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Autore: Rose Wilson    23/09/2016    4 recensioni
Ormai da tempo, la City ha conquistato l'America, distruggendo le insulse città e metropoli e devastando la vegetazione. Il motivo? Il Progresso, ovvio.
L'America è adesso priva di regioni o stati; ricoperta totalmente di cemento, è diventata un'unica enorme città, la City, che ora si appresta a invadere il resto del mondo e a portare il Progresso ovunque.
Col tempo però, un gruppo di ribelli terroristi ha fondato la Lega Anti-Progresso, votata a ostacolare i nobili progetti del Sindaco, la massima autorità della City.
Non si conosce l'identità del capo della Lega, ma senz'altro si conosce il suo agente migliore: l'esperimento 929, una ragazza con un passato ancor più oscuro del mantello che indossa…
Ora, è nelle mani della City. Ma nessuno, neppure lei, sa che le cose stanno per cambiare per sempre.
Genere: Angst, Dark, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Raven, Red X, Slade, Terra, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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~CITY~
































CAPITOLO 4













MECCANICI


 
Il sole rossastro come una chiazza di sangue fece presto la sua comparsa anche quella mattina, illuminando la City con i primi fiochi raggi. Essa, dall'alto, appariva come una distesa infinita di cemento e acciaio, con i suoi innumerevoli edifici color del catrame, alti decine di metri e tutti attaccati tra loro, come migliaia di zanne affilate che tentavano di ferire il cielo e le nuvole con le loro punte aguzze e acuminate. Era quasi impossibile pensare che, secoli e secoli prima, quel luogo possedesse prati, campi, montagne, laghi e foreste, sconfinate valli e immense pianure, dove creature differenti dall'uomo riuscivano a sopravvivere naturalmente, senza cose come il metallo e il ferro.

Adesso, il cielo un tempo azzurro era perennemente offuscato da una patina di fumo e gas, mentre la terra era morta, sepolta sotto metri e metri di cemento.
Gli animali si erano estinti tutti, chi prima e chi dopo, così come la vegetazione, ridotta a meno di un ricordo.

Gli abitanti non potevano rendersene conto, accecati dal lusso sfrenato con il quale convivevano, e neppure gli Scienziati, troppo presi dalle loro ricerche e dai loro esperimenti inumani, i Mastri cui importava solo del denaro, gli Ingegneri che non pensavano ad altro che non fosse il loro mestiere, e così via.

Questa era la City. Una landa fredda e desolata, di acciaio e cemento, tale e quale ai cuori delle persone che la abitavano.

 
~~~

Non passò troppo tempo dall'alba che gli Apprendisti furono costretti ad alzarsi dalle brande e a lasciare i dormitori per andare a lavorare; Tara e Luke non fecero certo eccezione. Subito dopo una magra colazione alla mensa - durante la quale Jennifer e Amalia si lanciarono per tutto il tempo occhiatacce e insulti poco velati, e se Luke non fosse intervenuto probabilmente sarebbero venute alle mani - i due, una volta informati sul loro orario lavorativo che li vedeva spesso insieme, si avviarono verso la Zona di recupero.

In poche parole avrebbero passato l'intera mattinata davanti a un nastro scorrevole dove avrebbero dovuto smistare tutto ciò che si poteva riutilizzare da tutto quello che si poteva benissimo gettare via, in compagnia dei lugubri Meccanici. Un vero spasso...

 
~~~

Tara non credeva che esistessero androidi più temibili dei Meccanici; alti più di tre metri, possedevano un petto possente e un cranio enorme, tutto il contrario della loro vita sottile e delle gambe, piccole e tozze, che terminavano in zampe artigliate al posto dei piedi.

Le mani erano munite di lunghi artigli ricurvi e la testa era quella di un lupo di metallo, con le orride mascelle in acciaio che producevano agghiaccianti clangori ogni volta che quei mostri muovevano la bocca; gli occhi verdi erano grossi come biglie e si illuminavano di un bagliore sinistro e morto ogni volta che entravano in funzione.

La voce era stridente e metallica, e tra i vari interstizi tra una placca metallica e l'altra spuntavano oliosi ciuffi di sintetica pelliccia nera.

Tara non faticava a credere che i membri delle Corporazioni mandassero gli Apprendisti indisciplinati sotto nelle fucine in compagnia di quei mostri, sicuri che così facendo avrebbero ottenuto seduta stante obbedienza e rispetto da parte del poveretto di turno.

Erano semplicemente terrificanti, i Meccanici. Eppure giravano voci che raccontavano di androidi grossi il doppio, con zanne grandi quanto un intero avambraccio e testa di serpente a sonagli, con all'interno la mente ancora viva e pensante dei ribelli catturati, che si nutrivano di carburante e carne umana.

Ovviamente erano molti gli Apprendisti - tra cui Amalia, che si divertiva un mondo a spaventare i più ingenui - che si occupavano di ingigantire fino all'assurdo tali voci, ma, ciononostante, la fervida fantasia di Markov non si faceva problemi a immaginare enormi belve di metallo assetate di sangue.

 
~~~

L'urlo lancinante dell'esperimento 929 si sarebbe udito in tutta l'Area Sperimentale se i muri della sala esperimenti non fossero stati insonorizzati. Benzina. Le avevano iniettato sottopelle della benzina, un antichissimo liquido usato un tempo oramai lontano per il funzionamento di svariati macchinari, per chissà quale perfido e maledetto test.

Non pianse nemmeno quella volta. Gridò finché la voce non la abbandonò e le parve quasi di dilaniarsi la gola. Per un secondo si ritrovò a sperare che se la fosse veramente lacerata, la gola, purché il supplizio finisse. Si maledì da sola: solo un debole o un codardo arriverebbe a desiderare nella morte solo per dolore fisico.

E lei non era né l'uno, né l'altro.

«Dicono che faccia male» ghignò crudelmente la donna, con in mano ancora la siringa sporca.

Anche quella volta, Dick non resistette alla tentazione di distogliere lo sguardo. Ringraziò mentalmente che la sua collega fosse troppo impegnata ad assistere alla prigioniera per notare questa sua debolezza, o glielo avrebbe rinfacciato a vita.

 
~~~

Tara era lì da poco, e già non ne poteva più. Il caldo era asfissiante e faticava a respirare per via degli sbuffi di vapore rovente. La divisa era fradicia per il sudore e i muscoli iniziavano ad avvertire la stanchezza per via della notte passata in bianco.

Si passò una mano tra le ciocche dorate, mentre sopprimeva a stento uno sbadiglio: tutta colpa di quei maledetti incubi. Poi un'idea le balenò in mente, tanto avventata quanto desiderabile in quel momento.

Si guardò intorno. Luke si era allontanato per fregare il borsello di un Mastro avvolto nel consueto cappotto bianco, e i Meccanici erano chini sul nastro scorrevole - ora fermo - a dissezionare la carcassa di un androide, cui già mancavano la testa, gli arti e alcune placche del petto.

Nessun altro in vista. Era l'occasione giusta per filarsela.

La ragazza posò sul nastro il pezzo di ferro rovinato con cui aveva armeggiato per più di un quarto d'ora - pur sapendo che non era recuperabile - e indietreggiò finché non fu vicino all'imboccatura del corridoio, controllando che la via fosse libera, dopodichè si voltò di scatto e corse al suo interno.

Mentre correva pensava a dove potesse andare. Il dormitorio e la mensa li aveva subito eliminati: l'avrebbero trovata subito. Anche la Zona Museo era da scartare: troppi Apprendisti in giro. Poi le venne in mente la strada che soleva percorrere per raggiungere il tetto. Sebbene conoscesse il percorso a memoria, l'aveva scoperto per puro caso e vi si era avventurata solo la notte, pertanto non aveva mai indagato per vedere in quale Area si trovasse.

Magari poteva giusto farci una capatina, un po' per la necessità di trovare un buon nascondiglio, un po' per la sua vivace e consueta curiosità che aveva già iniziato a divorarle l'animo.

Ecco dovrebbe essere qui pensò, fermandosi dinanzi all'ascensore. Era, naturalmente, pieno, forse anche più del solito, e Tara dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per assumere un'aria indifferente e sicura.

Non voleva certo far vedere dinanzi a tutta quella gente che stava deliberatamente trasgredendo alle regole.

Mentre aspettava pazientemente che la cabina raggiungesse il piano più alto, qualcosa attirò la sua attenzione: un cappotto celeste assieme a tutti gli altri bianchi. Il suo cuore saltò un battito.

Si trattava sicuramente di un membro della Corporazione degli Aviatori, coloro che guidavano le aereonavi da una parte all'altra della City per recapitare messaggi troppo importanti per essere spediti, vendere le loro merci o trasportare ovunque volessero i cittadini danarosi che potevano permettersi di vivere nella lussuosa Area Residenziale.

Tara aveva più volte sognato ad occhi aperti le enormi aereonavi mercantili che viaggiavano avanti e indietro sopra i cieli della City con il carico pieno di meraviglie, gli eleganti veivoli privati che riuscivano a raggiungere velocità inimmaginabili in pochi secondi, le splendide aereonavi da guerra che aprivano il fuoco sui malvagi ribelli.

Era forse il sogno privato di ogni ragazzo della sua età poter pilotare uno di quei favolosi mezzi di trasporto, anche solo per poco, e Tara non era certo l'eccezione che confermava la regola.

Non era insolito per lei, infatti, fantasticare per ore intere su eroi, avventure, terre straniere ormai dimenticate, perfidi terroristi della Lega, e via dicendo.

A distoglierla dalle sue fantasticherie fu proprio l'individuo dal cappotto azzurro, intento in un'accesa discussione con un secondo uomo, probabilmente un Mastro considerata la catena di bronzo che portava al collo.

«... è così, ti dico. Ho visto con i miei occhi quella donna con i capelli bianchi sparare a uno dei suoi Cacciatori, solo per una lieve perdita di carburante. E dire che era un androide ottimale»

«Mostruoso» commentò con voce piatta il Mastro, senza nemmeno sforzarsi di fingersi interessato.

«Oh, ma non è tutto! Pensa che l'altro giorno un mio amico l'ha vista che ordinava ai suoi androidi di distruggere l'aereonave di un tipo da cima a fondo, soltanto perché la sera prima quello aveva alzato un po' il gomito. Roba da matti»

«Assolutamente» concordò il Mastro, «Ma d'altronde, amico mio, cosa mai possiamo aspettarci da una donna? Per lo più, sai, è albina...»

«Sono tutte dei demoni. Loro e quei dannati della Lega Anti-Progresso»

A quel punto, Tara smise di ascoltare: l'ascensore era arrivato al piano più alto, ed era il momento per lei di scendere. Fu l'unica ad abbandonare la cabina, così che si ritrovò in un corridoio deserto.

Meglio. Almeno non avrebbe dovuto inventare chissà quale scusa che giustificasse la sua presenza lì.

Le parve di camminare per una ventina di minuti circa, i passi che emettevano lievi rimbombi sul pavimento in acciaio, quando udì un urlo disumano perforarle i timpani.

E, sebbene ancora non lo sapesse, sarebbe stato proprio quell'urlo a segnare la sua condanna. E, al contempo, la sua salvezza.

 
~~~

Il grido proveniva da dietro una porta poco distante da lei, appena appena socchiusa, sicché l'urlo si udì nonostante le pareti certamente insonorizzate. Senza nemmeno accorgersene Tara si era ritrovata con le mani premute sulle orecchie e le lacrime che le pizzicavano le palpebre serrate, a pregare che qualcuno ponesse fine a quello strazio.

Forse poteva sembrare esagerato, se non patetico mettersi a piangere per un grido, ma quell'urlo era diverso dai soliti rumori cui la ragazza era abituata. Era un autentico grido di dolore, quasi inumano, che riassumeva sofferenza, rabbia, odio.

E la cosa peggiore, era che era sicura di aver già sentito altrove un grido del genere. Nei suoi incubi.

Pian piano, l'urlo si estinse, lasciando il posto a un flebile gemito per poi tacere. Lentamente, la ragazza si rialzò - senza che se ne rendesse conto era scivolata - ancora tremante, guardandosi intorno come a controllare che nessuno stesse arrivando allarmato dal grido.

Nessuno. A quanto pare doveva essere proprio deserto quel piano, oppure erano tutti abituati a udire simili urli agonizzanti. L'Apprendista Markov prese un profondo respiro e si voltò verso la porta da cui era giunto il grido, indecisa sul da farsi.

Una parte di lei, senz'altro la più astuta, le strillava di fare dietrofront e scappare il più in fretta possibile senza voltarsi indietro. L'altra invece, che doveva essere il suo lato più coraggioso e sensibile, o semplicemente il più stupido, la incitava a entrare in quella stanza a controllare la cosa che aveva gridato: poteva trattarsi di qualcuno in pericolo e lei era l'unica che potesse fare qualcosa al momento.

Se non vai lì dentro, le sussurrò maligna la solita vocina nella sua testa, lo rimpiangerai per il resto dei tuoi giorni. E sebbene Tara ritenesse, giustamente peraltro, che quella fosse un'esagerazione bella e buona, la sua impulsività ebbe come sempre la meglio, e in pochi attimi le sue gambe l'avevano già portata dinanzi alla porta, che essendo già socchiusa si aprì docilmente appena la sua mano sfiorò la superficie di metallo.

Si trattava di una stanza quadrata, in cui il colore bianco regnava sovrano: bianche erano le pareti, bianco era il soffitto, bianco il pavimento. Disposti lungo i muri vi erano vari macchinari, bianchi pure quelli, e sopra ognuno di essi stavano in bella mostra varie file di strumenti che la ragazzina riconobbe di uso medico, tra cui bisturi, siringhe, aghi, flebo e coltelli chirurgici.

Al centro della stanza si ergeva un basso tavolo in metallo, e sopra di esso... vi era, legata, una ragazza, non più grande di lei, con la pelle grigia e i capelli corvini che le ricadevano scompostamente sul viso. Gli occhi erano serrati, così come le labbra sottili, rivoli di sudore le imperlavano la fronte e le tempie, le mano erano chiuse a pugno.

Tutto i muscoli erano contratti, chiaro segno che stesse soffrendo, e Tara non ci mise molto a capire il perché. L'intero fisico era ricoperto da tagli e abrasioni e un'orrida ferita sanguinante le sfregiava il viso: partiva dalla fronte, passava appena sopra il naso e terminava subito sotto l'occhio destro, rimasto illeso.

La ragazzina deglutì, incapace di muoversi. La mente le si era di colpo bloccata, non riusciva a pensare a nulla che non fosse quel corpo martoriato disteso sul tavolo. Il cuore le batteva all'impazzata nella cassa toracica, terrorizzato.

Ma niente le provocò più terore di una gelida voce alle sue spalle.

«E tu cosa ci fai qui?»



















Non ho potuto fare a meno di notare, con un pizzico di ironia, che, mentre il capitolo 1 di City ha ricevuto oltre 140 visualizzazioni, i capitoli 2 e 3 non hanno superato la sessantina. Devo quindi dedurre che "l'intrusione" di Tara nella storia non sia stata esattamente una sorpresa gradita?
Comunque... vorrei specificare, onde evitare fraintendimenti, che non sono sessista e/o maschilista (oltre agli ovvi motivi che dovrebbero far desistere chiunque dall'esserlo, andrei contro il mio stesso genere, quindi perché dovrei?), né razzista verso le persone albine/di colore/ecc., né, giusto per specificazione, omofoba. Il nostro simpatico Aviatore e il nostro Mastro li ho inseriti unicamente per farvi notare come, nonostante siano passati secoli e secoli, esistano ancora, purtroppo, sciocchi pregiudizi e infondate fobie.
Poi... per quanto riguarda la prigioniera, devo dirvi che, purtroppo, l'iniezione di benzina sottopelle non è una sadica invenzione nata dalla mia mente malata. Questa pratica di tortura veniva adoperata dai nazisti nei campi di concentramento sugli ebrei, sui criminali, sugli omosessuali e sul resto delle centinaia di innocenti che venivano mandati a morire in modo atroce e per nulla umano. Solo che, le "mie" iniezioni sono "solamente" sottopelle, i tedeschi iniettavano direttamente la benzina nelle vene del malcapitato di turno. Ho modificato questo dato perché anche una come l'esperimento 929 a una tale operazione non sarebbe sopravvissuta. E io non voglio mica che muoia. Non ancora, perlomeno...
Ringrazio di cuore Edoardo811 e aconsentino422 che recensiscono tutti i capitoli, e niente, come al solito posterò il prossimo capitolo venerdì.
A presto,

Rose Wilson






 
   
 
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