sue vitamine anche se le aveva
già prese quella mattina e—
“Stai
bene,
Soo?”
Kyungsoo
rallentò il respiro e cercò di rilassarsi. Stava
tremando così tanto che probabilmente Minseok lo aveva
visto. “È tutto okay,” rispose, con voce
falsamente calma. “Sto bene.”
“Ti
sta sanguinando la lingua,” disse Minseok,
aggrottando le sopracciglia.
“Me
la sono morsa quando sono caduto. Sto bene,” disse deciso
Kyungsoo.
Sarebbe stato
bene, perché voleva che Minseok fosse orgoglioso di lui.
Voleva meritarsi l'orgoglio di Minseok.
“Vado
a farmi una doccia,”
disse nel momento in cui rientrò in casa, le mani tremanti
mentre le teneva lontane dal proprio corpo. “Mi
laverò le mani, mi toglierò i vestiti e poi
farò la doccia, okay?”
“Okay,” disse piano
Minseok. “Solo non—”
“Usare niente di troppo forte,
lo so, hyung. Non lo faccio più ormai.” Kyungsoo
deglutì a fatica.
“Bene.” Minseok sorrise
incoraggiante. “Vai pure. Luhan chiamerà fra poco,
vuoi unirti a noi? Probabilmente ci sarà anche
Yixing.”
Kyungsoo
annuì in automatico, spostandosi verso il lavandino
più vicino.
“D'accordo.
Ti mando un messaggio più tardi allora, okay?”
Un altro
cenno di assenso, la concentrazione di Kyungsoo era più che
altro sulla quantità di sapone che si stava versando sulla
mano.
“Okay. A dopo, Soo.”
“A
dopo,”
lo salutò Kyungsoo. La porta si chiuse dietro il vicino
quando se ne andò. Poi, piano, tra sé e
sé ripeté, “Non ti ammalerai, Do
Kyungsoo. Sarai una persona normale. Una persona normale che va fuori e
ha un rapporto normale con le persone.” Annuì, e
continuò a strofinarsi le mani.
Minseok non
si innervosiva più prima di chiamare Luhan. Lo era le prime
volte dopo la confessione di Luhan, solo perché non era
stato sicuro di cosa aspettarsi e di come gestire tutta questa... cosa.
Qualsiasi cosa fosse. Ma era passata più di una settimana da
allora, e aveva persino detto a Jongdae di lui e Luhan (solo per
scoprire che Luhan glielo aveva già raccontato –
quanto parlavano quei due, comunque?!). Ad ogni modo, dirlo al migliore
amico in qualche modo aveva solidificato l'idea nella mente di Minseok,
l'aveva resa più reale.
Quella
settimana non aveva, però, reso la cosa meno dolorosa.
Sì, Minseok era felice, e sì, era estatico del
fatto di poter guardare Luhan in faccia e dirgli che lo amava (quando
trovava il coraggio – Luhan era molto più bravo di
lui), ma faceva ancora male che in faccia significasse ad uno schermo. Faceva male non poter tenere la
mano di Luhan, o baciarlo, come avrebbe così disperatamente
voluto fare. Faceva male sognare di fare cose come quelle, stare con
Luhan e poterlo sentire senza interruzioni della connessione e poter
vedere il suo corpo intero e non solo le sue spalle e il suo viso e
poterlo toccare. Faceva così male
doversi sempre svegliare.
E faceva male
anche che Minseok poteva sempre vedere le profonde borse sotto gli
occhi di Luhan, nonostante il ragazzo cercasse di nasconderlo. Poteva
vedere quanto fosse stanco, riusciva a sentire quanto fosse roca la sua
voce a causa della tosse che aveva sviluppato nei giorni precedenti. E
sapeva che stavano succedendo delle cose nella vita di Luhan delle
quali non parlava con Minseok. Cose di cui non voleva parlargli,
perché Minseok si sarebbe preoccupato. E Minseok in effetti si stava preoccupando. Solo che
non sapeva di cosa preoccuparsi, di preciso.
“Ciao,
ti amo,”
disse un Luhan assonnato non appena la chiamata si connesse quella sera.
Minseok
avvampò, nascondendo le guance dietro le mani.
“Oddio, Lu, sei così tremendamente
sdolcinato.”
Luhan rise
felice, spostandosi la frangia dagli occhi. Sembrava si fosse appena
alzato dal letto. “È solo che non voglio che te ne
dimentichi.”
“Non
lo farò,”
mormorò Minseok imbarazzato, ma il suo cuore
palpitò compiaciuto. Poi Luhan si appoggiò allo
schienale della sedia, più lontano dallo schermo, e Minseok
poté vedere delle spalle e un petto nudo. Arrossì
ancora di più. “Um. Perché non indossi
una maglietta?”
“Hm?” Luhan
abbassò lo sguardo, come se si fosse dimenticato.
“Oh. Stavo dormendo. E durante il giorno fa così
caldo in camera di Yixing. Di solito dormo nudo.”
Beh. Questo presentò a Minseok
molte immagini mentali che non avrebbe dovuto avere. “Beh, ti metterai dei vestiti?”
“Perché,
non ti piace?”
chiese Luhan, sorridendo malizioso. Si allontanò ancora,
dando a Minseok una visuale migliore del suo petto nudo.
Minseok
sputacchiò. “No, stavo solo – voglio
dire, è – mi distrae!”
protestò.
Luhan
ridacchiò, stiracchiandosi in quella che Minseok pensava
fosse una combinazione di sonno ed esibizionismo intenzionale.
Bastardo. “D'accordo, d'accordo,” disse.
“Vado a cercare una maglietta.”
Si
alzò troppo velocemente perché Minseok potesse
coprirsi gli occhi, ma fortunatamente indossava almeno dei pantaloncini. (Minseok, comunque,
riuscì a vedere un sentiero di peli scuri che andava
dall'ombelico all'orlo dei boxers, e deglutì a fatica.) Un
momento dopo si infilò una felpa che Minseok era abbastanza
sicuro fosse di Yixing (non che fosse geloso), e poi si risedette,
posando il mento sulle mani. “Meglio?”
“Sì,” Minseok
tirò su col naso. “Allora. Qualcosa di
nuovo?”
Luhan fece un
suono vagamente assonnato. Le borse sotto ai suoi occhi erano
più marcate del solito oggi. “Lavoro lavoro
lavoro,” rispose. “Come al solito.”
Minseok aveva
la sensazione che stesse lavorando più del solito. Ma non disse
niente, perché immaginò che Luhan non ne volesse
parlare. “Stai dormendo abbastanza?” chiese invece,
accigliandosi per la preoccupazione.
“Lo
faccio mai?”
ribatté Luhan sorridendo sarcasticamente. “Ma sto
bene. Davvero, Seok-ah.” Però tossì
leggermente alla fine, e Minseok scosse la testa e sospirò.
“Ti
senti meglio, almeno?”
chiese, facendo un cenno alla gola.
“Un
po',”
rispose Luhan scrollando le spalle. “Non è niente,
Seok-ah, solo un po' malato.”
“Sei
sempre solo un po' malato,” mormorò
Minseok imbronciato. “Dovresti prenderti più cura
di te stesso.”
“Lo
farò quando potrò,” gli promise Luhan,
poi cambiò argomento. “Che hai fatto
oggi?”
Minseok si
illuminò. “Beh, sono andato a scuola,”
cominciò. “E proprio ora, poco fa, io e Kyungsoo
siamo andati fuori!”
Le
sopracciglia di Luhan si sollevarono. “Kyungsoo?
Fuori?”
Minseok
annuì vigorosamente, sentendo nuovamente l'orgoglio
riempirgli il petto. “Già! Siamo andati in fondo
alla strada, e ci siamo seduti alla fermata dell'autobus per qualche
minuto. È stato davvero bravo!”
“Non
si è nemmeno spaventato?” chiese Luhan.
“Beh,
sì,”
ammise Minseok. “Siamo dovuti tornare dopo un po'. Ma
è stato bravo per essere la prima volta! Sono davvero
felice.”
Luhan
sorrise. “Yixing sarà felice di
sentirlo.”
Minseok rise.
“Possiamo chiamarli entrambi dopo.” Poi, in fretta,
“Ma per ora parliamo, io e te.”
Luhan
annuì, posando ancora il mento sulle mani e sorridendo
affettuosamente. “Già,” disse piano.
Quindi
parlarono. Luhan raccontò a Minseok dei suoi colleghi, del
suo capo, dei suoi amici, della sua città, e in risposta,
Minseok gli parlò della scuola, dei professori di cui Luhan
si lamentava, del test che aveva fatto quel giorno, e di Baekhyun e
Chanyeol che all'ora di pranzo avevano fatto i piccioncini. (Non
entrò nel dettaglio, non gli disse che si erano tenuti per
mano sotto al tavolo quando pensavano che nessuno stesse guardando, o
di come si toccassero e tendessero a poggiarsi l'uno all'altro,
perché Minseok non poteva farlo con Luhan, e non voleva che
la gelosia o l'amarezza prendessero il sopravvento. Era felice per
Chanyeol e Baekhyun. Lo era.)
Minseok disse
a Kyungsoo di raggiungerli solo quando apparve Yixing, sbucando sullo
schermo e dicendo, “Kyungsoo?” Onestamente, lui e
Luhan probabilmente avrebbero potuto continuare a cianciare fino a che
Luhan non fosse dovuto andare a lavoro, quindi probabilmente era stato
un bene che Yixing li avesse interrotti, prima che si facessero
trasportare.
Kyungsoo
arrivò circa cinque minuti dopo, i pugni coperti dalle
maniche della maglietta. Si sedette accanto a Minseok con cautela e,
automaticamente, Minseok disse, “Mani.”
Kyungsoo
scosse via le maniche e mostro i palmi a Minseok. Sembravano
stranamente rosa, e Minseok guardò con attenzione il vicino,
cercando di decifrare la sua espressione, prima di dire,
“L'altro lato.”
Kyungsoo
sospirò e girò le mani, mostrando le nocche
arrossate e screpolate.
“Soo…”
cominciò Minseok, preoccupato ma anche severo.
“Ho
solo strofinato troppo forte,” gli disse il
ragazzo, abbassando la testa con vergogna. “Non ho usato
nulla.”
Minseok
rilasciò un piccolo sospiro di sollievo. “Stai
bene?”
Kyungsoo
esitò, poi annuì.
“Sì.”
“Bene.
Ora saluta
Yixing, se la sta praticamente facendo addosso per l'eccitazione di
vederti.”
A Minseok piaceva il modo in cui
il viso di Kyungsoo si illuminava quando parlava con Yixing. Non ero lo
stesso rispetto a quando parlava con lui o qualcun altro. I suoi occhi
erano più accesi del solito, il suo sorriso più
timido – sembrava più vivo di qualsiasi altro momento. E
se c'era una cosa di cui Kyungsoo aveva bisogno, era l'incentivo a vivere di più.
Oggi,
però, Kyungsoo era in qualche modo più riservato
del solito, la sua voce leggermente provata, il suo sorriso forzato. “Sono uscito
oggi,” disse Kyungsoo a Yixing, e sembrava fiero di se
stesso, e questo rese Minseok felice, ma sembrava anche un po'
spaventato.
Luhan
tradusse per l'amico, il quale si illuminò.
“Davvero?” disse in coreano, con un forte accento.
“Fantastico!”
Kyungsoo
ridacchiò leggermente. “C'è davvero
tanto rumore,” disse. “E molto traffico. Ero
nervoso.”
Gli occhi di
Yixing si spalancarono quando Luhan tradusse ancora, e poi disse
qualcosa in cinese, che Minseok tradusse per il vicino. “Dice che sei molto
coraggioso.”
“Bu shi,” ribatté Kyungsoo,
abbassando la testa. Non lo sono. “Avevo davvero paura.”
“Puoi
avere paura ed essere comunque coraggioso,” fu la risposta di
Yixing, gli occhi grandi e sinceri.
“Avevo
davvero paura,”
ripeté Kyungsoo, e Minseok poté vedere il leggero
tremolio delle sue braccia. “Qualcuno mi è quasi
venuto addosso, e ho avuto un piccolo crollo. Non mi ha nemmeno
toccato. Ma ho poggiato la mano sulla panchina. E riesco ancora a
sentirlo. L'ho sfregata più forte che potevo. Ma non mi
sembra ancora pulita.”
“Hey, è tutto
okay,” disse velocemente Minseok, anche se in sottofondo
sentì Yixing chiedere a Luhan cosa non andasse e se Kyungsoo
stesse bene. “Era la tua prima volta. Migliorerai.”
“Il
mondo sembra troppo grande, e troppo pericoloso. Io sono troppo
piccolo, e troppo fragile,” disse Kyungsoo,
tremando.
“No, no, va bene,”
continuò Minseok, sentendo una stretta al cuore.
“Sei stato davvero bravo oggi, Soo. Da qui in poi migliorerai
soltanto. Starai bene, lo prometto.”
“Ha terribilmente paura di
ammalarsi,” Minseok riusciva a sentire
Luhan che spiegava in cinese dall'altra parte. “Perché ha paura che
non migliorerà.” Minseok sapeva che Yixing
sapeva dell'immunodeficienza di Kyungsoo, ma chiaramente non conosceva
gli effetti psicologici di questa condizione.
“Cosa
sta dicendo?”
chiese Kyungsoo, facendo un cenno verso lo schermo. Sembrava
imbarazzato, e rassegnato, e turbato.
“Gli
sta solo parlando un po' della tua condizione,” gli
assicurò Minseok, col desiderio di poter posare una mano di
conforto sulla spalla di Kyungsoo. “E perché oggi
è stata così dura per te.”
Il corpo del
ragazzo tremò leggermente, e si morse il labbro. “Perché
sono un casino,” disse.
“Yixing dice che sei fantastico,
Kyungsoo,” li interruppe all'improvviso Luhan, e si voltarono
per vedere Yixing che lo guardava con occhi sinceri. “Dice
che ti ammira davvero, e che anche lui lavorerà tanto per
diventare una persona migliore.”
Kyungsoo
sbatté le palpebre una, due volte e poi disse, “Ha
detto questo?”
Luhan
annuì. “Dice che sei davvero coraggioso per aver
affrontato le tue paure, e che sa che non ti ammalerai,
perché il tuo spirito è troppo forte.”
Minseok
sorrise, e Kyungsoo prese un profondo respiro.
“Grazie,” disse piano.
Yixing
sorrise gentilmente. “Fighting!” disse, alzando un
pugno d'incoraggiamento.
Kyungsoo
sorrise in risposta, e sussurrò,
“Fighting.”