Fanfic su attori > Tom Hiddleston
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Autore: Eowyn_SEE    27/09/2016    2 recensioni
Mi chiamo Amelia Stefani, e questa è la mia storia. Non vi voglio convincere a leggerla. Dopotutto, forse voi state cercando una storia romantica. Beh, vi anticipo subito che questa non lo è: io non sono una persona romantica, mai stata. E lui lo sapeva. Non per cinismo o qualche altra fesseria del genere, solo che non sono capace, mi scappa da ridere. Quindi no, niente romanticismo.
Questa è soltanto la storia di un'inaspettata amicizia. Inaspettata perché mi prese alla sprovvista. Non ebbi neanche il tempo di vederla arrivare che già mi era impossibile separarmene, se non molto dolorosamente. Non è una storia romantica, è una storia di vita, che a volte è felice, e poi non lo è più. E ci può essere passione, ma anche quella non dura per sempre. Ma la vita è l'unica cosa che conosco, e l'unica che posso raccontare.
"Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate." (Una citazione di Dante ci sta sempre)
Tom HiddlestonX Nuovo Personaggio
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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N.A.: Rieccomi, più carica che mai! Beh, più o meno...

Con questo capitolo potrei aver fatto una gran cavolata, ma, in mia difesa, non sono più in potere, qua dentro: Tom e Amelia decidono di testa loro e io posso solo dire “Zì, badrone!”. Spero che vi piaccia ugualmente.

Bacioni xx

Eowyn

P.S. Ci ho messo così tanto anche perché, tra gli esami, ho anche scritto un paio di capitoli che si collocheranno più avanti nella storia. Tanto più avanti. Ho un pacco di appunti che fa paura. Perciò, abbiate fede!

 

Chapter Fifteen

 

Purtroppo per me non dormii molto. Era sempre così: più alcool avevo in corpo e più tardi andavo a dormire, prima mi svegliavo. Il mio corpo funzionava al contrario. Perciò alle 8 ero già sveglia. Quattro ore di sonno. “Noo! Dormi, testa di cazzo!” mi rimproverai. Mi sembrava di avere la testa in una bolla. Non potevo neanche chiamarla emicrania, non faceva male, ma tutto era attutito. Cercai di riaddormentarmi. Ci provai per mezz'ora, poi il nascente mal di schiena che mi veniva sempre quando stavo troppo a letto, mi costrinse ad alzarmi. Andai a farmi una doccia nella vana speranza che l'ottundimento se ne andasse. Vana, appunto. Mi asciugai, mi misi addosso dei vestiti morbidi e caldi e scesi di sotto. Tom evidentemente dormiva ancora. Andai in cucina e cercai di ricordarmi dove fossero le bustine del tè e le tazze. Le trovai e misi a bollire l'acqua. Finii per berne due, di tè, cercando di placare la sete da alcool.

Thomas nel frattempo non si era ancora alzato.

Andai in camera a prendere il mio libro e il telefono e tornai a sistemarmi sul divano provando a leggere un po', ma non è certo una delle attività consigliate durante un dopo-sbornia. Aprii Facebook e scorsi un momento tra gli ultimi post. Mi fermai quando ne trovai di già visti.

Non sapevo più che fare. Non c'è una vasta scelta di attività consigliate per quando ti ritrovi in casa d'altri con un ottundimento da alcool e non riesci a dormire. Tornai in camera e posai libro e telefono. Seduta sul letto guardai sconsolata la porta di fronte alla mia. Dopo un attimo di incertezza mi alzai e, esitante, la socchiusi piano. Tom dormiva ancora placidamente. Mi avvicinai piano, cercando di non fare rumore per non svegliarlo. Mi inginocchiai a lato del letto. Dormiva così serenamente che sarebbe stato un peccato svegliarlo. Doveva aver seguito il mio consiglio, perché da sotto le coperte emergevano spalle e un braccio nudi. Gli ormoni iniziarono ad agitarsi a quella vista. Mi rifilai uno schiaffone mentale. “Ricomponiti, Stefani! Insomma! Gli ormoni lasciali a casa loro! E' Tom! E' solo Tom.”. “Solo?” mi chiese una vocina nel retro della mia testa. “Ma porca troia, volete starvene tranquilli? Non provateci nemmeno! Non rovinate tutto di nuovo!”

Messo a tacere il mio assurdo dibattito interiore, tornai a osservare il suo viso. La ruga tra i suoi occhi sembrava sparita. Invidiai quel suo sonno tranquillo.

Non sapendo ancora che altro fare, feci il giro del letto e piano, in modo da non disturbarlo, mi distesi al suo fianco, sopra il piumone. Sicuramente non sarei riuscita a dormire (non scherzavo la sera prima dicendo che trovavo fastidioso il respiro della gente che dorme vicino a me), ma magari un po' sarei riuscita a riposare mentre aspettavo che si svegliasse. E non avevo voglia di tornare nella solitudine del salotto per farlo. In quel momento Thomas non era una compagnia molto loquace, ma era meglio di niente.

Mi accucciai su un fianco girata verso di lui, che mi dava la schiena, e provai a chiudere gli occhi. Sentivo chiaramente il suo respiro lento e regolare. Come pensavo: di dormire neanche a parlarne. Provai allora, invece che cercare di ignorarlo, a concentrarmi specificatamente su di esso: un elemento di disturbo dovrebbe esserlo meno se è l'unico su cui ti focalizzi, o no? “Proviamoci” pensai. Al peggio avrei fatto esercizio di respirazione.

Inspirazione. Espirazione. Di nuovo. Inspirazione. Espirazione. Inspirazione. Es...

 

Qualcuno mi stava toccando i capelli. “I capelli no! Me li sono appena lavati!” fu il primo pensiero. “Perché cazzo qualcuno dovrebbe toccarmi i capelli?” fu il secondo. Istintivamente andai con una mano a cercare la sorgente di quel tocco, incontrando una grande mano liscia. E fin qui nessuna sorpresa. Aprii piano gli occhi. Thomas, il viso ancora un po' assonnato, mi osservava dal suo cuscino con il braccio allungato ad accarezzarmi con le dita le ciocche ancora umide sopra l'orecchio. Sensazione piacevole, per carità, ma sicuramente non la prima che ti aspetti di sentire mentre sei ancora mezza rincoglionita dal sonno.

Notando che mi ero svegliata, ritirò la mano.

-Ciao.- sussurrò.

-Ciao.

Accennò un sorriso. -Hai i capelli bagnati.- notò.

-Lo so. Scusa se ti ho bagnato il cuscino.

-Non ti preoccupare per quello. Si asciuga.

Ci fu un attimo di silenzio. Lo vidi trattenere un sorriso.

-Avevo capito che tu non dormivi con la gente.- mi disse infine.

-Infatti non era mia intenzione.- mi difesi. -Ma mi sono svegliata dannatamente presto, tu non ti svegliavi e io volevo un po' di compagnia, anche se non molto attiva devo dire. Non credevo che mi sarei addormentata.

-Avresti potuto svegliarmi.

Scossi la testa. -Non volevo condannarti alla mia stessa agonia. Stavi dormendo così bene.

Sorrise. -E a me dispiace avere svegliato te, ora. Non volevo. Scusa.- disse, sinceramente contrito.

-No, hai fatto bene.- lo rassicurai. -Non voglio perdermi la giornata. E poi se no diventa un ciclo infinito: io aspetto te, tu aspetti me, e poi io di nuovo te, eccetera. Meglio così.

-D'accordo.

Cadde ancora il silenzio.

-Sai,- mi disse poi. -mi sono appena reso conto di quanto sforzo fai per essere te stessa.

Lo guardai stranita. -Che intendi dire?

Tentò di spiegarsi. -L'altro giorno era un po' che non ti vedevo, perciò non me ne sono accorto, ma ora sì. Hai una faccia completamente diversa quando dormi. Quando sei sveglia sei un fascio di nervi, anche quando sembri rilassata. Ora mi rendo conto che non lo sei mai, rilassata. Addormentata sembri una persona completamente diversa. Mi chiedo come fai.

Sbuffai. -Vivo con un torcicollo e un mal di testa cronici, ecco come.

-Ma perché?- mi chiese confuso. -Potresti evitarlo. Non c'è alcun motivo per essere così tesa. Rilassati.

Mi strinsi nelle spalle. -Non so come.

Sospirò. -Sotto quanti strati ti stai nascondendo, Amelia?

-E tu?- gli rinfacciai.

Nessuno dei due voleva rispondere. O forse non sapevamo la risposta.

Cambiò discorso. -A quanto pare avevo ragione io: non sono “la gente”. Con me sei riuscita a dormire.- fece tutto sorridente.

-Ora non montarti la testa, Hiddleston. Il tuo respiro è fastidioso quanto quello di tutti gli altri.

-Ma ti sei addormentata.- insistette.

-Chiamala eccezione che conferma la regola. Oppure “aver-dormito-solo-quattro-ore-e-non-poterne-più”. A te la scelta.

Sbuffò sorpreso. -Solo quattro ore? Eri stanchissima ieri.

-Lo so. E' normale. Insonnia da alcool.

-Vuoi riposarti ancora un po'?- chiese.

-Sono venuta su a Londra per te, non per il letto. Mi perderei la giornata.

-Resto qui a farti compagnia. E non è che abbiamo molto da fare oggi. A meno che tu non abbia qualche programma.

Cercai di pensare a qualcosa, ma poi scossi la testa.

-Facciamo del “dormire” il nostro programma per la mattinata?

Ci riflettei. -Forse non è un'idea così malvagia. Tu lavori questa sera?

-No, ma domani sì. Al massimo facciamo qualcosa stasera.

-Se ci scende un po' il fancazzismo.- aggiunsi.

Ridacchiò. -Aggiudicato. Vado solo a prendere dell'acqua, ho la gola secca. Ne vuoi?

-Sì, grazie.- risposi.

Mi tirai a sedere sul letto mentre lui spostava le coperte e si alzava. Mi stavo stropicciando gli occhi, ma improvvisamente mi fermai: aveva proprio seguito il mio consiglio! Difatti era in mutande. “Eh ma così non vale!”. Lui neanche ci fece caso e uscì dalla camera per andare a prendere l'acqua. Che gran culo!

Quando tornò con i bicchieri e guardò verso di me, mi trovò con la testa maliziosamente inclinata di lato e un sopracciglio alzato, mentre lo studiavo da capo a piedi.

-Che c'è?- mi fece con sguardo innocente, avvicinandosi.

-Niente. Solo che io sono una donna e tu sei un uomo attraente in mutande.- gli feci notare.

-Sono in casa mia.- si difese. -In camera mia. E tu stessa mi hai detto di non dormire vestito.

-Infatti non sto dicendo che non dovresti. Anzi. Tanto di guadagnato per me: non disdegno mai una bella vista. Ma se dovessi saltarti addosso, non ti lamentare.- Cercò di nascondere un sorriso imbarazzato e si venne a sedere sul letto porgendomi il bicchiere. Lo presi.

-E' una minaccia, Stefani?

-Solo un avvertimento, Hiddleston.

Trattenne una risata. -Lo terrò a mente.

Sorseggiammo un po' d'acqua.

-Sei davvero così a tuo agio ad andare in giro mezzo nudo davanti alla gente?- gli chiesi.

-Al contrario tuo, io non penso che tu sia “la gente”.- replicò leggermente piccato.

Ahi, questa bruciava. Mi immobilizzai. -Ti ho offeso veramente?- domandai preoccupata.

Ci rifletté. -Forse un po'.

-Scusa.

Scosse la testa. -So che non lo intendevi, e che volevi sono essere onesta.

-Non importa cosa intendevo. Mi dispiace averti offeso.

Mi sorrise. -Davvero, non ti preoccupare. Sono adulto e vaccinato, lo posso sopportare. Nei prossimi sei mesi potrei occasionalmente rinfacciartelo, ma per il resto è tutto a posto.- scherzò.

-Mi sembra giusto.- concordai ridacchiando.

-Comunque, per tornare alla tua domanda,- riprese. -il pudore mi è stato sradicato a forza.

Aggrottai la fronte, stranita. -Sarebbe?

-Alla RADA fa parte della preparazione. Un giorno i nostri insegnanti arrivarono in classe e ci dissero tranquilli: “Oggi tutti nudi. Dovete abituarvi a mostrarvi senza paura. E a entrare in contatto intimo con altri attori. Forza, spogliatevi.”. E abbiamo passato le quattro ore successive nudi come dei vermi,uomini o donne che fossimo, facendo lezione relativamente normalmente. Inutile dire che non eravamo al massimo della concentrazione.

Spalancai gli occhi. -Oddio! E' terrificante! Io mi sarei sotterrata.

-Non ti senti a tuo agio con il tuo corpo?

-Non è quello. Lo so che sono una gran figa!- scherzai.

Rise di gusto. -Sei la modestia fatta a persona.

-E' un dato di fatto.- dissi con fare ovvio. Rise ancora e io ripresi. -Lasciando da parte la mia indubbia figaggine, nemmeno io sono particolarmente pudica. Finché non ci si spinge troppo in là. Non è certo il mio più grande sogno, ritrovarmi nuda davanti a una folla di sconosciuti. O peggio ancora, conoscenti. Fossero amici, ancora ancora, ma proprio così... lo troverei un po' scioccante, credo.

Ridacchiò. -Inizialmente lo fu. Ma dopo quattro ore fidati che ti sei abituata.

-Ti credo sulla parola!- esclamai. -Perciò mi stai dicendo che non ti fai problemi ad andare in giro nudo, ma se qualcuno ti dice che si bello arrossisci come un eschimese al sole?

-Sono due cose diverse.- protestò.

-Non sai accettare un complimento.- conclusi.

-Parla quella che li mette sull'ironico.- mi rinfacciò.

-Touche.- Colpita e affondata.

Sogghignò la sua vittoria.

Finii di bere l'acqua e posai il bicchiere sul comodino mentre lui faceva altrettanto.

-Restiamo a riposare ancora un po', allora?- domandò.

-Ci possiamo provare.

Ritornò sotto le coperte. -Dai mettiti sotto anche tu, altrimenti tiri le coperte.

-Fa caldo.- contestai.

-Con il maglione sì. Hai qualcosa sotto?

Annuii e me lo tolsi, restando in canottiera. Lo feci cadere a terra, infilandomi sotto il piumone.

-Posso usarti come orsacchiotto, allora?- scherzò Thomas.

Lo guardai storto. -Non ci provare. Se c'è una cosa che detesto più del rumore del respiro, è la sensazione di qualcuno che mi stritola impedendomi di muovermi.

-Non sei tipo da coccole, eh?

-Non a letto. A letto o si fa sesso, o si dorme. La via di mezzo è fastidiosa. E scomoda.- replicai.

-Ora capisco la tua fiamma francese. Una relazione non può resistere senza coccole! Sono le basi!

-Non dico no alle coccole.- precisai. -Dico no alle coccole quando si cerca di dormire. E quando si guarda un film. In quel caso è semplicemente irrispettoso nei confronti del film, nonché idiota perché passi la maggior parte del tempo a cercare di non uccidervi a vicenda a forza di gomitate e testate cercando una posizione comoda, invece che fare effettivamente attenzione al cavolo di film. E che lo accendi a fare se non lo guardi?

Ridacchiò. -Evviva il romanticismo!- commentò sarcastico.

-Solo perché nessuno lo dice mai, non significa che nessuno lo pensi. Semplicemente non lo si vuole ammettere. Io lo dico. E non ci credo che a te non è mai capitato.

-Intendi coccolarsi davanti a un film?

-Sì.

-Mi ci sono trovato, in effetti. Svariate volte. E sì, hai ragione, certe volte trovare la posizione giusta può essere difficile, ma basta un po' d'esperienza.

-E tu sei un professionista?- alzai le sopracciglia sardonica.

-Assolutamente. Ho fatto un lungo tirocinio.- si vantò scherzoso.

Risi. -Che Don Giovanni!

Si unì alla mia risata.

Dopo un attimo le palpebre iniziarono a rifarmisi pesanti. Le chiusi sospirando.

-Rilassati, Amelia.- lo sentii sussurrare.

-Ci provo.- replicai a occhi chiusi.

Tornò a sfiorarmi la guancia. -Quanto dovrò scavare prima di conoscerti per davvero? Sai, così mi preparo.- provò a ironizzare.

-Parecchio temo.- Riaprii lentamente gli occhi. -E io?- Sapevo di aver a malapena scalfito la superficie della sua personalità. E dopotutto, non potevo pretendere altro dopo così pochi mesi. Ma mi ci sarei impegnata.

Piegò un angolo della bocca. -Parecchio, temo.

Sospirai. -Siamo gente complicata, eh?

-Vorresti non esserlo?

-A volte.- ammisi. -Credo che sarei molto più felice. Guarda Lucia: lei non si complica la vita, si mostra sempre per quella che è, senza vergogna. A volte esagera, devo ammetterlo, ma quella è lei e non si nasconde. E guarda come è felice. Sempre, nonostante tutto. Anche quando il mondo le rema contro.

-Non puoi esserne certa.- mi fece notare. -La semplicità non determina la felicità. Possiamo essere felici anche noi, anche se tendiamo a nasconderci qualche volta. Basta trovare qualcuno che ci accetti così come siamo. Non è facile, lo so, ma si può fare.

Sorrisi e andai con la mano a stringere la sua, ancora sul mio viso. -Ciao Mr Ottimismo. Mi sei mancato.

Mi sorrise a sua volta. -Sempre qui a sua disposizione, signorina.

-Il Dalai Lama ti paga per essere sempre così ottimista? Ti da una percentuale?- ironizzai.

Rise. -No, sono un volontario.

-Che anima pia.

-Beh, magari pia no, ma sono felice di aiutare. Ora riposati, sei stanca. Lo vedo da qui che stai combattendo per tenere gli occhi aperti.- concluse ritraendo la mano.

Io richiusi finalmente gli occhi.

-Thomas?- sussurrai ancora.

-Sì?

-Grazie.

 

Feci un sogno strano, quel giorno. Ero in un grosso prato che si stendeva a perdita d'occhio lungo una collina. L'unica cosa visibile era una grandissima quercia.

C'era un prato simile vicino a casa mia, in Italia. Ci passavo davanti obbligatoriamente tutte le volte che uscivo dal mio paesino, ma non era nemmeno lontanamente così grande.

Questo era sconfinato!

Avevo un libro rosso in mano. Avevo la sensazione di essermi appena alzata dopo aver passato ore seduta sotto quella vecchia quercia a leggere. Il sole splendeva così luminoso da costringermi a socchiudere gli occhi, ma non c'era caldo.

All'improvviso sentii una presenza dietro di me. Mi voltai e vidi un ragazzo. Gli sorrisi. Non avevo la più pallida idea di chi fosse, non consciamente almeno. Il mio inconscio doveva pensarla diversamente perché gli sorrisi. Non vidi il suo viso, non vedevo mai i volti delle persone nei miei sogni, semplicemente sapevo che erano loro. Ma in quel caso no. Sapevo solo che gli volevo bene, che mi fidavo di lui. E che in quel momento era lì che mi tendeva la mano. Senza esitazione gliela afferrai, e lui iniziò a correre, portandomi con sé. Correvamo e ridevamo. D'un tratto mi lasciò la mano e continuammo a correre, con lui che ogni tanto si voltava verso di me, un sorriso sgargiante dipinto sul viso offuscato. E io lo inseguivo su per la collina, lasciandomi la quercia alle spalle. Correvo senza fatica, e ridevo.

Non mi ero mai sentita così libera in vita mia.

 

-Allora, che facciamo oggi?- mi chiese Thomas.

Ci eravamo svegliati un paio d'ore prima, avevamo mangiato qualcosa con calma e ora non sapevamo che fare. Era ancora primo pomeriggio.

-Ti va di andare a fare un giro alla National Gallery?- proposi.

-Non dirmi che non ci sei mai stata!

-Più volte di quante ne possa contare, ma non mi stanco mai. E poi le mostre temporanee cambiano sempre.- mi giustificai.

-D'accordo.- acconsentì. -Tra l'altro dovremmo essere abbastanza fortunati, non prevedo una gran folla dentro il museo.

-No. Neanche io.

Dieci minuti dopo eravamo in strada, diretti a braccetto verso la metropolitana.

Trafalgar Square, nonostante fosse il primo dell'anno, o forse proprio per quello, era affollata come al solito. Le fontane erano spente e gli artisti intrattenevano la folla, ma senza spirito, come se si stessero riprendendo a loro volta dai bagordi della sera prima. E probabilmente era proprio così.

Entrammo nella galleria, che era effettivamente più calma della piazza in cui avevamo potuto tranquillamente passare inosservati. Per sicurezza mi staccai dal braccio di Thomas, che ancora me lo stava offrendo, sperando che non si accorgesse delle mie intenzioni o che perlomeno non se la prendesse a male. Semplicemente non mi intrigava affatto l'idea di finire sui giornali di gossip per il semplice fatto che ero sua amica. E poi chissà quanto ci avrebbero ricamato sopra! In più, pensavo al mio curriculum: se a Londra si fosse scoperto che eravamo amici, nel caso avessi cercato lavoro lì, come era probabile tra l'altro, qualcuno avrebbe potuto insinuare che avevo ottenuto dei favoritismi. So che può sembrare un ragionamento cinico, ma ero sicura che lui avrebbe capito. Ciò però non significava che non potesse prendersela un po'. E su quel fronte avevo già dato.

Lui comunque non sembrò farci caso, continuando tranquillamente a camminare al mio fianco.

Ci dirigemmo subito verso la mostra temporanea, dove erano esposte le opere di un geniale paesaggista nordico di nome Peder Balke, che rappresentava i fiordi e i fari norvegesi. Aveva dipinto il mare e il cielo in maniera straordinaria, riuscendo a trasmettere la sensazione di calma e purezza in alcuni, e di ferocia in altri. Le nuvole sembravano venirti incontro, uscire dalle tele. Mi commossi davanti a quei piccoli ma splendidi quadri.

-E' incredibile!- commentai sporgendomi per osservarli più da vicino. -Sono fantastici!

-Lo sono davvero.- concordò Thomas osservandoli a sua volta. Nel dirlo si voltò verso di me, che avevo le mani alla bocca dalla meraviglia. -Non starai per metterti a piangere?- mi chiese divertito.

-Ci sono vicina.- risposi, fissando ancora i dipinti con ammirazione.

-Seriamente?

Mi girai verso di lui, che mi guardava stupito. -Guardali!- gli intimai. -Hai presente tutto il lavoro che c'è dietro? Tutta la passione che uno deve avere per riuscire ad arrivare a questi risultati? E tutto il sentimento dietro di essi? Si riesce a percepire il terrore e l'amore che l'artista provava per il mare e per il cielo, amando anche ciò che lo avrebbe potuto portare alla morte. Guardali bene! Qui non c'è solo olio e tela, c'è il suo cuore. Come fai a non commuoverti?

Mi guardava con un'aria strana, un sorriso tenero a solcargli il viso. Non disse niente, tornando invece a voltarsi verso le opere.

Ci facemmo un giro anche nella parte perenne della galleria dove gli feci notare che in quattro quadri appartenenti a un artista i personaggi sembravano avere tutti la stessa faccia, come in quei fotomontaggi in cui uno ha la faccia idiota e qualcuno copia quella faccia su tutti gli altri. Era davvero esilarante. Per dei nerd, perlomeno, e noi rientravamo pienamente nella categoria, perciò ridemmo come dei matti di quella cosa. A me lo aveva fatto notare Tina anni prima, e anche con lei ci eravamo fatte delle grasse risate.

Evitammo chirurgicamente la sezione dedicata al '300, che non appassionava nessuno dei due con tutto quell'oro e quella religione. Tornai a commuovermi davanti ai dipinti di Turner, di Monet e Canaletto, e Thomas quasi dovette trascinarmi via quando ci annunciarono che la galleria stava per chiudere. Dispiaciuta, lo seguii fuori, imboccando la strada che portava a Leicester Square.

-Ci prendiamo qualcosa di caldo?- mi offrì.

Annuii. -Volentieri.

Ci infilammo in una traversa ed andammo a sederci nel primo caffè che trovammo, accomodandoci a un tavolino vicino al vetro. Il cameriere venne a prendere l'ordine, e quando se ne andò io mi misi a osservare la gente che andava su e giù per quella stradina pittoresca durante la prima sera dell'anno.

-Sai,- esordì dopo un attimo Tom, interrompendo il filo dei miei pensieri. -oggi mi sono reso conto che quando quel giorno, ad agosto, mi hai detto che eri capace di commuoverti davanti a ogni tipo di arte, non avevo davvero capito fino in fondo. Credevo fosse solo una questione di tematiche, ad esempio quando muore qualcuno in un libro o un film, come succede a tutti. Non mi aspettavo certo che rischiassi di metterti a piangere davanti a un Monet!

Scoppiai a ridere, di me stessa più che altro. Sapevo che era strano, ma non potevo farci niente. -Lo so. Sono pazza.- replicai infatti.

-Decisamente!- concordò. -Probabilmente sei l'unica donna al mondo che fugge da un ragazzo che ti invita a cena e poi va a sbavare su un dipinto.

-Noo!- esclamai ridendo. -Ci sono un sacco di lesbiche che amano l'arte, a questo mondo. Scapperebbero dal ragazzo per motivi diversi, ma comunque cambia poco.

Scoppiò anche lui a ridere.

Quel giorno, e a quell'ora, non c'era più granché da fare in centro, così tornammo a casa. Da bravi pantofolai ci stravaccammo sul divano e accendemmo la TV su un programma a caso, giusto per far finta di fare qualcosa. Ancora non ci eravamo del tutto ripresi dalla sera prima e non ci veniva in mente niente di meglio da fare.

Girandomi per commentare la stupidità di uno dei protagonisti, notai, grazie alla luce riflessa dello schermo, un particolare del suo viso a cui non avevo mai fatto caso. Dimentica del commento di prima gli chiesi: -Come ti sei fatto quella cicatrice che hai sulla fronte?

-Mmm?- si riscosse, spostando l'attenzione su di me.

-La cicatrice che hai sulla fronte. Che è successo?- ripetei.

-Oh.- ridacchiò. -E' una storia piuttosto divertente.- mi anticipò. -Avevo dieci anni. I miei genitori, dopo mesi e mesi di insistenze, si erano arresi alle mie richieste di avere dei pattini a rotelle e me li regalarono per il mio compleanno, insieme a casco e tutte le protezioni necessarie. Immagina la mia eccitazione! Era febbraio e fuori faceva troppo freddo, così, pattini in mano, corsi al piano di sotto dove c'era il parquet e avrei potuto pattinare con facilità. Peccato che rotolai giù per le scale e battei la testa proprio su una parte metallica e un po' spigolosa di quei pattini. Il commento di mio padre fu: “Mi aspettavo che cadessi e ti facessi del male con quei cosi, ma questo non era esattamente quello che intendevo”.

Risi a crepapelle. -Che imbranato!- commentai.

-Sì, ero particolarmente goffo da bambino.- confermò. -Ancora mi sorprendo che me li abbiano effettivamente comprati, quei pattini. A posteriori è stata davvero una brutta decisione. Dopo quel giorno ho ancora rischiato di ammazzarmi un altro infinito numero di volte. Alla fine ho rinunciato, preferendo i miei piedi alle rotelle.

Io intanto continuavo a ridere. -Sto cercando di immaginarti mentre ti spiaccichi sul pavimento. Deve essere stato esilarante assistere!

-Oh, beh, grazie tante!- finse di prendersela. -Come se tu non fossi mai caduta in vita tua!

Cercai di placare le risate. -Sì, beh, hai ragione. Anche io le mie cadute di faccia me le sono fatte. E devo dire che una in particolare è stata peggiore della tua.

Mi guardò interessato, pronto a prendersi la sua rivincita. -Ti ascolto.

-Vuoi davvero rispolverare le mie imbarazzanti ferite di guerra?- gli chiesi sarcastica.

-Assolutamente. Mi divertirò a immaginarti mentre ti spiaccichi sul pavimento!- mi fece eco.

Gli diedi una leggera spinta alla spalla.

-Dai, dai. Fuori la storia.- mi incitò.

Mi arresi. -D'accordo. Dunque, avrò avuto...vediamo...undici o dodici anni. Io e i miei amici eravamo soliti andare in giro per il paese di pomeriggio, a volte in bicicletta e a volte a piedi. Quel giorno eravamo a piedi, ma una mia...amica...aveva portato il monopattino. Mi piacevano tantissimo i monopattini, così le chiesi di provare. Io abito in collina, non ci sono spazi in piano nemmeno a pagarli, perciò ci ritrovammo in una discesa.

-Già me lo immagino: Amelia più monopattino più discesa: la ricetta per un disastro!- ridacchiò Thomas.

-Già!- confermai. -Il problema fu che non mi fidai del freno del monopattino, così misi giù i piedi cercando di fermarmi. E mi fermai: di faccia sull'asfalto.

-Uhh! Che male!- commentò.

-A dire la verità quella è l'unica cosa che non mi ricordo. Mi ricordo però che mi alzai dall'asfalto e vidi una goccia di sangue cadere per terra, così urlai “Sangue!” ai miei amici. E poi notai gli occhiali: avevo rotto gli occhiali! Passai tutto il tragitto fino a casa con il sangue che mi colava dal sopracciglio ripetendo “Ho rotto gli occhiali! Ora mia madre mi ammazza! Oddio, mi ammazza!”.- conclusi.

-Portavi gli occhiali?- mi chiese stupito, ancora ridacchiando.

-Li ho portati per tutta la mia gioventù!- confermai sorridendo. -Fino all'anno scorso. Mi sono fatta operare prima di partire per l'Erasmus.

-Per evitare di romperli ancora in incidenti simili?- scherzò.

-Tu ridi,- lo rimbrottai. -ma al liceo mi hanno tirato la bellezza di tre pallonate in faccia, rompendomi altrettanti occhiali. Perciò sì, potrebbe essere considerata una buona motivazione.

Lui rise ancora più forte. -Tre pallonate? Certo che sei sfortunata!

-Capito perché sono così pessimista? E' deformazione professionale!- mi giustificai.

-E la professione sarebbe “bersaglio”?

-Apparentemente.

Aspettai che le risate si placassero. Dopodiché lui mi disse: -Sai che non riesco neanche a immaginarti con gli occhiali?

-No?

-Per niente.

-Aspetta lì.- Mi girai in cerca della borsa che avevo lasciato lì vicino e tirai fuori gli occhiali da riposo. Li inforcai e mi girai verso di lui. -E ora?

Spalancò gli occhi. -Se non sapessi che sei tu, quasi non ti riconoscerei.

-Addirittura?

-Ti deformano la faccia.- affermò.

Mi strinsi nelle spalle, portandomi gli occhiali sulla testa.

-Ti mancava così tanto, per arrivare a operarti?- mi chiese.

-Parecchio, sì. Più di metà delle diottrie per occhio. Il problema però erano le mie emicranie: sia con che senza gli occhiali peggioravano solo la situazione. Ho preferito togliere almeno un problema.- gli spiegai.

Annuì. -Ha senso.

-Anche tu porti gli occhiali.- osservai. -Li ho visti in giro.

-Sì, qualche volta. Non mi manca molto. Giusto un po' di astigmatismo. Temo però che presto dovrò iniziare a portarli sempre quando guido. E quando leggo. La vecchiaia.- sospirò drammatico.

Ridacchiai. -Non riiniziare!

 

 

N.A. 2: La Vendetta.

*assume tono da 5 per mille*

Ogni anno, milioni di autori soffrono di sindrome da povertà di recensioni. Questa consiste nel costante dubbio esistenziale che la propria storia faccia schifo al cazzo e non sia degna neanche di uno sputo di cammello. Ma se così è, la certezza può comunque salvarlo.

Siate generosi: donate una recensione. Potrete salvare l'autostima di un povero autore (o affossarla, ma anche questo è ben accetto).

Grazie.

  
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