«Uffa» borbottò Maka, con le guance piene come palloncini. Camminava dritta davanti a sé, a pugni stretti, in una delle vie periferiche e deserte di Death City tinte dalla luce dei lampioni, la quale si diffondeva tenuemente per le strade, lasciando in penombra gli edifici.
«E adesso che hai da lamentarti?» la rimbeccò acido Soul, poco più avanti, con le mani nascoste nelle tasche.
«Fa freddissimo» mugugnò la bionda. Cercava di scaldarsi sfregando le braccia e teneva le gambe il più unite possibile, perché aveva pensato scioccamente di poter mettere senza problemi la sua cortissima gonna a pieghe, quella rossa, che usava anche per la scuola. Il suo pensiero corse al libro nuovo, ancora fresco di stampa, lasciato tristemente solo sulla scrivania della camera da cui era stata trascinata fuori per un orecchio, a dispetto delle sue proteste. «Te l'avevo detto, io, che era meglio non uscire.»
La sua ennesima lagna s'interruppe, perché sentì della stoffa poggiarsi sulle sue spalle e coprirle. Voltò il capo con ingenuità, attonita, trovando la falce rivolta verso di lei con un sorriso sghembo, rimasta in maniche corte quel poco da lasciar intravedere i muscoli delle braccia forgiati con fatica combattimento dopo combattimento.
«G-Guarda che non ne ho affatto bisogno, posso sopportarlo!» mentì, cercando di tener fede all'orgogliosità che la caratterizzava. «E poi tu ti prenderai il raffreddore così, sciocco…»
Il ragazzo liquidò la mala risposta facendo spallucce. Perché non poteva semplicemente ringraziarlo e accettare senza essere tanto testona?
A quel punto, a Maka non restò che infilarsi la felpa in stile college americano, dopo avergli lanciato un'occhiata un po' offesa. Le andava larga e se proprio doveva dirla tutta provava ancora un po' di freddo, perché era il capo d'abbigliamento in sé a esserlo. Ma – per via di quel gesto inaspettatamente cavalleresco – sentiva una sorta di calore scaturirle dal petto, dovuto anche al fatto che il proprio profumo lieve si fosse mischiato ai residui del suo e lo respirasse a ogni boccata.
Mentre proseguivano verso il centro, senza parlare, un sorriso istintivo le sbocciò sulle labbra. Iniziava a non trovare più così male quell'uscita, assimilando a pieni polmoni l'aria fresca e frizzante della sera, assai meglio di quella satura della sua stanza. Ogni tanto, per quanto stentasse ad ammetterlo, era tacitamente grata di essere costretta a lasciare il suo piccolo nido.
Alla vista di un muretto di marmo non molto alto non resistette alla tentazione di salirci con un balzo vivace, per giocare alla funambola, allargando le braccia così da mantenere l'equilibrio. In un attimo di distrazione, però, rischiò di sbilanciarsi; d'istinto, finì ad aggrapparsi a ciò che aveva di più vicino alla stessa altezza: alcune ciocche nivee di Soul.
«Ehi» protestò lui, laconico. Si fermò, fissandola con un sopracciglio inarcato. «Insomma, vuoi stare più attenta?»
La maestra d'armi ignorò il rimprovero, troppo di buonumore per lasciarselo rovinare così. «I tuoi capelli sono morbidissimi!» esclamò, stringendo debolmente una manciata di ciuffi albini, quasi fossero la criniera di un leoncino bianco.
La falce voltò il capo, arrossendo vagamente al sentire il tocco delle sue dita, affusolate e delicate. Bofonchiò un grugnito di risposta, messo in difficoltà dal sorriso splendente e spensierato della Meister, raro e bello come una perla. Inoltre, constatò che quel vecchio indumento, addosso a lei, stava molto meglio che a lui – ma ammetterlo ad alta voce non era strettamente necessario.